La rilevanza degli “elementi forniti dalla difesa” nella motivazione di un provvedimento applicativo di una misura cautelare

Irma Conti
15 Febbraio 2018

Nel corso di un'ampia indagine che coinvolgeva diversi soggetti indagati per plurimi episodi di ricettazione, il tribunale del riesame di Firenze accoglieva l'appello ex art. 310 c.p.p. presentato dal P.M. di Pisa avverso l'ordinanza del Gip che aveva rigettato la richiesta di applicazione di misure cautelari custodiali per gli indagati.
Massima

Gli elementi forniti dalla difesa che devono essere valutati dal giudice nell'ordinanza che dispone la misure cautelare sono quelli che, se considerati, sarebbero potenzialmente idonei a influire sulla decisione cautelare e non quelli ictu oculi irrilevanti sì da stimare ininfluenti le circostanze da essi riferite ai fini del giudizio di gravità indiziaria e da rendere inammissibile il motivo per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio.

Il caso

Nel corso di un'ampia indagine che coinvolgeva diversi soggetti indagati per plurimi episodi di ricettazione, il tribunale del riesame di Firenze accoglieva l'appello ex art. 310 c.p.p. presentato dal P.M. di Pisa avverso l'ordinanza del Gip che aveva rigettato la richiesta di applicazione di misure cautelari custodiali per gli indagati. Con ordinanza del 15 maggio 2017, il tribunale, sulla base degli indizi raccolti in fase di indagine e già ritenuti sussistenti anche dal Gip, ha altresì ritenuto concrete ed attuali le esigenze cautelari, disponendo le misure della custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari richiesta dal P.M.

Contro tale provvedimento hanno presentato ricorso per Cassazione i difensori di tutti gli indagati.

Il contenuto di tutti i ricorsi, in sintesi, era incentrato sulla violazione delle lett. b) ed e) dell'art. 606 c.p.p. e quindi sul vizio di legge per assenza di motivazione e per illogica o contraddittoria motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, all'esistenza delle esigenze cautelari, dei requisiti della concretezza e dell'attualità del pericolo (la misura è stata applicato a distanza di un anno dai fatti oggetto dell'imputazione) e all'omessa valutazione della possibilità di applicare una misura più gradata.

La questione

Nel contesto dei motivi tendenti ad affermare l'esistenza di un vizio motivazionale, particolarmente interessante è la questione dell'omessa valutazione delle argomentazioni svolte dalle difese, in forma scritta e orale, a sostegno dell'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, delle esigenze cautelari e della loro attualità.

In altri termini, il tribunale del riesame non avrebbe valutato gli elementi a discarico evidenziati dalle difese e avrebbe fondato il provvedimento esclusivamente sulle osservazioni e sugli elementi indicati nella richiesta di applicazione della misura cautelare (e nell'atto di appello) presentato dal Pubblico Ministero.

Una tale omissione integrerebbe costituirebbe una carenza di valutazione nella motivazione delle deduzioni difensive in aperta violazione di quanto previsto dal secondo comma dell'art. 292 c.p.p.

La Corte di legittimità, nell'affrontare tale motivo di impugnazione, ha sancito che l'omessa valutazione di tali elementi non può integrare, in ogni caso, il vizio suesposto vizio di legge ed ha definito i confini e delle deduzioni difensive che devono essere necessariamente considerate nella motivazione di un provvedimento applicativo di una misura cautelare.

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, il secondo comma dell'art. 292 c.p.p. nell'elencare gli elementi che, a pena di nullità, deve contenere l'ordinanza di applicazione della misura cautelare richiesta dal Pubblico Ministero, prevede, alla lettera c-bis), che la motivazione debba contenere «l'esposizione e l'autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa».

Pertanto, fermandoci a una interpretazione letterale del dettato normativo, l'ordinanza cautelare che non respinga adeguatamente le tesi e gli elementi prodotti alla difesa è affetta da nullità per violazione del summenzionato art. 292 c.p.p.

Come evidenziato in precedenza, tutti i difensori nei motivi di ricorso hanno sollevato tale nullità evidenziando, in particolare, come il tribunale del riesame non abbia minimamente considerato e fornito alcuna risposta ad alcune delle deduzioni difensive relative all'insussistenza di effettivi elementi indiziari e, in particolare, all'esito negativo di alcune perquisizioni.

L'esistenza di tale carenza motivazionale pur essendo stata confermata dalla Corte di legittimità (Effettivamente l'ordinanza non ha dato specifica risposta alla deduzione contenuta nella memoria difensiva), non è stata, però, ritenuta integrante la nullità prevista dal secondo comma dell'art. 292 c.p.

Secondo la Corte, infatti, le circostanze enunciate dalle difese erano note e pacifiche e quindi sono state “implicitamente” escluse dai giudici del tribunale del riesame che, pertanto, «non hanno trascurato detta circostanza, ma l'hanno, sia pure implicitamente, ritenuta irrilevante, alla luce degli elementi indiziari evidenziati, confliggenti con la suddetta deduzione».

Tale statuizione, che teoricamente confliggerebbe con la litera legis dell'art.292 c.p.p., è stata risolta dai giudici di legittimità attraverso una delimitazione dei confini del concetto di argomenti forniti della difesa che devono essere esplicitamente valutati, a pena di nullità, nelle ordinanze in materia cautelare evidenziando come non tutte le deduzioni difensive debbano essere esplicitamente considerate nei suddetti provvedimenti.

