Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 14 - Litisconsorzio ed intervento 1 2 .1. Se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. 2. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l'integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza. 3. Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso. 4. Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili. 5. I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente. 6. Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l'atto se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza. 6-bis. In caso di vizi della notificazione eccepiti nei riguardi di un atto presupposto emesso da un soggetto diverso da quello che ha emesso l'atto impugnato, il ricorso è sempre proposto nei confronti di entrambi i soggetti3. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 58 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Comma aggiunto dall'articolo 1, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n.220.Per l'applicazione vedi l'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023 medesimo. InquadramentoL'articolo in commento regola le ipotesi di litisconsorzio ed intervento nel processo tributario. Il comma 3, nel disporre che i soggetti che possono intervenire o essere chiamati in giudizio devono essere «destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso», acquisisce un preminente rilievo sistematico, fornendo la chiave di interpretazione del processo tributario e, conseguentemente, dei modi d'essere e della legittimità della sua estensione soggettiva. Più precisamente, il comma 3 evidenzia la profonda diversità tra il processo tributario e quello amministrativo. Il processo tributario ha carattere impugnatorio, in quanto introdotto con l'impugnazione di un atto; tuttavia, a differenza del processo amministrativo, oggetto del ricorso tributario è il rapporto obbligatorio e non la legittimità dell'atto in sé. È in conseguenza di ciò che la struttura del processo tributario non consente a chiunque vi abbia comunque interesse di intervenire a tutela della legalità amministrativa. Coerentemente «non è ammessa la tutela dei cosiddetti interessi diffusi [..] In tale sistema processuale, [infatti, non vi è spazio per] la tutela di un interesse, pur differenziato, di altri soggetti alla legalità amministrativa, quale è quello che può dar luogo ad una legittimazione ad agire dinanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione di legittimità, di enti o associazioni nelle cui finalità rientri la difesa di interessi di categoria o di settore, secondo la previsione dell'art. 9 l. n. 241/1990» (Cass. V, n. 17934/2004; Cass. V, n. 181/2004). Rispetto alle c.d. Onlus, cfr. Cass. V, n. 17194/2009, che ha escluso la legittimazione di una Onlus ad agire nel processo tributario e ha precisato che, seppure gli artt. 139 e 140 del Codice del Consumo abbiano attribuito legitimatio ad causam ad associazioni inserite in apposito elenco ministeriale, tale legittimazione sussiste solo nei giudizi avanti l'autorità giudiziaria ordinaria, in cui «siano in discussione violazioni seriali di massa»; soggiunge Cass. V, n. 12/2004 – pervenendo a conclusioni da ultimo ribadite da Cass. V, n. 17194/2009 – che, «in materia di contenzioso tributario, gli enti esponenziali che si ergano a tutori di generiche ed indefinite categorie di contribuenti non hanno legittimazione ad intervenire nelle singole controversie tributarie. Infatti, il d.lgs. n. 546/1992 delinea un processo in cui le sole parti possibili e necessarie sono da un lato l'ente impositore e da un altro il contribuente, che sia stato il destinatario di uno specifico atto amministrativo secondo la tipologia indicata nell'art. 19 d.lgs. cit., contenente o l'esplicitazione di una richiesta fiscale nei confronti di uno o più soggetti ben individuati o il rifiuto della restituzione di somme richieste da chi le abbia versate o il rifiuto di agevolazioni nei confronti di soggetti specifici. inoltre, la possibilità dell'impugnativa di atti a carattere generale, fatta salva “nella diversa sede competente” dall'art. 7 del d.lgs. n. 546, con conseguente efficacia nei confronti di una generalità di contribuenti, trova il suo spazio davanti al giudice amministrativo». Intervento adesivo dipendenteIn linea generale, la limitazione in specie dell'intervento nel processo tributario ai soli soggetti destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario, ai sensi del comma 3, non può essere ampliata con l'applicazione dell'art. 105 c.p.c. in forza del richiamo al c.p.c. effettuato dall'art. 1, comma 2, giacché il ridetto comma 3 opera quale lex specialis e perciò prevalente. Tuttavia costituisce un problema meramente “interno” al comma 3 – e perciò risolvibile a prescindere dalla disciplina processual-civilistica, anche se non dalle corrispondenti categorie – l'individuazione dei soggetti «destinatari dell'atto impugnato», rectius, di quelli da considerarsi tali. È noto che l'art. 105 c.p.c. prevede tre tipologie di intervento: principale, litisconsortile o adesivo autonomo e adesivo dipendente: il primo consente l'intervento di un terzo che faccia valere, nei confronti di entrambe le parti, un diritto connesso ma incompatibile con quello vantato da ciascuna parte, con il conseguente ampliamento dell'oggetto del processo; parimenti, l'intervento adesivo autonomo ammette che il terzo proponga una domanda, nei confronti di una delle parti, connessa con quella originaria per identità di titolo o di oggetto, facendo valere un diritto compatibile e parallelo; con l'intervento adesivo dipendente, il terzo può intervenire, non per far valere un suo diritto autonomo, ma per sostenere le ragioni di una delle parti, ragion per cui l'interesse del terzo, in questa ipotesi, è inteso come interesse ad un esito della controversia favorevole alla parte adiuvata (Carpi-Taruffo, 444). Secondo la dottrina, solo l'intervento adesivo dipendente è ammissibile nel processo tributario, ma almeno esso lo è (Albertini, 2, 321; Manoni, 7369; Dalfino, 1230). La giurisprudenza, che in misura prevalente condivide l'avviso della dottrina, in alcune pronunce, tuttavia, reputa inammissibile anche detto intervento. Corre l'obbligo di citare, per ampiezza di argomentazione, Cass. V, n. 24064/2006 la quale – nel confermare la sentenza di merito, che aveva dichiarato inammissibile l'intervento in appello spiegato da un Comune in un giudizio avente ad oggetto l'impugnazione di un atto di classamento, escludendo che l'ente fosse destinatario dell'atto o parte del rapporto controverso – spiega che, «nel processo tributario, non è ammissibile l'intervento adesivo dipendente, il quale è incompatibile con la natura impugnatoria del giudizio, la cui introduzione è subordinata ad un termine di decadenza, e con l'art. 14, che, consentendo all'interveniente di proporre domande diverse da quelle avanzate dalle parti originarie soltanto qualora l'intervento abbia luogo entro il termine assegnato per l'impugnazione, riconosce la legittimazione ad intervenire ai soli soggetti