Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 39 - Sospensione del processo 1 2 .

Francesca Picardi

Sospensione del processo12.

1. Il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio.

1-bis. La corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa 3.

1-ter. Il processo tributario e' altresi' sospeso nei seguenti casi:

a) su richiesta conforme delle parti, nel caso in cui sia stata presentata un'istanza di apertura di procedura amichevole ai sensi degli Accordi e delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni di cui l'Italia e' parte ovvero ai sensi della Convenzione relativa all'eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/436/CEE;

b) su richiesta del contribuente, nel caso in cui sia stata presentata un'istanza di apertura di procedura amichevole ai sensi della direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio del 10 ottobre 2017 4

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 88 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Comma aggiunto dall'articolo 9, comma 1, lettera o), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

[4] Comma aggiunto dall'articolo 9, comma 1, lettera o), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016 e successivamente sostituito dall'articolo 22, comma 2, del D.Lgs. 10 giugno 2020, n. 49.

Inquadramento.

La sospensione del processo è una di quelle vicende anomali, che comporta l'arresto dell'iter processuale a causa di un determinato evento e sino alla sua cessazione (Mandrioli, 357).

Nel processo tributario, in cui si tende ad escludere la sospensione volontaria per istanza concorde delle parti di cui all'art. 296 c.p.c. (La Rocca, 1226), risulta possibile solo la sospensione necessaria, istituto che mira a prevenire la formazione di giudicati contrastanti, sicché in attesa della decisione definitiva della causa cd. pregiudiziale, pendente tra le stesse parti, è prevista la sospensione della causa cd. pregiudicata, che sarà condizionata dal giudicato formatosi sulla prima lite. Con la recente riforma del 2015 è stata, inoltre, introdotta la sospensione del processo, su richiesta conforme delle parti, nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole, prevista dalle convenzioni internazionali, per evitare le doppie imposizioni. Originariamente il d.lgs. n. 546 del 1992 si occupava esclusivamente della sospensione necessaria in attesa della decisione delle questioni pregiudiziali concernenti la querela di falso o lo stato e la capacità delle persone (fatta eccezione per la capacità di stare in giudizio), che sono sottratte alla cognizione — anche meramente incidentale — del giudice tributario, ai sensi dell'art. 2, ultimo comma. Risultava, dunque, controversa l'applicabilità nel processo tributario dell'art. 295 c.p.c. e della conseguente necessità di sospendere il processo in attesa della decisione di causa pregiudiziale attribuita alla giurisdizione tributaria, da alcuni ammessa in considerazione del rinvio generale di cui all'art. 1, comma 2, c.p.c., per quanto non espressamente disposto e nei limiti della compatibilità (per una sintesi del dibattito v. Loconte, 2014, 506). Il d.lgs. n. 156 del 2015 ha, comunque, espressamente previsto tale possibilità, introducendo il comma 1-bis, che avrebbe potuto, in modo più ordinato, essere qualificato comma 2.

La giurisprudenza relativa a tale articolo riguarda, allo stato, solo la pregressa formulazione. In proposito va ricordato che, mentre la Corte costituzionale negava l'operatività nel processo tributario dell'art. 295 c.p.c. (Corte cost. n. 31/1998, confermata dalla successiva Corte cost. n. 330/2000), ritenendo limitata la sospensione necessaria per pregiudizialità ai soli casi della proposizione della querela di falso o della necessità di decidere una questione sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio, la Corte di Cassazione considerava l'art. 39 d.lgs. n. 546 del 1992 riferito unicamente alla pregiudizialità esterna e, cioè, ai rapporti tra processi tributari e non, mentre traeva dall'art. 295 c.p.c. la disciplina relativa alla pregiudizialità interna e, cioè, ai rapporti tra cause di natura tributaria, pendenti dinanzi a giudici diversi (Cass. VI, n. 1865/2012 e Cass. trib, n. 21396/2012). Come già evidenziato, il d.lgs. 156 del 2015 ha espressamente previsto la sospensione necessaria per questioni pregiudiziali interne alla giurisdizione tributaria, sicché appare superata la querelle tra Consulta e Cassazione (per il cui approfondimento, comunque, si rinvia al successivo paragrafo). Sembra, però, doversi continuare ad escludere la possibilità della sospensione necessaria in attesa della decisione di una causa pregiudiziale appartenente ad altra giurisdizione. Tale opzione ermeneutica risulta coerente con la disciplina oggi esaustiva contenuta nella disposizione in esame e con il potere attribuito al giudice tributario di disapplicare il regolamento o l'atto generale rilevante ai fini della decisione e ritenuto illegittimo, salva la sua eventuale impugnazione nella diversa sede competente (art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992).

 Né un orientamento diverso può desumersi dalla recentissima Cass. V, n. 31112/2019, in cui, sebbene si affermi che la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. è ipotizzabile con riferimento anche alla cd. pregiudiziale amministrativa, si è ritenuta legittima la decisione del giudice di merito di non sospendere il processo tributario, evidenziandosi, da un lato, il difetto di autosufficienza del ricorso sul punto, in quanto non è stata indicata la specifica sede processuale in cui la questione è stata posta al giudice del gravame, e, dall'altro lato, il potere di disapplicazione, da parte del giudice tributario, degli atti amministrativi illegittimi.

Sospensione in pendenza di giudizio appartenente ad altra giurisdizione.

L'art. 39, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 va coordinato con l'art. 2, ultimo comma, del medesimo d.lgs., introdotto dalla l. n. 448 del 2001, ai sensi del quale il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o sulla capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio.

In particolare, la parte che vuole contestare la verità di un atto pubblico o di una scrittura privata riconosciuta o legalmente considerata tale, prodotta dalla controparte la quale, interpellata dal giudice, conferma di volersene avvalere, ha l'onere di proporre querela di falso — si pensi al processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di Finanza, che, come confermato da Cass. VI, n. 15191/2014, è assistito da fede privilegiata ex art. 2700 c.c. quanto ai fatti in esso descritti. In tale ipotesi, il giudice tributario, ove reputi il documento rilevante ai fini della decisione, è tenuto a sospendere il processo autorizzando il querelante a formalizzare la domanda dinanzi al giudice civile. Allo stesso modo, il processo tributario dovrà essere sospeso al fine di consentire l'instaurazione della causa dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria qualora la sua decisione dipenda dalla risoluzione di una questione sullo stato o sulla capacità giuridica o di agire: un esempio può essere costituito dalla questione relativa allo status di figlio, pregiudiziale rispetto al riconoscimento della detrazione ai genitori ai fini delle imposte sui redditi (La Rocca, 1225).

Il processo tributario non può, invece, subire alcun arresto laddove la decisione dipenda da o sia collegata ad altre questioni che ricadono nella giurisdizione di altro giudice. Ad esempio, il giudice tributario non dovrà sospendere il giudizio avente ad oggetto l'impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'imposta di successione in attesa dell'accertamento da parte del giudice civile della qualifica di erede, potendo procedere ad un accertamento inidoneo a passare in giudicato e destinato ad esplicare efficacia tra le parti solo incidenter tantum e, cioè, ai limitati fini della risoluzione di quella specifica controversia.

