Il pignoramento di stipendi e pensioni

22 Febbraio 2018

In materia di pignoramento di stipendi e pensioni, l'art. 545 c.p.c. prevede eccezionali regimi di impignorabilità assoluta e impignorabilità relativa (o come è stato detto parziale). I commi 7 e 8 contemplano, poi, crediti in parte assolutamente ed in parte relativamente impignorabili.
Il quadro normativo

La norma fondamentale in materia di pignoramento di stipendi e pensioni è rappresentata dall'art. 545 c.p.c..

Vi si prevedono regimi di:

  • impignorabilità assoluta;
  • impignorabilità relativa (o come è stato detto parziale);
  • da ultimo i commi 7 e 8 dell'art. 545 c.p.c. contemplano crediti in parte assolutamente ed in parte relativamente impignorabili.

I suddetti regimi, costituendo una eccezione al generale principio di cui all'art. 2740 c.c., vanno intesi come eccezionalie quindi - di massima - come insuscettibili di interpretazione analogica.

Invero, la giurisprudenza ha esteso l'ambito di applicazione dell'istituto, precisando che i limiti di impignorabilità previsti dall'art. 545 c.p.c. (e posti a tutela di esigenze preminenti di varia natura) si applicano anche:

  • all'istituto della sostituzione del creditore ai sensi dell'art. 511 c.p.c. (Trib. Cassino, 4 ottobre 1991);
  • al provvedimento con cui viene ordinato al terzo il pagamento diretto di quota dei redditi percepiti dal debitore a favore di chi sostenga il mantenimento della prole ex art. 316-bis c.c. (Trib. Torino, 9 marzo 2012);
  • al sequestro conservativo sui beni dell'imputato o del responsabile civile, atteso che l'art. 316, comma 1, c.p.p. prevede che lo stesso possa avvenire «nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento» (Cass. pen., 4 febbraio 2011, n. 16618).

Rilevante è anche la disposizione contenuta nel comma 6 della disposizione in esame, per cui «restano ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge».

Il confronto con tali normative speciali ha dato la stura a numerose pronunce della Corte costituzionale, il cui esame è essenziale alla comprensione dell'attuale assetto del sistema.

L'impignorabilità assoluta

Sono impignorabili in modo assoluto «i crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza» (art. 545, comma 2, c.p.c.).

La ratio di questo regime è collegata alla funzione vitale assolta da tali crediti, destinati come sono a soddisfare situazioni di bisogno più intense rispetto a quelle di natura alimentare (disciplinate dal comma 1).

La giurisprudenza ha escluso da tale regime i sussidi dovuti a titolo di contributo per la ricostruzione di zone colpite dagli eventi sismici del 1980 e 1981 (Cass. civ., 15 maggio 2014, n. 10642).

Un regime assimilabile, ma solo relativamente ad una parte del credito di cui si tratta, è previsto dall'art. 545, comma 7, c.p.c., relativamente al “minimo vitale” (oggi codificato), onde si parla di crediti in parte assolutamente impignorabili.

L'impignorabilità relativa

In quest'area tematica possono essere ricompresi regimi differenti:

  • quello “più rigoroso” dei crediti alimentari (art. 545, comma 1, c.p.c.);
  • quello “meno incisivo” previsto per stipendi, salari e altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego.

Come è stato chiarito in dottrina i “crediti alimentari” e quelli “per cause di alimenti” sono completamente assimilabili.

Si discute però se siano assoggettati al regime di cui al primo comma solo i crediti alimentari che siano tali per specifica disposizione di legge o anche quelli che, invece, hanno base negoziale.

L'opinione preferibile è che la valutazione circa la natura alimentare del credito sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice.

Tenuto conto di quanto sopra, è disputata la questione se possa esser qualificato come alimentare un credito corrispettivo ad un obbligo di mantenimento in capo al coniuge separato o divorziato.

In particolare, se il credito in questione è diretto a soddisfare le esigenze basilari del beneficiario lo stesso sarà pignorabile, relativamente alla quota caratterizzata da questa finalità, solo per cause di alimenti (e quindi con osservanza dell'art. 545, comma 1, c.p.c.).

Diversamente sarà pignorabile senza alcun limite.

Non mancano pronunce di merito in senso opposto: si osserva che la prestazione resta unitaria e che, quindi, non è possibile scinderne due parti, la prima a carattere alimentare e la seconda priva di tale carattere (App. Napoli, 18 gennaio 2011; Trib. Nocera Inferiore, 15 dicembre 2011).

L'espropriazione di crediti di natura alimentare (per cause di alimenti) richiede, come condizione di efficacia del pignoramento, l'autorizzazione presidenziale, la cui mancanza va fatta valere con l'opposizione all'esecuzione; lo stesso rimedio è esperibile quando il debitore lamenti la eccessività della misura per la quale sia accordata l'autorizzazione.

Per altro verso, il rimedio concesso al creditore avverso il provvedimento pronunciato sulla istanza di autorizzazione è quello dell'opposizione agli atti esecutivi.

L'autorizzazione deve recare l'indicazione della misura entro la quale può avvenire il pignoramento del credito alimentare e tale elemento deve risultare clare dall'atto di pignoramento.

Il regime “meno incisivo” attiene ai crediti di lavoro ovvero, più precisamente, «le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento».

La pignorabilità di questi crediti era diversamente disciplinata a seconda che il rapporto di lavoro fosse di diritto privato (art. 545 c.p.c.) o di diritto pubblico (d.P.R. n. 180/1950).

Sennonché una lunga serie di pronunce della Corte costituzionale, prima, e l'intervento del legislatore, poi, hanno portato alla progressiva erosione della specialità della disciplina prevista per pubblico impiego, tanto che si ritiene che le norme del d.P.R. n. 180/1950, nella attuale formulazione, unitamente alle previsioni di cui all'art. 545, commi 3, 4 e 5, c.p.c., trovino applicazione generale.

Vi è chi precisa che il riferimento alla “azienda privata” contenuto nell'art. 1 del citato provvedimento normativo non copra crediti di lavoro nascenti da attività estranee all'esercizio di una attività imprenditoriale (si pensi all'attività di collaborazione familiare o a quella di chi presti la propria attività alle dipendenze di un libero professionista).