che, in qualità di destinatari dell'atto o parti del rapporto controverso (ivi compresi, nel caso previsto dall'art. 2, comma secondo, del d.lgs. n. 546 cit., i singoli possessori), potrebbero proporre autonoma impugnazione, escludendo quindi la possibilità di spiegare intervento a tutela di interessi sui quali l'atto può produrre un effetto di pregiudizio o di vantaggio» (successivamente, sulla stessa linea, Cass. V, n. 32188/2019; Cass. V, n. 16937/2007). La giurisprudenza più recente e comunque maggioritaria propende invece per l'ammissibilità dell'intervento adesivo dipendente anche nel processo tributario, tuttavia non ad libitum, bensì soltanto ove l'interveniente abbia un «interesse rilevante e qualificato, determinato dalla sussistenza di un rapporto giuridico sostanziale fra adiuvante e adiuvato e dalla necessità d'impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi conseguenze dannose derivanti da effetti riflessi o indiretti del giudicato» (Cass. V, n. 181/2004). In forza di tale prioritario criterio di selezione, deve escludersi l'ammissibilità dell'intervento, per quanto adesivo dipendente, di un'associazione di consulenza fiscale e comunque di enti esponenziali (Cass. V, n. 18541/2003). Sulla base, dunque, del principio per cui «il soggetto potenzialmente inciso dal tributo, perché possibile destinatario di rivalsa per traslazione a suo carico dell'imposta cui altri sia tenuto e che trovi la propria determinazione nel corso del giudizio, può proporre intervento adesivo dipendente, limitandosi a chiedere l'accoglimento della domanda già proposta dal contribuente, senza ampliare in alcun modo il thema decidendum con autonomi motivi di ricorso» (Cass. V, n. 9567/2013), è stato ammesso, ad esempio, l'intervento del cessionario di un credito per l'IVA nella controversia tra A.F. e contribuente titolare del credito (Cass. V, n. 11468/2011) e l'intervento, finanche in appello, dell'acquirente di un ramo d'azienda solidalmente responsabile per il pagamento dell'imposta e sanzioni relative alle violazioni commesse durante il periodo della cessione e i due anni precedenti (Cass. V, n. 255/2012, la quale chiama in causa un'interpretazione costituzionalmente orientata del comma 3, concludendo che «è ammissibile l'intervento adesivo dipendente dei terzi che, pur non essendo destinatari dell'atto impositivo impugnato, potrebbero essere chiamati ad adempiere l'obbligazione tributaria, in quanto la legge li riconosce solidalmente responsabili perché, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, la loro posizione è collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo»). Ma l'ammissibilità è stata ritenuta altresì in relazione al versante per così dire attivo dell'obbligazione tributaria, con riferimento all'intervento adesivo dipendente – anche in questo caso in appello – di una Regione, in quanto interessata, perché destinataria dell'intero gettito dell'IRAP (Cass. V, n. 20803/2013). L'intervento adesivo dipendente determina un'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale. Pertanto, laddove in grado di appello sia stata omessa la notifica al litisconsorte già interveniente, il giudice deve disporre l'integrazione del contraddittorio per evitare la nullità del processo di secondo grado e della pronuncia, rilevabile anche d'ufficio in sede di legittimità (Cass. V, n. 14423/2010; Cass. V, n. 1789/2004). Litisconsorzio necessario: definizione e questioniIl concetto di litisconsorzio necessario alla stregua dell'art. 14 in commento – il cui comma 1 recita che, «se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi» – non può essere parificato a quello contenuto nell'art. 102 c.p.c.: infatti, l'art. 102 c.p.c. è una norma in bianco, che l'interprete deve riempire, individuando le ipotesi in cui la decisione non può pronunciarsi che in confronti di più parti» (Carpi-Taruffo, op. cit., Sub. Art. 102, 422); al contrario, l'art. 14 «indica i presupposti [del litisconsorzio necessario] nella inscindibilità della causa determinata dall'oggetto del ricorso», così che in giurisprudenza il litisconsorzio è stato qualificato come fattispecie autonoma configurantesi ogni qualvolta, «per effetto della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'Amministrazione Finanziaria, l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nell'unicità dell'obbligazione una pluralità di soggetti» (Cass.S.U., n. 1052/2007, con nota di Frasca, 2, 84, e Rossi, 6, 882). L'unicità dell'obbligazione, quindi, è alla base della ratio del comma 1, che, sul piano processuale, garantisce che il giudizio si svolga con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nell'obbligazione stessa (Cass. VI, ord. n. 15189/2013; Cass. VI, n. 10644/2013). La qual cosa equivale a dire che, nel processo tributario, la nozione di litisconsorzio necessario ha valenza eminentemente processuale, siccome «collegata all'inscindibilità dell'oggetto», tanto che l'atto impugnato deve essere unitario, coinvolgere una pluralità di soggetti e «proprio gli elementi comuni [devono] essere posti a fondamento del ricorso proposto da uno dei soggetti obbligati» (Cass.V, n. 14253/2016; Cass. V, n. 14378/2010; Cass. V, n. 22523/2007; Cass. V, n. 1225/2007; Cass.V, n. 17698/2004, che richiama l'art. 331 c.p.c., in tema di obbligo di chiamata in causa anche in appello di tutti litisconsorti necessari in primo grado. In tema, poi, di chiamata in causa del terzo nel processo tributario, Cass. VI, n. 1112/2015, evidenzia che, a differenza dell'obbligo di integrazione del contraddittorio, il giudice può, per esigenze di economia processuale e ragionevole durata, discrezionalmente rigettare la fissazione di una nuova udienza per la costituzione del terzo chiamato “semplice” o “non qualificata”). Al fine di applicare il litisconsorzio necessario, la giurisprudenza tiene conto del tipo di atto impugnato, della sua natura e delle sue formazione e morfologia. Così, a proposito di cartella di pagamento e avviso di mora, è stata evidenziata la differente funzione che svolgono, da un lato, l'A.F. e, dall'altro, il concessionario del servizio di riscossione; ai sensi dell'art. 10, quest'ultimo è parte del processo tributario quando oggetto del ricorso sono atti affetti da errori ad esso direttamente imputabili ovvero da vizi propri della cartella e dell'avviso di mora; in tali casi, è solo il concessionario che deve essere chiamato in causa, non sussistendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario con l'A.F. (Cass. V, n. 5832/2011; di recente, Cass. VI, Ord., n. 1971/2022). Parimenti, laddove il contribuente venga a conoscenza dell'atto di accertamento soltanto a seguito di notifica effettuata dal concessionario, non vi sarà litisconsorzio necessario tra A.F. e concessionario nel processo instaurato a seguito di impugnazione dell'avviso per motivi diversi dai vizi imputabili direttamente all'attività svolta dal concessionario; questo, infatti, «dispiega una mera funzione di notifica» del titolo esecutivo (Cass. V, n. 933/2009; Cass.S.U., n. 16412/2007). Sul punto, è stato