L'art. 39, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 attiene ai rapporti tra giurisdizione tributaria ed ogni altra giurisdizione, ordinaria o amministrativa, e pone una deroga — in ipotesi predeterminate (querela di falso e questione sullo stato o capacità delle persone) — al criterio secondo il quale le questioni pregiudiziali sono risolte, incidenter tantum, dal giudice munito di giurisdizione sulla domanda. Ne consegue che il processo tributario non può essere sospeso in ragione della ritenuta necessità della risoluzione di ulteriori e diverse questioni ravvisate pregiudiziali, che sono devolute, di regola, alla cognizione del giudice ordinario o di quello amministrativo, dovendo, invece, il giudice tributario procedere alla definizione della controversia sottoposta al suo esame, previa risoluzione, incidenter tantum, delle suddette questioni (Cass. VI, n. 12008/2014). Recentemente Cass. V n. 18395/2021 ha precisato, con riferimento al rapporto tra il giudizio tributario e quello amministrativo, che il giudice tributario è tenuto a pronunciarsi sulla illegittimità della pretesa tributaria, risolvendo, ove necessario, "incidenter tantum" anche questioni che attengano alla legittimità di atti amministrativi strettamente connessi con l'atto impositivo oggetto di controversia, senza che possa porsi una questione di sospensione necessaria del processo tributario., visto che l'art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede la sospensione del processo solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione di stato o capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio. Invero, sulla questione, oggetto di giudizio avanti al giudice civile ordinario o amministrativo, sussiste la giurisdizione delle commissioni tributarie, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, il cui art. 2, comma 3 (nel testo introdotto dall'art. 12 l. n. 448/2001), nell'affidare al predetto giudice la risoluzione in via incidentale di ogni questione da cui dipenda la decisione delle controversie rientranti nella sua giurisdizione, con le eccezioni previste all'art. 39 del citato d.lgs., riveste natura esplicativa di regole generali presenti nell'ordinamento, tra le quali v'è anche il divieto di sospensione del giudizio tributario in attesa della risoluzione delle questioni che sono normalmente devolute alla cognizione di altri giudici. Così, ad esempio, Cass. V, n. 5476/2008, riguardo all'impugnativa dell'avviso di liquidazione dell'imposta di successione, ha cassato la sentenza della commissione tributaria regionale che aveva omesso di pronunziare incidentalmente sulla questione pregiudiziale attinente alla affermata qualità di erede della contribuente, sul solo presupposto che nel giudizio civile pendente non si era formato il giudicato su tale qualità.

Al contrario, l'art. 39 d.lgs. n. 546 del 1992 impone di sospendere il giudizio dinanzi alle commissioni tributarie fino al passaggio in giudicato o della decisione in ordine ad una querela di falso o della questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, trattandosi di accertamento pregiudiziale riservato ad altra giurisdizione, del quale il giudice tributario non può conoscere neppure incidenter tantum, sicché è stata cassata la sentenza con la quale la commissione tributaria, in presenza di una querela di falso che aveva messo in discussione la veridicità della relata di notifica degli avvisi di accertamento, ha ritenuto di poter prescindere dalla decisione in ordine alla querela per il solo fatto di non avere avuto ancora notizie circa la definizione del relativo giudizio (Cass. VI, n. 24107/2012).

Sospensione in pendenza di giudizio appartenente alla giurisdizione tributaria

Prima della riforma del 2015, la dottrina prevalente sosteneva la tassatività delle fattispecie di sospensione previste dalla disposizione in esame, con la sola eccezione di quelle ulteriori ipotesi direttamente o indirettamente richiamate dallo stesso d.lgs. n. 546 del 1992 o di quelle fondate sulla pregiudizialità costituzionale e comunitaria, e conseguentemente negava l'applicabilità dell'art. 295 c.p.c. nel processo tributario. Si tendeva, difatti, ad escludere l'operatività del rinvio al c.p.c. in considerazione dell'esistenza di una specifica disciplina dettata dal d.lgs. n. 546 del 1992 (così Tesauro, 348; Glendi, 2001, 1223).

Nello stesso senso si era espressa anche l'Amministrazione finanziaria (v. le circolari del Ministero delle Finanze n. 98/E del 23 aprile 1996 e dell'Agenzia delle Entrate n. 25/E del 21 marzo 2002).

Non mancavano, però, opinioni diverse, che ritenevano l'art. 39 d.lgs. n. 546 del 1992 preclusivo delle sole ipotesi di sospensione caratterizzate da un potere dispositivo delle parti e non di quelle in cui il giudice è obbligato ad evitare specifiche anomalie processuali, come il conflitto tra i giudicati, sottolineando, peraltro, l'assoluta compatibilità con l'art. 295 c.p.c. di tale disposizione, atteso il suo più ristretto ambito applicativo, limitato alle ipotesi di pregiudizialità esterna (Procopio, 1311). Peraltro, nel processo tributario in cui la competenza territoriale delle commissioni tributarie è inderogabile e non può operare, quindi, la concentrazione delle controversie tra di loro collegate per connessione, l'istituto della sospensione necessaria è l'unico strumento idoneo ad evitare il conflitto di giudicati ove, ricadendo le cause nella competenza territoriale di autorità giudiziarie diverse, non ne sia possibile la riunione. Si è, inoltre, osservato che in tale sede ove è sempre precluso — salva la disapplicazione dei regolamenti o degli atti generali, di cui all'art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992- l'accertamento incidentale del vizio dell'atto presupposto, impugnabile ex art. 19, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992 unitamente all'atto consequenziale solo se non notificato, la sospensione è imprescindibile (D'Ascia, 284, che sottolinea, inoltre, che «se non si sospende, da un lato si scongiura un processo troppo lungo, ma dall'altro se ne porta avanti uno inutile»).

Ad avviso della Consulta, mentre nel vigore del d.P.R. n. 636 del 1972, sulla base del rinvio alla legislazione processualcivilistica, poteva operare anche nel processo tributario l'art. 295 c.p.c., l'originario art. 39 d.lgs. n. 546 del 1992, innovando sul punto, limitava in questa sede l'ambito della sospensione necessaria per pregiudizialità ai soli casi in cui fosse presentata querela di falso o dovesse essere decisa — in via pregiudiziale — una questione sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio. Pertanto, ferma restando l'applicabilità di altre ipotesi di sospensione — quali quella per proposizione di regolamento di giurisdizione di cui all'art. 367, comma 1, c.p.c. in relazione all'art. 3, comma 2,  d.lgs. n. 546 del 1992, per instaurazione del procedimento di ricusazione di cui all'art. 52, comma 3, c.p.c. in relazione all'art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, per questione incidentale di legittimità costituzionale di una norma di legge sollevata ai sensi dell'art. 23, comma 2, della l. 11 marzo 1953, n. 87 — si riteneva che il giudice tributario dovesse decidere, incidenter tantum, tutte le questioni pregiudiziali diverse da quelle espressamente contemplate dalla disposizione de qua, salvo il diritto delle parti di svolgere le proprie difese al riguardo. Tale scelta, la cui ratio era individuata con l'esigenza di una maggiore rapidità e una più agevole definizione del processo tributario, anche al fine di una più efficace tutela dei diritti del contribuente, veniva ricondotta all'ampia discrezionalità del legislatore nel conformare gli istituti processuali e considerata non lesiva del criterio di ragionevolezza. Le questioni di legittimità costituzionale sollevate al riguardo – per violazione dell'art. 3 Cost., in considerazione della disparità di trattamento rispetto alle parti di cause pendenti dinanzi alla stessa autorità giudiziaria, suscettibili di riunione, e per violazione dei criteri direttivi della legge delega e dell'art. 76 Cost. – sono state, quindi, rigettate (Corte cost. n. 31/1998, confermata dalle successive Corte cost. n. 8/1999 e Corte cost. n. 330/2000).

Al contrario, secondo la Suprema Corte, l'art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992, nella precedente formulazione, si occupava solo della pregiudizialità esterna e, cioè, dei rapporti tra processi tributari e non tributari, consentendo la sospensione del processo limitatamente alla querela di falso ed alle controversie concernenti stato e capacità delle persone, mentre la disciplina relativa alla pregiudizialità interna e, cioè, ai rapporti tra cause di natura tributaria, pendenti dinanzi a giudici diversi e, quindi, non suscettibili di riunione, andava ricercata nell'art. 295 c.p.c. — così, ad avviso di Cass. VI, n. 1865/2012 e Cass. V, n. 21396/2012, la sospensione necessaria del processo, di cui all'art. 295 c.p.c., è applicabile anche al processo tributario, qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità, tale che la definizione dell'uno costituisca indispensabile presupposto logico-giuridico dell'altro, nel senso che l'accertamento dell'antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l'ipotesi di conflitto di giudicati: in applicazione di tale principio, sono state cassate con rinvio la decisione di merito che, pur riconoscendo effetti decisivi alla sentenza non definitiva di annullamento dell'avviso di accertamento emesso nei confronti di una società a ristretta compagine sociale, non aveva disposto, in attesa della definizione di quel giudizio, la sospensione del processo pendente nei confronti del socio, avente ad oggetto l'accertamento dell'imposta sui redditi per la stessa annualità di imposta, e quella che, pur riconoscendo effetti decisivi alla sentenza non definitiva di annullamento parziale dell'avviso di accertamento ai fini Irpef e Ilor, non aveva disposto, in attesa della definizione di quel giudizio, la sospensione del processo pendente nei confronti della medesima società, avente ad oggetto l'avviso di recupero, a titolo di imposta patrimoniale, per la stessa annualità di imposta.

