Quale grado di consapevolezza sulle conseguenze della propria azione serve per configurare l’omicidio volontario e non preterintenzionale?

21 Febbraio 2018

Con la pronuncia in commento la Cassazione, nel dettare e delineare in maniera chiara e precisa i profili differenziali tra omicidio volontario e preterintenzionale, chiarisce il valore dirimente che assume la circostanza concreta al fine di poter iscrivere la condotta nell'alveo dell'una piuttosto che dell'altra fattispecie incriminatrice.
Massima

Affinché possa configurarsi il reato di omicidio preterintenzionale, anziché volontario, gli agenti devono aver escluso ogni possibile previsione dell'evento -morte. Diversamente, in presenza di piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dall'azione posta in essere, si configura il reato di omicidio volontario.

Il caso

Nella notte del 23 settembre 2013 i due imputati si introducevano in un'abitazione isolata con l'intenzione di commettere un furto.

Svegliato dai rumori, il proprietario novantenne si accorge della loro presenza e i due malviventi immediatamente gli sono addosso. Ne nasce una colluttazione nella quale l'anziana vittima ha la peggio riportando plurime lesioni al capo, al viso, al torace ed agli arti superiori che gli vengono legati dietro la schiena.

I due correi gli tappano la bocca con del nastro adesivo conficcandogli in gola un pezzo di stoffa e rinchiudendolo in un ripostiglio dove muore per asfissia acuta da soffocamento.

La questione

Il punto focale sul quale si sofferma la pronuncia in commento riguarda il criterio differenziale tra l'omicidio volontario e preterintenzionale, nonché la ricorrenza dell'art. 116 c.p.

Orbene, nei due giudizi di merito gli imputati vengono condannati per omicidio preterintenzionale con esclusione del concorso anomalo.

Entrambi i correi presentano ricorso per Cassazione sostenendo che intendevano porre in essere soltanto un furto nella convinzione che la casa fosse vuota facendone derivare, da tale assunto, l'esclusione del dolo omicidiario ovvero della sua accettazione dovendo ricondursi la condotta all'ipotesi dell'omicidio preterintenzionale poiché la morte non era un evento voluto dagli agenti in quanto la loro condotta è andata oltre le intenzioni non potendosi ravvisare, secondo la difesa, la volontà di uccidere la vittima.

Come sostenuto da Cass. pen., Sez. V, 21 settembre 2016, n. 44986 gli elementi essenziali dell'omicidio preterintenzionale sono da individuarsi in atti diretti ad esercitare una coazione fisica sulla persona – riconducibili alla previsione dell'art. 581 c.p. o dell'art. 582 c.p. – che abbiano, come fine ultimo, l'inflizione di una sofferenza (sia essa – nelle percosse – una sensazione di dolore o di fastidio; ovvero – nelle lesioni – una menomazione, anche temporanea, dell'integrità fisica). In ogni caso è richiesta una violenta manomissione della fisicità del soggetto passivo, attuata contro la volontà di quest'ultimo. Di conseguenza, l'elemento psicologico del reato di percosse o lesioni è dato dalla coscienza e volontà di serbare una condotta violenta, tale da cagionare alla vittima una sensazione di dolore (nelle percosse) o una malattia (nelle lesioni).

Manca, quindi, nell'omicidio preterintenzionale la volontà di cagionare la morte della vittima.

Difatti l'elemento psicologico dell'omicidio preterintenzionale consiste nell'aver voluto, anche solo sotto forma di tentativo, le percosse o le lesioni e non già l'evento morte, che rappresenta una conseguenza diretta del comportamento dell'agente.

In tal senso Cassazione penale, Sez. V, 21 settembre 2016, n. 44986

Riguardo l'omicidio preterintenzionale di cui all'art. 584 c.p., l'elemento soggettivo è costituito, non già da dolo e responsabilità oggettiva né da dolo misto a colpa ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato.

Al fine di poter individuare la ricorrenza dell'elemento soggettivo dell'omicidio preterintenzionale bisogna quindi soffermarsi sul rapporto intercorrente tra la condotta di lesioni e percosse e l'evento morte.

È pacifico che le lesioni o le percosse debbano essere dolose.

Si discute tuttavia sulla natura del dolo.

E invero, nulla quaestio per il dolo intenzionale rivolto a cagionare percosse o lesioni. Relativamente al dolo eventuale è ammissibile solo qualora si aderisca alla teoria che lo ritiene compatibile con il tentativo. Sul punto, la Cassazione ha sostenuto che: «il riferimento contenuto nella norma agli atti diretti a percuotere o ledere non esclude che tali atti possano essere sorretti da dolo eventuale, poiché la direzione degli atti va intesa come requisito strutturale oggettivo dell'azione, comprendente anche quelli costituenti semplice tentativo» (Cass. pen.,Sez. V, n. 4237/2008).

