Dichiarazione giudiziale di maternità: sì alla CTU stragiudiziale che accerta il vincolo di discendenza

Alberto Figone
22 Febbraio 2018

Quali sono i presupposti per l'esercizio dell'azione di dichiarazione giudiziale della maternità? Può essere accolta la domanda di dichiarazione giudiziale di maternità sulla base di una CTU genetica eseguita in via stragiudiziale senza opposizione dei convenuti?
Massima

Va accolta la domanda di dichiarazione giudiziale di maternità, promossa nei confronti degli eredi della madre deceduta, quando una la CTU, pur eseguita stragiudizialmente, abbia accertato l'esistenza tra le parti di un vincolo di discendenza dalla stessa donna ed i convenuti non si siano opposti all'accoglimento della domanda stessa.

Il caso

Anni or sono, una giovane ragazza nubile partorisce un bambino, che non viene riconosciuto da alcuno. I genitori della ragazza ottengono l'affiliazione del nipotino, cui di fatto viene fatto credere di essere loro figlio e, dunque, fratello della madre. Costei successivamente si sposa ed ha un altro figlio. Il primogenito, raggiunta l'età adulta ed appresa la verità sulle sue origini, esperisce azione di dichiarazione giudiziale della maternità nei confronti del marito e dell'altro figlio della madre, in quanto suoi eredi, per essere la stessa nel frattempo deceduta. Il Tribunale, senza opposizione dei convenuti, accoglie la domanda, sulla scorta di una CTU genetica, effettuata in via stragiudiziale.

Le questioni

Quali sono i presupposti per l'esercizio dell'azione di dichiarazione giudiziale della maternità?

Le soluzioni giuridiche

Gli artt. 269 e ss. c.c. disciplinano l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, finalizzata alla costituzione di un rapporto giuridico di filiazione, nel caso in cui il figlio, nato fuori del matrimonio, non sia stato riconosciuto da uno o da entrambi i genitori. L'azione, tipicamente di stato, ha subito marginali modifiche, a seguito della riforma della filiazione, di cui alla l. n. 219/2012 e al d.lgs. n. 154/2013, che ha attribuito la competenza in via esclusiva al Tribunale ordinario, anche in caso di domanda proposta nell'interesse di soggetto minorenne.

La pratica conosce per lo più dichiarazioni giudiziali di paternità, in presenza di figli riconosciuti dalla sola madre. La ragione è ovvia: è molto raro infatti il caso in cui un figlio non matrimoniale venga alla nascita riconosciuto solo dal padre. Generalmente, se manca il riconoscimento materno, in situazione di c.d. parto anonimo (art. 30, comma 1, d.P.R. n. 396/2000) difetta l'attribuzione di uno status genitoriale per il nato (cui verranno attribuiti un nome ed un cognome di fantasia da parte dell'ufficiale di stato civile); si apre allora un procedimento di adottabilità, finalizzato ad un'adozione piena. Una volta intervenuta quest'ultima, in favore di una coppia di coniugi, aventi i requisiti di cui agli artt. 6 e ss. l. n. 184/1983, non sarà più ammissibile per il figlio un'azione di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità. L'adozione (piena) attribuisce invero lo status di figlio degli adottanti, in precedenza parificato in tutto e per tutto a quello di figlio "legittimo". Nessuno nel contempo può rivendicare uno status filiationis, differente da quello che già possiede (se non dopo aver esperito con successo un'azione "demolitoria" di quello status, siccome non fondato sulla verità biologica), inammissibile nel caso di adozione piena: il rapporto di filiazione si costituisce infatti in forza di titolo giudiziale che presuppone il difetto di un vincolo di discendenza biologica. Diversa è invece la fattispecie nella quale il figlio adottivo intende sapere il nominativo dei propri genitori naturali, al solo fine di soddisfare un proprio desiderio di conoscenza delle origini, magari per cercare di istituire anche una relazione personale, così come prevede l'art. 28, l. n. 184/1983.