Come già evidenziato, il d.lgs. n. 156 del 2015 ha espressamente previsto la sospensione necessaria per questioni pregiudiziali interne alla giurisdizione tributaria, recependo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità e superando ogni incertezza al riguardo. Peraltro, come evidenziato da Cass. S.U., n. 14814/2008, la sospensione ex art. 295 c.p.c. è uno strumento indispensabile per evitare il contrasto di giudicati nel processo tributario in cui l'istituto della riunione può tendenzialmente operare solo ove le controversie pendano dinanzi alla stessa commissione tributaria, atteso che l'applicazione della disciplina della connessione, dettata nel c.p.c., incontra il limite invalicabile dell'inderogabilità della competenza territoriale del giudice tributario.

Casistica

In dottrina, precisato che i presupposti della sospensione necessaria per pregiudizialità sono l'elemento logico e quello giuridico, che ricorrono quando, da un lato, la definizione di una controversia si ponga come momento ineliminabile del processo logico della causa dipendente e, dall'altro, l'antecedente logico venga postulato con efficacia di giudicato in modo che possa eventualmente verificarsi conflitto di decisioni (Manoni, 3948), si sono inclusi tra i casi di operatività dell'istituto i giudizi, tra le stesse parti, in cui si discute dell'accertamento della violazione tributaria e dell'irrogazione della relativa sanzione amministrativa; dell'accertamento della sussistenza dei requisiti per beneficiare di un'agevolazione tributaria e dell'applicazione della stessa nei vari periodi di imposta o della legittimità del diniego all'esenzione di imposta e dell'accertamento di maggiori imposte per la ritenuta non spettanza delle esenzioni; della validità o del perfezionamento della definizione agevolata di un'imposta e del merito dell'accertamento relativo alla stessa imposta (Procopio, 1311. V. anche Manoni, 3948). Risulta, difatti, evidente come non sia possibile procedere all'irrogazione della sanzione senza il previo accertamento della violazione tributaria o, ancora, alla esatta quantificazione dell'imposta dovuta senza la previa verifica dei presupposti di eventuali agevolazioni o del valido perfezionamento del condono.

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto ricorrere le condizioni di operatività dell'art. 295 c.p.c., con conseguente cassazione della decisione di merito della causa dipendente, adottata senza sospendere il processo in attesa dell'esito della causa pregiudiziale, proprio nelle ipotesi di distinti giudizi di impugnazione dell'atto di accertamento della violazione tributaria e del provvedimento di irrogazione delle conseguenti sanzioni o dell'atto di accertamento dell'inesistenza dei requisiti di un'agevolazione tributaria e di quello di liquidazione della maggiore imposta. Così, secondo Cass. V, n. 12520/2013, il giudice, constatata la pendenza di altro giudizio, tra le stesse parti, avente ad oggetto la revoca delle agevolazioni previste ai fini dell'imposta di registro per l'acquisto della prima casa di abitazione, è tenuto, in applicazione dell'art. 295 c.p.c., a sospendere il processo concernente la legittimità dell'avviso di liquidazione della maggiore imposta, e delle conseguenti sanzioni, emesso sotto il profilo della non spettanza del credito di cui all'art. 7 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativamente all'acquisto di altra abitazione non di lusso entro un anno dall'alienazione della prima, stante il carattere pregiudiziale del primo giudizio rispetto al secondo.

In tema di sanzioni, va ricordato che, secondo Cass.  S.U., n. 14814/2008, nel procedimento tributario, allorché il medesimo organo giudicante si trovi a pronunciare contestualmente più decisioni in rapporto di consequenzialità necessaria, ed in particolare di pregiudizialità reciproca — come nel caso della controversia concernente l'obbligazione tributaria per reddito da capitale derivante da fondi all'estero non dichiarati e della controversia concernente le sanzioni previste per la violazione dell'obbligo di dichiarazione, in relazione ai suddetti fondi — la motivazione utilizzata può essere redatta per relationem rispetto ad altra sentenza assunta simultaneamente, purché la motivazione stessa non si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento, occorrendo, invece, che vengano riprodotti i contenuti mutuati, e che questi diventino oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa — anche se connessa — causa sub iudice, in modo da consentire, poi, anche la verifica della compatibilità logico-giuridica dell'innesto motivazionale. Siffatta motivazione è, invece, nulla allorché dissimuli un vizio procedurale più radicale, come nel caso in cui sia richiamata una decisione che avrebbe dovuto essere pronunciata in un processo unico (ipotesi di litisconsorzio necessario), ovvero nel caso in cui il processo avrebbe dovuto essere sospeso in attesa della decisione connessa (in ipotesi di pregiudiziale obbligatoria), perché utilizzata al solo scopo di porre rimedio artificiosamente alla antecedente violazione dell'art. 14 d.lgs. 546 del 1992 o dell'art. 295 c.p.c.

Cass. V, n. 21396/2012 , ha ritenuto pregiudiziale il giudizio avente ad oggetto l'atto di rettifica delle perdite dichiarate da una società e delle somme da questa dovute a titolo di IRPEG o ILOR rispetto a quello intrapreso avverso l'avviso di recupero dell'imposta patrimoniale, costituendo la definizione del primo indispensabile presupposto logico-giuridico dell'altro, per cui il relativo accertamento è postulato con effetto di giudicato e può prospettarsi un conflitto di giudicati.

È, inoltre, pacifico che il giudizio tributario avente ad oggetto la validità o il perfezionamento della definizione agevolata di un'imposta (nella specie, ai sensi della l. 27 dicembre 2002, n. 289), ovvero la decadenza dalla stessa, abbia carattere pregiudiziale rispetto a quello, vertente tra le medesime parti, riguardante il merito dell'accertamento relativo alla stessa imposta, in quanto la decisione sul condono si riflette necessariamente condizionandola, sulla decisione concernente il merito dell'accertamento. Pertanto, ove risulti la pendenza di un altro giudizio tra le medesime parti in ordine alla validità o al perfezionamento del condono o alla decadenza dallo stesso, il giudice tributario è tenuto, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., a sospendere il giudizio riguardante il merito dell'accertamento, fino alla decisione del primo con autorità di giudicato (Cass. VI, n. 11206/2012).

Si è, invece, escluso che il giudizio avente ad oggetto l'impugnazione della cartella di pagamento emessa ex art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 possa essere sospeso, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., in attesa che si concluda il procedimento riguardante l'impugnazione della sentenza che costituisce il fondamento di detta cartella, non sussistendo alcun rapporto di pregiudizialità, atteso che la pretesa erariale azionata con la cartella è fondata su una sentenza e, quindi, su un titolo diverso rispetto all'avviso di accertamento la cui legittimità è ancora sub judice (così Cass. V, n. 28542/2011). Del resto, come si è osservato, adottando una diversa soluzione, il provvedimento di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza in questione sarebbe surrettiziamente surrogato con la sospensione del giudizio di impugnazione della cartella di pagamento.

