La differenza tra “aiuto” e “istigazione” al suicidio. Dubbi di illegittimità costituzionale sull'art. 580 c.p.

Redazione Scientifica
19 Febbraio 2018

La Corte d'assise di Milano, all'udienza del 14 febbraio 2018, nel procedimento a carico di Marco Cappato, imputato per il reato di cui all'art. 580 c.p. «per aver rafforzato il proposito suicidiario di Antoniani Fabiano (dj Fabo) affetto da tetraplegia e ...

La Corte d'assise di Milano, all'udienza del 14 febbraio 2018, nel procedimento a carico di Marco Cappato, imputato per il reato di cui all'art. 580 c.p. «per aver rafforzato il proposito suicidiario di Antoniani Fabiano (dj Fabo) affetto da tetraplegia e cecità a seguito di incidente stradale […] prospettandogli la possibilità di ottenere assistenza al suicidio […]», ha ritenuto necessario sollevare la questione di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 580 c.p.:

  • nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito al suicidio, per ritenuto contrasto con gli articoli 3, 13, comma 1, e 117 Cost. in relazione agli artt. 2 e 8 Cedu;
  • nella parte in cui prevede che le condotte di agevolazione al suicidio, che non incidano sul percorso deliberativo dell'aspirante suicida, siano sanzionabili con la pena della reclusione da 5 a 10 anni, senza distinzione rispetto alle con dotte di istigazione, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 13, 25, comma 2, e 27, comma 3, Cost.

Nel caso di specie, la Corte d'assise ha rilevato che, dagli accertamenti avvenuti in dibattimento, emergono, senza alcun dubbio, l'impossibilità di cura della malattia di dj Fabo e la sua piena capacità di intendere e di volere.

Già nel marzo 2016 dj Fabo aveva comunicato ai famigliari di aver deciso di non voler vivere in quelle condizioni di sofferenza continua e aveva espresso la ferma volontà di morire e solo nel maggio dello stesso anno aveva contattato l'associazione Luca Coscioni ed era entrato in contatto con Marco Cappato.

È stato altresì accertato che quest'ultimo «non indirizzò o condizionò la decisione di Fabiano di procedere in Svizzera al proprio suicidio attraverso le modalità consentite in quello Stato, ma al contrario gli prospettò la possibilità di farlo in Italia interrompendo le terapie che lo tenevano in vita».

Pur dovendosi, dunque, concludere che la condotta di Cappato non ha inciso sul processo deliberativo di dj Fabo in relazione alla decisione di porre fine alla propria vita e quindi non può essere ritenuto colpevole per l'addebito di averne rafforzato il proposito di suicidio, deve comunque affermarsi che l'averlo accompagnato in Svizzera nella consapevolezza di realizzare il suo progetto suicidiario – poi avvenuto – integra la condotta di agevolazione parimenti sanzionata dall'art. 580 c.p.

La Corte d'assise ha, inoltre, affermato la necessità di una più ampia lettura del diritto alla salute sancito all'art. 32 Cost.: «Il diritto alla salute, come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità propri dell'interessato, finanche di lasciarsi morire» (cfr. Cass. civ., Sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, caso Englaro).

All'individuo, spiegano i giudici, deve essere riconosciuta la libertà di decidere quando e come morire e che di conseguenza solo le azioni che pregiudicano la libertà della sua decisione possano costituire offesa al bene tutelato dalla norma in esame.

Per tali ragioni, conclude la Corte d'assise, l'interpretazione, fornita dal diritto vivente, del dato letterale dell'art. 580 c.p. per cui il suicidio è un fatto di per sé riprovevole e il diritto alla vita come tutelabile a prescindere dalla libertà dell'individuo viòla gli artt. 2, 13, comma 1, e 117 Cost., in relazione agli artt. 2 e 8 Cedu e la sanzione indiscriminata di tutte le condotte di aiuto al suicidio e la previsione della stessa pena prevista per le condotte di istigazione, risulta violare il principio di ragionevolezza della pena in funzione dell'offensività del fatto.

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