“Termine a comparire non inferiore a 20 giorni” anche in caso di camera di consiglio

Redazione Scientifica
20 Febbraio 2018

Sussiste un contrasto in giurisprudenza in merito alla sfera di operatività dell'art. 601, comma 3, c.p.p. laddove dispone che il termine per comparire non può essere inferiore a venti giorni. In particolare è incerto se la norma sia applicabile o meno anche ai casi di impugnazione delle sentenze emesse all'esito del giudizio abbreviato di primo grado da decidere in camera di consiglio ai sensi dell'art. 443, comma 4, c.p.p.

Sussiste un contrasto in giurisprudenza in merito alla sfera di operatività dell'art. 601, comma 3, c.p.p. laddove dispone che il termine per comparire non può essere inferiore a venti giorni. In particolare è incerto se la norma sia applicabile o meno anche ai casi di impugnazione delle sentenze emesse all'esito del giudizio abbreviato di primo grado da decidere in camera di consiglio ai sensi dell'art. 443, comma 4, c.p.p.

L'orientamento maggioritario ritiene che «l'art. 601 c.p.p., concernente gli atti preliminari al giudizio di appello, è disposizione di carattere generale e, pertanto, il termine dilatorio di venti giorni stabilito per la comparizione in giudizio (art. 601, comma 3, c.p.p.) si applica anche al procedimento camerale regolato dal precedente art. 599, non essendo sufficiente a rendere applicabile il più breve termine di cui all'art. 127 stesso codice (dieci giorni) il richiamo alle forme previste da tale disposizione operato dal predetto art. 599» (Cass. pen., Sez. III, 5483/2005; Cass, pen., Sez. II, 45909/1993; Cass. pen., Sez. IV, 9536 /1993; Calandra; Cass. pen., Sez. VI, 4438/1992).

Altra parte della giurisprudenza invece sostiene che «nel giudizio di appello in camera di consiglio si applica il più breve termine di comparizione (non inferiore a dieci giorni) previsto in via generale dall'art. 127 c.p.p. e non quello di cui all'art. 601, comma 3, dello stesso codice, essendo la camera di consiglio riservata ai giudizi di appello che non coinvolgono complesse questioni di fatto o di diritto» (Cass. pen., Sez. VI, n. 44413/2015, Macilongo; Cass. pen., Sez. VI, n. 1859/1992, Larnè; Cass. pen., Sez. I, n. 3198/1992, Le Rose).

Da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 7425 depositata il 15 febbraio 2018 ha ritenuto convincenti le ragioni sostenute dall'orientamento maggioritario, da un lato, atteso che il comma 3 dell'art. 601 c.p.p. è formulato in termini assolutamente generici e onnicomprensivi, dall'altro lato, in quanto tale norma delinea, in generale, lo schema del decreto di citazione per il giudizio di appello a cui occorre riferirsi anche nelle ipotesi in cui lo stesso sia celebrato nelle forme camerali. Il comma secondo dell'art. 601 c.p.p., infatti, prevede espressamente che «quando si procede in camera di consiglio a norma dell'art. 599, ne è fatta menzione nel decreto di citazione».

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