Attribuzione della rendita catastale ed accertamento dei tributi collegati

In dottrina si è evidenziato che sussiste un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, nonostante la non coincidenza delle parti pubbliche nei due giudizi, tra l'impugnazione avente ad oggetto l'atto di rideterminazione della rendita catastale, adottato dall'Agenzia del Territorio (dal 2012 incorporata nell'Agenzia delle Entrate, in virtù dell'art. 23-quater del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 135), e quella avente ad oggetto l'accertamento del Comune ai fini ICI, atteso che il legislatore, nel definire la base imponibile di tale imposta, ha disposto che per i fabbricati iscritti in catasto il valore è costituito da quello che risulta applicando all'ammontare delle rendite catastali, vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione, i moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità previsti dal primo periodo dell'ultimo comma dell'art. 52 del d.P.R. n. 131 del 1986, per cui il Comune, nel procedere alla liquidazione, è vincolato al valore della rendita catastale attribuito dalla competente Agenzia del Territorio ed alle sue eventuali modifiche in sede giudiziale (così Procopio, 1312; v. anche Manoni, 3952, che nel suo scritto indica, tra gli esempi di sospensione necessaria, proprio il caso de quo). Invero, può osservarsi in proposito che, pur non coincidendo le parti delle cause, la sentenza che decide la causa pregiudiziale sulla rendita catastale ha per legge efficacia di giudicato in tutte le cause dipendenti relative agli accertamenti dei tributi la cui quantificazione dipende da tale elemento, sicché la posizione dell'ente impositore è tecnicamente dipendente da quella dell'Agenzia del Territorio (ora delle Entrate) che procede alla determinazione della rendita catastale (D'Ascia, 285).

Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. V, n. 10509/2002), nel processo tributario, intanto si può parlare di «questione incidentale pregiudiziale», in quanto la questione «pregiudiziale» pendente dinanzi ad altro giudice tributario abbia il carattere della «incidentalità» necessaria nell'ambito del giudizio principale, mentre, ove la «questione» è oggetto diretto del petitum nell'ambito di entrambi i due diversi procedimenti, allora la fattispecie si risolve, a seconda dei casi, in un'ipotesi di «litispendenza» o di «continenza», e come tale deve essere disciplinata, ma, quando, in caso di continenza, non sia possibile l'applicazione dello strumento della reductio ad unum dei due procedimenti previa riunione degli stessi, in quanto pendenti in gradi diversi, allora l'incidentalità della causa «contenuta» diviene presupposto per l'applicazione in via estensiva dell'art. 295 c.p.c., a cui non è di ostacolo la formulazione limitativa di cui art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992. Proprio in applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza della Commissione tributaria che non aveva sospeso il processo e aveva — al pari di quella di primo grado — deciso sull'impugnativa dell'avviso di liquidazione dell'INVIM decennale, relativo ad un fabbricato, in ordine al quale l'UTE aveva notificato l'attribuzione della rendita, che era stata autonomamente impugnata e per la quale pendeva altro giudizio, così basandolo su una decisione, ancora non definitiva, relativa all'attribuzione della rendita catastale e violando il dovere di sospensione del processo di cui all'art. 295 c.p.c. Si riconosce, pertanto, il rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra la controversia che oppone il contribuente all'Agenzia del Territorio (ora delle Entrate) in ordine all'impugnazione della rendita catastale attribuita ad un immobile e quella, instaurata dallo stesso contribuente contro il Comune, avente ad oggetto l'impugnazione della liquidazione dell'ICI gravante sull'immobile cui sia stata attribuita la rendita contestata, con conseguente necessità della sospensione ex art. 295 c.p.c., laddove non sia possibile la riunione dei giudizi, fino alla definizione della causa pregiudiziale con autorità di giudicato, in quanto la decisione sulla determinazione della rendita si riflette necessariamente, condizionandola, su quella relativa alla liquidazione dell'imposta (così, da ultimo, Cass. VI, n. 421/2014; già in passato, Cass. V, n. 13082/2006, secondo cui, nel processo tributario, l'art. 39 del d.lgs. n. 546/1992, che limita i casi di sospensione del giudizio all'eventualità che sia presentata querela di falso o debba essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, regola unicamente i rapporti esterni, ovverosia i rapporti tra processo tributario e processi non tributari, e non anche i rapporti interni fra processi tributari, per i quali valgono le disposizioni del codice di procedura civile, tra cui il disposto dell'art. 295. Ne consegue che va cassata la decisione resa dal giudice tributario che non abbia sospeso il processo, pronunziando nel merito sull'impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'ICI relativo ad un immobile in ordine al quale l'UTE aveva notificato l'attribuzione della rendita, autonomamente impugnata in altro giudizio, pregiudiziale, non ancora definito).

Accertamento nei confronti della società e dei soci

L'accertamento di un maggior reddito societario ha inevitabili conseguenze anche nei confronti dei soci.

Ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, per cui l'accertamento, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di un maggior reddito societario si traduce automaticamente in un maggior reddito del socio ed incide sulla quantificazione dell'imposta dei redditi di quest'ultimo.

Nelle società di capitali a ristretta base familiare, pur non vigendo un meccanismo analogo, è ormai consolidato l'orientamento secondo cui l'accertamento di un maggior reddito societario comporta la presunzione della distribuzione di maggiori utili ai soci. Secondo la dottrina, lo strumento processuale per garantire al socio l'effettivo esercizio del diritto di difesa è la partecipazione al processo nei confronti della società, assicurata dall'istituto del litisconsorzio necessario, che consente anche a colui che non riveste la posizione di amministratore di contestare l'accertamento svolto e di influire sulla sua formazione, pena la nullità della sentenza adottata nel giudizio a cui sia rimasto estraneo, mentre la sospensione ex art. 295 c.p.c. può avere un ruolo solo marginale, in quanto presuppone l'impugnazione, anche da parte del socio, dall'accertamento nei suoi confronti contemporaneamente al giudizio instaurato dalla società (v. Benaglia, 1255, ad avviso del quale la posizione assunta dalla Corte di cassazione sull'argomento «in contrasto peraltro con parte della giurisprudenza di merito, è palesemente incostituzionale in quanto viola il principio della tutela giurisdizionale sancita dall'art. 24 della nostra Costituzione»). Deve, tuttavia, rilevarsi che il collegamento tra l'accertamento nei confronti della società di capitali a ristretta base familiare e dei suoi soci è labile, in quanto opera solo a livello probatorio e potrebbe essere smentito da indizi contrari, per cui sembra condivisibile la mancata applicazione dell'istituto del litisconsorzio, mentre la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. può ritenersi giustificata visto che il giudicato di accertamento dei maggiori utili della società di capitali integra la prova presuntiva nel giudizio nei confronti dei suoi soci.

In proposito occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, non possono esservi giudizi distinti, aventi ad oggetto l'accertamento dei redditi di una società di persone, nei confronti di questa e dei suoi soci, versandosi in una ipotesi di litisconsorzio necessario. Come affermato da Cass.  S.U., n. 14815/2008, difatti, l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all'art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società sia tutti i soci, con la sola eccezione in cui questi ultimi prospettino questioni personali, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi. Siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 546/1992 — salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29  — ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio. Da tale regola discende che, dovendosi svolgere il giudizio di impugnazione dell'accertamento in rettifica dei redditi societari con la partecipazione della società e di tutti i soci, non si pone il problema dell'eventuale sospensione necessaria del giudizio nei confronti dei soci, il cui reddito risente dell'imputazione automatica dei redditi della società, in attesa della decisione del giudizio nei confronti di quest'ultima, essendone indispensabile l'integrazione del contraddittorio o la riunione delle cause. Va, però, segnalato che la definizione della lite pendente, ai sensi dell'art. 16 della l. n. 289 del 2002, da parte di una società di persone non estende automaticamente i suoi effetti nei confronti dei singoli soci, trattandosi di beneficio lasciato al libero e personale apprezzamento di ciascun contribuente, sicché non comporta alcuna preclusione all'esercizio del potere dovere di accertamento dell'Amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta ad adeguare il reddito da partecipazione dei soci, che abbiano scelto di non avvalersi di tale istituto, a quello — ricalcolato in base al condono — della società (Cass. VI, n. 14858/2016). Non può, pertanto, prospettarsi un rapporto di pregiudizialità necessaria tra l'eventuale contenzioso instaurato dalla società relativamente alla definizione agevolata e quello instaurato dal socio relativamente all'accertamento nei suoi confronti.

