Il produttore dei rifiuti nei lavori edili commessi in appalto

19 Febbraio 2018

La questione che si pone nel caso in esame è quella della individuazione del produttore dei rifiuti nel caso di lavori commessi in appalto. Un passaggio indispensabile, in quanto è il produttore a essere destinatario degli obblighi di corretta qualificazione e gestione dei rifiuti ...
Massima

Nell'ipotesi di esecuzione di lavori edili attraverso un contratto di appalto, la qualità di produttore dei rifiuti va di regola attribuita all'appaltatore sul quale, pertanto, gravano, in linea di principio gravano esclusivamente, gli obblighi connessi al corretto smaltimento, che si estendono al committente solo nel caso in cui eserciti ingerenza o controllo diretto sullo svolgimento dei lavori.

Il caso

La fattispecie esaminata dalla S.C. riguarda la condanna per il reato di gestione non autorizzata di rifiuti speciali non pericolosi (art. 256, comma 1, d.lgs. 152 del 2006), consistenti in materiali di risulta di opere di demolizione edile, disposta nel giudizio di merito a carico sia del committente (sorpreso mentre trasportava i rifiuti in questione con il proprio autocarro), sia della proprietaria dell'immobile interessato dai lavori, committente degli stessi, ritenuta responsabile per essersi disfatta, in qualità di produttrice dei rifiuti in questione, affidandoli all'appaltatore.

La Corte ha osservato, quanto alla posizione della proprietaria, che il tribunale aveva argomentato la responsabilità della medesima sulla sola base della qualità di committente dei lavori edili in corso di esecuzione dal parte dell'appaltatore ed all'esito dei quali erano stati prodotti i rifiuti che lo stesso stava trasportando al momento in cui era stato sorpreso dagli agenti del Corpo forestale dello Stato; posizione soggettiva, quella di committente dei lavori e, pertanto, appaltante degli stessi, da cui il tribunale aveva fatto discendere in termini di immediato automatismo, l'attribuzione della qualifica di soggetto produttore dei rifiuti.

La Cassazione ha ritenuto tale ricostruzione palesemente in contrasto con i consolidati orientamenti giurisprudenziali secondo cui «in ipotesi di esecuzione di lavori attraverso un contratto di appalto, è l'appaltatore che - per la natura del rapporto contrattuale da lui stipulato ed attraverso il quale egli è vincolato al compimento di un'opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio dell'intera attività - riveste generalmente la qualità di produttore del rifiuto; da ciò ne deriva che gravano su di lui, ed in linea di principio esclusivamente su di lui, gli obblighi connessi al corretto smaltimento dei rifiuti rivenienti dallo svolgimento della sua prestazione contrattuale, salvo il caso in cui, per ingerenza o controllo diretto del committente sullo svolgimento dei lavori, i relativi obblighi si estendano anche a carico di tale soggett»(il riferimento è a Cass. pen., Sez. III, 16 marzo 2015, n. 11029).

Al contrario il tribunale aveva desunto, in assenza di qualsivoglia elemento in ordine alla sussistenza di tale diretto coinvolgimento della proprietaria nella esecuzione delle opere appaltate, la sua responsabilità, in quanto soggetto produttore dei rifiuti, esclusivamente sulla base della sua qualifica di committente degli stessi.

Trattasi di soluzione, conclude la sentenza, in evidente contrasto con la riportata consolidata interpretazione della Cassazione sulla disposizione incriminatrice, priva di un qualche diretto aggancio normativo e del tutto immotivata sul piano fattuale in relazione alla ingerenza del committente nelle attività imprenditoriali di competenza della ditta appaltatrice, che costituisce una chiara violazione di legge in cui è incorso il giudice del merito e comporta, quale conseguenza, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, posto che il fatto addebitato alla committente non sussiste come fatto penalmente rilevante.

La Corte ha invece dichiarato inammissibile per genericità il ricorso dell'appaltatore, anche con riferimento alla qualificazione del fatto entro l'ambito di cui all'art. 131-bis c.p.

La questione

La questione che si pone nel caso in esame è quella della individuazione del produttore dei rifiuti nel caso di lavori commessi in appalto.

Un passaggio indispensabile, in quanto è il produttore a essere destinatario degli obblighi di corretta qualificazione e gestione dei rifiuti (art. 188 d.lgs. 152/2006) e delle corrispondenti previsioni sanzionatorie in caso di loro violazione (art. 256 d.lgs.152/2006).

Di qui la necessità di confronto con la definizione normativa di produttore e la sua evoluzione nel tempo.