Volendo ripercorrere brevemente le tappe di questa evoluzione, va segnalato:

A) che l'art. 1, d.P.R. n. 180/1950 prevedeva la impignorabilità degli stipendi e delle pensioni percepite dai dipendenti di pubbliche amministrazioni o soggetti equiparati (a questi fini) e che l'art. 2, d.P.R. n. 180/1950 prevedeva delle eccezioni al citato divieto di assoggettare ad esecuzione forzata e segnatamente:

  1. pignorabilità fino ad un terzo per i crediti alimentari;
  2. pignorabilità fino a un quinto per debiti verso lo Stato o per tributi (evidente è allora il carattere deteriore della disciplina dettata dall'art. 545 c.p.c. che prevede il limite del quinto – fatta eccezione per i crediti alimentari – quale che sia la natura del credito azionato);
  3. in caso di concorso simultaneo delle cause di cui al comma 1, nn. 2 e 3 [lett. ii)] il pignoramento non poteva colpire una quota superiore al quinto e una quota superiore alla metà in caso di concorso anche delle cause di cui al comma 1, n. 1 [lett. i)];
  4. era fatta salva una diversa disciplina in caso di concorso di vincoli per cessioni e delegazioni;

B) che in una prima fase la Corte costituzionale aveva escluso che lo speciale regime dettato per i crediti di lavoro pubblico si ponesse in contrasto con i principi costituzionali (Corte cost., 25 maggio 1963, n. 88; Corte cost., 9 marzo 1976, n. 49; Corte cost., 13 dicembre 1985, n. 337). In tali remote pronunce, la Corte ha osservato:

  1. che il diverso regime della pignorabilità «può ritenersi adeguato alle differenze che concorrono tra i due tipi di rapporto, tenuto anche conto del fatto che la misura della retribuzione dei pubblici dipendenti è stabilita da norme dettate in funzione dei bisogni essenziali di questi, considerati a seconda del grado, delle responsabilità assunte e del prestigio necessario dell'ufficio, ma nei limiti delle finanze dell'Ente pubblico e, d'altra parte, le limitazioni sono compensate da garanzie di stabilità nell'impiego che non si ritrovano nei rapporti di diritto privato»;
  2. che «il legislatore, più che alla natura del rapporto, ha avuto riguardo al carattere pubblico (o, comunque, di interesse generale) della funzione o del servizio esplicati attraverso il medesimo preoccupandosi di escludere, salvo talune eccezioni tassativamente previste, la possibilità di sottrazione o di distrazione, anche legittima, della retribuzione dovuta ai dipendenti, nell'intento che ciò valga ad assicurare il regolare svolgimento della loro attività nell'espletamento dell'ufficio o del servizio cui sono preposti» (Corte cost., 9 marzo 1976, n. 49); tale esigenza di tutela non sussiste, evidentemente, per il lavoro privato;

C) che la giurisprudenza costituzionale ha mutato orientamento e quindi ha dichiarato la incostituzionalità:

  1. dell'art. 2, comma 1, n. 3 cit. nella parte in cui non prevede la pignorabilità e la sequestrabilità degli stipendi corrisposti da soggetti diversi da quelli indicati dall'art. 1, d.P.R. fino a concorrenza di un quinto per ogni credito vantato nei confronti del personale (Corte cost., 31 marzo 1987, n. 89). In tale pronuncia – ove il terzo pignorato era un soggetto diverso dallo Stato, sebbene ricompreso nell'elenco di cui all'art. 1, d.P.R. n. 180/1950 – si legge: «nessuna distinzione ontologica residua, a seguito del progressivo costante dilatarsi del settore pubblico, per oggetto dell'attività di imprenditori e oggetto delle prestazioni dei dipendenti tra imprese private ed enti, aziende ed imprese di cui al ripetuto art. 1». Corte cost., 26 luglio 1988, n. 878 ha risolto nel medesimo senso la questione questa volta con riferimento al caso in cui l'emolumento sia dovuto dallo Stato. Tale pronuncia – premesso un approfondito excursus della normativa (anche preunitaria) in materia – ha tratto ulteriori corollari dall'avvenuto superamento delle ragioni che giustificavano regimi giuridici differenziati tra lavoratori del settore pubblico e di quello privato;
  2. dell'art. 2, comma 1, n. 3 cit. nella parte in cui esclude per i dipendenti dei soggetti di cui al comma 1 la pignorabilità nei limiti di cui all'art. 545, comma 4, c.p.c. con riguardo alle indennità di fine rapporto (Corte cost., 19 marzo 1993, n. 99). In questa occasione, la Corte ha ritenuto che «essendo ormai progressivamente assimilabili i rispettivi trattamenti di fine rapporto (…) non vi è alcuna valida ragione giustificativa per mantenere la disparità di trattamento in ordine alla pignorabilità (…) della indennità di fine rapporto percepita dai lavoratori dei due comparti»;
  3. degli artt. 1 e 2, cit. nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni e indennità erogate ai dipendenti dai soggetti di cui all'art. 1, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni necessaria ad assicurare al beneficiario mezzi adeguati di vita, con pignorabilità del quinto della somma residua (Corte cost., 4 dicembre 2002, n. 506). Invero, la incostituzionalità di tali norme è stata dichiarata, nella citata pronuncia, “per estensione”, exart. 27, l. n. 87/1953, posto che – come meglio si dirà trattando del regime della pensione – la questione era stata sollevata con riferimento agli artt. 128 r.d.l. n. 1827/1935 (norma dichiarata incostituzionale) e 69 l. n. 153/1969 (norma per la quale la q.l.c. è stata dichiarata manifestamente infondata).