Nella spiegazione dell'iter logico-giuridico seguito dalla Corte nella decisione in parola, i giudici di legittimità partono dall'analisi del consolidato e costante orientamento di legittimità (Cass. pen., Sez.VI, 13 giugno 2017, n. 36874, Romeo; Cass. pen., Sez. VI, n. 8 luglio 2015, n. 31362, Carbonari; Cass. pen., Sez. V, 15 luglio 2014, n. 45520, Musto; Cass. pen., Sez. I, 9 gennaio 2001, n. 14374, Cianciarusso) in tema di nullità dell'ordinanza in materia cautelare.

Attraverso tale analisi, la Corte evidenzia che:

  • da un lato non intende assolutamente distanziarsi dal solco tracciato da tale (unanime) orientamento di legittimità secondo il quale «il giudice del riesame, sia pure con motivazione sintetica, deve dare ad ogni deduzione difensiva puntuale risposta, incorrendo, in caso contrario, nel vizio, rilevabile in sede di legittimità, di violazione di legge per carenza di motivazione»;
  • dall'altro che dall'esame dei casi oggetto delle summenzionate sentenze di legittimità, emerge, chiaramente, che con tali pronunce sono state annullate ordinanze «emesse dal tribunale del riesame di conferma di quelle genetiche del Gip, in quanto non avevano dato alcuna risposta ai motivi proposti dagli indagati ex art. 309 c.p.p., che fornivano una interpretazione alternativa del quadro degli elementi indiziari ovvero offrivano "specifici elementi a discarico", completamenti trascurati in sede di decisione sul riesame».

Proprio sulla base del contenuto di tali decisioni, nella sentenza impugnata si è proceduto, pertanto, a creare una distinzione “sostanziale” e “contenutistica” tra le argomentazioni difensive, affermando, sostanzialmente, che solo quelli che offrono specifici argomenti a discarico e che sono quindi in grado di influenzare il giudizio di sussistenza dei presupposti previsti per l'applicazione della misura debbano essere esplicitamente valutati, a pena di nullità, nell'ordinanza cautelare.

Secondo la Corte, infatti, «è in questo senso, dunque, che va correttamente inteso il riferimento agli "elementi forniti dalla difesa" in ordine ai quali, ai sensi dell'art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c-bis), occorre dare risposta per spiegarne la ritenuta irrilevanza ai fini della decisione», una risposta che si ritiene dovuta solo in presenza di «elementi che, se considerati, sarebbero potenzialmente idonei ad influire sulla decisione cautelare».

Pertanto, anche sulla scorta di una recente pronuncia sul tema (Cass. pen., Sez. II, 16 dicembre 2014, n. 10173, Bianchetti) secondo la Corte non costituisce una violazione dell'art. 292 c.p.p. l'ordinanza che non valuti esplicitamente quegli elementi «ictu oculi irrilevanti sì da stimare ininfluenti le circostanze da essi riferite ai fini del giudizio di gravità indiziaria e da rendere inammissibile il motivo per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio».

Pertanto, alla luce di tale principio, secondo la Corte l'ordinanza impugnata non sarebbe affetta da nullità in quanto il tribunale del riesame di Firenze non avrebbe dato rilievo agli argomenti difensivi e in particolare all'esito negativo delle intercettazioni, in quanto tali elementi erano già noti e non facevano venir meno «il solido quadro indiziario descritto nell'ordinanza con motivazione logica, adeguata ed esente da contraddizioni». Pertanto tali argomenti, essendo palesemente irrilevanti, non sono stati trattati nell'ordinanza e sono stati implicitamente respinti dalla stessa.

Osservazioni

La sentenza in esame appare di grande interesse in quanto se, da un lato, rientra formalmente nell'orientamento che aderisce ad un'interpretazione letterale dell'art. 292 c.p.p., dall'altro delinea un confine al concetto di “deduzione difensivo” che deve essere esplicitamente trattato, a pena di nullità, in sede di ordinanza cautelare.

Un confine che appare molto netto sulla carta, secondo le indicazioni fornite nella sentenza in commento, ma che non sempre può essere di facile identificazione nel caso concreto, soprattutto se si considera il contesto di un procedimento cautelare in cui gli elementi di prova e quelli indiziari non sono assolutamente definiti.

A tal proposito, si evidenzia, inoltre, che, come osservato dalla stessa Corte, il ragionamento logico-giuridico seguito nella sentenza in commento, si fonda su pronunce di legittimità che riguardano giudizi di merito e non cautelari. Secondo tale orientamento, infatti, si ritiene non censurabile in sede di legittimità la sentenza che non risponda ad una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa, anche se non espressamente confutata, sia logicamente incompatibile con la decisione adottata. Allo stesso modo, pertanto, secondo la Corte, anche nel contesto di un procedimento cautelare, l'ordinanza non dovrebbe dar conto di quegli elementi ictu oculi irrilevanti rispetto al quadro indiziario che, come spesso accade, è un quadro in divenire e soggetto a diverse interpretazioni e, soprattutto, non è stato vagliato in un giudizio di merito.

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