precisato che, seppure non sussista litisconsorzio necessario tra A.F. e concessionario, il contribuente potrà agire indifferentemente nei confronti dell'ente o del concessionario per far valere «l'illegittimità dell'avviso di mora, non preceduto dalla notifica della prodromica cartella di pagamento» (Cass. V, n. 2803/2010). Peraltro, in tale fattispecie, la giurisprudenza è propensa a tratteggiare una soluzione favorevole per il contribuente che viene notiziato solo con l'avviso di mora, restando in facoltà del concessionario chiamare in causa l'A.F. (Cass. V, n. 8495/2010, in materia di ICI, con riferimento ad attività di accertamento affidata direttamente al concessionario, che, nella ricorrenza, è viepiù litisconsorte necessario dell'A.F.). Non si configurano ipotesi di litisconsorzio necessario neppure nelle controversie tra sostituto d'imposta e sostituito, perché tra essi corre un rapporto di tipo esclusivamente privatistico e, pertanto, l'A.F. è estranea al processo avente ad oggetto il legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa sulle ritenute alla fonte (Cass.S.U., n. 15032/2009). Specularmente, il datore di lavoro non è litisconsorte necessario del lavoratore nel processo di impugnazione dell'avviso di accertamento avviato da quest'ultimo nei confronti dell'A.F. Tale procedimento, infatti, «apre il sindacato giudiziale sulla pretesa impositiva in concreto formulata dall'ufficio [...] senza possibilità di estendere la decisione a soggetti che siano parti di rapporti diversi» (Cass. V, n. 10057/2000). Similmente, in tema di imposta di registro, è inapplicabile l'istituto del litisconsorzio necessario alle controversie sull'imposta, cui deve essere soggetta una cessione di azienda, con riferimento alle posizioni del cedente e del cessionario, tra loro solidalmente coobbligati, «poiché il rapporto di solidarietà non realizza un presupposto dell'indicato istituto, ma, più che determinare l'inscindibilità della causa tra più soggetti nel senso inteso dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14, comma 1 (il quale postula che la fattispecie costitutiva dell'obbligazione, risultante dai contenuti concreti dell'atto autoritativo impugnato, sia connotata da elementi comuni ad una pluralità di soggetti e che l'impugnazione proposta da uno o più degli obbligati investa direttamente siffatti elementi), pone problemi relativi al rapporto tra giudicati (e, eventualmente, legittima un intervento nel processo, ai sensi del citato art. 14, comma 3» (Cass. V, n. 24063/2011; Cass. V, n. 13800/2000). Su un diverso piano, in tema di IVA; «la circostanza che la pretesa fiscale trovi il suo fondamento in operazioni soggettivamente inesistenti, non determina un litisconsorzio necessario tra i soggetti dell'operazione, atteso che le fattispecie tributarie che originano le distinte pretese sono diverse e non riconducibili ad un medesimo fatto generatore d'imposta, assumendo rilievo gli antefatti storici comuni ad entrambe le cause esclusivamente sul piano della prova e degli effetti riflessi che il relativo accertamento — contenuto nella sentenza passata in giudicato — può eventualmente spiegare nella differente causa, nonché dell'interesse a giustificare un eventuale intervento adesivo ai sensi dell'art. 14 comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546» (Cass. V, n. 20928/2014). Litisconsorzio necessario e giudicato La valenza processuale del litisconsorzio è stata evidenziata anche al fine di evitare il contrasto tra giudicati, laddove la sentenza di primo grado sia stata impugnata solo da alcune delle parti in giudizio (Cass. V, n. 27437/2008). In passato – ossia prima che si imponesse l'interpretazione per cui sussiste un'ipotesi di litisconsorzio necessario quando la fattispecie costitutiva dell'obbligazione tributaria è unica (alla stregua di Cass.S.U., n. 1052/2007, cit.) – il problema del contrasto tra giudicati soleva essere risolto con l'applicazione dell'art. 295 c.p.c., relativo alla sospensione necessaria del processo, purché, però, se ne ravvisassero concretamente i presupposti in punto di vincolatività degli effetti della pronuncia principale sull'altra o sulle altre. La questione era avvertita soprattutto sul terreno dell'accertamento dei redditi prodotti in forma associata, ove però era comune il pensiero che detta vincolatività esulasse. Vuole ad esempio la massima di Cass. V, n. 13814/2005 (ribadita ancora da Cass. V, n. 2201/2006), che «la mancata adozione di un unico atto di accertamento per la società e per i soci rende possibile l'apertura di tanti processi quanti sono gli atti notificati, ma preclude l'applicabilità dell'art. 14, primo comma, — secondo il quale “se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi” — ed esclude il rapporto di incidentalità ex art. 34 c.p.c. Lo svolgimento contestuale di vari processi aventi oggetti collegati crea il problema dell'eventuale conflitto tra giudicati, ma, se non si è ancora formato il giudicato, perché la controversia sul reddito della società è ancora pendente, il giudice, dinanzi al quale si svolge il processo relativo al reddito del socio, non è obbligato a sospendere la causa ex art. 295 c.p.c., perché la risoluzione della controversia societaria non produce effetti vincolanti sulla decisione della controversia relativa al socio». Oggi – alla luce della ricordata interpretazione per cui deve aversi riguardo all'unicità o meno della fattispecie costitutiva dell'obbligazione tributaria – i problemi – quantomeno se detta fattispecie è unica – devono essere risolti sul piano dell'integrità o meno del contraddittorio, che è, se non confliggente con, quantomeno separato da quello della pregiudizialità-dipendenza rilevante ex art. 295 c.p.c. Pur dopo l'affermarsi dell'interpretazione di cui si tratta, nondimeno a mo' di chiusura del sistema, s'è sostenuto che «l'effetto preclusivo del giudicato esterno opera anche quando la medesima questione, ovvero una questione pregiudiziale, abbia formato oggetto di un precedente giudizio le cui parti coincidano solo parzialmente con quelle del giudizio successivo, a condizione [però] che queste ultime abbiano avuto notizia della pendenza del precedente giudizio [Cass. V, n. 14014/2007, la quale, chiamata a pronunciarsi sulla lite tra l'Amministrazione ed il socio di una società di persone concernente la misura dei redditi di partecipazione, ha rilevato – notasi – d'ufficio che la sentenza da essa già pronunciata nella analoga lite tra la società e l'erario, avente ad oggetto la misura dei redditi sociali, essendo passata in giudicata, vincolava l'Amministrazione anche in merito alla determinazione del reddito dei soci; contra una discreta schiera di precedenti tutti antecedenti alle SS.UU., tra cui da ultimo Cass. V, n. 19606/2006, la quale, premesso che, «con riguardo all'accertamento dei redditi di partecipazione, la determinazione del reddito dei soci è una diretta conseguenza di quanto accertato in capo alla società; nondimeno, qualora il socio abbia separatamente impugnato l'accertamento a lui notificato senza