Bis in idem: non sempre sussiste il divieto. La Cassazione si conforma alla giurisprudenza europea

Redazione Scientifica
21 Febbraio 2018

La Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza n. 6993 del 14 febbraio 2018, affronta, ancora una volta, il tema della doppia punibilità del reato tributario. Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato dalla Corte d'appello di Brescia – che confermava quanto già deciso dal Gup del tribunale di Bergamo – alla pena di due anni e mesi otto di reclusione per i reati di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. 74/2000.

La Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza n. 6993 del 14 febbraio 2018, affronta, ancora una volta, il tema della doppia punibilità del reato tributario.

Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato dalla Corte d'appello di Brescia – che confermava quanto già deciso dal Gup del tribunale di Bergamo – alla pena di due anni e mesi otto di reclusione per i reati di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. 74/2000.

A seguito della comunicazione della notizia di reato, l'Agenzia delle entrate aveva inviato al ricorrente l'avviso di accertamento e l'atto di contestazione con il quale veniva applicata una sanzione amministrativa unica di euro 529876,80 e 3859444,75.

In ragione di ciò, il ricorrente lamentava la violazione del ne bis in idem di cui all'art. 4 prot. 7 Cedu.

Di diverso avviso i giudici di legittimità, i quali, richiamando la più recente giurisprudenza della Corte Edu (sentenza del 15 novembre 2016, A e B. c. Norvegia), hanno affermato che l'art. 4 prot. 7 Cedu «non esclude lo svolgimento parallelo di due procedimenti, purché essi appaiano connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico in maniera sufficientemente stretta, e purché esistano meccanismi in grado di assicurare risposte sanzionatorie nel loro complesso proporzionate e, comunque, prevedibili, verificando gli scopi delle diverse sanzioni e dei procedimenti, i correttivi adottati per evitare “per quanto possibile” duplicazioni nella raccolta e nella valutazione della prova e, soprattutto la proporzionalità della pena» e, nel caso in esame, conclude la Suprema Corte, è da ritenere sussistente «quella stretta connessione temporale tra i due procedimenti che costituisce l'elemento per ritenere che le due sanzioni irrogate possano essere considerate quali parti di un unico sistema sanzionatorio adottato da uno Stato per sanzionare la commissione di un fatto illecito».

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