Inoltre, con riferimento ad altre tipologie di emolumento, è stata dichiarata la incostituzionalità:

  1. dell'art. 1, comma 3, l. n. 324/1959 nella parte in cui non prevede la pignorabilità dell'indennità integrativa speciale istituita al primo comma dell'articolo fino alla concorrenza di un quinto, per ogni credito vantato nei confronti del personale (Corte cost., 27 settembre 1990, n. 115). In questa occasione la Corte, sulla scorta della giurisprudenza in materia di retribuzioni (ed in specie di Corte cost., 26 luglio 1988, n. 878), ha rilevato che, al tempo della sua introduzione, l'istituto della indennità integrativa speciale aveva la funzione di contrastare, a vantaggio dei lavoratori del comparto pubblico, gli effetti dell'inflazione, secondo un meccanismo del tutto simile a quello della indennità di contingenza previsto per i lavoratori privati. Sennonché, l'impignorabilità della indennità integrativa speciale era omogenea alla impignorabilità dello stipendio dei lavoratori pubblici; venuta meno quest'ultima, «la norma in esame continua a determinare una ingiustificabile condizione di privilegio, relativamente alla sola indennità integrativa, tra i dipendenti dello Stato ed i dipendenti privati che percepiscono una retribuzione sottoposta nel suo complesso alle azioni esecutive, sia pure nei limiti indicati dall'art. 545 c.p.c.»;
  2. dell'art. 4 l. n. 424/1966 e dell'art. 21 d.P.R. n. 1032/1973 nella parte in cui prevedono per i dipendenti civili e militari dello Stato la pignorabilità delle indennità di fine rapporto anche per i crediti da danno erariale, senza osservare i limiti stabiliti dall'art. 545, comma 4, c.p.c. (Corte cost., 4 luglio 1997, n. 225). Ad avviso della Corte, «non si può (…) asserire (…) che l'assenza di limiti al pignoramento o al sequestro conosca le sue ragioni giustificatrici nella tutela rafforzata, prevista per l'erario, se (e quando) esso debba realizzare il ristoro per il danno cagionato da dipendenti incapaci e infedeli, in quanto è proprio tale privilegio che, nel bilanciamento dei valori, non può prevalere sul diritto al trattamento di fine rapporto del lavoratore, pubblico o privato che sia»;
  3. dell'art. 4, l. n. 424/1966 nella parte in cui prevede per i dipendenti di enti pubblici diversi dallo Stato la pignorabilità di indennità di fine rapporto per i crediti da danno erariale senza l'osservanza dei limiti di cui all'art. 545, comma 4, c.p.c. (Corte cost., 9 dicembre 2005, n. 438);

D) che il legislatore è intervenuto con l'art. 1, comma 137 della l. n. 311/2004 e con l'art. 13-bis, d.l. n. 35/2005 superando tutte le differenze di regime giuridico quanto alla pignorabilità dei crediti di lavoro, non solo tra quelli derivanti da rapporti di pubblico impiego o di lavoro privato, ma anche all'interno dei due ambiti considerati;

E) la giurisprudenza “manipolativa” della Corte costituzionale ha riguardato anche discipline speciali diverse da quella contenuta nel d.P.R. n. 180/1950.

Ad esempio, Corte cost., 15 marzo 1996, n. 72 ha dichiarato la incostituzionalità degli artt. 369 e 930 cod. nav. nella parte in cui ammettono il pignoramento degli arruolati e dei lavoratori aerei fino ad un quinto del loro ammontare esclusivamente a causa di alimenti dovuti per legge o per debiti certi, liquidi ed esigibili verso l'armatore o l'esercente, dipendenti dal servizio della nave o dell'aeromobile e non anche per ogni credito come previsto per i lavoratori privati (va segnalato che in precedenza, la Corte costituzionale aveva ritenuto che «ricorrono serie e valide ragioni a giustificazione della speciale disciplina»: Corte cost., 4 aprile 1974, n. 101).

In conseguenza delle sentenze che hanno eliminato il trattamento privilegiato dei pubblici dipendenti – rileva la Corte – è venuta meno la ragione del trattamento differenziato.

Né residuano – prosegue il Giudice delle leggi – ulteriori elementi di specialità della materia del lavoro degli arruolati: «la rilevanza dell'aspetto pubblicistico del contratto di arruolamento è stata ulteriormente attenuata dalla legge 19 dicembre 1979, n. 649, aggiuntiva di un nuovo comma all'art. 325 cod.nav., che ha rimesso alla contrattazione collettiva la determinazione della misura e delle componenti della retribuzione, così confermando implicitamente la spettanza del diritto di sciopero anche a questa categoria di lavoratori, nel limite indicato dalla sentenza citata. Altri elementi di specialità, essi pure correlati al fatto della navigazione, sono stati rimossi dalle sentenze nn. 96/1987 e 364/1991, che hanno dichiarato l'illegittimità dell'art. 35, comma 3, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (statuto dei lavoratori), nelle parti in cui escludeva l'applicabilità al personale navigante delle imprese di navigazione delle norme di tutela contro i provvedimenti disciplinarie i licenziamenti di cui agli artt. 7, primi tre commi, e 18 della legge medesima».

Si può dire in definitiva che, oggi, il regime di impignorabilità relativa sia lo stesso quale che sia la natura (pubblicistica o privatistica) del rapporto di lavoro.

La giurisprudenza di legittimità ritiene estensibile il regime di pignorabilità “unificato” ai crediti derivanti da tutte le tipologie di rapporto lavorativo contemplate dall'art. 409 c.p.c. (Cass. civ., 18 gennaio 2012, n. 685); appare così superata la giurisprudenza restrittiva sui crediti vantati dall'agente di commercio (Cass. civ., 3 luglio 1980, n. 4211) o agli emolumenti corrisposti ai medici convenzionati con il SSN (in relazione ai quali Corte cost., 22 dicembre 1989, n. 580 aveva dichiarato non fondata la q.l.c. - sollevata con riguardo all'art. 3 Cost. - dell'art. 545 c.p.c. nella parte in cui non prevede alcun limite alla pignorabilità di tali crediti).

Come anticipato, il regime di impignorabilità relativa dei crediti di cui si tratta non viene meno nel momento in cui viene a cessare il rapporto in cui i crediti trovano la propria fonte.

Ciò nondimeno, è stato escluso il regime di impignorabilità con riferimento all'indennizzo dovuto da una società assicuratrice privata al lavoratore per infortunio sul lavoro, quantunque la polizza fosse stata stipulata dal datore di lavoro in forza di un preciso obbligo contrattuale (in tale senso: Cass. civ.,9 ottobre 1999, n. 11345), nonché con riferimento al corrispettivo promesso al dipendente per l'obbligo di non concorrenza, anche se il relativo patto sia inserito nel contratto di lavoro, attesa l'autonomia di tale rapporto negoziale rispetto al rapporto lavorativo presupposto (Cass. civ., 30 luglio 1987, n. 6618).