L'interrogativo dell'operatività dell'art. 295 c.p.c. con riferimento ai distinti giudizi instaurati dalla società e dai soci si pone, invece, riguardo alle società di capitali. Secondo la giurisprudenza di legittimità (v., tra le tante, Cass. V, n. 2214/2011 e Cass. VI, n. 23323/2014), l'accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, riferito ad utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell'accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell'unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano, con la conseguenza che, non ricorrendo, com'è per le società di persone, un'ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, quello relativo al maggior reddito accertato in capo al socio deve essere sospeso ai sensi dell'art. 295 c.p.c., applicabile nel giudizio tributario in forza del generale richiamo dell'art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992. Più recentemente, nello stesso senso, si è espressa Cass., 7 marzo 2016, n. 4485, secondo cui, nell'ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, l'accertamento relativo agli utili extracontabili della società, anche se non definitivo, è presupposto dell'accertamento presuntivo nei riguardi del singolo socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali, sicché l'impugnazione dell'accertamento «pregiudicante» costituisce, fino al passaggio in giudicato della pronuncia che lo riguarda, condizione sospensiva, ex art. 295 c.p.c., ai fini della decisione della lite sull'accertamento «pregiudicato» relativo al singolo socio, la cui esistenza e persistenza grava sul contribuente che la invochi sotto forma di allegazione e prova del processo scaturente dall'impugnazione del provvedimento impositivo e, ancora più recentemente, Cass. 26 gennaio 2021, n. 1574, secondo cui, in tema di redditi da partecipazione in società di capitali a base ristretta, ogni qual volta vi sia pendenza separata dei giudizi relativi all'accertamento del maggior reddito contestato alla società di capitali e di quello di partecipazione conseguentemente contestato al singolo socio si impone la sospensione ex art. 295 c.p.c. - applicabile al giudizio tributario in forza dell'art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992 - in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa nei confronti della società, costituente l'antecedente logico-giuridico non solo nelle ipotesi di controversie su contestazioni di utili extracontabili ma in tutti i casi di contestazione rivolti alla compagine sociale relativi ai maggiori redditi derivanti da ricavi non dichiarati o da costi non sostenuti.

Con riferimento ad una s.p.a., Cass. V, n. 21765/2017 ha cassato con rinvio la decisione della commissione tributaria regionale che non aveva disposto la sospensione del processo relativo all'avviso di accertamento avente ad oggetto il recupero del maggior reddito in attesa della definizione del giudizio afferente la rettifica delle perdite, da ritenere pregiudicante, in virtù del principio secondo cui la sospensione necessaria del processo, di cui all'art. 295 c.p.c., è applicabile anche al processo tributario, qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità, tale che la definizione dell'uno costituisca indispensabile presupposto logico-giuridico dell'altro, nel senso che l'accertamento dell'antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l'ipotesi di conflitto di giudicati.

Cass. VI, n. 16294/2014 , ha, inoltre, precisato che la cassazione della statuizione di annullamento dell'accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta travolge, ai sensi dell'art. 336 c.p.c., la consequenziale statuizione di annullamento dell'accertamento nei confronti del socio, in quanto l'avviso nei confronti della società costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico di quello nei confronti dei soci, in virtù dell'unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano.

Modalità operative della sospensione

La sospensione del processo ex art. 39, commi 1 o 1-bis, del d.lgs. n. 546/1992 è disposta d'ufficio, anche in assenza di un'istanza di parte, sussistendone in presupposti. Si è, però, precisato che incombe sulla parte che invoca l'art. 295 c.p.c. (ora 39, comma 1-bis, d.lgs. n. 546 del 1992) l'onere di provare la dipendenza tra le controversie e la pendenza della controversia pregiudiziale dinanzi all'autorità giurisdizionale (La Rocca, 1228).

Le stesse posizioni sono state assunte dalla giurisprudenza. Così, Cass. III, n. 6572/2005, ha affermato che la sospensione necessaria del processo per pregiudizialità, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., rispondendo all'esigenza, di ordine pubblico, di evitare il conflitto di giudicati, deve essere disposta dal giudice di merito, non appena ne ravvisi i presupposti, anche d'ufficio, indipendentemente, cioè, da un'istanza di parte che, qualora formulata, equivale ad una semplice sollecitazione all'esercizio del potere officioso, ma Cass. V, n. 7506/2001 ha precisato che la parte che invochi la sospensione di un giudizio ex art. 295 c.p.c. ha l'onere di provare la pendenza di un'altra controversia e la sussistenza di un rapporto di «dipendenza» tra i due giudizi, senza che possa, all'uopo, invocarsi, in seno al processo tributario, l'esercizio, da parte delle competenti commissioni, delle facoltà istruttorie di cui all'art. 7 del d.lgs. 546 del 1992, trattandosi di poteri diretti a verificare esclusivamente le risultanze dell'istruttoria amministrativa, onde verificare l'esistenza dei vizi dedotti dal contribuente Allo stesso modo, secondo Cass. V, n. 4485/2016, l'impugnazione dell'accertamento «pregiudicante» relativo agli utili extracontabili della società di capitali a ristretta base sociale, essendo presupposto dell'accertamento presuntivo nei riguardi del singolo socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali, costituisce, fino al passaggio in giudicato della pronuncia che lo riguarda, condizione sospensiva, ex art. 295 c.p.c., ai fini della decisione della lite sull'accertamento «pregiudicato» relativo al singolo socio, la cui esistenza e persistenza grava sul contribuente che invochi la sospensione sotto forma di allegazione e prova del processo scaturente dall'impugnazione del provvedimento impositivo.

In ordine alla sottoposizione della questione al giudice di legittimità, si è precisato che l'esame degli atti del giudizio di merito, ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l'ammissibilità della censura, sicché, se si prospetta la violazione dell'obbligo di sospendere il processo tributario, a seguito della proposizione di querela di falso contro le relazioni di notificazione degli atti impositivi impugnati, è necessario che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini, il testo della querela di falso ed il verbale di udienza relativo al suo deposito davanti al giudice che non ha disposto la sospensione del processo (Cass. V, n. 10272/2017). In definitiva, il motivo del ricorso per cassazione avente ad oggetto la violazione degli artt. 39 d.lgs. n. 546 del 1992 o 295 c.p.c. è soggetto all'onere di formulazione autosufficiente.

La problematica applicabilità dell'art. 337 c.p.c. prima e dopo il d.lgs. n. 156 del 2015

Ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c., quando l'autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata. Come chiarito dalle Sezioni Unite, Cass.  S.U., n. 10027/2012, salvi i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica ed in modo che debba attendersi che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato, quando fra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato soltanto ai sensi dell'art. 337 c.p.c. e non anche ai sensi dell'art. 295 c.p.c., come si trae dall'interpretazione sistematica della disciplina del processo, in cui un ruolo decisivo riveste l'art. 282 c.p.c., atteso che il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario di lite, giustificando sia l'esecuzione provvisoria, sia l'autorità della sentenza di primo grado nel giudizio da essa dipendente (in senso critico Menchini, 683; v. anche Cass.  S.U., n. 21348/2012, secondo cui, quando fra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata, salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione specifica, è possibile soltanto ai sensi dell'art. 337 c.p.c., pur se la sentenza di primo grado, la cui autorità è invocata, sia stata emessa dal giudice amministrativo, dovendosi anche in tal caso identificare il rilievo di una sentenza oggetto di impugnazione, pronunciata nell'esercizio di una specifica giurisdizione, con riguardo al bene della vita del quale si discute davanti al giudice ordinario). Secondo la ricostruzione proposta, il diritto accertato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello originario e giustifica sia l'esecuzione provvisoria sia l'autorità della sentenza di primo grado nell'ambito della relazione tra lite sulla causa pregiudiziale e lite sulla causa pregiudicata, per cui, salvo che l'ordinamento non esprima in casi specifici una valutazione diversa, imponendo che la composizione della lite pregiudicata attenda il giudicato sull'elemento di connessione tra le situazioni giuridiche collegate e controverse, è rimesso solo al giudice della causa pregiudicata il compito di verificare, tenuto conto degli elementi in base ai quali la controversia è riaperta attraverso l'impugnazione, se l'efficacia della sentenza pronunciata sulla lite pregiudicante debba essere sospesa o se la sua autorità debba essere provvisoriamente rifiutata, tramite la sospensione, che non può essere automatica.