partecipare, o essere messo in grado di farlo, al processo instaurato dalla società, la decisione presa in quest'ultima sede non può svolgere alcuna efficacia di giudicato nei confronti del socio, per il divieto posto dai principi costituzionali in tema di tutela dei diritti e da quelli codicistici circa i limiti soggettivi del giudicato», ne fa derivare la conseguenza per cui «il giudice davanti al quale sia impugnato l'accertamento nei confronti del socio non è tenuto a sospendere il processo in attesa della definizione di quello promosso dalla società, ma può liberamente deciderlo, avendo cura di esporre tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti per la soluzione della controversia, non potendosi limitare ad un mero rinvio alla motivazione della sentenza pronunciata nei confronti della società né, tanto meno, a dare atto di questa quando (come nella specie) si tratti di decisione non ancora definitiva”]. Peraltro, secondo la dottrina, in ipotesi in cui vi siano impugnazioni separate di singoli avvisi e non sia stato rilevato il difetto di integrità del contraddittorio, neppure avanti alla Corte di Cassazione, si potrebbe ipotizzare l'esperimento della revocazione ordinaria ex art. 395 comma 1 n. 5 c.p.c., purché tra i giudizi vi sia identità di oggetto «tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio» (Carpi-Taruffo, op. cit., sub art. 325, 1558). Diverso da quelli sin qui discussi è il caso di obbligazioni tributarie che originino da differenti fatti generatori d'imposta: in tale frangente, l'accertamento di antefatti storici comuni ad entrambe le cause, contenuto in una sentenza passata in giudicato, può assumere rilievo esclusivamente sul piano della prova e degli effetti riflessi nell'altra causa (Cass. V, n. 20928/2014, con nota di Randazzo, 1, 34). Rapporti societari e obbligazioni solidali: società di persone ed associazioni ... In tema di litisconsorzio necessario, la giurisprudenza si è prodotta soprattutto quanto ai rapporti tra società di persone e singoli soci. Il punto fermo è ormai rappresentato da Cass. S.U., n. 14815/2008, secondo cui «l'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all'art. 5 d.P.R. n. 917/1986 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci ..., sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario [– non solo, ma altresì –] originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29 d.lgs. n. 246/1992) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio». Tutta la giurisprudenza successiva ribadisce pedissequamente l'insegnamento del massimo consesso (cfr., da ultimo, Cass. VI, n. 7789/2016), il quale, dal canto suo: - si estende al socio accomandante (Cass. VI, n. 15748/2016, secondo cui «il socio accomandante, quale contribuente e, dunque, soggetto passivo del rapporto tributario, esposto alla definitività dell'atto impositivo, è legittimato ad impugnare l'avviso di accertamento tributario inerente a crediti IVA ed IRAP della società, i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento di quest'ultima, sussistendo, peraltro, nel relativo giudizio, litisconsorzio necessario con il curatore ed il socio accomandatario in ragione dell'unitarietà di detto accertamento che è alla base dell'imputazione dei redditi a ciascun socio»); - può interessare persino il socio occulto, che non v'è ragione di differenziare dagli altri soci (Cass. V, n. 15566/2016, secondo cui «l'impugnazione dell'avviso di accertamento relativo ad IRPEF ed IRAP, dovute dalla società di persone e dai soci, riguarda inscindibilmente sia l'una che gli altri anche se proposta dal socio occulto di società di persone per contestare tale posizione»); - ma resta estraneo al settore delle imposte indirette [Cass. V, n. 8782/2009, secondo cui, «in tema di IVA dovuta da società di persone, pur dovendosi riconoscere la soggettività passiva della società, la responsabilità della stessa si ripercuote — sia pur in via sussidiaria — anche sui soci ai sensi dell'art. 2991 c.c. (che è norma operante — in assenza di espressa deroga — anche per i rapporti tributari e le obbligazioni da essi derivanti) ma non esclude la natura solidale della obbligazione dei soci, con la conseguenza che, sul piano processuale, non è ravvisabile alcun litisconsorzio necessario con i soci e la scindibilità delle cause non determina la necessità del simultaneus processus»], salvo che l'accertamento delle imposte dirette risulti in fatto intimamente connesso a quello delle imposte indirette (Cass. V, n. 21340/2015, secondo cui «l'accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso d'impugnazione, la necessità d'integrare il contraddittorio nei confronti dei relativi soci. Tuttavia, qualora l'Agenzia abbia contestualmente proceduto, sia pur con distinti atti impositivi, all'accertamento d'IVA e d'ILOR, fondati su elementi anche solo in parte comuni, il profilo dell'accertamento impugnato concernente l'imponibile IVA, che non sia suscettibile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici, non si sottrae al vincolo necessario del simultaneus processus, attesa l'inscindibilità delle due situazioni e l'esigenza, alla luce dell'art. 111 Cost., di evitare decisioni irragionevolmente contrastanti»). Fermo il dictum di Cass. S.U., n. 14815/2008, cit., un fattore di enorme complicazione pratica deriva da ciò che la perentorietà del principio da esse affermato trova un notevole contemperamento nella regola della c.d. riunione sanante o comunque della celebrazione unitaria dei processi relativi alla società ed ai soci o ancora della celebrazione anche non unitaria di detti processi, purché, però, anche i soci fossero a conoscenza del processo instaurato dalla società. Come può facilmente intuirsi, la ragione di detto contemperamento è eminentemente pratica, per quanto rispettosa dei principi costituzionali sul contraddittorio soggettivo, dal momento che, nelle situazioni elencate, tutti i soggetti interessati, “inscindibilmente”, dalla vicenda sostanziale hanno, in concreto, nei gradi di merito, avuto la possibilità di esperire le proprie difese «parallelamente», sebbene non «simultaneamente» (viepiù nello stesso processo), in guisa da conto «globalmente» delle rispettive posizioni. Ad inaugurare detto contemperamento è Cass. V, n. 2907/2010, la formulazione della cui massima, già di per sé, rende ragione della difficoltà di trovare una sintesi tra rigorosa osservanza delle formalità e necessità di non sprecare attività processuali comunque esperite senza pregiudizio per alcuna delle parti. Detta massima, dunque, recita: «In tema di contenzioso tributario, l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci comporta, in linea di principio, la configurabilità di un litisconsorzio necessario, con l'obbligo per il giudice, investito dal ricorso proposto da uno soltanto dei soggetti interessati, di procedere all'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 14, pena la nullità assoluta del giudizio stesso. Qualora, però, l'avviso di accertamento sia stato impugnato autonomamente da tutti i soci e dalla società e, nei