Fino al recente passato, la disciplina dettata dall'art. 545, commi 3, 4 e 5 c.p.c. trovava applicazione con esclusivo riguardo alle somme dovute al debitore dal datore di lavoro, non anche con riguardo a quelle transitate su di un conto corrente bancario o postale di cui il debitore stesso avesse la disponibilità: per questo caso, il legislatore – rispondendo alle “sollecitazioni” della giurisprudenza costituzionale – ha previsto un regime peculiare, per cui v. art. 545, comma 8, c.p.c. (su cui v. infra).

La disciplina dei commi 3, 4 e 5 dell'art. 545 c.p.c. può essere così sintetizzata:

  • i crediti di lavoro possono essere pignorati per crediti alimentari nella misura autorizzata dal Presidente del Tribunale. In proposito, rileva precisare:

a) che in questo caso l'autorizzazione giudiziale è necessaria solo quando il creditore intenda pignorare la retribuzione in misura superiore al quinto (Cass civ., 10 luglio 2007, n. 15374);

b) che i crediti di lavoro, anche per la soddisfazione di crediti alimentari, possono essere pignorati al massimo fino alla metà e nell'ipotesi in cui il medesimo credito sia già assoggettato ad esecuzione forzata è pignorabile al massimo nella misura pari alla differenza tra la metà del credito di lavoro e quanto già assoggettato al precedente pignoramento (o ai precedenti pignoramenti);

c) che il predetto limite – si è osservato anche nella giurisprudenza di merito – vale anche in caso di concorrenza tra il pignoramento dello stipendio e la decurtazione di esso per versamento diretto dell'assegno di mantenimento in favore della moglie separata e del figlio affidato (Trib. Pescara, 8 luglio 2003);

  • nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni ed in egual misura per ogni altro credito;
  • in caso di simultaneo concorso delle cause indicate dianzi il pignoramento non può estendersi oltre alla metà dell'ammontare delle predette somme.

Si tratta di limiti inderogabili previsti dal legislatore, ragion per cui sarebbe preclusa al giudice dell'esecuzione qualunque valutazione in concreto delle esigenze di vita del debitore esecutato.

D'altro canto il Giudice delle leggi ha dichiarato la infondatezza di numerose q.l.c. dell'art. 545, comma 4, in specie:

  • nella parte in cui non prevede la impignorabilità assoluta di quella parte della retribuzione necessaria a garantire al lavoratore mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita e nella parte in cui non prevede le stesse limitazioni in materia di pignoramento di crediti ex art. 72-ter d.P.R. n. 602/1973 (Corte cost., 5 aprile 2016, n. 70; Corte cost., 3 dicembre 2015, n. 248, cui adde Corte cost., 28 aprile 2017, n. 91);
  • nella parte in cui predetermina la quota pignorabile dello stipendio non rimettendo la individuazione della stessa alla discrezionalità del giudice, tenendo conto della comparazione delle esigenze di debitore e creditore con riferimento segnato al diritto alla salute (Corte cost., 29 maggio 2002, n. 225);
  • nella parte in cui non rimette alla valutazione del giudice la individuazione della quota di retribuzione che sia necessaria al mantenimento del debitore e della sua famiglia (Corte cost., 23 dicembre 1997, n. 434);
  • nella parte in cui prevede la pignorabilità delle retribuzioni sia per i crediti ordinari che per le obbligazioni risarcitorie nascenti da delitto (Corte cost., 13 luglio 1987, n. 260);
  • nella parte in cui consente il pignoramento del quinto dello stipendio in quanto, in base all'art. 36 Cost. tale emolumento dovrebbe essere assolutamente impignorabile (Corte cost., 15 luglio 1975, n. 209);
  • nella parte in cui non detta limitazioni ispirate al principio di progressività (Corte cost., 20 marzo 1970, n. 38);
  • nella parte in cui non esclude dal regime di impignorabilità relativa gli strumenti più esigui (Corte cost., 28 marzo 1968, n. 20).
La compensazione e il cumulo con la cessione del quinto

I crediti retributivi non possono essere compensati se non nei limiti del quinto.

La regola non si applica laddove il controcredito sia vantato dal datore di lavoro per fatto illecito del prestatore di lavoro (Cass. civ., 17 aprile 2004, n. 7337; Corte cost., 4 luglio 2006, n. 259, che ha dichiarato non fondata la q.l.c. dell'art. 1246, comma 1, n. 3, c.c. e dell'art. 545, comma 4, c.p.c., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non prevedono che la compensazione dei crediti del lavoratore per stipendio o altre indennità collegate al rapporto di lavoro debba avvenire nei limiti della misura del quinto anche quando il credito opposto in compensazione abbia origine dal medesimo rapporto di lavoro).

Nel caso in cui il controcredito vantato dal datore di lavoro abbia la propria origine da un diverso rapporto, la Cassazione ha affermato che «la ritenuta mensile sullo stipendio o salario del prestatore di lavoro subordinato in regime di diritto privato per il pagamento rateale di un mutuo concessogli dal datore di lavoro, effettuata non a causa di una cessione volontaria del credito di lavoro da parte del dipendente, ex art. 1260, ma a titolo di compensazione legale di due crediti entrambi liquidi ed esigibili, ex art. 1241 c.c., va computata, ai sensi dell'art. 545 comma 5 c.p.c., al fine dell'osservanza della misura massima della metà della retribuzione assoggettabile a pignoramento per il simultaneo concorso di più crediti azionati contro il debitore esecutato nelle forme della espropriazione mobiliare presso terzi» (Cass. civ., 24 maggio 1995, n. 5692).

La somma dovuta a titolo di TFR non può essere compensata se non nei limiti di cui al comb. disp. degli artt. 1246, n. 3, c.c. e 545 c.p.c., data la sua natura alimentare (Trib. Roma, 20 luglio 1999).

