Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 52 - Giudice competente e provvedimenti sull'esecuzione provvisoria in appello 1 2 31. La sentenza della corte di giustizia tributaria di primo grado puo' essere appellata alla corte di giustizia tributaria di secondo grado competente a norma dell'articolo 4, comma 24. 2. L'appellante puo' chiedere alla corte di giustizia tributaria di secondo grado di sospendere in tutto o in parte l'esecutivita' della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. [Il contribuente puo' comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto se da questa puo' derivargli un danno grave e irreparabile.]5 3. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile e comunque non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione della medesima istanza, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno cinque giorni liberi prima6. 4. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, puo' disporre con decreto motivato la sospensione dell'esecutivita' della sentenza fino alla pronuncia del collegio. 5. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. 6. La sospensione puo' essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all'articolo 69 comma 2. Si applica la disposizione dell'articolo 47, comma 8-bis. 6-bis. L'udienza di trattazione dell'istanza di sospensione non può in ogni caso coincidere con l'udienza di trattazione del merito della controversia7. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 106 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Articolo modificato dall' articolo 3, comma 1, lettera c), del D.L. 25 marzo 2010, n. 40 e successivamente sostituito dall'articolo 9, comma 1, lettera v), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [4] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera aa), numero 1), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220. Per l'applicazione vedi l'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023 medesimo. [5] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera aa), numero 2), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220. Per l'applicazione vedi l'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023 medesimo. [6] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera aa), numero 3), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220. Per l'applicazione vedi l'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023 medesimo. [7] Comma aggiunto dall'articolo 1, comma 1, lettera aa), numero 4), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220. Per l'applicazione vedi l'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023 medesimo. Inquadramento
Per rendere effettiva "l'uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario", prevista dall'art. 10, comma 1 lett. b), n. 9) della legge delega, ed in virtù dell'art. 61, d.lgs. 546/1992: "nel procedimento d'appello si osservano in quanto compatibili le norme dettate per il procedimento di primo grado", l'art. 47 d.lgs. 546/1992, assume valenza di disciplina generale -in quanto praticabile- per tutti i proedimenti incidentali cautelari tributari: ex art. 52 per gli appelli, ex art. 62-bis per i ricorsi in cassazione ed ex art. 65, c.3-bis, per quelli in revocazione. In caso di “eccezionale urgenza”, il presidente della sezione assegnataria ex articolo 26, d.lgs. 546/1992, che procede al preliminare esame del ricorso/appello ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 27, 29 e 30, stesso decreto, provvede anche sulla richiesta sospensione cautelare della provvisoria esecutività/esecuzione con proprio decreto, sinteticamente motivato e contestuale all’altro decreto di fissazione della udienza (ex articolo 47 comma 2, d.lgs. 546/1992) per provvedere in composizione collegiale sull’istanza medesima, da comunicare a tutte le parti costituite almeno 10 giorni liberi prima ex articolo 47 comma 2, d.lgs. 546/1992, o 30 giorni liberi prima ex articolo 31 comma 1, stesso decreto, ove intendesse procedere nella medesima udienza anche alla successiva trattazione della controversia. L'eccezionale urgenza presuppone per il decreto presidenziale cautelare di cui all'articolo 52 comma 4, d.lgs.546/1992, una delibazione nel merito per la sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata (secondo giurisprudenza pretoria ciò vale anche per la sospensione dell’esecuzione dell’atto oggetto del giudizio). Il decreto presidenziale va emesso solo nell'ipotesi di accoglimento della richiesta di provvisoria sospensione dell'esecutività/esecuzione, sia pure parzialmente e/o subordinatamente alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69 comma 2, d.lgs.546/1992; gli effetti del decreto presidenziale cessano con l'emissione dell'ordinanza collegiale (di conferma, revoca o modifica della sospensione provvisoriamente disposta da tale decreto), il cui dispositivo è immediatamente comunicato alle parti presenti in udienza (articolo 47, comma 4, d.lgs. 546/1992). La legge non fissa alcun termine entro il quale il collegio debba pronunciarsi con propria ordinanza non impugnabile sul decreto presidenziale che ha provveduto in caso di “eccezionale urgenza”, perché fissa solamente: un termine (180 gg. dalla presentazione) entro il quale la richiesta cautelare vada comunque decisa (articolo 47, comma 5-bis); ed altro termine (90 gg. dalla decisione che accoglie anche parzialmente la richiesta) entro il quale la controversia vada trattata (articolo 47, comma 6, d.lgs. 546/1992). Nelle more sono possibili revoche o modifiche di qualsiasi effettivo provvedimento cautelare emesso (anche di provvedimenti già revocativi o modificativi), al rilevante mutamento del quadro circostanziale già ivi considerato (articolo 47, comma 8, d.lgs.546/1992). Ovviamente, se l’udienza di trattazione della controversia fosse fissata nei 180 giorni previsti dall’articolo 47, comma 5-bis (valido come norma generale anche per i casi di cui agli artt. 52, e 65 c. 3-bis) e non si versasse in una situazione di “eccezionale urgenza”, la paventata esigenza cautelare potrebbe essere preliminarmente decisa nella medesima udienza di trattazione della controversia, con una efficacia immediata e protratta fino al deposito della sentenza. Dalla data di pronuncia del decreto presidenziale (o, in mancanza, dell’ordinanza collegiale) -se si dispone la sospensione cautelare, accogliendo anche parzialmente l’istanza- decorre il successivo termine di 90 giorni per la trattazione della controversia. Da tale data (in assenza dei motivi di rinvio della deliberazione di cui all’articolo 35 comma 2) decorrono 30 giorni per il deposito della sentenza. Gli effetti della sospensione accordata cessano col deposito/pubblicazione della sentenza. Quindi, la sentenza che decide il giudizio, facendo cessare gli effetti della sospensione accordata, deve essere depositata entro 120 giorni dal decreto presidenziale (o, in mancanza, dell’ordinanza collegiale) sulla sospensiva. Seguendo l'inderogabile criterio territoriale stabilito dall'art. 4, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, sono appellabili tutte le sentenze —e non le ordinanze o i decreti- emesse dalle commissioni tributarie provinciali che si sono pronunciate nel merito e/o nel rito delle questioni ed eccezioni dedotte con ricorso introduttivo (Tesauro, 1998, 696; Tesauro, 2009, 231; Pistolesi, 51; BatistoniFerrara — Bellè, 169). Lo sono anche i provvedimenti del presidente della Ctp. o di Sezione emessi ai sensi dell'art. 28, d.lgs. n. 546/1992 in forma di decreto — a carattere decisorio- che possono essere impugnati con reclamo dinnanzi al Collegio che pronuncerà: sentenza per respingere il reclamo oppure ordinanza per accoglierlo, assumendo al contempo i provvedimenti necessari per la prosecuzione del giudizio. Di tal che ciascuna delle parti potrà poi adire il giudice d'appello o impugnando la sentenza che ha respinto il reclamo, oppure la sentenza che ha definito il giudizio, conseguente all'ordinanza che ha accolto il reclamo (Cristiani, I giudizi di impugnazione delle sentenze tributarie, Milano, 2008, 3). In virtù del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, il nomen iuris di ordinanza o di decreto anziché di sentenza non ne pregiudica l'appello (Cristiani, ivi, 3; nel contenzioso civile: così Consolo, III, 289; contro Tarzia, Profili della sentenza civile impugnabile, Milano, 1967, 86, 117; Mandrioli, II, 43). Anche secondo la giurisprudenza civile ai fini dell'appellabilità prevale la sostanza sulla forma: Cass. S.U., n. 10946/2004; Cass. S.U., n. 25837/2007). Con la novellazione operata dal d.lgs. n. 156/2015, la recente integrazione dell'art. 52, non richiama congiuntamente i canonici concetti del «fumus boni iuris» e del «periculum in mora» ma, testualmente, richiede la sussistenza di «gravi e fondati motivi» (ragioni giuridiche e/o fattuali) per la sospensione, in toto o in parte, dell'esecutività della sentenza impugnata o, comunque, – analogamente alle altre diverse ipotesi disciplinate dagli artt. 47 e 62-bis, stesso decreto – un paventato «danno grave e irreparabile» (ragioni fattuali) per la sospensione, in toto o in parte, dell'esecuzione dell'atto, oggetto del giudizio; per l'ipotesi di cui agli artt. 47, comma 3 e 52, comma 4, è altresì prevista una delibazione nel merito che, ovviamente, per quella di cui all'art. 62, comma 3, non è praticabile. Dall'esercizio dell'una o dell'altra — non alternative — opzioni disponibili: sospensione cautelare della esecutività della sentenza o dell'esecuzione dell'atto (artt. 52 e 62-bis), discendono effetti diversificati in ordine sia all'onere probatorio della sussistenza dei requisiti necessari sia ai benefici concretamente conseguibili. Con la sospensione cautelare della esecutività della sentenza (vds. C. Cost. 17 giugno 2010 n. 217), rimarrebbe comunque praticabile l'esecuzione dell'atto nella misura prevista in pendenza del relativo giudizio, atteso che la sospensione della sentenza inibirebbe solamente la relativa frazione aggiuntiva di riscossione ex art. 68, comma 1, d.lgs. n. 546/1992; con la sospensione cautelare della esecuzione dell'atto (vds. C. Cost. 5 aprile 2007 n. 119) sarebbe invece sempre inibita direttamente la riscossione dell'intero importo richiesto e non ancora pagato, atteso l'effetto devolutivo dell'appello. Si parla di esecuzione — e non di esecutività — dell'atto impugnato attesa l'obbligatorietà della riscossione del tributo, e, pertanto non è necessaria alcuna verifica giudiziale di esecuzione coattiva in corso. La sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata e la sospensione dell'esecuzione dell'atto condividono il requisito della gravità, rispettivamente configurabile con delibazione in diritto (non disgiunta da quella sulla fondatezza della motivazione) e con prognosi in fatto (accompagnata da una valutazione sulla irreparabilità alla luce dell'attività concretamente esercitata dall'intimato-debitore). Il binomio dei “gravi e fondati motivi”, voluto “indissolubile" dal sincretismo legislativo, ex se può non apparire molto perspicuo; l'articolato in rassegna lo riferisce solo alla sentenza da sospendere nell'esecutività, lasciando all'interprete -privo di cognizione piena- di definirne ambito e portata. Secondo la migliore dottrina, trattasi di una valutazione della gravità del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire dall'esecuzione della sentenza, e della delibazione della fondatezza dell'impugnazione della sentenza medesima, che può essere inibita anche parzialmente se i capi della sentenza sono separati. Ne consegue che il potere discrezionale riconosciuto al giudice d'appello (art. 52) è più ampio di quello riconosciuto al medesimo giudice (art. 62-bis) con riferimento alla sentenza impugnata con ricorso per Cassazione o al sotteso atto oggetto del processo, come per il giudice di prime cure (art. 47), nei quali casi per la sospensione dell'esecuzione è invece richiesta l'esistenza di un «grave e irreparabile danno». I requisiti necessari per ottenere la sospensione -in toto o in parte- dell'esecuzione di atti oggetto del giudizio, invece, si esauriscono nel c.d. “danno grave e irreparabile” (inquadrabile nella lata categoria del c.d. "periculum in mora"), relegando il c.d. “fumus boni iuris” della richiesta cautelare, ex art. 47, cc. 3 e 4, d.lgs. 546/1992, alla dimensione minima della litote di “non manifesta infondatezza”. Nel processo civile, cui fa riferimento quello tributario (art. 1, c.2, d.lgs. 546/1992), la sospensione cautelare (c.d. «inibitoria