Il produttore, nella versione originaria del T.U.A, veniva definito come «la persona la cui attività ha prodotto rifiuti cioè il produttore iniziale e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti” (art. 183, lett. b), d.lgs. 152/2006).

La lettera f) dell'art. 183 d.lgs. 152/2006, nel testo introdotto dal correttivo 2010, ha sostanzialmente confermato la stessa impostazione, definendo il produttore come «il soggetto la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti».

La definizione è stata ulteriormente corretta a seguito del d.l. 101/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 125/2013, che ha modificato la lettera f) nel senso che il produttore di rifiuti è «il soggetto la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)».

Veniva, peraltro, reso chiaro quanto già si poteva affermare a livello interpretativo e cioè che la definizione di produttore riguarda due distinte categorie di soggetti.

La prima è certa ed è costituita dal produttore iniziale, cioè dal soggetto la cui attività produce il rifiuto, pure se ciò avvenga a seguito di eventi accidentali, poiché anch'essi rientrano nel concetto di disfarsi (salvo che si tratti di caso fortuito o forza maggiore), in quanto produttore è qualsiasi soggetto che, con la propria condotta, anche colposa, abbia contribuito alla produzione del rifiuto (Corte di giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, causa C-188/07, Total).

La seconda categoria è eventuale ed è rappresentata dai soggetti che intervengono su un rifiuto con operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che ne mutano la natura o la composizione. Questi soggetti sono da un lato produttori “secondari”, perché intervengono su una sostanza che è già rifiuto; ma al tempo stesso possono definirsi anch'essi produttori “iniziali”, in quanto dalla loro attività si produce un nuovo rifiuto, atteso che quello precedente non esiste più, avendo mutato natura o composizione.

La conseguenza, sotto il profilo gestionale è evidente: al nuovo rifiuto va attribuito un nuovo codice Cer (Cass. pen., Sez. III, n. 27989/2008) e gli obblighi in materia di tracciabilità dei rifiuti sono a carico sia di chi genera tali rifiuti per la prima volta, sia di chi, attraverso il proprio intervento, produce un nuovo e diverso rifiuto (per natura o composizione) rispetto a quello originario.

La definizione di produttore è stata ulteriormente modificata nel 2015.

L'art. 1 del d.l. 92/2015, infatti, ha aggiunto alla lettera f) dell'art. 183 T.U.A., dopo le parole produce rifiuti, le parole e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione; tale modifica è stata confermata dall'art. 11, comma 16-bis, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78 (recante Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali) introdotto dalla legge di conversione 125/2015, che ha nel contempo abrogato, all'art. 1, l'art. 1 del d.l. 2/2015, pur facendone salvi gli effetti prodotti nelle more.

Anche la definizione di detentore è mutata rispetto alla versione originaria dell'art. 183 T.U.A., poiché la lettera c), che definiva tale figura come il produttore dei rifiuti o il soggetto che li detiene, è stata sostituita dalla lettera h) della norma, introdotta dal d.lgs. 205 del 2010, che individua il detentore nel produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso.

Rilevato che con la modifica del 2010 vengono incluse nella definizione di detentore tutte le situazioni soggettive riconducibili alla nozione di possesso delineata dall'art. 1140 c.c., il principio fondamentale da tenere presente in questa materia è quello secondo cui il produttore è sempre anche detentore, mentre non sempre il detentore è anche produttore (in questa prospettiva, Cass. pen., Sez. III, n. 2667/2004 ha affermato che in tema di rifiuti, la nozione di detentore ha carattere residuale ed ampio e finisce con il ricomprendere tutti i soggetti che svolgono attività di raccolta, di trasporto, di recupero, di smaltimento, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, in quanto la nuova disciplina, in conformità con il principio “chi inquina paga” pone a carico del detentore gli oneri relativi alla gestione).

Le soluzioni giuridiche

Prima della novella del 2015 – epoca in cui si colloca la fattispecie in esame – la giurisprudenza aveva più volte esaminato la questione della individuazione della figura del produttore dei rifiuti nel caso di lavori commessi in appalto.

In un primo tempo, il produttore fu individuato non soltanto nell'appaltatore-esecutore delle opere ma anche nel committente (Cass. pen., Sez. III, n. 4957/2000; conforme Cass. pen., Sez. III, n. 24347/2003).

Affermò, in quella occasione la S.C. che «per capire chi è il produttore dei rifiuti è fondamentale la definizione di luogo di produzione dei rifiuti medesimi fornita dal d.lgs. n. 22/1997. Tale definizione comporta una considerazione oggettiva delle attività; pertanto, il produttore può essere rintracciato in base ad una posizione soggettiva non necessariamente materiale, bensì correlata alla produzione dei rifiuti».