Le soluzioni giuridiche

Nella pronuncia in commento il Supremo Collegio ritiene di concludere per il concorso pieno, ex art. 110 c.p. degli imputati, poiché l'azione di sopraffazione, imprigionamento e soffocamento della vittima non poteva che essere stata posta in essere da due persone congiuntamente.

Il portare con sé il nastro adesivo e la previsione di vincere la resistenza della vittima ha fatto escludere per entrambi il c.d. concorso anomalo di cui all'art. 116 c.p.

Chiarisce la Corte come il nucleo differenziale, per ritenere integrato a carico del concorrente il concorso anomalo ex art. 116 c.p., si incentra sulla particolarità che costui non abbia voluto, neppure nella forma del dolo indiretto, l'evento ulteriore scaturito dalla sua condotta.

Invece, se si agisce in gruppo (come nel caso di specie) si aderisce alle conseguenze che possono scaturire, in un logico e naturale divenire, all'azione programmata. Laddove si programmi un delitto che rientra nell'ambito di un'azione violenta orientata alla persona, appunto la rapina ai danni dell'anziana vittima, la progressione e la degenerazione nell'evento lesivo maggiore o addirittura nella morte è ipotesi non peregrina bensì plausibile, poiché la stessa aggressione al bene materiale (integrità fisica), che si è accettato di mettere in discussione, può naturalmente progredire verso una lesività di maggiore intensità, nel perimetro di un bene giuridico omogeneo (in tal senso anche Cass. pen. Sez. I, 15 novembre 2011, n. 4330).

E ancora, la Cassazione ritiene di escludere l'ipotesi del delitto preterintenzionale. Il criterio distintivo tra l'omicidio volontario e preterintenzionale di cui all'art. 584 c.p. risiede nella circostanza che nella seconda ipotesi la volontà dell'agente esclude ogni previsione dell'evento-morte, che si determina per fattori esterni ed estranei alla sua volontà: l'accertamento dell'assenza di volontà deve fondarsi su elementi oggettivi desunti dalla modalità dell'azione.

Orbene, nel caso di specie il Supremo Collegio ha ritenuto che le modalità dell'azione posta in essere fossero idonee a cagionare la morte e di ciò gli imputati ne avevano piena consapevolezza al punto che gli stessi hanno ammesso di essersi rappresentati la morte della vittima quale conseguenza della propria condotta (Cass. pen., Sez. I, 30 settembre 2009, n. 30304; Cass. pen., Sez. I, 5 dicembre 2013, n. 4425).

Osservazioni

Con la pronuncia in commento, la Cassazione nel dettare e delineare in maniera chiara e precisa i profili differenziali tra le ipotesi di reato contemplate, chiarisce il valore dirimente che assume la circostanza concreta al fine di poter iscrivere la condotta nell'alveo dell'una piuttosto che dell'altra fattispecie incriminatrice.

Le modalità dell'azione diventano indice da cui desumere la volontà pregressa dei correi e cui riferirsi per interpretare il programma criminoso inizialmente ideato dagli stessi.

E invero, è opportuno specificare come il concorso di persone, con riguardo all'omicidio preterintenzionale, si configura quando vi sia la partecipazione materiale o morale di più soggetti attivi nell'attività diretta a percuotere o ledere una persona senza volontà di ucciderla e possa ravvisarsi un evidente rapporto di causalità tra tale condotta e l'evento mortale (Cass. pen., Sez. V, n. 12413/2013; Cass. pen., Sez. V, n. 1751/2004).

Le circostanze fattuali hanno portato il Supremo Collegio a escludere la fattispecie preterintenzionale proprio perché la condotta dei due imputati è stata sorretta sin dall'inizio dal dolo omicidiario e non già dalla volontà di arrecare soltanto percosse e lesioni.

L'esclusione della ricorrenza del concorso anomalo trova il proprio fondamento in una risalente giurisprudenza (Cass. pen., Sez. V, n. 12111/1987) che ha escluso la compatibilità tra la previsione di cui all'art. 116 c.p. con lo schema dell'omicidio preterintenzionale, che esclude la volontà da parte dei concorrenti i quali vogliono il solo reato di percosse o lesioni.

In definitiva, il criterio distintivo tra l'omicidio preterintenzionale e l'omicidio volontario risiede nell'elemento psicologico: nel primo la volontà dell'agente è diretta a percuotere o ferire la vittima, con esclusione della previsione dell'evento morte; nel secondo la volontà dell'agente è costituita dall'animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazione del dolo diretto o eventuale (il cui accertamento è rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle modalità concrete della condotta (Cass. pen. Sez. I, n. 35369/2007; Cass. pen., Sez. I, n. 25239/2001).

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