processuale») può essere disposta dal giudice dell'appello ex artt. 283 e 351 c.p.c. e nelle ipotesi di revocazione ex art. 401 c.p.c.. Con la modifica dell'art. 52, d.lgs. 546/1992, nel processo tributario è stata introdotta -dal d.lgs. 156/2015- una specifica disciplina inibitoria per il grado di appello (e, con il rinvio di cui al successivo art. 65, c.3-bis, anche per il giudizio di revocazione. Vds. Ctr Lombardia, Ordinanza 783-01-2018); oltre al “danno grave ed irreparabile”, necessario per la sospensione dell'esecuzione -nei confronti del contribuente- dell'atto impugnato, esattamente come già da tempo disciplinato dal precedente art. 47 (vds. annotazione dell'art. 47, d.lgs. 546/1992), viene qui anche riconosciuta, ad ogni parte appellante, la possibilità di chiedere la sospensione della sentenza di primo grado, in presenza di “gravi e fondati motivi”, come previsto dall'art. 283 c.p.c..; «l'appello, cioè, deve essere serio e, per così dire, di outlook minaccioso e il pregiudizio non banale e/o normale». (C. CONSOLO, Il coordinamento tra il nuovo art. 183 ed altre disposizioni sul processo civile Il mancato ricompattamento dei riti, in Corriere giur., 2007, 12, p. 1757 ss.). Fin da prima della riforma processuale civile (legge 28 dicembre 2005, n. 263) relativamente ai presupposti necessari per l'inibitoria civile, cui fa pedissequo riferimento quella tributaria, dottrina e giurisprudenza hanno fatto costante riferimento ai tradizionali concetti del “fumus boni iuris” e del “periculum in mora”, secondo il criterio della “compresenza asimmetrica” in un “bilanciamento che deve avvenire secondo la metafora dei vasi comunicanti, … potendo il fumus (o, alternativamente, il periculum), assumere nella valutazione un rilievo preponderante” (vds. C. App. Milano 1^civ., Ord. 14/10/2008), ove il maggior rilievo di uno può compensare il minor rilievo dell'altro, purché quest'ultimo resti ancora meritevole di un, seppur minimo, apprezzamento del giudice, ritenendo che la fondatezza prima facie dell'appello debba continuare ad avere rilevanza. La giurisprudenza delle Corti d'Appello si era in gran parte così orientata, valutando sia la fondatezza dell'appello, sia il pericolo derivante dall'eventuale esecuzione della sentenza, dando conto di tale bilanciamento nella motivazione del provvedimento. Poichè non è ipotizzabile alcuna incapienza del patrimonio del creditore procedente (il fisco), atta a determinare un concreto pericolo per il contribuente esecutato, eventualmente poi vittorioso, di non poter recuperare le somme versate, se il contribuente, vincitore appellato, rischia di essere insolvente in caso di soccombenza in appello -in mancanza di congrua garanzia- va sospesa l'esecutività della sentenza impugnata e l'ufficio non deve rimborsare i pagamenti frazionati già ricevuti ex art. 68; viceversa, se è il contribuente, soccombente appellante, che rischia di diventare insolvente, l'esecutività della sentenza (o l'esecuzione dell'atto) andrebbe mantenuta per consentire gli ulteriori pagamenti frazionati, in aggiunta a quelli già ricevuti ex art. 68, non vanificando la tutela del vincitore appellato. Le sentenze emesse su regimi agevolativi, definizioni agevolate di rapporti tributari, annullamento dei provvedimenti di cancellazione dall'albo delle ONLUS, et similia non sono provvisoriamente esecutive perché diverse da quelle di condanna al pagamento di somme a favore del contribuente o che abbiano ad oggetto atti relativi ad operazioni catastali di cui all'art. 2, c.2, d.lgs.546/1992 (vds. art. 69, c.1, d.lgs.546/1992). [*DOTT*] Il novellato art. 52, d.lgs 546/92, dispone che: “l'appellante può richiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi”. Dunque la richiesta può essere formulata “dall'appellante” che non necessariamente coincide con il “contribuente” (come è, invece, espressamente previsto al successivo comma 2, per la sospensione dell'atto impugnato, dove -in assenza di iussum iudicis- l'ente impositore resta il dominus che scandisce i tempi amministrativi dell'esecuzione). Nella fattispecie oggetto dell'Ordinanza, l'ente impositore ha formulato contestuale istanza di sospensione dell'esecutività la sentenza appellata, ritendo sussistenti gravi e fondati motivi, inquadrabili nella lata categoria del fumus boni iuris. Infatti, l'art. 52 citato, nella versione novellata dal d.lgs. 156/2015, richiede che i presupposti per la concessione all'ente impositore della sospensione dell'esecutività della sentenza, ossia il fumus boni iuris, non debba necessariamente coniugarsi al periculum in mora che, peraltro, per il fatto di causa, può ravvisarsi nel rischio di insolvenza dell'appellato -eventualmente soccombente in appello- alla restituzione dell'eccedenza d'imposta già rimborsata ai sensi dell'articolo 68, comma 2, più volte citato decreto, eventualmente assistito dalla procedura d'ottemperanza di cui all'articolo 69, comma 5. La CTR, delibata nel merito la sentenza impugnata, ne ha concesso all'ente impositore la sospensione al fine di non procedere al rimborso del pagamento frazionato, ex art. 68, c.2, d.lgs. 546/92, già riscosso in pendenza di giudizio. Da ciò discende che il contribuente non può più presentare ricorso per l'ottemperanza ex articolo 69, comma 5, di una sentenza non esecutiva fino alla pubblicazione della sentenza d'appello (ex combinato disposto artt. 61 e 47, comma 7). (Ctr Lombardia, Ordinanza 445/01/2018). Mutatis mutandis, la medesima questione si pone per l'ente impositore formulando ex art. 62-bis stesso decreto, una richiesta di sospensione della sentenza d'appello impugnata in cassazione; in tal caso, però, l'ente impositore può formulare istanza solo per evitare un danno grave e irreparabile, inquadrabile nella lata categoria del periculum in mora e configurabile nel rischio di insolvenza del resistente -eventualmente soccombente in Cassazione- alla restituzione dell'eccedenza d'imposta già rimborsata ai sensi dell'articolo 68, comma 2, più volte citato decreto, eventualmente assistito dalla procedura d'ottemperanza di cui all'articolo 69, comma 5. (A. Lucarelli). Il differenziato petitum cautelare: per contribuente e/o ente resistente, la sospensione dell'”esecutività della sentenza” a causa di “gravi e fondati motivi”, e, comunque, solo