La qualifica di produttore veniva, quindi, estesa anche al soggetto che poneva in essere l'attività giuridica di produzione, in quanto «il riferimento all'attività produttrice di rifiuti non può essere limitato solo a quella materiale ma deve essere estesa anche a quella giuridica ed a qualsiasi intervento che determina poi, in concreto, la produzione dei rifiuti. Pertanto, anche il proprietario dell'immobile committente o l'intestatario della concessione edilizia con la quale si consente di edificare un nuovo edificio, previa demolizione di uno preesistente, devono essere considerati produttori dei rifiuti derivanti dall'abbattimento del precedente fabbricato».

A sostegno dell'assunto secondo cui deve considerarsi produttore di rifiuti chi, con la sua attività — materiale o giuridica — avesse prodotto rifiuti, la Cassazione osservava che «non è possibile ritenere trasferita la posizione di garanzia del committente in virtù del contratto di appalto, poiché i diversificati adempimenti posti a carico del produttore dei rifiuti dagli articoli 10 e 15, d.lgs. 22/1997 per impedire una gestione illegale dei rifiuti stessi, escludono la possibilità di trasferire in capo ad altro soggetto, egualmente obbligato, il proprio obbligo di controllo e di vigilanza. Inoltre, resta fermo il principio della responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'uso o nel consumo dei beni da cui originano i rifiuti (articolo 2, comma 3, d.lgs. 22/1997). Pertanto non è possibile trasferire ad altro soggetto, egualmente obbligato per la stessa tutela, la propria posizione di garanzia, in quanto l'individuazione di una pluralità di obbligati (detentore finale, precedenti detentori e produttore dei rifiuti) è stata voluta dal Legislatore per proteggere maggiormente il bene. Una concentrazione di tutti gli obblighi in un unico soggetto, garante dell'adempimento del dovere primario dello smaltimento e del recupero, in presenza di altri coobbligati, non è ammissibile in via contrattuale».

Successivamente la giurisprudenza (a partire da Cass. pen., Sez. III, n. 15165/2003; seguita dalle conformi Cass. pen., Sez. III, n. 40618/2004; Cass. pen., Sez. III,n. 36963/2005, Cass. pen., Sez. III,n. 25041/2011; Cass. pen., Sez. III,n. 37547/2013 e Cass. pen., Sez. III,n. 11029/2015) ha seguito la soluzione opposta e ha escluso la responsabilità del committente, a titolo di concorso con l'appaltatore, per la raccolta e lo smaltimento abusivi dei rifiuti connessi all'attività edificatoria, rilevando come, a differenza della materia urbanistica – in cui si rinvengono specifiche previsioni (in precedenza, articolo 6 della legge 47 del 1985, ora art. 29 del d.P.R. 380 del 2001) che fondano una posizione di garanzia in capo al committente, ai sensi dell'articolo 40 cpv. c.p., per le violazioni commesse dalla ditta assuntrice dei lavori edili – nella materia dei rifiuti, nessuna fonte legale pone a carico del committente l'obbligo di garanzia della corretta gestione dei rifiuti prodotti durante l'esecuzione dell'opera da parte dell'appaltatore, ed il correlato potere giuridico di impedire che tale gestione sia illecita, neppure se egli sia proprietario dell'area ove i lavori sono eseguiti, poiché, anche in tale qualità, non ha alcun potere specifico verso l'appaltatore, in quanto i rapporti reciproci sono regolati solo dal contratto di appalto e questo, di norma, non consente alcuna ingerenza nell'attività dell'appaltatore da parte del committente.

Per le stesse ragioni, è stata esclusa la responsabilità del direttore dei lavori.

Di conseguenza, secondo questa impostazione, solo l'appaltatore era da considerare il produttore del rifiuto, in quanto la natura del rapporto contrattuale lo vincola al compimento di un'opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio. La responsabilità del committente dell'opera e del direttore dei lavori veniva, però, configurata, quale concorso nella commissione del reato, anche a titolo di omesso controllo, o per la particolarità dell'obbligazione assunta, o per una condotta di concreta ingerenza sullo svolgimento dei lavori, ovvero per il controllo diretto sull'attività dell'appaltatore (Cass. pen., Sez. III, n. 25041/2011; Cass. pen., Sez. III, n. 37547/2013 e Cass. pen., Sez. III,n. 11029/2015).