Quanto al cumulo tra pignoramenti e cessioni volontarie dei crediti di lavoro (ad es. cessione volontaria del quinto) va in primo luogo segnalato che, anche in questo ambito, il regime previsto per i lavoratori pubblici e quello previsto per i lavoratori privati sono stati equiparati, dapprima, per effetto di pronunce della Corte costituzionale (Corte cost., 24 maggio 1991, n. 220; Corte cost., 6 aprile 1998, n. 102; Corte cost., 6 luglio 2000, n. 258; Corte cost., 27 ottobre 2000, n. 494), e, poi, in forza dell'intervento del legislatore.

La fattispecie trova la propria disciplina nel comb. disp. artt. 545, comma 4, c.p.c. e artt. 2 e 68, comma 2, d.P.R. n. 180/1950.

Se il pignoramento è successivo ad una precedente cessione (opponibile al procedente) è possibile solo nei limiti della differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta.

La giurisprudenza ha precisato che «il ‘simultaneo concorso delle cause' previsto dal comma 2 dell'art. 2 d.P.R. n. 180/1950 sta ad indicare la coesistenza, nello stesso tempo, di più crediti verso il debitore esecutato, derivanti da diverse cause tra quelle previste dal comma 1 dell'art. 2 (estese ad ogni credito dalle sentenze della Corte cost. n. 89/1987, n. 878/1988, n. 99/1993, n. 105/1977, n. 155/1987, n. 1041/1988, nonché - seppure in termini impliciti - da Corte cost. n. 506/2002). Ne consegue che la disposizione in questione disciplina il limite di pignorabilità della retribuzione del debitore nell'ipotesi della simultanea esistenza di più crediti nei suoi confronti, situazione che si verifica anche quando una parte della retribuzione sia stata già assegnata a soddisfacimento futuro di un credito - il quale permane e viene pertanto a concorrere con il credito eventualmente insorgente successivamente verso lo stesso debitore - e che prescinde dalla unicità del processo esecutivo, essendo al riguardo irrilevante che i creditori agiscano o meno nello stesso processo esecutivo» (Cass. civ., 23 aprile 2003, n. 6432).

Il pignoramento delle pensioni

Per i crediti pensionistici si registra una evoluzione per certi versi simile a quella sopra descritta con riferimento agli stipendi.

Con riguardo ai dipendenti privati la materia era disciplinata dagli artt. 128 r.d.l. n. 1827/1935 e 69 l. n. 153/1969: secondo tali norme le pensioni, gli assegni e le altre indennità in favore dei lavoratori privati potevano essere ceduti, sequestrati e pignorati nei limiti di un quinto del loro ammontare per debiti verso l'INPS derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dall'Istituto stesso o da omissioni contributive.

La Corte costituzionale ha, con una serie di pronunce, eroso la specialità del regime previsto per i lavoratori del settore pubblico, ed in specie:

  • ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 128 e 69 cit. nella parte in cui non consentono, entro i limiti previsti dall'art. 2, comma 1, n. 1 cit., la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni corrisposte dall'INPS (Corte cost., 30 novembre 1988, n. 1041);
  • ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 128 cit. nella parte in cui non consente, nei limiti previsti dall'art. 2, comma 1, n. 3 cit., la pignorabilità per crediti tributari delle pensioni (Corte cost., 22 novembre 2002, n. 468);
  • ha (come già anticipato) dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 128 cit. nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni erogate dall'INPS anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per i crediti qualificati, della sola parte di pensione necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita (cd. minimo vitale) con pignorabilità della restante parte, nei limiti del quinto (Corte cost., 4 dicembre 2002, n. 506).

Nel dettaglio, l'evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia è caratterizzata dall'assunzione dell'art. 2, d.P.R. n. 180/1950 come «norma di carattere generale».

Mentre nell'ambito della giurisprudenza in materia di pignoramento degli stipendi la Corte costituzionale ha individuato come tertium comparationis il rapporto di lavoro privato (e quindi dichiarato la incostituzionalità di tutti quei regimi speciali e più favorevoli per i lavoratori del comparto pubblico), in materia di pensioni il tertium comparationis è stato individuato nel modello pubblicistico.

Come rileva in modo efficace la Corte nella pronuncia n. 506/2002, nell'uno e nell'altro caso, il risultato è stato quello «di comprimere, con l'area dell'impignorabilità, le eccezioni al principio per cui il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri».

Peraltro, proprio l'adozione di un tertium comparationis differente – in un caso l'art. 545 c.p.c. e nell'altro l'art. 2, d.P.R. n. 180/1950 – aveva fatto sì che, per le retribuzioni, fosse superato il generale principio della impignorabilità, laddove, per le pensioni «tale principio – essendosi operato esclusivamente sulle eccezioni ad esso apportate – [è] rimasto in vigore (e, quindi, solo apparentemente assunto quale premessa di ogni intervento della Corte in subiecta materia)», essendo venute in rilievo, fino a quel momento, solo normative che, in ragione della natura del credito, consentivano ai creditori qualificati di soddisfarsi su una quota dell'intero ammontare della pensione.

In definitiva, la pensione restava aggredibile soltanto da creditori qualificati (appunto perché si trattava dei diritti di credito menzionati dall'art. 2, cit.).

Partendo da questo dato ordinamentale e argomentando dalle esigenze di solidarietà sociale sottese all'art. 38 Cost., la Corte ha osservato che, se tale interesse può e deve comportare una compressione del diritto dei terzi a soddisfare le proprie pretese sulla pensione del proprio debitore, ciò nondimeno tale compressione non può essere totale ed indiscriminata «bensì deve rispondere a criteri di ragionevolezza che valgano, da un lato, ad assicurare in ogni caso (e, quindi, anche con sacrificio delle ragioni di terzi) al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita e, dall'altro lato, a non imporre ai terzi, oltre il ragionevole limite sopra indicato, un sacrificio dei loro crediti, negando alla intera pensione la qualità di bene su cui possano soddisfarsi».

Al fine di realizzare le esigenze di cui si è detto, quindi, non è necessario prevedere la impignorabilità della pensione ma solo «di quella parte di essa che vale appunto, ad assicurare al pensionato quei “mezzi adeguati alle esigenze di vita” che la Costituzione impone gli siano garantiti, ispirandosi ad un criterio di solidarietà sociale: e, pertanto ad un criterio che, da un lato, sancisce un dovere dello Stato e, dall'altro, legittimamente impone un sacrificio (ma nei limiti funzionali allo scopo) a tutti i consociati (e segnatamente ai creditori)».