per il contribuente, la sospensione dell'“esecuzione dell'atto” per i medesimi presupposti: “danno grave e irreparabile”, già previsti dall'art. 47, richiama subito la vexata quaestio se la sentenza tributaria abbia natura sostitutiva dell'atto impugnato (come da dottrina maggioritaria) o abbia natura costitutiva, limitandosi ad annullare o confermare, in toto o in parte, l'atto oggetto del giudizio (vds. per la dottrina: GLENDI C., L'oggetto del processo tributario, Padova, 1984); TESAURO F., Manuale del processo tributario, Torino, 2013; RUSSO P.,Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013; FANTOZZI A., Il contenzioso, in Diritto tributario, Torino, 2003; nonché per la giurisprudenza: Cass. civ., 9 giugno 2010, n. 13868; Cass. civ., 24 luglio 2012, n. 13034; Cass. 28 novembre 2014, n. 25317). Accedendo alla teoria sostitutiva, risulterebbe incongruo chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto sostituito, peraltro su presupposti (“danno grave e irreparabile”) diversi da quelli necessari per la sospensione dell'esecutività della sentenza (“gravi e fondati motivi”). In effetti, tale formulazione si preoccupa tuzioristicamente di dare piena tutela al contribuente, anche nei casi in cui l'intreccio con norme sostanziali -come l'art. 68, d.lgs.546/1992- e riscossive -come l'art. 15 d.P.R. 602/1973- possa esporlo all'esecutorietà che connota l'obbligatorietà della riscossione del tributo. Infatti: • nel caso di una sentenza che respinga il ricorso e confermi l'atto impo-esattivo, è evidente che per il contribuente -unica parte qui interessata- debba essere efficacemente sospesa direttamente l'esecuzione dell'atto (per paventato “danno grave e irreparabile”), risultando inutile la sola sospensione dell'esecutività della sentenza (per “gravi e fondati motivi”), che lascerebbe all'ente resistente praticabile la riscossione frazionata di cui all'art. 68. • nel caso di una sentenza che accolga il ricorso ed annulli l'atto impo-esattivo è evidente che per l'ente resistente -unica parte qui interessata- debba essere efficacemente sospesa sempre e solo l'esecutività della sentenza (per “gravi e fondati motivi”), onde evitare di dover rimborsare la riscossione frazionata di cui all'art. 68, ai sensi del comma 2, insieme agli interessi ed alle spese del giudizio ex art. 69, che statuisce in tema di pagamento di somme (tributi, sanzioni, interessi e spese di lite) a favore del contribuente, anche la procedura di ottemperanza ex art. 70. • nel caso di una sentenza che accolga in parte il ricorso ed annulli in parte l'atto impo-esattivo, è evidente che per il contribuente e per l'ente resistente -entrambi parti qui controinteressate- debbano essere rispettivamente sospesi in parte qua l'esecuzione dell'atto nei confronti del contribuente (per paventato “danno grave e irreparabile”), e l'esecutività della sentenza (per “gravi e fondati motivi”). Va infine evidenziato che: • la sospensione dell'esecutività della sentenza, inibendo soltanto il pagamento della relativa frazione di riscossione -di cui all'art. 68, D.Lgs. n. 546/1992- lascia comunque libera l'esecutorietà dell'atto nella misura già prevista dalle singole leggi d'imposta, in pendenza del giudizio di primo grado; sospende anche il pagamento delle spese di lite ivi liquidate. • la sospensione dell'esecuzione dell'atto, invece, riguarda l'intero importo ivi richiesto (quindi, tutto quanto dovuto secondo le singole leggi d'imposta: prima della sentenza di primo grado, ed il citato art. 68: dopo la sentenza di primo grado); non sospende tuttavia il pagamento delle spese di lite liquidate nella relativa sentenza, rimasta esecutiva. In tema di condono fiscale, l'ordinanza — resa nell'ambito dell'incidente cautelare disciplinato dall'art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 — che dichiara ammissibile il condono, con conseguente estinzione parziale della controversia, ha contenuto sostanziale di sentenza (pur se la legge prevede che la pronuncia sia adottata con ordinanza revocabile e tale ne sia il nomen iuris), comportando la definizione del giudizio, ed è soggetta ai mezzi di impugnazione propri delle sentenze (Cass. n. 2913/2013). Nel caso inverso, cioè quando al nomen di sentenza corrisponde la sostanza di un decreto o di una ordinanza, per esigenze di certezza, la giurisprudenza preferisce adottare invece il c.d. principio dell'apparenza, seguendo la qualificazione formulata dal giudice emittente. Al fine di valutare l'esistenza del fumus boni juris e del periculum in mora la Commissione può esercitare i poteri istruttori di cui all'art. 7,l D.Lgs. 546/1992. L'ordinanza è, comunque, revocabile/modificabile (ex art. 47, c.8, d.lgs. 546/1992, inteso come disciplina generale) al mutare delle circostanze, prima della sentenza che definisce il giudizio. Il ricorso ex art. 700 c.p.c. è inammissibile in materia tributaria per effetto della clausola di specialità di cui all'art.1, c.2, D.Lgs. 546/1992. Prassi e casistica
La prassi Del tutto nuova è la disciplina della fase cautelare, introdotta sul presupposto della richiamata modifica dell'articolo 49, che in buona parte ricalca la procedura prevista dall'articolo 47 per la sospensione dell'atto impugnato. Segnatamente, il nuovo comma 2 consente all'appellante di chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte (quindi limitatamente ai capi ad esso sfavorevoli) l'esecutività della sentenza impugnata, «se sussistono gravi e fondati motivi», analogamente a quanto disposto dall'articolo 283 c.p.c. Tale locuzione fa riferimento, secondo l'orientamento prevalente in giurisprudenza, ai consueti presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora: sotto il secondo profilo, è richiesta una considerevole rilevanza del pregiudizio che l'esecuzione della sentenza potrebbe arrecare al ricorrente. In un'ottica di rafforzamento della tutela della parte, al contribuente è accordata la possibilità di chiedere in ogni caso la sospensione dell'esecuzione dell'atto «se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile», sulla base, cioè, «degli stessi presupposti previsti dall'art. 47 per la sospensione in primo grado» (relazione illustrativa al decreto di riforma). Al contribuente è quindi consentito ottenere la sospensione