gradi di merito, i giudizi relativi, celebratisi separatamente, siano stati esaminati dallo stesso giudice in maniera strettamente coordinata, e decisi con un'identica motivazione, sì da potersi escludere ogni rischio di contrasto tra giudicati, la Corte di cassazione, dinanzi alla quale per la prima volta sia stata sollevata la questione della violazione dell'art. 14, può legittimamente disporre la riunione dei procedimenti, per connessione oggettiva ex art. 274 c.p.c., piuttosto che l'annullamento delle sentenze di merito, dovendo ritenersi rispettata la ratio del litisconsorzio necessario». Sul piano della speculazione teorica relativa al processo, è come se si delineasse una definizione sostanziale di litisconsorzio necessario contrapposta a quella consueta di carattere formale. Tra l'altro se ne dimostra avvertita la stessa giurisprudenza, allorquando proclama, a proposito del solito tema della rettifica del reddito di una società di persone e di quello di partecipazione dei soci, che «le pronunce riguardanti la società ed i soci adottate dallo stesso collegio in identica composizione, nella medesima circostanza e nel contesto di una trattazione sostanzialmente unitaria, implicano la presunzione che si sia realizzata una vicenda sostanzialmente esonerativa del litisconsorzio formale, sicché la parte ricorrente per cassazione, che lamenti la violazione del principio del necessario contraddittorio con riferimento al giudizio di primo grado, ha l'onere — in conformità al principio di autosufficienza del ricorso — di descrivere lo sviluppo delle procedure nel corso di quel grado» (Cass. VI, n. 12375/2016). Sempre speculativamente, il punto di approdo dell'elaborazione concettuale di cui si ragiona culmina nella rilevabilità finanche officiosa del giudicato relativo all'accertamento dei redditi sociali nel contesto della causa intentata dal socio di cui fa parola quella linea di giurisprudenza, già esaminata supra, per la quale nientemeno che «i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata impongono al giudice, anche in sede di legittimità, di rilevare d'ufficio l'esistenza di un eventuale giudicato esterno ..., anche prescindendo da eventuali allegazioni in tal senso delle parti ...» (Cass. V, n. 14014/2007, cit.). Diversamente dall'accertamento tributario sottoposto al vaglio giurisdizionale, l'accertamento con adesione concluso nei confronti di una società di persone, non si estende automaticamente all'accertamento consequenziale nei confronti dei soci (nella specie, divenuto inoppugnabile quanto al maggior reddito conseguito personalmente dal contribuente), in difetto di un'espressa previsione legislativa e stante la finalità della procedura stragiudiziale, volta ad evitare il contenzioso mediante strumenti equitativi che importano una riduzione degli importi altrimenti dovuti (Cass. V, n. 20200/2020). L'unitarietà dell'accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci, comporta l'estensione del contraddittorio processuale a tutti i soci ai sensi dell'art. 14 d. lgs. n. 546 del 1992, ma non anche di quelloendoprocedimentale, per il quale non sussiste un litisconsorzio necessario analogo a quello processuale. Ne consegue che la proposizione tempestiva dell'istanza di adesione da parte del singolo socio, al quale sia stato notificato l'accertamento riguardante la società, non è idonea a rimettere in termini quest'ultima rispetto all'istanza di adesione dalla stessa non tempestivamente formulata, determinando la definitività dell'accertamento, diversamente da quanto accade invece in caso di tempestiva istanza di adesione proposta dal socio con riguardo al reddito di partecipazione allo stesso imputato per trasparenza, avendo egli, in tal caso, autonomo interesse ad attivare tale modalità alternativa di possibile definizione del contenzioso tributario, ancorché la società non si sia avvalsa della medesima opzione quanto al reddito ad essa contestato (Cass. VI, n. 14227/2020). Segue ...vs. società di capitali a ristretta base sociale A differenza di quanto si potrebbe di primo acchito pensare, tutto quanto detto sin qui a proposito dei rapporti tra società di persone e relativi soci non si applica anche alle società di capitali, pur a ristretta base partecipativa, e relativi soci. Nondimeno, quanto alle seconde, è tutt'altro che processualmente irrilevante la circostanza in sé della ristretta base sociale, che per certi versi assimila la condizione dei soci a quella dei soci delle società di persone. Detta assimilazione si coglie nella regola eminentemente probatoria per cui, «in materia di imposte sui redditi, nell'ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell'assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale» (Cass. V, n. 15824/2016). Si tratta ora di vedere come la giurisprudenza abbia tratto le conseguenze di tale premesse sul piano processuale con riguardo all'estensione del contraddittorio in funzione della relazione tra accertamento relativo alla società ed accertamento relativo al socio. Lo stato dell'arte pare compiutamente descritto da Cass. VI, n. 4485/2016, secondo cui «l'accertamento relativo agli utili extracontabili della società, anche se non definitivo, è presupposto dell'accertamento presuntivo nei riguardi del singolo socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali, sicché l'impugnazione dell'accertamento «pregiudicante» costituisce, fino al passaggio in giudicato della pronuncia che lo riguarda, condizione sospensiva, ex art. 295 c.p.c., ai fini della decisione della lite sull'accertamento «pregiudicato» relativo al singolo socio, la cui esistenza e persistenza grava sul contribuente che la invochi sotto forma di allegazione e prova del processo scaturente dall'impugnazione del provvedimento impositivo». Attesa dunque la ricorrenza di un'ipotesi di pregiudizialità qualificata, l'operatività dell'art. 295 c.p.c. esclude che si versi in una situazione di litisconsorzio necessario. È escluso il litisconsorzio necessario anche nel giudizio di impugnazione dell'avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata. Non sussiste, in tale caso, litisconsorzio necessario tra società e soci, sussistendo unicamente il nesso di pregiudizialità-dipendenza tra l'accertamento sociale e quello dei soci. Il mancato intervento (in astratto) di uno dei soci della società di cui è stata predicata la ristretta base non comporta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (Cass. V, Ord., n. 94/2022). Sul piano della concorrenza di giudicati, il possibile conflitto è risolto alla luce del principio dell'efficacia riflessa del giudicato formatosi nella causa pregiudicante (come esplicitato da Cass. VI, n. 23899/2015, secondo cui «la sentenza, passata in giudicato, di accertamento negativo dell'utile extracontabile sociale, emessa nel giudizio tra una società di capitali a ristretta base sociale e l'Amministrazione finanziaria, fa stato, anche nei confronti del socio, in virtù dell'efficacia riflessa del giudicato, estesa ai soggetti estranei al processo, ma titolari di diritti dipendenti