L'applicabilità dell'art. 337 c.p.c., prima della riforma del 2015, era, tuttavia, preclusa dall'art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992, ai sensi del quale alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del c.p.c., escluso l'art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto. L'attuale art. 49, nel testo modificato dall'art. 9, comma 1, lett. u, del d.lgs. n. 156 del 2015 ed applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2016, stabilisce, invece, che alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, fatto salvo quanto disposto nel presente decreto. Dall'eliminazione dell'inciso «escluso l'art. 337 c.p.c.» dovrebbe, quindi, discendere l'applicabilità di tale disposizione anche nel processo tributario, salvo ritenerne l'incompatibilità con l'efficacia – anteriormente al giudicato di annullamento — dell'atto amministrativo impugnato (come suggerisce D'Ascia, 286).

Invero, in seno alla giurisprudenza di legittimità è insorto un contrasto sull'applicabilità dell'art. 337 c.p.c. nel processo tributario.

La Suprema Corte ha, difatti, talvolta riformato il provvedimento di sospensione ex art. 295 c.p.c. del processo dipendente in pendenza del giudizio d'impugnazione della sentenza sulla controversia pregiudiziale, asserendo l'illegittimità in tale ipotesi della sospensione necessaria e l'ammissibilità della sola sospensione discrezionale ex art. 337 c.p.c., conformemente all'orientamento delle Sezioni Unite – così, ad esempio, Cass. V, n. 16329/2014, secondo cui in tema di processo tributario, l'art. 39 regola solo i rapporti tra processi tributari e non tributari, sicché quando tra due giudizi tributari esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante (nella specie relativo all'accertamento di un credito d'imposta, evidenziato nella dichiarazione del 1998) sia stato definito con sentenza, sebbene ancora non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato (nella specie avente ad oggetto cartella di pagamento per l'annualità successiva) soltanto ai sensi dell'art. 337 e non dell'art. 295 c.p.c.

In altre ipotesi, al contrario, sono state cassate le sentenze di merito che hanno deciso la causa dipendente senza sospendere il processo ex art. 295 c.p.c. in attesa del passaggio in giudicato della decisione pregiudiziale. In questo senso si sono espresse, ad esempio, Cass. V, n. 16615/2015, e Cass. VI, n. 22673/2015, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, va cassata con rinvio la sentenza che decida la causa pregiudicata (nella specie, avente ad oggetto il provvedimento d'irrogazione di sanzioni) in base alla decisione, non ancora passata in giudicato, della causa pregiudiziale (consistente nella prima fattispecie nell'annullamento dell'accertamento dei maggiori utili della società di capitali e nella seconda nell'annullamento dell'avviso di rettifica), presupposto delle sanzioni applicate, dovendosi, in tale ipotesi, sospendere il processo pregiudicato ex art. 295 c.p.c., atteso che i principi del giudicato esterno consentono di attribuire efficacia riflessa alle sole sentenze definitive.

Tale contrasto non appare ancora risolto, come dimostrato dalle recentissime Cass. VI, n. 11441/2016, secondo cui, ai sensi dell'art. 49 del d.lgs. n. 546/1992, nella formulazione anteriore al d.lgs. n. 156 del 2015, applicabile ratione temporis, nel processo tributario non opera la sospensione ex art. 337 c.p.c., sicché il giudizio pregiudicato, in caso di decisione non ancora passata in giudicato della causa pregiudiziale, è suscettibile di sospensione ex art. 295 c.p.c., restando ammissibile, avverso la relativa ordinanza, regolamento di competenza ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1 del d.lgs. n. 546/1992 e 42 c.p.c., e Cass. VI, n. 17613/2016, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, secondo la disciplina vigente ratione temporis, anteriormente al 1° gennaio 2016 ed alle modifiche di cui al d.lgs. n. 156/2015, la sospensione necessaria del processo civile di cui all'art. 295 c.p.c. non è applicabile allorché la ipotetica causa pregiudicante penda in grado di appello potendo in tal caso trovare applicazione solo l'art. 337, comma 2, c.p.c., in forza del quale il giudice ha facoltà di sospendere il processo ove una delle parti invochi l'autorità di una sentenza a sé favorevole e non ancora definitiva. Occorre, tuttavia, segnalare la recentissima Cass. VI, n. 23840/2017, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, ex art. 49 del d.lgs. n. 546/1992, secondo la formulazione vigente successiva alle modifiche di cui all'art. 9, comma 1, lett. u) del d.lgs. n. 156/2015, allorché l'ipotetica causa pregiudicante penda in grado di appello, trova applicazione l'art. 337, comma 2, c.p.c., in forza del quale il giudice ha facoltà di sospendere il processo ove una delle parti invochi l'autorità di una sentenza a sé favorevole e non ancora definitiva. (Nella specie, la S.C. ha accolto il regolamento di competenza proposto dall'Agenzia delle entrate contro l'ordinanza con cui la Commissione tributaria regionale aveva sospeso, ex artt. 49 del d.lgs. n. 546/1992 e 295 c.p.c., il processo pendente davanti a sé, relativo all'avviso di recupero di un credito Iva, sul presupposto che tra le stesse parti fosse pendente un altro processo, non ancora definito in appello con sentenza passato in giudicato, inerente alla contestata sussistenza di un credito IVA, recuperato negli anni successivi).

In ordine alla nuova disciplina vigente va segnalato che, secondo Cass., Sez. VI, 6 ottobre 2017, n. 23480, in tema di contenzioso tributario, ai sensi dell'art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo la formulazione vigente ratione temporis, successiva alle modifiche di cui all'art. 9, comma 1, lett. u) del d.lgs. n. 156 del 2015, allorché l'ipotetica causa pregiudicante penda in grado di appello trova applicazione l'art. 337, comma 2, c.p.c., in forza del quale il giudice ha facoltà di sospendere il processo ove una delle parti invochi l'autorità di una sentenza a sé favorevole e non ancora definitiva – in applicazione di tale principio, è stato accolto il regolamento di competenza proposto dall'Agenzia delle entrate contro l'ordinanza con cui la Commissione tributaria regionale aveva sospeso ex art. 295 c.p.c., il processo pendente davanti a sé, relativo all'avviso di recupero di un credito Iva, sul presupposto che tra le stesse parti fosse pendente un altro processo, non ancora definito in appello con sentenza passato in giudicato, inerente alla contestata sussistenza di un credito IVA, recuperato negli anni successivi. La Suprema Corte ha sottolineato la chiara valenza del novum normativo e la specialità dell'art. 337 c.p.c. rispetto all'art. 295 c.p.c., precisando che, ai fini dell'applicazione di tale disposizione, da interpretarsi alla luce del principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, comma 2, ultima parte, Cost., non assume alcun rilievo la distinzione tra "pregiudizialità logica" e “pregiudizialità tecnico giuridica", proprio perché la fattispecie processuale concreta si caratterizza per la esistenza di una pronuncia (di appello) non ancora passata in giudicato emessa nel processo affermato/ritenuto "pregiudicante".

Divieto di sospensione in pendenza di processo penale.