degli effetti dell'atto impugnato anche quando questo sia confermato da una sentenza di merito. Quanto alle forme di proposizione dell'istanza, si ritiene che, sulla falsariga dell'articolo 47, l'appellante possa presentare l'istanza di sospensione (della sentenza o dell'atto), tanto unitamente allo stesso ricorso ex articolo 53 o al ricorso incidentale ex articolo 54, quanto con atto separato. I successivi commi dal 3 al 6 ricalcano le disposizioni dell'articolo 47, prevedendo che: 1. il presidente fissa con decreto la trattazione dell'istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima; 2. in caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell'esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio; 3. il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile; 4. analogamente a quanto previsto dall'articolo 47, la sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui al nuovo articolo 69, comma 2; 5. per effetto del richiamo al comma 8-bis dell'articolo 47, contenuto nel secondo periodo del comma 6, durante il periodo di sospensione si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa. L'accoglimento dell'istanza di sospensione di una sentenza sfavorevole al contribuente preclude l'applicazione degli articoli 68 del decreto n. 546 e 19 del d.lgs. n. 472 del 1997 (concernenti la riscossione in pendenza di giudizio rispettivamente dell'imposta e delle sanzioni), fino alla conclusione del giudizio di impugnazione, rendendo necessaria la conseguente sospensione anche delle attività esecutive relative all'atto impugnato. Per converso, nel caso in cui sia concessa, a richiesta dell'ufficio, la sospensione di una sentenza favorevole al contribuente, viene inibita l'operatività delle nuove norme che ne disciplinano l'immediata esecutività (cfr. infra) e l'Ufficio è legittimato a non effettuare lo sgravio o il rimborso delle somme riconosciute non dovute in forza della stessa sentenza. (Circ. Ag. Ent. 29 dicembre 2015 n. 38). Qualora l'atto impugnato abbia ad oggetto risorse proprie tradizionali, la richiesta di prestazione della garanzia dovrà essere motivata sulla base di quanto previsto dall'articolo 244, paragrafo 2, del Reg. Cee n. 2913/92, ora articolo 45, par. 3, del Reg. UE n. 952/2013, applicabile dal 1° maggio 2016. Il comma 8-bis dell'articolo 47, espressamente richiamato, stabilisce che durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto nelle ipotesi di sospensione amministrativa. In proposito, attesa la genericità della formulazione legislativa, si ritiene che il tasso degli interessi applicabile in tale ipotesi sia quello previsto dalle norme tributarie di settore. (Circ. Ag. Dog. 23 dicembre 2015 n. 21/D). Articolo 19 del d.lgs. n. 472/1997 «Esecuzione delle sanzioni». L'articolo 10, comma 3, lett. a) punto 1) del d.lgs. n. 156 del 2015, modifica il comma 2 dell'art. 19 del d.lgs. n. 472 del 1997, allineando i poteri delle Commissioni Tributarie Regionali in materia di sospensione cautelare dell'esecuzione degli atti sanzionatori contestati a quelli già previsti avverso gli atti impositivi, con conseguente rinvio all'art. 52 del d.lgs. n. 546 del 1992, in luogo dell'art. 47. L'articolo 10, comma 3, lettera a), punto 2) del d.lgs. n. 156 del 2015, modifica il comma 3 del citato articolo 19 per adeguare la disposizione in materia di tutela cautelare con il richiamo alle garanzie di cui al novellato articolo 69, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, che, come sopra ricordato, è in vigore dal 1° giugno 2016. (Circ. Ag. Dog. 23 dicembre 2015 n. 21/D). Conseguentemente, fino all'adozione del Decreto Ministeriale previsto nel citato articolo 69, comma 2, ricorrendo la medesima ratio sottesa all'articolo 19, comma 3, nella formulazione vigente al 31 dicembre 2015, si ravvisa la necessità che l'ufficio richieda, in ogni caso, alla Commissione adita di subordinare l'adozione del provvedimento di sospensione alla prestazione di una idonea garanzia, ai fini della tutela degli interessi erariali (Circ. Ag. Dog. 23 dicembre 2015 n. 21/D). Il contributo unificato non è dovuto per i seguenti motivi: a) Istanza di sospensione di cui all'art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche nel caso in cui la stessa sia proposta con atto separato, sia antecedentemente che successivo alla proposizione del ricorso principale. Detta istanza, infatti, non si configura alla stregua di un vero e proprio giudizio cautelare, sebbene introduttiva di una fase incidentale del processo di primo grado i cui atti non sono assimilabili ad autonomi atti processuali o a quelli antecedenti, necessari o funzionali allo svolgimento del processo; b) Istanza di sospensione della sentenza di primo grado limitata-mente alle sanzioni e quella proposta in pendenza del giudizio di primo grado, pur essendo manifestazione di potestà discrezionale del giudice adito, è espressione di un potere «proprio» del giudice dell'impugnazione, nei confronti della sentenza di primo grado, direttamente connesso all'effetto devolutivo dell'appello o del giudice che ha emanato la sentenza nei cui confronti è proposto il ricorso per revocazione o per Cassazione. (Circ. Min. Ec. Fin., 21 settembre 2011, n. 1/DF). Casistica L'Amministrazione finanziaria e, comunque, la parte pubblica appellante possono chiedere solo la sospensione della esecutività della sentenza di prime cure «se sussistono gravi e fondati motivi»; pendente il ricorso per cassazione, può essere da loro formulata solo la richiesta di sospensione della esecutività della sentenza di appello per evitare un «danno grave e irreparabile». Il contribuente ricorrente, oltre alla sospensione della esecutività della sentenza, dopo il processo di prime cure, come per la parte pubblica, può chiedere sempre (in primo grado, in appello o in cassazione) anche la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato se da questa possa derivargli un «danno grave e irreparabile». Gravi e fondati motivi (ragioni giuridiche e/o fattuali): ragionevole probabilità di accoglimento dell'appello e/o fondato timore di un immediata esecuzione di una sentenza palesemente censurabile (ad esempio per errore revocatorio del giudice —art. 360, n. 5, c.p.c.