o subordinati alla situazione giuridica in esso definita, sicché risulta giustificato l'annullamento dell'avviso di accertamento verso quest'ultimo, di cui è venuto meno il presupposto»), con l'avvertenza, però, che detta efficacia riflessa non opera se la sentenza di annulla2mento dell'atto impositivo nei confronti di società coperta dal giudicato è fondata su motivi di rito, mancando un accertamento inconfutabile sull'inesistenza dei ricavi non contabilizzati e della relativa pretesa fiscale» (Cass. VI, n. 11680/2016). Litisconsorzio necessario, crediti previdenziali e legittimazione passiva del concessionario La legittimazione passiva del Concessionario sussiste nei casi in cui oggetto della controversia sia l'impugnazione di atti allo stesso direttamente riferibili. Quando si discute di riscossione di crediti previdenziali, la legittimazione a contraddire compete al solo ente impositore, anche quando si sostenga l'omessa notificazione della cartella recante il credito di cui si faccia valere l'inesistenza; la proposizione dell'azione nei confronti del concessionario non dà quindi luogo ai meccanismi di intervento per ordine del giudice o litisconsorzio necessario (cui agli artt. 107 o 102 c.p.c.), ma determina il rigetto del ricorso per carenza di legittimazione passiva, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. S.U., 7514/2022). Infatti, il difetto di legitimatio ad causam è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità, essendo la Corte di Cassazione dotata di poteri officiosi in tutte le ipotesi in cui il processo non poteva essere iniziato o proseguito. L'istituto della legittimazione ad agire o a contraddire in giudizio, c.d. legittimazione attiva o passiva, - invero - si ricollega al principio dettato dall'art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e comporta - trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza inutiliter data - la verifica, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, salvo che sulla questione sia intervenuto il giudicato interno, e in via preliminare al merito, con eventuale pronuncia di rigetto della domanda per difetto di una condizione dell'azione, circa la coincidenza dell'attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta. Da tale accertamento discende la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 382 c.p.c., comma 3, atteso che la causa non poteva essere proposta. Appunto, l'accertamento del difetto di legitimatio ad causam, eliminando in radice ogni possibilità di prosecuzione dell'azione, comporta, a norma dell'art. 382, ultimo comma, c.p.c., l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione. Cancellazione di una società dal registro delle imprese e litisconsorzio necessario La giurisprudenza si è occupata del fenomeno successorio che si produce in caso di estinzione di una società, anche in riferimento al litisconsorzio necessario. Innanzitutto, secondo la Suprema Corte, costituisce “diritto vivente” l'insegnamento secondo cui, qualora, all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l'obbligazione della società non si estingue, perché ciò sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci ed i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa (Cass. Sez. U., nn. 6070 e 6072 del 2013). Tale principio si pone in linea di continuità con il duplice insegnamento di Sez. U., n. 4060/2010, la quale, da un lato, ha stabilito che la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina l'immediata estinzione della società, indipendentemente dall'esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, soltanto nel caso in cui tale adempimento abbia avuto luogo in data successiva all'entrata in vigore dell'art. 4 D.Lgs. n. 6 del 2003, che, modificando l'art. 2495, comma 2, cod. civ., ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione, e, dall'altro lato, ha soggiunto che una lettura costituzionalmente orientata del predetto art. 2495, comma 2, cod. civ., come modificato, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l'estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripensamento della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità, nell'ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, ovvero con decorrenza dal 1° gennaio 2004, nell'ipotesi in cui essa abbia avuto luogo in data anteriore. Le considerazioni testé esposte portano con sé degli effetti processuali. Premesso che ai fini delle imposte sui redditi, l'imputazione per trasparenza ai soci di società di persone di maggiori redditi in derivazione da quello accertato in capo alla società determina, in sede di impugnazione, un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra gli uni e l'altra; “l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all'art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci - salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali - sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 14 d.lgs. 546/92 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio” (Cass. Sez. U., n. 14815/2008). Recentemente, viepiù, si è affermato che, “in tema di contenzioso tributario, il principio secondo cui in virtù dell'unitarietà dell'accertamento sussiste litisconsorzio necessario tra soci e società di persone, opera anche ove quest'ultima si estingua per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, atteso che, a seguito di tale evento, i soci succedono nella posizione processuale dell'ente estinto, venendosi a determinare, tra di essi, una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale” (Cass. V, n. 6285/2018). Nondimeno, alla stregua di consolidata giurisprudenza, “in tema di rettifica del reddito di una società di persone, l'inosservanza del litisconsorzio necessario tra la stessa ed i soci non spiega effetti quando le pronunce rese sui ricorsi siano sostanzialmente identiche ed adottate dallo stesso collegio nel contesto di una trattazione unitaria: ne deriva che la riunione dei giudizi può avvenire in sede di gravame, atteso che il rinvio al giudice di primo grado non sarebbe giustificato dalla necessità di salvaguardare il contraddittorio e si porrebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo” (Cass. VI, n. 3789/2018). Ancora, in relazione specificamente al giudizio di legittimità, s'è precisato che, “in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell'esistenza e del contenuto dell'atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: 1) identità oggettiva quanto a ‘causa petendi' dei ricorsi; 2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; 3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; 4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, la ricomposizione dell'unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall'art. 111, comma 2, Cost. e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), evitando che con la (altrimenti necessaria) declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l'osservanza di formalità superflue, perché non giustificate dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio” (Cass. V, n. 