L'art. 20 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nel vietare la sospensione del giudizio tributario in pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti, dal cui accertamento dipende la relativa definizione, sancisce la completa autonomia del procedimento e del processo tributario rispetto a quello penale. L'opposta regola, dettata dall'art. 21 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, secondo cui «per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovrimposta è divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti la materia» (cosiddetta «pregiudiziale tributaria»), è stata sconfessata dalla Corte cost. n. 88/1982, ne ha dichiarato l'illegittimità, ritenendo l'efficacia vincolante per il giudice penale dell'accertamento amministrativo incompatibile con gli artt. 101, comma 2, 24 e 3 Cost. e, cioè, con il diritto di difesa, con il principio del libero convincimento e con quello di uguaglianza, in quanto, da un lato, impedisce l'esercizio del diritto inviolabile di difesa in sede penale e, dall'altro, differenzia irrazionalmente la condizione degli imputati secondo che la imputazione sia conseguente a un accertamento amministrativo tributario o no e, nell'ambito degli accertamenti amministrativi tributari, sia relativa ad imposte dirette o indirette. Successivamente la Corte cost. n. 89/1982, ha censurato anche l'art. 58 del d.P.R. n. 633 del 1972, nella parte in cui dispone che l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento è divenuto definitivo nel caso del reato indicato nel precedente art. 50, comma 4. Dal punto di vista storico va ricordato che successivamente all'intervento della Consulta, in un primo momento, con la legge 7 agosto 1982, n. 516, è stata codificata la scelta del cosiddetto «doppio binario», eliminandosi il sistema della pregiudiziale tributaria ed introducendosi il principio dell'autonomia tra i due procedimenti, pur affermandosi, all'art. 12, l'efficacia vincolante nel processo tributario della sentenza penale irrevocabile pronunciata a seguito di un regolare giudizio, sebbene limitatamente ai fatti materiali. Tuttavia, nel 1988, con la riforma del codice di procedura penale, è stato introdotto l'art. 654 recante «norme concernenti l'efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi» che recita: «nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa». Tale disposizione esclude l'efficacia vincolante del giudicato penale nel processo tributario — anche nei confronti dell'Amministrazione finanziaria costituitasi parte civile — a causa delle limitazioni probatorie presenti in quest'ultimo, in particolare del divieto di giuramento e di prova testimoniale ex art. 7 del d.lgs. n. 546/1992. Invero, immediatamente dopo l'introduzione del nuovo art. 654 c.p.p., si è discusso della perdurante vigenza dell'art. 12 della legge 7 agosto 1982, n. 516, in quanto norma speciale rispetto alla disciplina processuale penale generale, o, al contrario, della sua implicita abrogazione da parte dell'art. 654 del novellato c.p.p. (tesi affermata dalla giurisprudenza di legittimità, v. Cass. I, n. 10411/1998 e Cass. I, n. 947/2000), ma, comunque, il legislatore ha proceduto all'abrogazione espressa con l'art. 25 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (v. in argomento Papiri, 1141).

In conclusione, l'autonomia processuale tra giudizio penale e tributario è di ostacolo all'applicazione dell'art. 295 c.p.c., non essendo il giudicato penale direttamente invocabile nel processo tributario, poggiando i due processi su sistemi probatori differenti, sicché non vi sono i presupposti per la sospensione necessaria. Ad ogni modo, il divieto di sospensione del processo tributario in attesa della definizione di quello penale, vertente sui medesimi fatti, si rinviene espressamente nell'art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992, che ammette la sospensione per questioni pregiudiziali esterne alla giurisdizione tributaria solo in caso di querela di falso o di controversie sullo stato o sulla capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio, ed ancora più chiaramente nell'art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000. La sentenza penale, tuttavia, può avere una valenza indiretta nel giudizio tributario, integrando un indizio in ordine ai fatti in essa accertati, liberamente valutabile dal giudice tributario, che, pur non potendo limitarsi a recepirne il contenuto, può tenerne conto a livello probatorio (come osserva Cesari, 139 al riguardo «il dato normativo, volto ad eliminare ogni tipo di interferenza tra i due processi, subisce certamente l'impatto pratico della giurisprudenza che ormai, con orientamento consolidato, permette la trasmigrazione di provvedimenti processuali aventi carattere decisorio che potranno indubitabilmente acquisire un'efficacia, seppur indiretta, nel giudizio tributario»).

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l'accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. V, n. 8129/2012; ancora più recentemente Cass. V, n. 2938/2015, secondo cui la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l'accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva; con specifico riferimento alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perché il fatto non sussiste», v. Cass. V, n. 10578/2015, che ha precisato che la decisione penale non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell'esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare).

Da tale premessa — e, cioè, dall'inoperatività nel processo tributario dell'efficacia vincolante ex art. 654 c.p.p. del giudicato penale, che, dunque, integra un mero indizio e non rappresenta un accertamento preliminare necessario — deriva l'impossibilità di disporre, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., la sospensione del processo tributario in attesa della definitività della sentenza penale, come peraltro sancito dall'art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, ancorché coincidano i fatti esaminati in sede penale e quelli che fondano l'accertamento (Cass. V, n. 4924/2013; v. anche Cass. V, n. 8129/2007, con cui è stato cassato il provvedimento di sospensione del giudizio per la pendenza di un processo penale ritenuto di carattere pregiudiziale rispetto alla controversia tributaria, essendo ammessa la sospensione per questioni pregiudiziali «esterne» solo nelle ipotesi di cui all'art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992 ed operando, peraltro, lo specifico divieto di cui all'art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000). Nello stesso senso è orientata la Corte costituzionale che, con l'ordinanza d'inammissibilità del 24 novembre 2010, n. 335, ha precisato che avrebbe dovuto essere censurato non l'art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma l'art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, il quale fa espresso divieto di sospendere il processo tributario per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione, precisando che, comunque, non è configurabile una soluzione costituzionalmente obbligata, attesa la molteplicità di correttivi adottabili per porre rimedio al divieto di sospensione (già in passato Corte cost.n. 349/1987, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 1, del d.l. 10 luglio 1982 n. 429, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 1982, n. 516, il quale, per un verso, escludeva la sospensione del processo tributario in pendenza di giudizio penale, e, per altro verso prevedeva che la sentenza definitiva di condanna o di proscioglimento esplicasse autorità di giudicato nel processo tributario, ha precisato che gli artt. 2, 3, 24, 25 e 53 della Costituzione non consentono di affermare che la «superiorità «della sentenza penale in virtù delle maggiori garanzie che il relativo processo offre sul piano probatorio debba sempre prevalere sui giudizi pendenti davanti altri giudici e, nella specie, sui giudizi pendenti dinanzi al giudice tributario).

Sospensione in pendenza di procedura amichevole.

Con il d.lgs. n. 156/2015 è stata introdotta una nuova ipotesi di sospensione del processo tributario, oggetto del comma 1-ter del presente articolo, i cui presupposti sono: 1) la richiesta conforme delle parti; 2)l'attivazione di una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni stipulate dall'Italia ovvero ai sensi della Convenzione relativa all'eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/463/CEE del 23 luglio 1990 — art. 39, comma 1-ter (invece che più semplicemente comma 3), del d.lgs. n. 546/1992. Relativamente a tale ultimo presupposto si discute se sia sufficiente la mera presentazione dell'istanza di accesso alla procedura convenzionale (così Conte — Gazzo, 34) o la comunicazione, da parte del Ministero delle Finanze, dell'accoglimento dell'istanza.

Sulla medesima disposizione è recentemente intervenuto il d.lgs. 10 giugno 2020, n. 49, attuativo della direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio, del 10 ottobre 2017, sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell'Unione europea. L’art. 22 di tale d.lgs. ha modificato il comma 1-ter dell’art. 39 in commento, introducendo la lett. b) e, pertanto, prevedendo la sospensione del processo su richiesta del solo contribuente, nel solo caso in cui sia stata presentata un'istanza di apertura di procedura amichevole ai sensi della direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio del 10 ottobre 2017. La sospensione del processo disposta ai sensi dell’art. 39, comma 1-ter, comporta l’effetto sostanziale di precludere la riscossione degli imponibili accertati dall'ufficio ma non ancora definitivi, iscritti, unitamente agli interessi, a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per un terzo del maggiore ammontare accertato: difatti, l’Agenzia delle Entrate competente è tenuta a sospendere la relativa attività di riscossione sino alla conclusione delle procedure previste dalla (UE) 2017/1852, come previsto dall’art. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dal d.lgs. n. 49 del 2020. Come precisa il successivo art. 25, il d.lgs. n. 49 del 2020 si applica alle istanze di apertura di procedura amichevole presentate a decorrere dal 1° luglio 2019 sulle questioni controverse riguardanti il reddito o il patrimonio, relativi al periodo d'imposta che inizia il 1° gennaio 2018 e ai successivi periodi d'imposta.

