Ordine di rilascio dell'immobile locato ex art. 700 c.p.c.: chi può iniziare il giudizio di merito?

Mauro Di Marzio
20 Febbraio 2018

Il conduttore riceve ricorso ex art. 700 c.p.c. da parte del locatore di un immobile uso non abitativo (ristorante) il quale invoca la clausola risolutiva lamentando che la ristrutturazione avesse modificato il bene locato e il pericolo del degrado e chiede il «rilascio provvisorio» o qualsiasi altro provvedimento. Il resistente si costituisce invocando il rigetto. Il tribunale accoglie il ricorso ordinando il rilascio (definitivo). L'avvocato della parte soccombente propone reclamo

Il conduttore riceve ricorso ex art. 700 c.p.c. da parte del locatore di un immobile uso non abitativo (ristorante) il quale invoca la clausola risolutiva lamentando che la ristrutturazione avesse modificato il bene locato e il pericolo del degrado e chiede il «rilascio provvisorio» o qualsiasi altro provvedimento. Il resistente si costituisce invocando il rigetto. Il tribunale accoglie il ricorso ordinando il rilascio (definitivo). L'avvocato della parte soccombente propone reclamo facendo rilevare l'assenza di strumentalità tra provvedimento cautelare e provvedimento di merito e molto altro ancora. Il Collegio respinge il reclamo. La domanda è: può il resistente promuovere il giudizio di merito invocando una sentenza dichiarativa sul rispetto, invece, delle clausole contrattuali? Infatti il contratto prevedeva che il locatario avrebbe potuto fare modifiche ed apportare migliorie in base alle sue personali esigenze, ovviamente a sue spese.

Sulla base degli elementi forniti dal lettore, pare di poter ricostruire la vicenda nei termini che seguono. Il conduttore di un immobile adibito ad uso commerciale, in particolare a ristorante, esegue sulla cosa locata interventi edilizi di ristrutturazione, di consistenza che, tuttavia, le notizie disponibili non consentono esattamente di individuare.

In linea generalissima può dirsi che al conduttore, indipendentemente dalle clausole contrattuali, non è in assoluto precluso di modificare lo stato del bene ricevuto in godimento: apportare, cioè, allo stesso, delle innovazioni. Va ricordato, in proposito, che sono per certo a lui interdetti quegli interventi che arrechino danno alla cosa locata, ne modifichino la destinazione d'uso o si risolvano in vere e proprie trasformazioni strutturali della stessa: in queste ipotesi il locatore potrà non solo pretendere, alla cessazione del rapporto, la riduzione in pristino, ma altresì avvalersi, nel corso della locazione, dei rimedi generali contro l'inadempimento.

Vi sono però innovazioni che, differenziandosi da quelle appena menzionate, non configurano un inadempimento all'obbligazione di conservare e custodire la cosa locata e che non conferiscono quindi al locatore il potere di pretendere la risoluzione del contratto o anche solo l'eliminazione di quanto sia stato posto in essere. Basterà rammentare in proposito la disciplina dei miglioramenti e delle addizioni di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c.. E vi è poi ovviamente la possibilità che sia lo stesso contratto di locazione a disciplinare l'esecuzione di opere sull'immobile locato, circostanza che sembrerebbe ricorrere nella vicenda.

Nel caso in esame, come si diceva, i dati comunicati dal lettore non consentono di apprezzare, sia pure orientativamente, quale fosse la natura degli interventi compiuti, e se essi fossero leciti alla luce della previsione legale o contrattuale.

Sta di fatto, tuttavia, che il locatore, a quanto pare, li ha giudicati pregiudizievoli per l'integrità della cosa, sicché ha proposto domanda cautelare, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., volta ad ottenere il rilascio dell'immobile. Sembra potersi supporre, in particolare, che il locatore abbia inteso esercitare in via urgente l'azione diretta al rilascio della cosa locata, in dipendenza dell'avvenuta risoluzione di diritto del contratto per effetto di clausola risolutiva espressa prevista in contratto: il che, naturalmente, presuppone che una clausola risolutiva espressa vi fosse e che fosse riferibile a detto ipotetico inadempimento.

Il giudice adito ha rilasciato il provvedimento cautelare richiesto, ed il reclamo è stato respinto.

Per rispondere al quesito formulato occorre quindi rammentare, sempre in via generalissima, che i provvedimenti cautelari possono dividersi, per quanto rileva qui, in anticipatori e conservativi: gli uni volti per l'appunto ad anticipare gli effetti della decisione di merito (in questo caso della pronuncia di dichiarazione di risoluzione del contratto per effetto della clausola risolutiva espressa, con conseguente condanna al rilascio), gli altri volti a conservare la situazione in atto perché la successiva pronuncia di merito possa dispiegare la propria efficacia.

La chiave di volta della distinzione in questione, tra cautelari anticipatori e conservativi, si rinviene nel combinato disposto degli artt. 669-octies, comma 6, e 669-novies, comma 1, c.p.c.. L'art. 669-octies c.p.c., dopo aver previsto che il provvedimento cautelare deve contenere la fissazione del termine per l'inizio del giudizio di merito, termine altrimenti fissato per legge in 60 giorni, dettando inoltre disposizioni particolari per le controversie di lavoro e per quelle devolute alla cognizione arbitrale, stabilisce al sesto comma che l'esigenza del giudizio di merito non sussiste per i provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c. e per agli altri provvedimenti cautelari «idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito». L'art. 669-novies c.p.c. aggiunge, quanto ai cautelari, all'opposto, conservativi che essi divengono inefficaci se non viene dato corso al giudizio di merito nel termine previsto.

La norma disciplina così, quanto ai cautelati anticipatori, il meccanismo della cd. «strumentalità attenuata», il quale si risolve per l'appunto in ciò, che il successivo giudizio di merito — a differenza di quanto avviene per i cautelari conservativi — non deve svolgersi, a pena di perdita di efficacia del provvedimento cautelare, e tuttavia può svolgersi se lo chiedono l'una o l'altra parte. Ciò è espressamente detto nell'ultima frase del citato sesto comma dell'art. 669-octies c.p.c., il quale stabilisce che «ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito».

Dunque, in linea di principio, se non si pone un problema di osservanza dei termini per l'introduzione di detto giudizio, esso, in caso di cautelare anticipatorio, come il nostro, può essere intrapreso tanto dal vincitore nel giudizio cautelare, che però potrebbe non avervi interesse, o comunque potrebbe avere un interesse marginale (ad esempio a coltivare una domanda di danni, che, ovviamente, in sede cautelare non possono trovare definitivo ristoro), quanto dal soccombente nello stesso giudizio, perciò, in questo caso, ad iniziativa del conduttore, volto alla declaratoria di inesistenza del diritto soggettivo sottoposto a cautela.

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