29843/2017). Litisconsorzio facoltativoIl d.lgs. n. 546/1992 non regola espressamente l'istituto del litisconsorzio facoltativo (Carnimeo, 1185). Tuttavia, alla luce del richiamo al c.p.c. effettuato dall'art. 1, comma 2, la giurisprudenza reputa generalmente applicabile l'art. 103 c.p.c. (Cass. V, n. 7940/2016). In particolare, vi sarebbe litisconsorzio facoltativo nel processo tributario in ipotesi in cui l'atto impositivo sia unitario con pluralità di destinatari, «ma l'impugnazione proposta da uno dei coobbligati non sia fondata su elementi impositivi comuni a tutti i destinatari» (Cass. V, n. 14378/2010). Del resto, al litisconsorzio facoltativo – pur'esso regolato dal comma 3 – si riferisce funditus il comma 6 dell'art. 14 in commento, a termini del quale «le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l'atto se per esse, al momento della costituzione, è già decorso il termine di decadenza» [tale è la posizione di Cass. V, n. 14378/2010, e di Cass. V, n. 22523/2007, degne di nota perché, in certo qual modo riassuntivamente, osservano «La nozione di litisconsorzio necessario, come regolato dall'art. 14 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha una dimensione eminentemente processuale, collegata all'inscindibilità dell'oggetto, e presuppone pertanto, in primo luogo, che la fattispecie costitutiva dell'obbligazione, rappresentata dall'atto autoritativo impugnato, presenti elementi comuni ad una pluralità di soggetti (e, quindi, si sia in presenza di un atto impositivo unitario, coinvolgente, nella unicità della fattispecie costitutiva dell'obbligazione, una pluralità di soggetti) e, in secondo luogo, che siano proprio gli elementi comuni ad essere posti a fondamento del ricorso proposto da uno dei soggetti obbligati. Il litisconsorzio facoltativo, regolato dal terzo comma del medesimo art. 14, ricorre quando pure si è in presenza di un atto impositivo unitario con pluralità di destinatari, ma l'impugnazione proposta da uno dei coobbligati non è fondata su elementi impositivi comuni a tutti i destinatari. E soltanto a quest'ultima ipotesi che si riferisce la previsione del comma sesto dell'art. 14, quando dispone che chiamati o intervenuti non possono impugnare autonomamente l'atto se per essi, al momento della costituzione, è già decorso il termine di decadenza]. In ideale derivazione dall'enunciata posizione di principio si è deciso che è ammissibile la proposizione di un unico ricorso da parte di più soggetti che, seppure destinatari di differenti cartelle esattoriali, ha ad oggetto «identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa» (Cass. V, n. 7940/2016; Cass. V, n. 4490/2013). Si parla in tal caso di litisconsorzio facoltativo improprio oppure di connessione “meramente intellettuale”. Nondimeno detta posizione non è unanimemente condivisa. In senso parzialmente difforme, si è sostenuto, meno recentemente, che la natura impugnatoria del processo tributario esclude l'ammissibilità di un ricorso collettivo e cumulativo da parte di più contribuenti titolari di separati rapporti giuridici d'imposta, «ancorché gli stessi muovano identiche contestazioni», essendo «necessario, invece, che vi sia un nesso specifico e concreto tra l'atto impugnato e le contestazioni mosse, tanto che le cause devono avere in comune sia questioni di diritto che di fatto» (Cass. V, n. 10578/2010, la quale ragiona sul terreno del possibile virtuale contrasto tra giudicati, con nota di Glendi, 21, 1726). Sul punto, c’è chi ritiene (FERLITO, 704) che sono ancora molte le sentenze di merito che si esprimono nel senso della incompatibilità con il rito tributario, di un simultaneus processus in cui le plurime domande sono tra loro connesse in senso “improprio”, ai sensi dell’art. 103 c.p.c., richiedendo la soluzione di “identiche questioni”. Tuttavia, le argomentazioni che da sempre accompagnano tale orientamento non poggiano su solide basi, ed anzi sono apertamente smentite dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione. E allora, secondo l’Autore, aderendo al consolidato indirizzo di legittimità, i Giudici di merito dovrebbero concludere nel senso della ammissibilità (per esempio) del ricorso formulato dal contribuente avverso le plurime cartelle di pagamento assunte come non notificate. Si tratta infatti di una ipotesi in cui le diverse azioni volte all’annullamento dei singoli atti impositivi, pur logicamente autonome e rivolte a diverse controparti (i diversi Enti impositori che hanno effettuato le iscrizioni a ruolo, oltre che l’Agente della Riscossione), sono legate da un vincolo di connessione impropria in quanto richiedono al Giudice la risoluzione di almeno una questione comune a tutte, relativa alla mancata notifica delle cartelle di pagamento. Litisconsorzio facoltativo e il presupposto della solidarietà. Il caso dell'imposta di registro sugli atti giudiziari. In tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, prevede che oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l'atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell'imposta le parti contraenti, le parti in causa , coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli artt. 12 e 19 e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di cui agli artt. 633, 796, 800 e 825 del Codice di procedura civile. La Suprema Corte (Cass. V, Ord. n. 29158/2018) ha affermato che "In tema di imposta di registro su atti giudiziari, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, nella parte in cui prevede che sono tenute al pagamento dell'imposta di registro le parti in causa, deve intendersi riferito a tutti coloro che abbiano preso parte al giudizio, nei confronti dei quali la pronuncia giurisdizionale si è espressa nella parte dispositiva e la cui sfera giuridica sia in qualche modo interessata dagli effetti di tale decisione, in quanto la finalità di detta norma è quella di rafforzare la posizione dell'erario nei confronti dei contribuenti in vista della proficua riscossione delle imposte, salvo il diritto per ciascuno di essi di rivalersi nei confronti di colui che è civilmente tenuto al pagamento" (principio espresso, recentemente, anche da Cass. V, Ord. n. 21700/2021). Da tali principi si evince che, ferma la natura solidale ex art. 57 cit., della responsabilità tributaria per il pagamento dell'imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa in un giudizio con pluralità di parti, essa, però, non grava, quando si tratti di litisconsorzio facoltativo, sui soggetti che non siano parti del rapporto sostanziale oggetto del giudizio, assumendo rilievo non la sentenza in quanto tale, ma il rapporto racchiuso in essa, quale indice di capacità contributiva. Ed invero, ai fini dell'imposta in esame il presupposto della solidarietà non rileva la mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo al rapporto considerato nella sentenza (Cass. VI-5, Ord. n. 21134/2014; analogamente si è espressa Cass. V, n. 25790/2014, secondo cui, ai fini dell'imposta di registro, occorre avere riguardo al rapporto sostanziale, in quanto è esso ad essere l'indice della