Tali principi sono stati applicati ai rapporti tra appaltatore e subappaltatore da varie decisioni, tra cui quella che sembra aver ispirato la novella del 2015 (Cass. pen., Sez. III, n. 5916/2015, in una fattispecie relativa a lavori di cantieristica navale).

Peraltro, come riconosciuto da tale ultima decisione, anche in passato, la vera questione non era se il produttore dei rifiuti fosse solo l'appaltatore, quanto, piuttosto, se ed a quali condizioni il committente potesse ritenersi responsabile della violazione delle regole gestionali da parte del produttore-appaltatore.

D'altra parte, la soluzione di escludere la responsabilità del committente salvo che egli avesse conservato un controllo giuridico o di fatto sulla gestione stessa da parte dell'appaltatore durante l'esecuzione dei lavori, oltre a essere giustificata dalla mancanza di una norma che fondasse un'autonoma responsabilità del committente per gli illeciti commessi dall'appaltatore, a titolo di omessa vigilanza, era coerente con i principi affermati nella contigua materia della sicurezza del lavoro, in cui, fin da prima della introduzione di specifici obblighi da parte del d.lgs. 494/1996, poi confermati dal d.lgs. 81/2008, era pacifico che il committente rispondesse penalmente degli eventi dannosi subiti dai dipendenti dell'appaltatore solo quando si fosse ingerito nell'esecuzione dell'opera mediante una condotta che abbia determinato o concorso a determinare l'inosservanza di norme di legge, regolamento o prudenziali poste a tutela degli addetti, esplicando così un effetto sinergico nella produzione dell'evento di danno e che non poteva essere considerata ingerenza la condotta del committente consistente nella sollecitazione ad osservare le misure di sicurezza, ad adottare i presidi di tutela, a comportarsi con prudenza e cautela (Cass. pen., Sez. IV, n. 3516/2000).

Osservazioni

Pur essendo successiva alla fattispecie in esame e, quindi, comprensibilmente estranea alle riflessioni della Cassazione, la riforma del 2015 costituisce ormai un riferimento indispensabile per individuare il produttore dei rifiuti nei contratti di appalto, considerato il suo sdoppiamento nella figura del produttore in senso giuridico (committente) e di quello in senso materiale (esecutore/appaltatore).

In particolare, a seguito della novella del 2015, occorre verificare la tenuta dei principi affermatisi in precedenza per quanto riguarda le responsabilità del committente.

In passato, egli non aveva alcun obbligo di vigilanza, in quanto era responsabile della loro violazione solo in caso di concreta ingerenza o di effettivo controllo dell'attività dell'appaltatore.

La novella del 2015, invece, ha introdotto (ovviamente per i fatti successivi alla sua entrata in vigore, avvenuta il 15 agosto 2015) un preciso riferimento normativo su cui si fonda una posizione di garanzia del committente (produttore in senso giuridico) rispetto alla corretta gestione dei rifiuti prodotti nell'esecuzione dei lavori appaltati.

Tale posizione di garanzia, però, si atteggia diversamente, in relazione, rispettivamente, agli obblighi procedimentali e documentali del produttore e quelli, sostanziali, di verifica della regolarità amministrativa dei soggetti (trasportatore e destinatario) coinvolti nella circolazione del rifiuto.

Per quanto riguarda il primo profilo, l'uso del singolare in relazione agli obblighi di classificazione dei rifiuti del produttore, di adesione al SISTRI (cfr. art. 188-bis, comma 3, T.U.A. che fa riferimento al soggetto che aderisce al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) e di tenuta dei formulari (l'art. 193 T.U.A. prevedere che nel formulario devono essere indicati, tra l'altro, «nome ed indirizzo del produttore dei rifiuti e del detentore», nonché a indicare il numero di quattro esemplari, una copia dei quali deve rimanere presso il produttore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al predetto produttore dei rifiuti), induce alla conclusione che l'ampliamento della definizione di produttore non ha comportato la duplicazione degli obblighi procedurali e documentali, che non vanno, quindi, assolti separatamente da ciascuno dei due produttori, in quanto è sufficiente che uno solo di essi vi abbia adempiuto.

Tra i due, anzi, è il produttore in senso materiale ad essere il soggetto naturalmente preposto alla loro esecuzione, poiché:

  • solo lui conosce la natura dei rifiuti effettivamente prodotti, per cui la corretta classificazione dei rifiuti e solo nella sua piena disponibilità e responsabilità;
  • riguardo alla tenuta dei registri di carico e scarico e invio del Mud, il quantitativo dei rifiuti si duplicherebbe e quindi non sarebbe reale;
  • quanto alla tenuta del Sistri o firma del formulario, uno dei due soggetti non consegna nulla e gli strumenti di tracciabilità fotografano la realtà che vanno ad attestare e il produttore in senso giuridico non può materialmente conferire nulla perché produce nulla (conforme FICCO, secondo cui gli obblighi procedimentali del produttore, restano calibrati secondo una impostazione chiaramente “monosoggettiva”, il che «consente di escludere che, per effetto dell'ampliamento della definizione al produttore in senso giuridico dei rifiuti, tali obblighi siano stati implicitamente duplicati e che, quindi ad essi debbano provvedere, distintamente, entrambi i soggetti interessati»).

La posizione di garanzia del committente, quindi, non può che estrinsecarsi, per tali profili, in uno stringente dovere di vigilanza circa il rispetto degli obblighi procedimentali e documentali, il cui assolvimento, dipendendo dalla produzione del rifiuto, necessariamente compete all'appaltatore, quale produttore materiale.

Diversa impostazione si ha per quanto riguarda la verifica della regolarità, sotto il profilo amministrativo, dei soggetti che eseguono il trasporto e dei titolari degli impianti (di smaltimento o recupero) di destinazione.

Tale verifica, infatti, non dipende dalla materiale disponibilità del rifiuto, per cui il committente è ben in condizioni di poter svolgerla direttamente.

È il contratto la sede propria per regolare le modalità di adempimento di tale obbligo “solidale”.

Al riguardo, va precisato che il modulo organizzativo scelto in sede contrattuale può certamente essere libero nei contenuti, in quanto funzionale all'adempimento di un obbligo di risultato e non di mezzi, ma ciò non vale ad escludere, ridurre o trasferire la responsabilità dall'uno all'altro dei soggetti obbligati, poiché colui al quale è attribuita una posizione di garanzia «non può per sua scelta dismetterla, a meno che non ritenga di rinunziare alle funzioni o alla qualità cui la posizione di garanzia è ricollegata; infatti, le funzioni derivanti dalle posizioni di garanzia, trovando legittimazione in norme di ordine pubblico, non possono essere derogate per scelta personale del singolo soggetto o per accordo, anche tacito, tra i coobbligati» (Cass. pen., Sez. IV, n. 4981/2004).

Lo stesso principio vale quando l'appaltatore si avvalga di terzi per eseguire le operazioni di gestione del rifiuto, non potendo trasferire su di essi la propria posizione di garanzia. In tale prospettiva, già prima della novella del 2015, si era affermato che l'appaltatore il quale, in forza del contratto di appalto, si impegna a trasportare i rifiuti da demolizione in discarica assume una indiscutibile posizione di garanzia con l'insorgenza dell'onere di accertarsi che il materiale derivante dalla demolizione venga correttamente smaltito, anche quando affidi ad altri soggetti il trasporto (Cass. pen., Sez. III, n. 37541/2013).

In conclusione, la responsabilità del committente dei lavori per illeciti commessi dall'impresa incaricata, sussisteva nelle fattispecie anteriori alla novella del 2015 solo se si fosse ingerito a qualsiasi titolo nella gestione del rifiuto (cfr. in tema Cass. pen., Sez. III, n. 35179/2017 e Cass. pen., Sez. III, n. 35569/2017, entrambe annotate da PAONE, che hanno ravvisato ipotesi di ingerenza, rispettivamente, nell'individuazione condivisa delle aree di stoccaggio dei rifiuti da demolizione e nell'essersi il committente, proprietario del terreno sul quale stazionavano i rifiuti, fatto carico dei costi del loro smaltimento, senza poi provvedervi), mentre in quelle successive deve presumersi salvo che egli provi di aver fatto il possibile per esercitare adeguatamente il dovere di vigilanza connesso alla sua posizione di produttore in senso giuridico.

Guida all'approfondimento

FICCO, Produttore iniziale dei rifiuti: tra obblighi e responsabilità, la rivoluzione copernicana nei rapporti tra committente ed esecutore, in Rifiuti-Bollettino di informazione normativa, 2015, XI-XII, 17;

FIMIANI, La tutela penale dell'ambiente, Milano, 2015, 367;

PAONE, Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti: le responsabilità soggettive e la natura del reato (nota a Cass. pen. nn. 35179 e 35569/2017) in Ambiente & Sviluppo, 2017, 8-9, 583;

ROETTGEN – LEPORE, La nozione di produttore iniziale di rifiuticambia?, in Ambiente & Sviluppo, 2015, 11-12, 628.

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