La parte eccedente rispetto a quella diretta a garantire le basilari esigenze di vita del debitore è pignorabile nei limiti di cui all'art. 545 c.p.c..

La Corte precisa peraltro che «individuato il proprium del disposto dell'art. 38, comma 2, Cost. nell'esigenza di garantire nei confronti di chiunque (con le sole eccezioni di crediti qualificati, tassativamente indicati dal legislatore) l'intangibilità della parte della pensione necessaria per assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato, non ne discende automaticamente analoga conseguenza riguardo alle retribuzioni, dal momento che non ne risulta incisa la ragione per cui, a proposito del regime della pignorabilità, questa Corte ha negato sussistere l'esigenza di una soglia di impignorabilità assoluta: da un lato, infatti, l'art. 38, comma 2, Cost. enuncia un precetto che, quale espressione di un principio di solidarietà sociale, ha come destinatari anche (nei limiti di ragione) tutti i consociati, dall'altro, l'art. 36 Cost. - secondo quanto questa Corte ha statuito nelle ricordate decisioni (n. 5) - indica parametri ai quali, ma nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, deve conformarsi l'entità della retribuzione, senza che ne scaturisca, quindi, vincolo alcuno per terzi estranei a tale rapporto, oltre quello - frutto di razionale «contemperamento dell'interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio» (sentenze n. 20/1968 e n. 38/1970) - del limite del quinto della retribuzione quale possibile oggetto di pignoramento».

Vanno segnalate anche una serie di pronunce relative a pensioni erogate da altre casse previdenziali ed in specie:

  • Cassa nazionale del notariato (art. 12, r.d.l. n. 1324/1923, dichiarato incostituzionale da Corte cost., 30 novembre 2005, n. 444, nella parte in cui prevedeva l'impignorabilità assoluta della pensione erogata da tale Cassa anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte di pensione necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte);
  • Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” (art. 1, l. n. 1122/1955, dichiarato incostituzionale da Corte cost., 4 luglio 2006, n. 256, nella parte in cui prevedeva l'impignorabilità assoluta della pensione erogata da tale Cassa anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte di pensione necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte);
  • ENASARCO (art. 28, comma 1, l. n. 12/1973 dichiarato incostituzionale da Corte cost., 26 giugno 2009, n. 183, nella parte in cui prevedeva l'impignorabilità assoluta della pensione erogata da tale Cassa anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte di pensione necessaria ad assicura al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte).

Anche per le pensioni INAIL è stata dichiarata la incostituzionalità dell'art. 110, d.P.R. n. 1124/1965 nella parte in cui non consente la pignorabilità per crediti alimentari delle rendite erogate da tale ente previdenziale, nei limiti di cui all'art. 2, comma 1, n. 1, d.P.R. n. 180/1950 (Corte cost., 22 dicembre 1989, n. 572).

In sintesi, le pensioni erano ritenute – quale che fosse l'Ente che le erogava e anche a prescindere dalla genesi del trattamento pensionistico – impignorabili solo per la parte necessaria a garantire al pensionato i basilari mezzi di sussistenza, con pignorabilità relativa della parte eccedente il minimo vitale.

Sulla individuazione del “minimo vitale”, la giurisprudenza ha ritenuto che «in assenza di parametri normativi specifici ed analitici idonei a consentire la determinazione del cd. minimo vitale, ben può il giudice dell'esecuzione, in considerazione degli elementi concreti del caso (e non dovendo necessariamente fare riferimento all'importo di trattamento minimo di pensione indicato dallo stesso ente erogatore, come invero sostenuto dall'odierno ricorrente), pervenire all'individuazione dell'importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita» (Cass. civ., 25 marzo 2014, n. 18225; Cass. civ., 18 novembre 2014, n. 24536, che ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza con la quale il Tribunale aveva ritenuto adeguato il minimo fissato dalla finanziaria 2002, incrementato delle maggiorazioni di cui agli artt. 38, 1 e 2 comma, della l. n. 448/2001 e 39, 8 comma, della l. n. 289/2002, considerato come parametro idoneo ad esprimere una sorta di presunzione di legge circa l'individuazione del reddito minimo indispensabile a far fronte alle ordinarie incombenze e necessità di vita di qualsiasi soggetto, escludendo che le condizioni soggettive del debitore fossero idonee ad intaccare siffatta presunzione, in particolare con riguardo alla circostanza dell'intervenuta cessione volontaria del credito da parte dell'opponente).

Quanto al TFR, la giurisprudenza ha chiarito che «non sono impignorabili i fondi accantonati da un ente pubblico per il trattamento di fine rapporto dei propri dipendenti, non essendo l'indisponibilità degli stessi prevista da alcuna norma, e non potendo estendersi a essi né l'art. 545, commi 3 e 4, c.p.c. e il d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, i quali presuppongono che il debitore escusso sia il dipendente, né l'art. 2117 c.c., il quale, nel dichiarare impignorabili i fondi speciali per l'assistenza e la previdenza, detta una norma di carattere eccezionale, come tale non suscettibile di applicazione analogica» (Cass. civ., 20 febbraio 2007, n. 3964).

Riguardo ai fondi previdenziali di cui all'art. 2117 c.c., invece, si è ritenuto che «essi rimangono strettamente vincolati agli scopi per cui sono stati istituiti, non potendo essere distratti, ai sensi dell'art. 2117 c.c., dal fine cui risultano destinati, al quale viene definitivamente subordinata la loro disponibilità; né tali fondi possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro, trattandosi di somme che, non facendo più parte del patrimonio di coloro che le hanno versate, non possono essere considerate a garanzia delle obbligazioni da essi eventualmente assunte» (Cass. civ., 9 ottobre 2012, n. 17178).

La riforma del 2015: codificazione del “minimo vitale” e rilievo officioso dell'inefficacia del pignoramento

Il legislatore, con la riforma del 2015, ha “codificato” il concetto di minimo vitale prevedendo la impignorabilità delle pensioni per un ammontare corrispondente all'importo dell'assegno sociale aumentato della metà, mentre la parte residua è pignorabile nei limiti del quinto.