Preme qui rammentare come, a seguito della pronuncia Corte cost. 22 dicembre 2013, n. 278, la ricerca delle origini debba essere consentita anche nel caso in cui la madre abbia rifiutato di essere nominata nell'atto di nascita. Ciò sempre a condizione che i genitori naturali diano il loro consenso, potendo essi preferire di far valere il c.d. diritto all'oblio.

Osservazioni

Desta vivo interesse la pronuncia in esame, intervenuta in una singolare fattispecie di dichiarazione giudiziale di maternità, instaurata da un uomo, a suo tempo affiliato dai genitori della madre, che aveva preferito l'anonimato al momento della nascita. Va qui rammentato che l'affiliazione, di origini risalenti, attribuiva ad un soggetto una funzione di pubblica assistenza su un minore, della cui crescita si impegnava a farsi carico. Detto istituto è stato abrogato dalla l. n. 184/1983, che lo ha sostituito con l'affidamento eterofamilare (ancorché di durata limitata nel tempo). Nella specie, l'azione è stata resa ammissibile proprio dal fatto che quell'uomo non aveva acquisito alcuno status filiationis (e in particolare quello materno, rivendicato in giudizio). La domanda è stata accolta dal Tribunale, essendo stato accertato, ancorché con un perizia stragiudiziale non contestata, un vincolo di fratria tra l'attore ed il figlio di colei che si assumeva essere madre.

Pare opportuno confrontare la fattispecie in esame con altra, oggetto di pronuncia di una recente decisione del Tribunale di Milano (Trib. Milano, 14 ottobre 2015; v. L'anonimato della madre prevale sulle esigenze del figlio non riconosciuto, in IlFamiliarista.it). In quell'occasione, una donna affetta da serie problematiche di salute psichica, riconosciuta alla nascita dal solo padre, aveva agito in giudizio nei confronti della madre biologica, che al momento della nascita aveva chiesto di non essere nominata (il già ricordato parto anonimo); ciò per rivendicare, oltre allo status, il diritto al pregresso mantenimento e agli alimenti. Sull'opposizione della madre, il Tribunale milanese aveva a respingere la domanda, nel presupposto che il parto anonimo preclude ogni possibile futura azione giudiziale da parte del figlio, intendendo la legge tutelare il nascituro da abbandoni dopo la nascita in situazioni di fortuna, piuttosto che dalla stessa mancata nascita per interruzioni di gravidanza o soppressioni del feto, garantendo nel contempo alla madre di partorire in strutture sanitarie adeguate.

Il Tribunale di Milano aveva dunque inteso tutelare il diritto all'oblio della madre biologica, che, nella fattispecie oggetto della sentenza in commento, era invece già deceduta al momento dell'instaurazione del giudizio. La diversità di trattamento è coerente con quanto ha avuto ad affermare la Cassazione in ordine alla conoscenza delle proprie origini da parte del figlio adottivo, in caso di parto anonimo. Solo la madre vivente può manifestare il proprio dissenso alla richiesta del figlio, nell'esercizio di propri personalissimi diritti soggettivi; in caso di decesso, invece, il figlio può essere liberamente autorizzato dal Tribunale minorile ad accedere alle informazioni riservate sull'identità della propria madre, senza ostacoli (Cass. civ., 21 luglio 2016, n. 15024; Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838; Cass. civ., S.U., 25 gennaio 2017, n. 1946).

Guida all'approfondimento

M. Dogliotti, A. Figone, Le azioni di stato, Giuffrè, 2015;

V. Montaruli, L'accesso alle origini nell'adozione: un antico dilemma, in IlFamiliarista.it;

A. Cagnazzo, Il diritto alle conoscenza delle proprie origini biologiche, in IlFamiliarista.it;

A. Figone, In caso di parto anonimo la madre può essere interpellata: lo dicono le Sezioni Unite, in IlFamiliarista.it.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario