Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 29 - Riunione dei ricorsi.

Ernestino Bruschetta

Riunione dei ricorsi12.

1. In qualunque momento il presidente della sezione dispone con decreto la riunione dei ricorsi assegnati alla sezione da lui presieduta che hanno lo stesso oggetto o sono fra loro connessi.

2. Se i processi pendono dinanzi a sezioni diverse della stessa commissione il presidente di questa, di ufficio o su istanza di parte o su segnalazione dei presidenti delle sezioni, determina con decreto la sezione davanti alla quale i processi devono proseguire, riservando a tale sezione di provvedere ai sensi del comma precedente.

3. Il collegio, se rileva che la riunione dei processi connessi ritarda o rende più gravosa la loro trattazione, può, con ordinanza motivata, disporne la separazione.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 77 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

Inquadramento

Le disposizioni contenute nell'art. 29, comma 1 e 2 disciplinano la riunione di ricorsi pendenti davanti allo medesimo giudice «che hanno lo stesso oggetto o sono fra loro connessi» — consentendo perciò che possa essere celebrato un simultaneus processus - soddisfacendo quindi quelle che sono evidenti esigenze di economia processuale compresa quella di evitare contrastanti giudicati. E questo è tanto vero che quando le ridette esigenze di economia processuale non siano o non siano più ravvisabili — e cioè quando ai sensi dell'art. 29, comma 3 «la riunione dei processi connessi ritarda o rende più gravosa la loro trattazione» — può essere ordinata la loro separazione.

La La riunione di più cause originariamente separate, in ragione della connessione di petitum e causa petendi propri di ciascuna di esse o della identità delle questioni da trattare, non comporta il venir meno dell'autonomia dei singoli giudizi e dei rispettivi titoli, di modo che la sentenza che li definisce, pur se formalmente unica, consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite” (Cass. II,, n. 24086/2010). “I provvedimenti che decidono sulla riunione o separazione delle cause sono atti processuali di carattere meramente preparatorio, privi di contenuto decisorio sulla competenza, ed insindacabili in sede di gravame, in quanto la valutazione dell'opportunità della trattazione congiunta delle cause connesse è rimessa alla discrezionalità del giudice innanzi al quale i procedimenti pendono”. (Cass. V, ord. n. 24496/2014, a proposito di C.t.r. che aveva disposto, con ordinanza priva di motivazione, la separazione di procedimenti già riuniti nel grado precedente). “Il provvedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l'autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni. Ne consegue che la congiunta trattazione di plurimi ricorsi lascia integra la loro identità, tanto che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve nella somma di altrettante pronunce quante sono le cause decise, mentre la liquidazione delle spese giudiziali va operata in relazione a ciascun giudizio, atteso che solo in riferimento alle singole domande è possibile accertare la soccombenza, non potendo essere coinvolti in quest'ultima soggetti che non sono parti in causa”. (Cass. I, n. 15860/2014).

Litispendenza, continenza e connessione

Le cause sono identiche quando hanno in comune tutti gli elementi costitutivi. E cioè quando sono identiche le parti, la causa petendi e il petitum e in questo modo dando luogo alla litispendenza tra cause o a continenza quando per es. il solo petitum è chiesto in misura minore (Mandrioli, I, 152).

Quando invece le cause hanno in comune uno o più elementi — ma non tutti — si dicono connesse. Sono connesse soggettivamente le cause tra parti identiche ma che hanno diversi il titolo e il petitum. Sono invece connesse oggettivamente le cause che hanno in comune il titolo o il petitum — o anche le cause che hanno in comune identiche questioni di fatto o diritto dalle quali dipende la decisione cosiddetta connessione oggettiva impropria — in cui però le parti sono diverse (Mandrioli, I, 175).

Anche la giurisprudenza per l'essenziale — seppur attraverso l'inevitabile particolarità delle concrete fattispecie trattate — condivide con la dottrina le medesime regole di distinzione laddove è stato per es. affermato che «mentre la litispendenza presuppone che fra due o più cause vi sia identità non soltanto dei soggetti ma anche del petitum e della causa petendi — il primo, inteso come bene della vita di cui si chiede la tutela, il secondo, quale fatto costitutivo del diritto azionato — la continenza ricorre in presenza di cause caratterizzate da identità di parti e di titolo, e da una differenza solo quantitativa dell'oggetto o anche per l'esistenza fra le stesse di un rapporto d'interdipendenza — con riferimento a un unico rapporto negoziale — domande contrapposte o in relazione di alternatività e caratterizzate da una coincidenza soltanto parziale delle causae petendi; d'altra parte, per dar luogo alla competenza per connessione prevista dall'art. 40 c.p.c., non è sufficiente una qualsiasi relazione di interdipendenza fra due cause pendenti dinanzi a giudici diversi, ma è necessario che ricorra uno dei rapporti previsti dagli art. 31 ss. c.p.c.» (Cass. III, n. 722/2006; Cass. II, n. 7144/2004).

L'unico ampliamento della fattispecie da segnalare è quindi quello relativo alla continenza di cause che per la giurisprudenza si realizza — oltre che nel caso in cui le cause siano caratterizzate da identità di soggetti e titolo e da una differenza soltanto quantitativa dell'oggetto — anche quando tra le liti esista un rapporto giuridico di interdipendenza come nella ipotesi in cui rispetto ad un unico rapporto siano state proposte domande contrapposte ovvero come nell'ipotesi di proposizione di domande alternative aventi parziale coincidenza di causa petendi (Cass. I, n. 4089/2007; Cass. III, n. 27710/2005).

La litispendenza quale criterio attributivo della competenza in deroga a quelli ordinari nel processo civile

Nel processo civile l'art. 39 c.p.c. risolve il fondamentale problema di stabilire quale sia — tra i diversi giudici presso cui pendono cause identiche o in rapporto di continenza — quello tra di essi tenuto a deciderle. E cioè quale dei diversi giudici sia competente a deciderle tutte.

Problema che con riguardo alla litispendenza viene ex art. 39, comma 1, c.p.c. risolto mediante il criterio della prevenzione — quest'ultima determinata «dalla notificazione della citazione ovvero dal deposito del ricorso» — che consentendo la celebrazione di un silmultaneus processus permette di evitare il potenziale contrasto di giudicati. Con il residuo dubbio — sempre nel processo civile — di stabilire se il giudice successivamente adito debba obbligatoriamente dichiarare la litispendenza anche quando ritenga di essere competente. Dubbio che risulta in dottrina in prevalenza chiarito nel senso che il giudice successivamente adito deve dichiarare comunque la litispendenza disponendo la cancellazione della causa dal suo ruolo (Ricci, 81; Mandrioli, I, 280; contra, Franchi, 406).

Di recente le sezioni unite — in sintonia con l'appena rammentata prevalente dottrina — hanno affermato il principio secondo cui il criterio della prevenzione deve trovare obbligatoria applicazione anche quando il giudice successivamente adito ritenga di essere competente e pure nel caso in cui ritenga di essere «funzionalmente ed inderogabilmente competente». E ciò per il motivo che l'istituto della litispendenza risponde «all'esigenza di evitare la contemporanea pendenza di due giudizi con gli stessi elementi processuali — e dunque un'inammissibile duplicità di azioni giudiziarie in relazione al medesimo diritto soggettivo — con conseguente pericolo di contraddittorietà di giudicati» (Cass. S.U., n. 17443/2014; che ha così ribadito l'anteriore giurisprudenza, per la quale nemmeno la competenza funzionale ed inderogabile del giudice preventivamente adito era d'ostacolo all'applicazione del criterio della prevenzione, cfr. Cass. S.U., n. 9409/1994; Cass. I, n. 16724/2002). La ricordata giurisprudenza sembra quindi smentire quella delle sezioni semplici della corte che da non molto avevano al contrario statuito — in fattispecie di litispendenza tra cause introdotta la seconda con opposizione a decreto ingiuntivo e la prima diversamente introdotta — che «la competenza funzionale del giudice che ha emesso l'ingiunzione è inderogabile ed immodificabile, anche per ragioni di litispendenza, continenza o connessione» (Cass. VI, n. 16454/2015; Cass. II, n. 10384/2008).

La litispendenza quale criterio attributivo della competenza in deroga a quelli ordinari nel processo tributario

La dottrina che ammette la possibilità che presso commissioni tributarie differenti possano pendere identiche cause, ritiene che il pericolo di potenziali contrasti di giudicato non possa essere rimediato ex art. 39, comma 1, c.p.c.E cioè con l'applicazione del criterio della prevenzione che — permettendo la celebrazione di un simultaneus processus - costituisce in effetti strumento idoneo ad evitare il ridetto contrasto di giudicati. La negativa soluzione è stata giustificata sostenendo che all'applicazione dell'art. 39, comma 1, c.p.c. sarebbe d'ostacolo la generale clausola di compatibilità di cui all'art. 2, comma 2. E ciò nel senso che la previsione di inderogabilità della competenza territoriale delle commissioni contenuta nell'art. 5, comma 1 e 2 impedirebbe — allo stesso modo per cui per le sezioni semplici la competenza funzionale inderogabile del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo impedirebbe l'applicazione del criterio della prevenzione — il simultaneus processus.

E con la finale conclusione che, nei casi di litispendenza, non esisterebbero rimedi certi utilizzabili ad evitare il potenziale contrasto di giudicati (Turchi, 339; Finocchiaro, Finocchiaro, 531; per l'applicabilità nel processo tributario dell'art. 39 c.p.c., v. però BatistoniFerrara, Bellè, 118).

A diversa conclusione arriva invece altra parte della dottrina — per la quale sarebbe addirittura impossibile la stessa pendenza di identiche cause davanti a giudici tributari diversi — e questo perché il carattere impugnatorio del procedimento determinerebbe la «consumazione» del potere di impugnare una seconda volta il medesimo atto fiscale (Glendi, 520).

Nella giurisprudenza della cassazione l'applicabilità dell'art. 39 c.p.c. nel processo tributario — in caso di litispendenza — risulta affermata soltanto in obiter anche perché le controversie avevano in realtà a riguardo fattispecie di continenza di cause per ragioni di interdipendenza giuridica. In particolare all'applicabilità dell'art. 39 c.p.c. nel processo tributario non è stata ritenuta di ostacolo la generale clausola di compatibilità di cui all'art. 1, comma 2, ma deve sottolinearsi che presso la giurisprudenza di legittimità non si rinvengono dirette conferme circa l'attribuzione di competenza in deroga ai criteri ordinari per ragioni di litispendenza ex art. 39, comma 1, c.p.c. (Cass. V, n. 14281/2000; Cass. V, n. 4509/2000).

La continenza quale criterio attributivo della competenza in deroga a quelli ordinari nel processo civile

Anche per la continenza si pone l'identico problema di evitare contrastanti giudicati. Problema che viene risolto dall'art. 39, comma 2, c.p.c. ancora a mezzo della prevenzione, che appunto determina il giudice davanti al quale dovrà celebrarsi il simultaneus processus. Solamente che trattandosi di cause tra di loro differenti non è possibile disporre sic et simpliciter la cancellazione di quella successiva — come per la litispendenza — cosicché dall'art. 39, comma 2, c.p.c. è stato stabilito che il giudice successivamente adito debba dichiarare la continenza e fissare il termine per la riassunzione della controversia davanti al primo giudice. Peraltro la continenza dà luogo a una ulteriore difficoltà, atteso che per ciascuna causa potrebbero essere competenti giudici differenti. Per questa ragione l'art. 39, comma 2, c.p.c. ha previsto che il giudice preventivamente adito che non sia competente «anche per la causa successivamente proposta» debba spogliarsi della controversia (Mandrioli, I, 281; Lorenzetto Peserico, 108).

In dottrina esiste consenso circa l'impossibilità che la continenza — quale criterio di attribuzione della competenza in deroga a quelli ordinari — possa operare quando le cause pendano in differenti gradi di giudizio (Mandrioli, I, 282; Lorenzetto Peserico, 99).

Come s'è veduto il criterio della prevenzione — in caso di continenza di cause — non è destinato a operare quando il giudice preventivamente adito non sia competente anche per quella successivamente proposta. Secondo la giurisprudenza spetta al giudice successivamente adito verificare se il primo giudice — oltre che essere competente per la causa successivamente introdotta — sia anche competente con riguardo alla causa preventivamente introdotta (Cass. S.U., n. 15905/2006; Cass. III, 17967/2002).

L'orientamento della giurisprudenza è nel senso che la competenza rilevante — ai fini della continenza — è quella «per materia, territorio, derogabile e inderogabile, e valore» (Cass. VI, n. 10584/2016; Cass. III, n. 29570/2008). Tuttavia secondo quello che è l'attuale indirizzo della giurisprudenza in ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo - quindi in ipotesi di competenza funzionale — il giudice dell'opposizione dovrà dichiarare la nullità dell'ingiunzione fissando il termine per la riassunzione davanti al giudice preventivamente adito (Cass. VI, n. 15532/2011; Cass. VI, n. 13287/2011).

Anche per la giurisprudenza la continenza — quale criterio attributivo della competenza in deroga a quelli ordinari — non opera quando le cause pendano in differenti gradi di giudizio (Cass. III, n. 16446/2009; Cass. I, n. 18819/2004). E nemmeno — la continenza quale criterio attributivo della competenza in deroga a quelli ordinari — opera quando una delle due cause sia già passata in decisione (Cass. I, n. 12843/2005).

La continenza quale criterio attributivo della competenza in deroga a quelli ordinari nel processo tributario

La scarsa dottrina che ha esaminato il tema della continenza di cause fiscali pendenti davanti a commissioni diverse, non ritiene possibile che la ridetta continenza di cause possa operare come criterio attributivo della competenza in deroga a quelli ordinari. E questo sempre per la ragione che gli artt. 4 s. stabiliscono come inderogabile la competenza territoriale del giudice tributario (Turchi, 340; Finocchiaro, Finocchiaro, 531).

Come già ricordato sub art. 18, le non frequenti decisioni soltanto in obiter riconoscono possibile — in caso di continenza di cause tributarie — l'attribuzione della competenza in deroga agli ordinari criteri in applicazione della disciplina contenuta nell'art. 39, comma 2, c.p.c. (le prime affermazioni, risalgono a Cass. V, n. 14281/2000; Cass. V, n. 4509/2000). Giurisprudenza che invero con certezza afferma esclusivamente che — quando il simultaneus processus non sia realizzabile perché per es. la causa contenente e quella contenuta pendono in gradi di giudizio diversi — il rimedio al potenziale contrasto di giudicati sarebbe da rinvenirsi nella sospensione necessaria cosiddetta interna alla giurisdizione tributaria ex art. 295 c.p.c. adesso espressamente prevista dal riformato art. 39 d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass. V, n. 10509/2002; Cass. V, n. 14281/2000). Dalla giurisprudenza mai è stato quindi direttamente stabilito che nel processo tributario la continenza di cause fiscali possa modificare la competenza territoriale inderogabile delle commissioni stabilita dagli artt. 4 ss.

La connessione quale criterio attributivo della competenza in deroga a quelli ordinari nel processo civile

La connessione — con le regole di rito di cui all'art. 40 c.p.c. — può agire quale criterio attributivo della competenza «in linea di massima» soltanto in deroga alla competenza per valore o per territorio ordinari.

In effetti in caso di connessione soggettiva di cause — che ex art. 104, comma 1, c.p.c. dà luogo al cumulo oggettivo delle stesse in ragione alla diversità di petitum e di causa petendi - l'art. 10, comma 2, c.p.c. prevede che per stabilire quale sia il giudice competente a celebrare il simultaneus processus debba unicamente «sommarsi» il valore di ciascuna delle domande proposte. Ciò che all'evidenza presuppone che il ridetto giudice del simultaneus processus debba anche essere territorialmente competente per tutte le controversie soggettivamente connesse o quanto meno che vi sia stata ai sensi dell'art. 28 c.p.c. adesione delle parti alla deroga territoriale. E di qui la finale conclusione per cui la connessione soggettiva di cause — quale criterio attributivo della competenza — non possa operare in deroga alla competenza per materia e funzionale (Mandrioli, I, 283).

Invece in ipotesi di connessione oggettiva — che dà luogo al cumulo soggettivo di cause ex art. 103 c.p.c. in ragione della identità di petitum o di causa petendi — l'ordinaria competenza territoriale può essere derogata stabilendosi innanzitutto in via generale dall'art. 33 c.p.c. che giudice del simultaneus processus possa essere quello «di residenza o domicilio» di una delle parti. Laddove gli artt. 31 e s. c.p.c. — in relazione alla connessione oggettiva tra cause in rapporto di accessorietà o di garanzia — permettono la celebrazione del simultaneus processus anche in deroga agli ordinari criteri di competenza per valore (Mandrioli, I, 286).

La connessione quale criterio attributivo della competenza in deroga a quelli ordinari nel processo tributario

La poca dottrina che si è occupata della questione non ammette l'applicabilità dell'art. 40 c.p.c. E questo sempre per la ragione che — siccome dagli artt. 4 s. la territoriale competenza tributaria è prevista come inderogabile — quest'ultima non potrebbe essere modificata per ragioni di connessione (Turchi, 342; Finocchiaro, Finocchiaro, 531).

Litispendenza, continenza e connessione di cause e la loro riunione

Cause identiche — o tra di loro in rapporto di continenza o di connessione — possono inoltre pendere davanti ad uno stesso giudice civile inteso quest'ultimo come stesso ufficio giudiziario. Anche in questo caso — per le medesime già vedute esigenze di economia processuale e per evitare contrastanti giudicati — è quindi consentita la celebrazione del simultaneus processus senza però più la necessità di derogare agli ordinari criteri di competenza bastando invece un semplice provvedimento di riunione secondo le regole stabilite dagli artt. 273 s. c.p.c. La litispendenza, la continenza e la connessione smettono perciò di essere criteri attributivi della competenza in deroga a quelli ordinari (Mandrioli, I, 288).

Nella sua sostanza l'art. 29 in commento replica — sempre per le medesime già vedute finalità di dare «attuazione all'esigenza di economia dei giudizi e di uniformità dei giudicati» — il contenuto degli artt. 273 s. c.p.c. disciplinando appunto la riunione di ricorsi identici o tra di loro in rapporto di continenza o connessione pendenti davanti alla stessa sezione o davanti a più sezioni della stessa commissione tributaria (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 161; Finocchiaro, Finocchiaro, 531; Bartolini, Repregosi, 189; Russo, 455). Con la precisazione — attesa la lettera dell'art. 29, comma 1, che prevede espressamente la riunione di ricorsi che hanno «lo stesso oggetto o sono fra loro connessi» — che la connessione può essere oggettiva in relazione ad un unico rapporto tributario coinvolgente più soggetti ovvero soggettiva ad es. in relazione al medesimo tributo accertato nei confronti di uno stesso soggetto per annualità diverse ecc. ovvero impropria cioè con riferimento alla opportunità di risolvere in modo uniforme identiche questioni di fatto o diritto (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 161; Finocchiaro, Finocchiaro, 531; BatistoniFerrara, Bellè, 115; Bartolini, Repregosi, 189; Bellagamba, 132).

Anche per la giurisprudenza — come per la dottrina processuale civile e tributaria — la litispendenza e la continenza e la connessione costituiscono criteri attributivi della competenza in deroga a quelli ordinari «soltanto tra cause pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi». Laddove invece — quando le stesse pendono «dinanzi al medesimo ufficio» — per la loro riunione debbono trovare applicazione gli artt. 273 s. c.p.c. e 29 in commento (Cass. I, n. 2180/2016; Cass. III, n. 9510/2010; Cass. trib. n. 27343/2005; Cass. V, n. 5595/2003). Parimenti — per la giurisprudenza — la connessione che consente la riunione qui all'esame può essere sia oggettiva che soggettiva e anche impropria (Cass. V, n. 7940/2016; Cass. V, n. 22657/2014; Cass. V, n. 4490/2013).

La riunione di ricorsi pendenti davanti alla medesima commissione tributaria regionale

In ragione del generale richiamo contenuto nell'art. 61 — e non ravvisando contrasto alcuno con l'ampia clausola di salvaguardia per incompatibilità introdotta nel medesimo articolo — la dottrina ammette la riunione ex art. 29 anche davanti alla commissione tributaria regionale nella sussistenza degli stessi veduti presupposti costituiti dalla simultanea pendenza di ricorsi identici o tra di loro in rapporto di continenza o connessione seppure decisi in primo grado con separate sentenze (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 161; Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 531; BatistoniFerrara, Bellè, 187). Ciò che si ritiene invece assolutamente proibito — atteso che ciò comporterebbe la perdita del «doppio grado di giurisdizione» — è disporre la riunione di ricorsi pendenti in diverso grado (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 161; Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 531; BatistoniFerrara, Bellè, Diritto tributario, 172; Bartolini, Repregosi, Il codice, 189).

Anche la giurisprudenza è arrivata ai medesimi risultati avendo in effetti riconosciuto come davanti alla commissione tributaria regionale non possa essere d'ostacolo alla riunione ex art. 29 la circostanza che i ricorsi siano stati decisi in primo grado con separate sentenze (Cass. V, n. 6936/2011; Cass. V, n. 2013/2003), nonché avendo più volte affermato che l'impossibilità di riunione di ricorsi pendenti in diverso grado può trovare unico rimedio nella sospensione necessaria della lite pregiudicante ai sensi dell'art. 295 c.p.c. e ora ai sensi dell'art. 39 del processo tributario (Cass. V, n. 27686/2013; Cass. V, n. 9203/2007).

Il carattere facoltativo del provvedimento di riunione ex art. 29

La prevalente dottrina ritiene che il provvedimento di riunione all'esame abbia carattere facoltativo in quanto semplicemente ordinatorio del procedimento — cioè non incidente sulla decisione della causa — con la conseguenza che il non averlo disposto pur in presenza dei presupposti che l'avrebbero legittimato non costituirebbe vizio impugnabile dell'attività del giudice comportante nullità del processo (Finocchiaro, Finocchiaro, 531; Bellagamba, 131; BatistoniFerrara, Bellè, 117; Bartolini, Repregosi, Il codice, 189; Russo, 455; cospicua, è però anche la tesi contraria, v. per es. Glendi, 511; Rau, Alemanno, 122).

La giurisprudenza — le poche volte che ha avuto diretta occasione di farlo — si è comunque sempre espressa nel senso della natura discrezionale del provvedimento di riunione, dalla quale ha fatto agevolmente discendere la non impugnabilità della sua omissione pur in presenza dei presupposti che l'avrebbero permessa (Cass. V, n. 9773/2008; Cass. V, n. 7645/2006). Differente questione è invece all'evidenza quella di cause connesse tra di loro in rapporto di pregiudizialità necessaria per le quali secondo la giurisprudenza — in mancanza di riunione — dovrebbe obbligatoriamente disporsi la sospensione necessaria della causa tributaria pregiudicante ai sensi dell'art. 295 c.p.c. ora art. 39 quale unica soluzione idonea ad evitare contrasto di giudicati. Cosicché per la giurisprudenza — quando si verifica questa situazione e la sospensione necessaria in parola non venga disposta — il giudice incorre in un vizio di attività comportante nullità del processo con la conseguente impugnabilità della sentenza per tale motivo (Cass. V, n. 9203/2007; Cass. V, n. 27343/2005).

La «autonomia» dei ricorsi riuniti ex art. 29

In dottrina sembra condivisa l'affermazione secondo cui i ricorsi — sebbene riuniti — non perdono la loro «autonomia». E questo nel senso per es. che le prove debbono essere raccolte con riguardo a ciascun ricorso e che ciascun ricorso può essere singolarmente impugnato (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 163; Finocchiaro, Finocchiaro, 534; Bartolini, Repregosi, 209).

Anche dalla poca giurisprudenza disponibile sul tema è stato affermato che la riunione di cause connesse non fa venir meno la loro autonomia, principio che per es. è stato declinato nel senso che la posizione di ciascuna delle parti rimane distinta dalle altre con la conseguenza che la sentenza che definisce i riuniti ricorsi «pur formalmente unica, consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite» che possono singolarmente impugnarsi (Cass. V, n. 11149/2006; Cass. V, n. 5595/2003; nel processo civile ordinario l'autonomia delle distinte cause riunite, ha per es. comportato anche il riconoscimento della possibilità di rinunciare agli atti del giudizio con riferimento ad una sola di esse, v. Cass. II, n. 4451/1984).

Riunione di ricorsi pendenti davanti alla medesima sezione

L'art. 29, comma 1 disciplina il procedimento di riunione di ricorsi pendenti davanti ad una medesima sezione di commissione tributaria stabilendo che sia il suo presidente «con decreto» a disporla «in qualunque momento» e quindi anche quando le cause siano già in corso di trattazione (Perrucci, 1993, 203). La valutazione della dottrina è in genere che trattasi di una soluzione opportuna soprattutto in relazione al preliminare esame dei ricorsi che l'art. 27 ancora affida al presidente della sezione, perché ciò permetterebbe in questa sede la più pronta riunione (Finocchiaro, Finocchiaro, 532; Rau, Alemanno, 122; Bellagamba, 132). Si ritiene — sebbene ciò non sia stato ex lege espressamente previsto — che il presidenziale decreto di riunione debba essere comunicato alle parti (Blandini, 190; Campeis, De Pauli, 223).

La dottrina ammette però molto a ragione che — in ovvia presenza dei presupposti richiesti dall'art. 29 — alla riunione possa provvedere con ordinanza anche il collegio davanti al quale i ricorsi siano già stati fissati per la trattazione ai sensi dell'art. 30. In tal modo riconoscendo al giudicante una completa signoria sui ricorsi, invero sicuramente ricavabile dall'art. 29, comma 3 che permette al collegio la separazione degli stessi senza che ciò comporti alcun conflitto con il precedente decreto presidenziale di riunione. Un decreto presidenziale di riunione che appare quindi largamente discrezionale — e quindi insindacabile dalle parti - e come del resto sono all'evidenza anche tutti i provvedimenti collegiali in materia siano essi di riunione o di separazione di ricorsi (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 163; Finocchiaro, Finocchiaro, 533; Bartolini, Repregosi, 190).

La dottrina — anche se non espressamente previsto — non esclude che il carattere officioso del provvedimento di riunione possa essere sollecitato a mezzo di istanza anche orale delle parti (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 163; Finocchiaro, Finocchiaro, 533).

Sulla natura discrezionale — e quindi insindacabile — del provvedimento di riunione v. la giurisprudenza già ricordata supra.

Riunione di ricorsi pendenti davanti alla medesima commissione

L'art. 29, comma 2 disciplina il procedimento di riunione di ricorsi pendenti «dinanzi a sezioni diverse della stessa commissione» stabilendo che il presidente di quest'ultima — «di ufficio o su istanza di parte o su segnalazione dei presidenti delle sezioni» — debba determinare «con decreto la sezione davanti alla quale i processi devono proseguire» e riservando «alla sezione» di provvedere alla riunione con applicazione delle identiche regole previste dall'art. 29, comma 1 per la riunione di ricorsi pendenti davanti alla medesima sezione.

E cioè — nella sostanza giusto il richiamo alla disciplina contenuta nell'art. 29, comma 1 — spetterà al presidente di sezione in qualsiasi momento disporre con decreto la riunione ovvero anche al collegio con ordinanza per le stesse ragioni appena sopra vedute (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 164; Finocchiaro, Finocchiaro, 535; Bartolini, Repregosi, Il codice, 189; Blandini, 189). Si ritiene che anche il provvedimento di riunione di che trattasi — quando non direttamente disposto in pubblica udienza per tutti i ricorsi da riunirsi in quel giorno trattati — debba essere comunicato alle parti (Blandini, 190; Campeis, De Pauli, 223). In assenza di specifica disciplina si è posto il problema non secondario — atteso l'ossequio che si deve alla regola ex art. 25 Cost. per cui ciascuno ha diritto di essere giudicato dal suo giudice naturale precostituito per legge che ha valenza anche interna al medesimo ufficio giudiziario — di fissare la prassi che il presidente della commissione deve seguire nello stabilire «la sezione davanti alla quale i processi devono proseguire». Tra le differenti prassi è maggiormente diffusa quella secondo cui i ricorsi debbono proseguire davanti alla sezione alla quale — ai sensi dell'art. 26 — è stato assegnato il ricorso iscritto prima degli altri (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 164).

La separazione dei ricorsi riuniti

Quando il collegio prima di decidere i riuniti ricorsi non ravvisi o non ravvisi più le richieste esigenze di economia processuali sopra vedute — quando cioè come dice l'art. 29, comma 3 «la riunione dei processi connessi ritarda o rende più gravosa la loro trattazione» — deve disporre «con ordinanza motivata» la separazione delle cause ovvero secondo parte della dottrina anche con la stessa sentenza (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 165; Finocchiaro, Finocchiaro, 535; Bellagamba, 131). Permane incertezza circa la possibilità — o meno — di separare ricorsi proposti ab origine cumulativamente (per l'affermativa, Blandini, 189; per la negativa, v. Bartolini, Repregosi, 209; Finocchiaro, Finocchiaro, 536, anche argomentando dall'art. 35).

Secondo la prevalente dottrina il provvedimento di separazione dei ricorsi — al pari della loro riunione — ha carattere discrezionale in quanto semplicemente ordinatorio del procedimento e non incidendo sulla decisione non costituisce un vizio dell'attività del giudice sindacabile sotto il profilo della nullità del processo (Gilardi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 164; Finocchiaro, Finocchiaro, 536; Bellagamba, 137; Blandini, 189).

La giurisprudenza con specifico riguardo al processo tributario ha in contrario affermato che il collegio — quando non separa i riuniti ricorsideve necessariamente deciderli tutti. E di qui la conseguenza che il ridetto collegio — quando invece non decide tutti i riuniti ricorsi — perde la potestas iudicandi e la «eventuale seconda sentenza» deve ritenersi affetta da nullità (Cass. V, n. 21241/2005; statuizione che appare invero in contrasto, in relazione al rito civile ordinario, con quanto affermato da Cass. I, n. 2961/1988, per la quale la decisione di solo alcuni dei ricorsi riuniti, darebbe in effetti luogo a un implicito provvedimento di separazione).

Bibliografia

Bartolini, Repregosi, Il codice del nuovo contenzioso tributario, Piacenza, 1996; Batistoni Ferrara, Bellè, Diritto tributario processuale, Padova, 1996; Bellagamba, Il nuovo contenzioso tributario, Torino, 1993; Blandini, Il nuovo processo tributario, Milano, 1996; Campeis, De Pauli, Il manuale del processo tributario, Padova, 2002; Franchi, Del difetto di giurisdizione, dell'incompetenza e della litispendenza, in Commentario al codice di procedura civile, diretto da Allorio, I, 1, Torino, 1973; Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996; Gilardi, Loi, Scuffi, Il nuovo processo tributario, Milano, 1997; Glendi, L'oggetto del processo tributario, Padova, 1984; Mandrioli, Diritto processuale civile, Torino, 2007; Lorenzetto Peserico, La continenza di cause, Padova, 1992; Rau, Alemanno, Il nuovo contenzioso tributario, Torino, 1996; Ricci, Litispendenza, in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, vol. XI, Torino, 1994; Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996; Turchi, I poteri delle parti nel processo tributario, Torino, 2003.

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