Rilevante è la previsione dell'ultimo comma dell'art. 545 c.p.c., nella versione vigente a seguito della riforma appena citata.

La disposizione, che stabilisce la inefficacia (parziale) del pignoramento effettuato in violazione dei limiti e dei divieti posti dai commi sopra esaminati e, soprattutto, il potere di rilievo officioso di tale inefficacia in capo al G.E., va a colmare una lacuna del previgente art. 545 c.p.c..

Invero, una parte della dottrina, anche in assenza di una specifica disposizione in tale senso, aveva riconosciuto la titolarità di un potere di rilievo officioso in capo al G.E., in modo che il superamento dei divieti e dei limiti alla pignorabilità di crediti non fosse rimessa all'iniziativa del debitore.

Tuttavia, da altra dottrina si riteneva che – versandosi in materia di eccezioni al principio di cui all'art. 2740 c.c., fondate su una valutazione di prevalenza dell'interesse del debitore (e non già su di un interesse pubblico alla impignorabilità assoluta o relativa delle somme) – fosse necessaria l'opposizione (all'esecuzione) del debitore (circa tale qualificazione, v. Cass. civ., 23 agosto 2011, n. 17524; Cass. civ., 27 gennaio 2009, n. 1949; Cass. civ., 23 novembre 2007, n. 387; Cass. civ., 20 febbraio 2006, n. 3655; Cass. civ., 9 febbraio 2000, n. 1452; qualificazione da cui si faceva discendere la negazione che il rimedio potesse essere azionato dal debitor debitoris: Cass. civ., 23 febbraio 2007, n. 4212; Cass. civ.,21 gennaio 2000, n. 687; Cass. civ., 15 novembre 1994, n. 9623; Trib. Torre Annunziata, 19 luglio 2013; Trib. Nocera Inferiore, 9 settembre 2010; App. Potenza, 29 luglio 2008; App. Napoli, 11 luglio 2008; App. Roma, 10 dicembre 2007; App. Napoli, 6 luglio 2006).

La giurisprudenza meno recente seguiva questa impostazione (Cass. civ., Sez.Un., 17 giugno 1988, n. 4136; Cass. civ.,Sez.Un., 23 aprile 1987, n. 3932).

Ciò nondimeno, più di recente è prevalso l'indirizzo contrario (Cass. civ., 22 marzo 2011, n. 6548; Cass. civ., 11 giugno 1999, n. 5761; App. L'Aquila 14 maggio 2002).

Tornando al comma 9 dell'art. 545 c.p.c., oltre all'espresso riconoscimento del potere di rilevare d'ufficio la violazione dei limiti di pignorabilità, val la pena sottolineare che la previsione della inefficacia del pignoramento effettuato oltre i limiti del consentito ha una notevole incidenza pratica: rispetto alle ulteriori somme non scaturiscono, in capo al terzo, gli obblighi di custodia.

Vero è però che, come sottolineato in dottrina, in questo modo si fa gravare sul terzo la esclusiva responsabilità di errori nell'applicazione delle norme in materia di impignorabilità, laddove in altre ipotesi di inefficacia tale responsabilità grava sul creditore (in caso di tardiva iscrizione a ruolo ex art. 543 c.p.c. il creditore deve tempestivamente notificare al terzo la dichiarazione di sopravvenuta inefficacia del pignoramento).

(Segue). Il pignoramento di stipendi o pensioni confluiti sul conto corrente

L'analisi della riforma del 2015 va completata dando contezza di quanto previsto dai commi 7 e 8 dell'art. 545 c.p.c., introdotti dal d.l. n. 83/2015, che si applicano ai procedimenti esecutivi instaurati successivamente all'entrata in vigore della riforma.

La disciplina in esame trae l'abbrivio da una pronuncia della Corte costituzionale che, pur dichiarando la questione inammissibile, sul rilievo che il giudice a quo avesse errato nell'individuare la normativa di sospetta compatibilità con la Costituzione, aveva chiaramente individuato un vulnus nella tutela del percettore di redditi da lavoro o pensionistici.

In particolare, la q.l.c. atteneva all'art. 12, comma 2, d.l. n. 201/2011, che ha inserito il comma 4-ter, lett. c), nell'art. 2 d.l. n. 138/2011, censurato per violazione degli artt. 3 e 38, comma 2, Cost., nella parte in cui, imponendo che il pagamento dei redditi da lavoro o da pensione superiori all'importo mensile di mille euro avvenisse esclusivamente con accredito su conti correnti bancari o postali, libretti di deposito, carte prepagate, carte istituzionali, non aveva previsto la salvezza delle limitazioni in materia di pignoramento di cui all'art. 545 c.p.c..

A giudizio della Corte, l'art. 12, comma 2, cit. «non ha, quindi, inciso sulla tematica inerente alla soggezione al pignoramento delle somme giacenti sul conto corrente, in relazione alla quale è costante in senso affermativo la giurisprudenza della Corte di cassazione, ma ha soltanto acutizzato, in via di fatto, il problema della pignorabilità indiscriminata degli emolumenti provenienti da crediti di lavoro e pensionistici, una volta transitati nel conto corrente, dal momento che ha reso obbligatorio detto transito. D'altra parte, la cessazione della situazione di impignorabilità già in precedenza conseguiva all'avvenuta erogazione di detti emolumenti, quand'anche riscossi in contanti dall'avente titolo».

In definitiva, alla stregua della disciplina previgente, che nulla disponeva al riguardo, prevaleva l'opinione che le somme accreditate sul conto a titolo di stipendio o di pensione si “confondessero” con quelle ivi giacenti, con conseguente inapplicabilità dell'art. 545 c.p.c., per quanto sia necessario segnalare l'orientamento di quella giurisprudenza che, nei casi di conto “di mero appoggio” - cioè di conto utilizzato esclusivamente per farvi confluire i suddetti emolumenti -, trovassero applicazione i limiti di pignorabilità previsti dal Codice e da leggi speciali (Trib. Udine, 3 gennaio 2013, peraltro relativa ad un pignoramento “esattoriale”).

