In ricordo di Ettore Randazzo e della sua “giustizia nonostante”

Michele Sbezzi
20 Febbraio 2018

C'è chi accetta di tutto, qualunque malfunzionamento, qualsiasi degenerazione del mondo in cui vive. E ci sono quelli che tentano di cambiare il corso delle cose semplicemente proponendo agli altri qualche piccolo passo in avanti.

C'è chi accetta di tutto, qualunque malfunzionamento, qualsiasi degenerazione del mondo in cui vive.

E ci sono quelli che tentano di cambiare il corso delle cose semplicemente proponendo agli altri qualche piccolo passo in avanti.

Poi ci sono quelli che inventano di sana pianta qualcosa di travolgente.

Ettore era tra questi.

Ha celebrato l'elezione a Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane, in un confronto con un Grande dell'Avvocatura Italiana, con l'autorevolezza di un discorso struggente sulla meravigliosa solitudine dell'Avvocato Penalista.

Ha diretto per anni la Scuola dell'UCPI, con la competenza e la passione di chi voleva davvero offrire il proprio e l'altrui sapere ai più giovani.

Ha scritto testi sapienti ma leggeri, che trattavano di quella che ha chiamato la giustizia nonostante.

Ha ritratto il maltrattato, il cliente che si presenta in studio per chiedere di essere difeso e mostra tutta la propria avversione per il “sistema” che lo accusa; o il proprio disappunto quando gli viene chiesto un acconto e dice: «Ma come, Avvocato? Pure lei mi tratta così?».

Ha raccontato la Toga, forte perché libera e libera perché forte, che «… svetta tra le avversioni e le ostilità, quando si fa strada controcorrente, in difesa pur sempre di presunti innocenti …».

Ha inventato un personaggio letterario, naturalmente un Avvocato, nel quale ha trasfuso parte della propria stanchezza, della propria disillusione e del proprio trasporto per un'attività entusiasmante e faticosissima, ammaliante e traditrice.

Ma ha saputo anche bloccare, con ferma e dolce autorevolezza, le rotative della stampa del nuovo codice deontologico per ottenere sul fil di lana una piccola, fondamentale modifica dell'art. 50 e garantire permanente dignità alla Toga, nel sempiterno dialogo tra Avvocato e Verità.

Ha cambiato per sempre il modo in cui Magistrati, Professori ed Avvocati si confronteranno sui temi del diritto, inventando un luogo in cui è possibile scambiarsi opinioni, dibattere e proporre modifiche approfittando di quegli interstizi tra le norme in cui il LaPEC veleggia ormai da tempo.

Sapeva come ottenere il meglio da chiunque; semplicemente chiedendolo. Ma con modi che rendevano impossibile rispondergli di no.

Ha risposto con serena pacatezza a chi gli chiedeva come si possa difendere un delinquente, dicendo semplicemente che l'Avvocato difende un accusato ed il suo diritto ad avere un processo, “giusto” perché rispettoso della legge, che si concluda con una sentenza emessa da chi deve aver fatto buon uso degli strumenti e delle verità che le parti, contrapposte ma egualmente degne, gli avranno messo a disposizione.

È stato un grande Avvocato; ed è stato per tanti un grande Amico.

Da un anno è volato via.

E non è vero che si possa far finta che sia in un'altra stanza.

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