capacità contributiva colpita dall'imposta), dovendosi, invece, avere riguardo esclusivamente alla situazione sostanziale che ha dato causa alla sentenza registrata. In caso di litisconsorzio facoltativo, infatti, pur nell'identità delle questioni, ben può permanere l'autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici, delle singole causae petendi e dei singoli petita, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte. In sostanza, ai fini dell'individuazione del soggetto passivo di imposta in tali casi ciò che conta è il rapporto oggetto della sentenza, quale indice di capacità contributiva, di talché il presupposto della solidarietà non può essere individuato nella mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo al rapporto considerato nella sentenza. Per individuare il corretto trattamento tributario è necessario indagare il contenuto del dispositivo della sentenza e verificare nei confronti di quali parti la pretesa attorea è stata riconosciuta e - quindi - quali parti siano da considerare rilevanti ai fini del giudicato della sentenza. Ne deriva che la parte convenuta nel processo civile, nei cui confronti la domanda sia stata rigettata per l'accertata estraneità al rapporto sostanziale ivi dedotto, non può considerarsi soggetto passivo dell'obbligazione tributaria derivante dalla registrazione della relativa sentenza. Il principio volto a differenziare la posizione delle parti in relazione alla effettiva capacità contributiva è stato espresso dalla Corte di Cassazione anche per le ipotesi in cui la domanda abbia ad oggetto una richiesta solidale di risarcimento del danno, che venga accolta soltanto nei confronti di alcuni convenuti: "nel caso in cui un giudizio di risarcimento del danno promosso nei confronti di una pluralità di soggetti asseritamente concorrenti nella produzione di un fatto illecito si concluda con la condanna soltanto di alcuni convenuti, ed il rigetto della domanda nei confronti degli altri, questi ultimi non sono solidalmente responsabili per il pagamento dell'imposta proporzionale di registro relativa alla statuizione della condanna, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, vertendosi in ipotesi di litisconsorzio facoltativo, con la conseguente autonomia dei rapporti giuridici cui si riferiscono le statuizioni contenute nella sentenza, e non trovando applicazione il citato D.P.R. n. 131, art. 21, in quanto non sussiste alcun legame di derivazione necessaria tra la statuizione di condanna e quella di reiezione della domanda, fondata su distinte valutazioni risultanti da una ricostruzione dei fatti diversa da quella prospettata dall'attore, e non vi è alcun rapporto sostanziale tra quest'ultimo ed i convenuti vittoriosi, ma un mero rapporto processuale il cui contenuto economico, limitato alle spese processuali ovvero all'ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., è estraneo a quello in funzione del quale è liquidata l'imposta pretesa dal Fisco" (Cass. V, n. 14112/2010). La nuova ipotesi di litisconsorzioLa legge delega di riforma fiscale (9 agosto 2023, n. 111, recante “Delega al Governo per la riforma fiscale”) prevede all'articolo 19 una serie di principi e criteri direttivi per la revisione della disciplina e l'organizzazione del contenzioso tributario (pe il dettaglio, si rinvia sub art. 12, par. 10). In attuazione della delega cit., è stato emanato il Decreto legislativo 30/12/2023, n. 220, recante “Inizio modulo Fine modulo Disposizioni in materia di contenzioso tributario” (pubblicato nella G.U. 3 gennaio 2024, n. 2). Le nuove disposizioni apportano una serie di modifiche al decreto legislativo n. 31 dicembre 1992, n. 546. In attuazione del criterio direttivo di cui all'articolo 19, comma 1, lettera a), per deflazionare il contenzioso e garantire in ogni caso una maggiore effettività della tutela, viene introdotta una nuova ipotesi di litisconsorzio, mediante l'inserimento all'interno dell'articolo 14, del nuovo comma 6-bis che stabilisce, in caso di vizi della notificazione eccepiti nei riguardi di un atto presupposto emesso da un soggetto diverso da quello che ha emesso l'atto impugnato, il ricorso è sempre proposto nei confronti di entrambi i soggetti. In tal modo si opera una concentrazione in un unico processo di una fattispecie che in passato aveva generato una pluralità di giudizi paralleli. Si ricordi, a tal proposito, che la Cassazione ha sempre escluso in questa ipotesi l'obbligo di integrazione del contradditorio.Nella versione pre-vigente del testo normativo, infatti, era previsto che, quando l'oggetto del ricorso riguardasse inscindibilmente più soggetti, questi dovessero essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non potesse essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. Tuttavia, la normativa non regolava puntualmente i casi di litisconsorzio riguardanti le contestazioni relative alla notifica di un atto presupposto emesso da soggetto diverso rispetto a quello che aveva emanato l'atto impugnato. Tale nuovo comma, introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. d), D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220, a decorrere dal 4 gennaio 2024 (ai sensi di quanto disposto dall'art. 4, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 220/2023), a norma dell'art. 4, comma 2, del citato D.Lgs. n. 220/2023, si applica ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal 5 gennaio 2024. BibliografiaAlbertini, Generale ammissibilità dell'intervento adesivo dipendente nel processo tributario, in Giur. it. 2014, 2, 321; Carnimeo, Applicabile anche nel processo tributario l'art. 103 c.p.c. in tema di litisconsorzio facoltativo, in Boll. trib. inf. 2014, 15/16, 1185; Carpi-Taruffo, sub. art. 105, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2015, 444; Dalfino, In tema di intervento adesivo dipendente nel processo tributario: una condivisibile apertura della Cassazione, in Il Foro. it. 2014, 4, 1230; Frasca, Intorno al litisconsorzio necessario nel processo tributario (riflessioni a margine della sentenza delle Sezioni Unite n. 1052/2007 con riguardo alle controversie sulla imputazione al socio di società di persone del reddito della società), in Riv. dir. trib. 2008, 2, 84; Glendi, Processo tributario - Litisconsorzio e intervento - Litisconsorzio facoltativo improprio - Questioni comuni in diritto e in fatto - Necessità - Istanza di rimborso IRAP per mancanza di autonoma organizzazione presentata da più professionisti - Ricorso collettivo e cumulativo - Inammissibilità, in Corr. trib. 2010, 21, 1726; Manoni, L'intervento del terzo nel processo tributario, in Il Fisco 2012, 46, 7369; Randazzo, Gli incerti confini del litisconsorzio necessario nel processo tributario, in Riv. giur. trib., 2015, 1, 34; Rossi, Frammentazione delle controversie sul medesimo oggetto e litisconsorzio necessario - Deciso intervento delle Sezioni unite, in Il Fisco 2007, 6, 882; Ferlito, Resistenze giurisprudenziali al riconoscimento del litisconsorzio facoltativo improprio nel rito tributario, in Dir. e prat. trib., 2020, 2, 704 |