Il legislatore, tenuto conto del “monito” formulato dalla Corte costituzionale, ha avvertito la necessità di normare espressamente in ordine alle suesposte questioni, prevedendo due regimi differenti da applicare al pignoramento dei crediti di lavoro e pensionistici accreditati su conto corrente, a seconda che il pignoramento intervenga successivamente o anteriormente all'accredito:

  1. le somme accreditate prima del pignoramento possono essere pignorate per l'importo (da ritenersi mensile, malgrado una autorevole voce in senso contrario) eccedente il triplo dell'assegno sociale;
  2. quelle accreditate dopo il pignoramento seguono le ordinarie regole del pignoramento di crediti di lavoro o pensionistici fatti presso il datore di lavoro o l'ente previdenziale.

Quanto agli obblighi del terzo, che «nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore di somme a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, gli obblighi del terzo pignorato non operano, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento, per un importo pari al triplo dell'assegno sociale; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, gli obblighi del terzo pignorato operano nei limiti previsti dall'articolo 545 e dalle speciali disposizioni di legge».

Come è stato condivisibilmente osservato, il legislatore, nel disciplinare in modo difforme l'ipotesi del pignoramento sulle somme già presenti sul conto e quella del vincolo sugli accrediti successivi, «da un lato non ha affatto smentito l'assunto tradizionale secondo cui il credito è verso il banchiere ed è un credito derivante dal contratto di conto corrente bancario o postale, dall'altro ha voluto contemperare tale principio con l'esigenza di tutela dei bisogni primari, che passa attraverso l'impignorabilità di tali somme benché confluite nel conto».

La disciplina dei limiti alla pignorabilità dello stipendio in caso di esecuzione esattoriale

Appare - per concludere - pertinente l'esame, sebbene sintetico, della disciplina settoriale recata dall'art. 72-ter, d.P.R. n. 602/1973 prevede dei particolari limiti di pignorabilità ove le somme staggite siano dovute dal terzo a titolo di stipendio salario o per altre indennità relative al rapporto di lavoro o impiego.

Si tratta di limiti diversi da quelli ricavabili dall'art. 545 c.p.c. e, rispetto a questi, più ridotti (nel senso che le quote pignorabili sono di minore entità), a voler bilanciare la pervasività dello strumento esecutivo in esame (tant'è vero che il limite ha entità decrescente a mano a mano che aumenta l'importo dello stipendio).

La Corte costituzionale ha ritenuto tale bilanciamento rispettoso del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., escludendo che vi fosse una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla diversa e maggiormente penalizzante disciplina del Codice di rito (Corte cost., 5 aprile 2016, n. 70; Corte cost., 3 dicembre 2015, n. 248, cui adde Corte cost., 28 aprile 2017, n. 91).

Sempre in una logica di tutela del reddito di sussistenza, il legislatore ha previsto, aggiungendo alla norma in commento un comma 2-bis, che nel caso di accredito delle somme sul conto corrente gli obblighi del terzo non si estendono all'ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo: ciò per evitare che il debitore si trovi, da un giorno all'altro, sprovvisto di un reddito essenziale per provvedere alle primarie esigenze di vita.

Benvero, tale ultima disposizione pare debba essere coordinata con l'art. 545, comma 8, c.p.c., nella versione introdotta dal d.l. n. 83/2015.

Secondo la dottrina, quindi:

  • per le somme accreditate a titolo di stipendio anteriormente al pignoramento rileva, anche per i crediti riscuotibili nelle speciali forme dell'esecuzione esattoriale, il limite del triplo dell'assegno sociale;
  • per le somme accreditate a titolo di stipendio successivamente al pignoramento trova applicazione la disciplina di cui all'art. 72-ter (derogatoria in melius rispetto a quella di cui all'art. 545, comma 4), ferma restando la salvezza per l'ultimo emolumento accreditato a tale titolo.

Quanto alle pensioni, l'opinione prevalente è nel senso di escludere che i limiti speciali previsti dall'art. 72-ter cit. trovino applicazione con riguardo a tale emolumento.

Guida all'approfondimento
  • Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, X ed., Milano, 2006, 500;
  • Colesanti, L'infelice situazione del terzo debitore (anche dopo le recenti riforme), in Rass. dir. proc., 2015, 1327;
  • Corsaro-Bozzi, Manuale dell'esecuzione forzata, III ed., Milano, 1996, 274;
  • Crivelli, Il pignoramento di crediti da retribuzioni e pensioni versati su conto corrente bancario o postale, in www.ilprocessocivile.it;
  • Fasciano, Sulla causa petendi dell'opposizione all'esecuzione per impignorabilità dei beni esecutati, in Giur. it., 2011, 2611;
  • Finocchiaro, Sub art. 545, in Arieta-De Santis-Didone, Codice commentato delle esecuzioni civili, Torino, 2016;
  • Giorgi, Sub art. 72-ter, d.p.r. n. 602 del 1973, in Arieta-De Santis-Didone, Codice commentato delle esecuzioni civili, Torino, 2016;
  • Saletti, Le recenti novità in materia di espropriazione presso terzi, relazione per la Scuola Superiore della magistratura, nell'ambito del Corso “Il pignoramento presso terzi e l'esecuzione esattoriale”;
  • Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 316;
  • Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, V ed., Padova, 2016, 975;
  • Tarzia, L'oggetto del processo d'espropriazione, Milano, 1961, 99;
  • Tatangelo, Questioni attuali in tema di espropriazione presso terzi, con specifico riferimento all'espropriazione dei crediti della pubblica amministrazione, in Riv. esec. forz., 2003, 445;
  • Tota, Sub art. 545, in Comoglio-Consolo-Sassani-Vaccarella, Commentario del codice di procedura civile, VI ed., Torino, 2013, 779;
  • Travi, Espropriazione presso terzi, in Novissimo Dig. it., VI ed., Torino, 1964, 959;
  • Vaccarella, Espropriazione presso terzi, in Digesto civ., VIII ed., Torino, 1992, 98;
  • Vallone, L'impignorabilità di stipendi e pensioni versati su conto corrente: note a prima lettura del d.l. del 27 giugno 2015, n. 83, in www.judicium.it;
  • Zanzucchi, Diritto processuale civile, a cura di Vocino,V ed., Milano, 1964, 44.

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