Le procedure amichevoli (MAP-Mutual Agreement Procedure) consistono in una consultazione diretta tra le Amministrazioni fiscali dei Paesi contraenti, finalizzata ad eliminare ipotesi di doppia imposizione e fondata su specifiche convenzioni internazionali — in ambito europeo, la direttiva 2017/1852 del Consiglio del 10 ottobre 2017, a cui ha dato attuazione il d.lgs. n. 49 del 2020, ha introdotto le norme relative a un meccanismo per risolvere le controversie tra Stati membri che emergono dall'interpretazione e applicazione di accordi e convenzioni che prevedono l'eliminazione della doppia imposizione del reddito e, ove applicabile, del capitale. Può ricordarsi, ad esempio, Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990 relativa alle doppie imposizioni collegate alla rettifica degli utili di imprese associate, derivanti dall'applicazione delle normative in materia di prezzi di trasferimento (nell'ordinamento interno, art. 9 e 110, commi 2 e 7, del d.P.R. n. 917/1986).

Va ricordato che le Sezioni Unite hanno ritenuto riconducibile agli atti impositivi impugnabili, ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, il diniego di accesso alla procedura amichevole notificato al contribuente dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, in quanto esso comporta il consolidarsi della doppia imposizione e l'esplicitazione di una specifica pretesa tributaria (Cass. S.U., n. 12760/2015). In considerazione di tale orientamento, ci si può chiedere se sospeso il processo tributario ex art. 39, comma 1-ter, all'esito della mera presentazione dell'istanza da parte del contribuente, i presupposti della sospensione persistano, nonostante il diniego dell'Amministrazione, ove tale provvedimento negativo sia oggetto d'impugnazione. La soluzione positiva appare, tuttavia, difficilmente compatibile con il principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., tenuto conto, peraltro, che il procedimento amministrativo, con il diniego della competente autorità, si è — quantomeno momentaneamente — esaurito. Né sussistono i presupposti per una sospensione ex art. 295 c.p.c., atteso che l'eventuale annullamento del diniego comporterebbe solo la necessità di proseguire la procedura amichevole, il cui esito, peraltro, non può incidere sulla decisione dell'autorità giudiziaria, a cui il contribuente dovrebbe rinunciare, in virtù del principio di alternatività.

Altre ipotesi di sospensione del processo

Il processo tributario può essere, inoltre, sospeso nelle altre ipotesi previste dalla legge e dal c.p.c. e compatibili con la disciplina del d.lgs. n. 546 del 1992: ad esempio, qualora sia proposto regolamento di giurisdizione (artt. 41 e 367 c.p.c.), qualora sia avanzata istanza di ricusazione (art. 6 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 52, comma 3, c.p.c.) o qualora sia sollevata, nel corso del giudizio, questione di legittimità costituzionale (art. 23, comma 2, l. 11 marzo 1953, n. 87) o questione interpretativa alla Corte di Giustizia dell'Unione europea (art. 177 del Trattato Unione Europea). In caso di regolamento di giurisdizione la sospensione del processo non è automatica, come nelle altre ipotesi menzionate, ma viene disposta dal giudice della causa di merito che non ritenga l'istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata. Non risulta, invece, applicabile l'art. 48 c.p.c., ai sensi del quale i processi relativamente a cui è chiesto il regolamento di competenza sono sospesi dal giorno in cui è presentata l'istanza al cancelliere o dalla pronuncia dell'ordinanza del giudice che lo richiede, in quanto, come stabilisce l'art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel processo tributario non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza (v. La Rocca, 1227).

Va, inoltre, ricordato che, in virtù dell'art. 5 del d.l. 28 aprile 2009, n. 39, convertito in l. 24 giugno 2009, n. 77, fino al 31 luglio 2009, sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dinanzi agli uffici giudiziari e più in generale i processi civili, amministrativi e quelli di competenza di ogni altra giurisdizione speciale pendenti alla data del 6 aprile 2009 presso gli uffici giudiziari aventi sede nei comuni interessati dagli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo, ad eccezione delle cause di competenza del tribunale per i minorenni, delle cause relative ad alimenti, ai procedimenti cautelari, ai procedimenti per l'adozione di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione, ai procedimenti per l'adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, a quelli di cui all'art. 283 c.p.c. e in genere delle cause rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti. Si è, poi, previsto che per i soggetti che alla data del 5 aprile 2009 erano residenti, avevano sede operativa o esercitavano la propria attività lavorativa, produttiva o di funzione nei comuni e nei territori individuati con i provvedimenti di cui al comma 1, il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 6 aprile 2009 al 31 luglio 2009 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione, salva la facoltà di rinuncia espressa alla sospensione da parte degli interessati.

Proprio in un contenzioso tributario è stato precisato che al fine di verificare la tempestività di un appello, proposto da una parte il cui difensore abbia lo studio legale a L'Aquila, deve tenersi conto della sospensione dei termini tra il 6 aprile ed il 31 luglio 2009, prevista dall'art. 5, comma 3, del d.l. n. 39 del 2009, conv. in l. n. 77 del 2009, atteso che tale disposizione va applicata anche a favore degli avvocati che esercitano la loro attività lavorativa nei comuni o nei territori colpiti dal sisma, in quanto, pur non contemplandoli espressamente, è rivolta a consentire anche a questi ultimi di superare le difficoltà derivanti dal terremoto (così Cass. V, n. 15181/2016).

Infine, un'ipotesi specifica di sospensione del processo tributario e dei termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio, è quella collegata alla condonabilità della lite – ad esempio, quella prevista sino al 30 giugno 2012 dall'art. 39, comma 12, lett. c, del d.l. n. 98/2011, convertito in l. n. 111/2011, per le liti fiscali definibili ai sensi della medesima disposizione.

Come precisato da Cass. VI, n. 999/2016, il processo tributario non può essere sospeso in attesa della definizione di una questione sottoposta, nell'ambito di una diversa controversia, alla Corte di Giustizia, né ai sensi dell'art. 39 che regola i rapporti tra processo tributario e processi non tributari (cd. pregiudizialità esterna) e prevede la sospensione solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione sullo stato o sulla capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio, né ai sensi dell'art. 295 c.p.c., che regola esclusivamente i rapporti tra processi tributari (cd. pregiudizialità interna).

La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, chiarito che l'art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992, secondo cui «non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza», è inserito in un complesso normativo, integrante microsistema, che riguarda la disciplina della competenza, essenzialmente per territorio, delle commissioni tributarie, e si riferisce, quindi, soltanto alle decisioni che queste possono essere chiamate a rendere in ordine a tale competenza, sicché, stante l'esigenza di tutelare i diritti fondamentali garantiti dagli artt. 24, comma 1, 111, comma 2, Cost. e 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la disposizione de qua non esclude la proposizione del regolamento di competenza avverso i provvedimenti di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., impugnazione senz'altro ammissibile alla stregua del combinato disposto degli artt. 1, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992 e 42 c.p.c. (da ultimo, Cass. VI, n. 18100/2013). Tuttavia, tale orientamento, da cui consegue l'ammissibilità del regolamento di competenza avverso il provvedimento che ha sospeso la causa, non comporta l'applicabilità dell'art. 48 c.p.c. in sede tributaria, essendosi, in tale ipotesi, già arrestato l'iter processuale. Per completezza deve, difatti, rammentarsi che l'ordinanza con cui il giudice nega la sospensione del processo, sollecitata da una parte, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., non è impugnabile con il regolamento di competenza, essendo ciò escluso dalla formulazione letterale di quest'ultima norma, dalla sua ratio, che è quella di assicurare un controllo immediato sulla legittimità di un provvedimento idoneo ad incidere significativamente sui tempi di definizione del processo, e dall'impossibilità di accedere ad un'interpretazione analogica della norma, dato il suo carattere eccezionale (Cass. III, n. 19292/2005).

Con riguardo alla definizione delle liti fiscali pendenti ex art. 39, comma 12, del d.l. n. 98/2011, conv., con modificazioni, nella legge n. 111/2011, come precisato da Cass. V, n. 23618/2011, l'astratta definibilità della lite per la sussistenza dei presupposti richiesti, non determina di per sé l'automatica sospensione del procedimento fino al 30 giugno 2012, se ne sia stata fissata la data di trattazione, in quanto, ai sensi degli artt. 39, comma 12, cit. e 16, comma 6, della l. n. 289/2002 è necessario che la parte faccia richiesta di volersi avvalere della speciale normativa.

Bibliografia

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