Digital forensics: la rilevanza probatoria delle conversazioni su whatsapp

20 Febbraio 2018

La Corte di cassazione, Sez. V, con la pronuncia in esame ha analizzato la problematica relativa al valore probatorio da poter attribuire alle conversazioni svoltesi sul canale telematico whatsapp – strumento fortemente utilizzato nella quotidianità dei rapporti interpersonali e che pertanto assumerà sempre più rilevanza nel corso di indagini giudiziarie.
Massima

La registrazione di conversazioni svoltesi sul canale informatico whatsapp, per quanto costituisca una forma di memorizzazione di un fatto storico della quale si può certamente disporre legittimamente ai fini probatori, trattandosi di una prova documentale, va acquisita in modo corretto ai fini processuali non potendosi prescindere dall'acquisizione dello stesso supporto-telematico o figurativo contenente la menzionata registrazione al fine di verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni sia l'attendibilità di quanto da esse documentato.

Il caso

La difesa di N.S., imputato del delitto di atti persecutori commesso in danno della ex fidanzata minorenne V.S., presentava ricorso per Cassazione, avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta, che aveva confermato quella di condanna inflittagli dal giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Gela all'esito del giudizio abbreviato, deducendo i seguenti motivi:

  • vizio di violazione di legge sostanziale e processuale in relazione all'art. 612-bis c.p.p. e agli artt. 192 e 125 c.p.p;
  • vizio di violazione di legge in relazione all'art. 185 c.p.;
  • vizio di violazione di legge in relazione all'art. 133 c.p.

La Corte di cassazione rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla P.C., liquidate in Euro 1.200,00, oltre accessori di legge, da versare in favore dell'erario.

La questione

La Corte di cassazione, Sez. V, con la pronuncia in esame ha analizzato la problematica relativa al valore probatorio da poter attribuire alle conversazioni svoltesi sul canale telematico whatsapp – strumento fortemente utilizzato nella quotidianità dei rapporti interpersonali e che pertanto assumerà sempre più rilevanza nel corso di indagini giudiziarie. Nel caso preso in esame dai giudici di legittimità l'imputato del delitto di atti persecutori commesso in danno della propria fidanzata lamentava tra le motivazioni del ricorso presentato dinanzi alla Suprema Corte la mancata acquisizione da parte della Corte di Appello della trascrizione delle conversazioni svoltesi su whatsapp, che avrebbero dimostrato, a parere della difesa la prosecuzione dei rapporti tra l'imputato e la propria fidanzata e quindi l'inattendibilità della persona offesa, che aveva sostenuto di contro che la relazione con l'imputato si era definitivamente interrotta. La Suprema Corte non ha ritenuto fondata tale doglianza e ha giudicato ineccepibile la decisione della Corte territoriale di Caltanissetta di non acquisire la trascrizione delle conversazioni svoltesi sul canale informatico tra l'imputato e la parte offesa. La Cassazione, difatti, pur riconoscendo che la registrazione di tali conversazioni, operata da uno degli interlocutori, costituisca una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale si può certamente disporre legittimamente ai fini probatori, trattandosi di una prova documentale, (atteso che l'art. 234, comma 1, c.p.p. prevede espressamente la possibilità di acquisire documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo) ha ribadito come l'utilizzabilità della stessa è condizionata dall'acquisizione del supporto - telematico o figurativo contenente la menzionata registrazione, svolgendo la relativa trascrizione una funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale (Cass. pen.,Sez. II, 6 ottobre 2016, n. 50986; Cass. pen., Sez. V, 29 settembre 2015, n. 4287). Ad avviso della Corte diviene fondamentale «controllare l'affidabilità della prova medesima mediante l'esame diretto del supporto onde verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni sia l'attendibilità di quanto da esse documentato».

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia de quo la Suprema Corteha affermato il principio di diritto secondo il quale per l'utilizzabilità dei contenuti di una chat nei processi penali è indispensabile l'acquisizione del supporto telematico o figurativo.

Per i giudici di legittimità le registrazioni di conversazioni contenute in whatsapp rappresentano la memorizzazione di un fatto storico, del quale è possibile disporre ai fini probatori in quanto questa rappresenta una prova documentale legittimamente acquisibile nel processo ai sensi dell'art. 234 c.p.p. Proprio l'articolo 234 c.p.p. consente la possibilità di acquisire in giudizio anche documenti che rappresentano fatti, persone o cose attraverso la fotografia o qualsiasi altro mezzo. La trascrizione del contenuto di una chat ha una funzione di mera riproduzione del contenuto della prova documentale, con la necessaria conseguenza che per la sua utilizzabilità si richiede necessariamente l'acquisizione del supporto che la contiene. E ciò al fine di controllare l'affidabilità della prova e più nello specifico la paternità delle registrazioni e l'attendibilità di quanto in esse documentato. Solo acquisendo il supporto del contenuto delle comunicazioni intrattenuto mediante la chat può costituire prova valida utilizzabile nei procedimenti penali e civili (per l'utilizzo nei procedimenti civili della chat whatsapp cfr. trib.civ. Ravenna sentenza n. 231 del 2017)

Osservazioni

L'utilizzo smisurato degli strumenti informatici e telematici non può non indurci a constatare come molti reati vengano commessi e perpetrati sia direttamente sia indirettamente attraverso le apparecchiature digitali. Facciamo riferimento dunque a tutta una serie di delitti ricompresi sotto il nomen di reati informatici per la persecuzione dei quali la prova informatica o digitale assume una rilevanza fondamentale. Quando parliamo di acquisizione del dato informatico e più nello specifico della prova informatica non possiamo se non far riferimento alla disciplina denominata computer forensic (o meglio digital forensic) intesa come quella branca propria delle scienze forensi attinente alle prove digitali che ha trovato il proprio fondamento normativo nell'art. 8 della legge 48/2008 il quale ha introdotto tutta una serie di modifiche al codice di procedura penale in tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri di dati informatici e telematici. La Cassazione nella pronuncia in esame quando ribadisce la necessità di acquisire il supporto informatico non indica le modalità di acquisizione ed è chiaro dunque che occorrerà far riferimento alle best parctices proprie messe a punto della digital forencis le quali indicano due piani concettuali dal quale non ci si può discostare nell'acquisizione della prova digitale: l'inalterabilità e la conservazione dei dati originali. Per provare la commissione di un fatto di reato la prova digitale deve essere dunque acquisita da esperti di digital forensic con le garanzie proprie e specifiche di tale disciplina al fine di assicurare la conservazione dei dati originali attraverso procedure che non alterino i dati stessi come insegna la Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica del 2001. E dunque occorrerà utilizzare sistemi idonei a garantire l'integrità e la non alterabilità della prova acquisita in modo da poterla utilizzare con sicurezza nell'ambito dell'evolversi dell'indagine. Il rischio difatti è proprio quello di vedere alterate le prove digitali che per la loro intrinseca natura ed essenza sono caratterizzate da una estrema fragilità e manipolabilità, soggette a modificazioni ed a danneggiamenti. Gli esperti di digatal forensic suggeriscono dunque di operare sulle copie e non con i file originali mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all'originale e la sua immodificabilità ai sensi dell'art. 354, comma 3, c.p.p.

Guida all'approfondimento

G. D'AIUTO – L. LEVITA, I Reati informatici, Giuffrè Editore, 2012.

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