- che ha omesso l'esame di un fatto decisivo). Danno grave e irreparabile (ragioni fattuali): 1) per la parte privata: un costo della provvista necessaria al pagamento non interamente risarcibile; possibile conseguente insolvenza nella successiva attività aziendale; esposizione finanziaria conseguente gravemente pregiudizievole per la sopravvivenza della attività economica esercitata; precedente ipoteca (o altra garanzia) che non consenta l'accensione di un mutuo finalizzato al pagamento dell'atto; precedente pignoramento di conti bancari; attuale pericolo di fallimento; conseguenti rischi concreti ed attuali per la sopravvivenza della attività economica o per diritti primari della persona; con riferimento al compenso percepito dal contribuente in qualità di socio unico di una Srl; agli obblighi di versamento in capo al contribuente a seguito di omologa di separazione consensuale; all'impossibilità di adempiere anche in ipotesi di versamento mediante rateizzazione in misura massima; in conseguenza di pregressi debiti tributari divenuti definitivi è tenuto a versare mensilmente con rateizzazione ad Equitalia somme quasi pari al reddito dichiarato mensile. 2) Per la parte pubblica: fatti circostanziati che possono far temere l’impossibilità di veder soddisfatto il proprio credito quali, ad esempio: comportamenti precedenti del contribuente volti alla alienazione del patrimonio; pluralità di protesti a suo carico; pluralità di esecuzioni coattive in corso. Gravi e fondati motivi insieme al danno grave e irreparabile: possibilità che la parte appellata, vittoriosa in prime cure, presenti già un grado di insolvenza tale da non garantire l'eventuale restituzione di quanto l'appellante sia stato condannato a pagare in prime cure;. ovviamente, non è ipotizzabile alcuna incapienza del patrimonio del creditore fiscale procedente atta a determinare un concreto pericolo per il contribuente esecutato – eventualmente poi vittorioso – di non poter recuperare le somme versate. Prove contrarie: perizia giurata sugli indici di liquidità volta a dimostrare se l'azienda sia in grado, o meno, di onorare debiti a breve termine, come, ad esempio, quelli con i quali l'Agente per la riscossione (Equitalia), esclude uno stato di temporanea difficoltà economica e finanziaria dei contribuenti che richiedono dilazioni del loro debito fiscale; L'ammontare dell'importo da pagare non può integrare ex se il danno grave e irreparabile senza aver preso in esame la possibilità di sottoporre il pagamento dovuto ad una rateazione compatibile con la solvibilità del richiedente. “il fumus boni iuris è una prognosi della “possibile fondatezza delle ragioni dedotte dal ricorrente nell'originario ricorso contro l'atto impugnato di cui ora teme gli effetti dell'esecutorietà”… considerando sommariamente il grado di … “attendibilità dei motivi dedotti in ricorso, tendenti a caducare in tutto o in parte l'atto impugnato, valutando sul piano ipotetico il grado di probabilità del riconoscimento del diritto del ricorrente nella futura sentenza di merito”. (Ctp Milano, 341/1996). Nell’ordinanza di sospensione cautelare è “inibito ogni giudizio relativo al merito vero e proprio della controversia, che altrimenti costituirebbe un'illegittima anticipazione del giudizio finale” (Ctp Reggio Emilia, 1/1996). La ricorrente ha versato in atti bilanci di esercizio attestanti perdite e documenti da cui si desume il fallimento di un proprio debitore ed una consistente esposizione debitoria verso banche; sussistono, quindi gravi e fondati motivi tali da giustificare la richiesta sospensione dell'esecuzione della sentenza (C.t.r. Lombardia ord. n. 9/2011). «Delibato collegialmente il merito della controversia, ritenuta insussistente l'eccezionale urgenza e ritenuto dimostrato il pericolo di danno grave e irreparabile (vds. pag. 86 dell'atto di appello e contestuale istanza di sospensione: riscossione complessivamente dovuta per euro 28.000.000 pari al decuplo del patrimonio sociale netto di euro 2.803.919 al 31 dicembre 2015); considerato sussistere sia il fumus boni iuris sia il periculum in mora, in un «bilanciamento che deve avvenire secondo la metafora dei vasi comunicanti, ... potendo il fumus (o, alternativamente, il periculum), assumere nella valutazione un rilievo preponderante» (vds. App. Milano I, ord. 14 ottobre 2008) ... l'istanza di sospensione è accolta» (C.t.r. Lombardia n. 495/1/2016). «La verosimile restituzione di quanto indebitamente pagato in pendenza del processo ex art. 68, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 546/1992, fruirebbe di interessi corrispettivi calcolati con «un saggio ben inferiore a quello che l'odierna ricorrente versa alle banche affidatarie e, soprattutto, inferiore a quello che realizzerebbe investendo sul mercato le somme eventualmente pagate all'erario; né sarebbe possibile trovare alcun ristoro in un'azione risarcitoria, essendo questa pacificamente esclusa nel campo tributario. Ancora, l'entità della somma pretesa è tale da influire considerevolmente nei piani previsionali dell'attività sociale, assorbendo liquidità da impegnare nella gestione caratteristica e impegnando in misura rilevante ai fini concessi.» (C.t.r. Lombardia ord. n. 566/1/2017). «Il c.d. periculum in mora, come denunciato dal contribuente, si fonda non solo sull'asserita gravità consistente nella «sproporzione fra le richieste erariali (Euro 289.400/00) e quelle che sono le concrete possibilità economico-finanziarie del contribuente (redditi da lavoro dipendente per Euro 214.092/00 per il signor Xxxxxx e Euro 23.092/00 per la signora Yyyyyyy, gravati da mutuo ipotecario trentennale, rateazione cartelle esattoriali di Equitalia, pagamenti di procedure esecutive immobiliari ed importanti costi farmaceutici non mutuabili per grave sindrome depressiva)» ma anche nelle ulteriori irreparabili conseguenze per diritti primari della persona, quali induzione in uno stato di indigenza tale da far venir meno quanto necessario per sopperire ai bisogni della famiglia» (C.t.r. Lombardia ord. n. 144/10/2017). «Il c.d. fumus boni iuris emergerebbe dagli stessi motivi di impugnazione, per le ragioni ampiamente illustrate nel contestuale atto d'appello, ed in particolare dalla circostanza che «i giudici di primo grado hanno erroneamente ritenuto che in udienza fosse presente l'Ufficio e non il difensore della società Dott. Xxxxx, come effettivamente avvenuto, e come si evince non solo da copia del processo verbale rilasciato dalla segreteria della Commissione tributaria stessa su richiesta di parte, nel quale indicato quale soggetto presente solo il Dott. X, difensore di Y S.p.A.; ma anche di copie dell'incarico di rappresentanza della Direzione provinciale di Z presso la commissione tributaria ex art. 11 d.lgs. 546/1992 consegnato alla Commissione tributaria provinciale di Mmmmm per l'udienza del X 2016, nel quale non figura alcun mandato in relazione al contenzioso in essere con Y S.p.A.»; pertanto, secondo l'appellante, il primo giudice non avrebbe ascoltato la difesa del ricorrente poiché sarebbe impensabile che «le motivazioni addotte a difesa di una parte possano essere confuse con quelle della parte contrapposta» come appare in narrativa della sentenza impugnata» (C.t.r. Lombardia ord. n. 1166/10/2017). «Considerato che il c.d. periculum in mora, come denunciato dal contribuente, si fonda non solo sull'importo da pagare — che non potrebbe integrare ex se il danno grave e irreparabile presupposto per la sospensione cautelare richiesta — ma illustra anche conseguenti rischi concreti ed attuali per diritti primari della persona o per la sopravvivenza della attività economica; infatti, l'istante, pur senza prendere in esame la possibilità di sottoporre il pagamento dovuto ad una rateazione compatibile con la propria solvibilità per un'esposizione complessiva di Euro 41.185/39, evidenzia «come ... non sia nelle condizioni economiche per adempiere agli atti impositivi in quanto, a fronte di esigue risorse finanziarie (come si evince dal saldo del proprio c/c bancario), con la propria capacità reddituale (vedasi ultima dichiarazione dei redditi) deve provvedere al sostentamento del proprio figlio minore e della propria compagna (Xxxxxx Yyyyyy), priva di reddito. Tale condizione, di per sé onerosa, è aggravata dalla circostanza che la signora Xxxxxx Yyyyyy versa in condizioni di salute precarie a causa delle quali il contribuente, negli ultimi anni, ha dovuto far fronte ad importanti esborsi finanziari. Dovrà essere, inoltre, considerato che il signor Zzzzzzz è rappresentante legale di una piccola società assicurativa che, negli ultimi anni, ha chiuso il bilancio in perdita ed esposta sul piano bancario. Allo scopo si precisa che la eventuale sospensione condizionata al rilascio di una garanzia fideiussoria bancaria avrebbe anch'essa come conseguenza quella di utilizzare, per corrispondente importo, i fidi bancari» (C.t.r. Lombardia ord. 1166/10/2017). «L'istante espone l'oneroso piano di dilazione già in corso con Equitàlia, al quale andrebbe ad aggiungersi quello per i pagamenti oggetto di questa richiesta di sospensione per un'esposizione complessiva di euro 4.530.130/86. «È del tutto evidente che, nelle more della definizione dei giudici di legittimità, il prosieguo di una pretesa impositiva sanzionatoria di una simile consistenza, esporrebbe l'istante ad un pregiudizio grave ed irreparabile, consistente nell'inevitabile cessazione della sua attività e, conseguentemente nella definitiva dispersione dei valori economici connessi alla medesima, nonché della dimensione occupazionale (allo stato, presso la ditta individuale del deducente operano 10 addetti)». ... «E di evidenza intuitiva il fatto che l'effettiva attitudine a sostenere simili rateizzazioni presupporrebbe la realizzazione di utili annui di esercizio pari ad almeno 2.000.000 di euro» ... «Nell'anno 2016 ha conseguito ricavi per Euro 1.446.100 ed ha affrontato costi per Euro 871.813 realizzando così utili di esercizio per Euro 574.236. Ebbene, simili valori — una volta gravati della tassazione dovuta- non consentirebbero in alcun modo all'istante di far fronte alla propria ingente esposizione debitoria»... «la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione 10^, in composizione collegiale accogliein toto l'istanza di sospensione —con decorrenza immediata- subordinandola, ai sensi del novellato art. 62-bis, comma 5, d.lgs. n. 546/1992, alla prestazione — entro 45 (quarantacinque) giorni da oggi — di garanzia per tutte le somme dovute ex art. 68 comma1, lett. c) d.lgs 546/1992 ed art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, nelle forme e con le modalità di cui al Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22 (come già previsto dal novellato art. 69 comma 2, d.lgs n. 546/1992) emesso ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988; in caso di omessa o parziale prestazione di garanzia – sempre entro gli stessi inderogabili termini già precedentemente fissati– l'accordata sospensione cessa di avere efficacia il giorno successivo alla scadenza di tali termini, limitatamente all'ammontare e/o ai capi in contestazione non garantiti, come eventualmente già indicati dal contribuente. Si applica la disposizione del novellato art. 47, comma 8-bis, d.lgs. n. 546/1992. I costi della garanzia, anticipati dal contribuente istante, saranno a carico della parte soccombente ai sensi dell'art. 8, comma 4, l. n. 212/2000 (e dell'art. 69, comma 3, d.lgs. n. 546/1992) all'esito definitivo del giudizio»... «Il dispositivo dell'ordinanza è immediatamente comunicato alle parti presenti in udienza con le modalità indicate dalla seconda parte del novellato art. 47, comma 4, d.lgs. n. 546/1992; ai sensi del combinato disposto dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 e dall'art. 176, comma 2, c.p.c.: ”le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi». Ne potrà essere richiesta copia alla segreteria di sezione dal giorno successivo a quello di deliberazione» (Ctr. Lombardia ord. 1167/10/2017). In particolare, per danno grave la giurisprudenza di legittimità intende ciò che eccede il pregiudizio necessariamente subito dal debitore per l'esecuzione della sentenza, ove foriero di un inaccettabile squilibrio tra i vantaggi dell'esecutore ed i sacrifici dell'esecutato, e che tale gravità non possa essere efficacemente ridotta con la dilazione della prestazione in esecuzione, o con altre misure. Per danno irreparabile la giurisprudenza di legittimità intende ciò che l'esecuzione causa con la distruzione o con la perdita delle qualità essenziali o delle funzioni economiche del bene, senza la possibilità, nel caso di successivo accoglimento del ricorso, di un suo reintegro in natura o per equivalente; ovviamente, non è ipotizzabile alcuna incapienza del patrimonio del creditore fiscale procedente atta a determinare un concreto pericolo per il contribuente esecutato – eventualmente poi vittorioso – di non poter recuperare le somme versate, bensì altre congiunture quali un costo della provvista necessaria al pagamento non interamente risarcibile, esposizione finanziaria conseguente gravemente pregiudizievole per la sopravvivenza della attività economica esercitata etc. (C.t.r. Lombardia ord. 1165-01-2017). Nella valutazione del danno, va tenuto conto delle «inderogabili esigenze di un necessario bilanciamento degli interessi in gioco che nel caso della materia tributaria vedono contrapposti, da un lato l'interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile conseguenza del pagamento di un tributo, che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e, dall'altro, gli interessi dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze del bilancio.» (Cass. n. 2845/2012). L'irreparabilità del danno grave di cui all'art. 373 c.p.c. (equivalente a quello di cui all'art. 62-bis e, mutatis mutandis, così come quello di cui all'art. 52) «va intesa, quantomeno, nel senso di un'intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza nelle more del giudizio di cassazione e le concrete possibilità di risarcimento in caso di accoglimento del ricorso per cassazione.» (Corte cost. n. 217/2010); «il requisito del «periculum in mora» può essere desunto, anche alternativamente,sia da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all'entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente presumere che, al fine di sottrarsi all'adempimento, ponga in essere atti dispositivi, idonei a provocare l'eventuale depauperamento del suo patrimonio (cfr. Cass.III, n. 2081 /2002; Cass. II, n. 2139/1998; Cass. n. 3563/1996; Cass. n. 902/1990; Cass. n. 5541/1986). Inoltre non è necessario che il pericolo consista in un depauperamento in atto del patrimonio del debitore, purché esso sia desumibile alla stregua degli elementi innanzi indicati (cfr. Cass. I, n. 902/1990; Cass. I, n. 4906/1988).» Trib. Bergamo 22 novembre 2007). Richiesta di sospensione: proponibilità, procedibilità, revoca e modifica; cessazione degli effettiLa richiesta di sospensione, in tutto o in parte, dell'esecutività della sentenza di primo grado o dell'esecuzione dell'atto oggetto del giudizio, deve essere proposta con l'impugnazione principale o incidentale perchè trattasi di subprocedimento incidentale privo di autonomia rispetto al giudizio di merito; pertanto la decisione di inammissibilità dell'appello ne fa venir meno gli effetti (Cass. n. 13617/2004). È opinabile se l'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza o dell'esecuzione dell'atto debba essere contestuale o allegata —a pena di inammissibilità- nell'atto di impugnazione (cfr per l'inammissibilità-nel giudizio civile: App. Trieste, ord. 19 febbraio 2003 e App. Napoli ord. 12 giugno 2002). Ove separatamente depositata –come previsto per la diversa ipotesi di cui all'art. 47, comma 1- secondo giurisprudenza di merito (C.t.r. Lombardia 794-38-2016; C.t.r. Lombardia 881-32-2016; C.t.r. Lombardia 1165-01-2017 etc.), analogamente a quanto previsto dall'art. 62-bis, comma 6, d.lgs. n. 546/1992 per il deposito del ricorso in cassazione, l'istanza è improponibile/improcedibile fino a quando «la parte istante non dimostra di avere depositato il ricorso ... contro la sentenza». Quando oggetto del giudizio sono sanzioni tributarie, la richiesta di sospensione va presentata alla Commissione tributaria regionale (art. 19, comma 2, d.lgs. n. 472/1997), che deve necessariamente concederla (ex lege:art. 19, comma 3, d.lgs. n. 472/1997) se il contribuente produce un'idonea garanzia per tutte le somme dovute ex art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997. La garanzia per la sospensione della riscossione o per il rimborso di ciascuna delle somme dovute ex art. 68, d.lgs. n. 546/1992 ed art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, va prestata nelle forme e con le modalità di cui al Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22 (come già previsto dal novellato art. 69 comma 2, d.lgs. n. 546/1992) emesso ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988; i costi della garanzia, anticipati dal contribuente, saranno infine posti a carico della parte soccombente ai sensi dell'art.8, comma 4, l. n. 212/2000 (e dell'art. 69, comma 3, d.lgs. n. 546/1992) all'esito definitivo del giudizio.. L'avviso di accertamento è l'oggetto del processo tributario, anche di secondo grado, perché su di esso si concentra l'attenzione del giudice; l'autonomia della fase cautelare nel procedimento giurisdizionale, anche tributario, in virtù del rinvio dinamico di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 supera la limitazione all'applicabilità dell'art. 283 c.p.c. nella fase di appello prevista dal d.lgs. n. 546/1992; pertanto, è ammissibile l'istanza di sospensione formulata nel secondo grado di giudizio. È inoltre indifferente, ai fini dell'ammissibilità dell'azione cautelare, che le cartelle esattoriali successive siano state o meno oggetto di impugnazionead hoc, stante il loro carattere meramente consequenziale rispetto agli avvisi di accertamento impugnati ed essendo dunque la loro validità ed efficacia condizionata alla legittimità di quelli, fatta salva l'esistenza di vizi propri delle cartelle stesse (C.t.r. Veneto, 20 dicembre 2004, n. 68). Ciascuna cauzione giudiziaria va esaminata, ai fini del giudizio della sua legittimità costituzionale, nella sua individuale concretezza in rapporto alla funzione che svolge nel processo ed agli effetti che in questo produce. La cautio iudicatum solvi è una cauzione che, qualora non sia prestata dall'opponente, non produce l'estinzione del processo (differenziandosi in tal modo dalla cautio pro expensis), ma fa cessare la sospensione dell'esecuzione mediante la revoca del provvedimento cautelare della sospensione, col quale detta cauzione si pone nello strettissimo rapporto di una cautela di fronte ad un'altra cautela, o, come si dice, di controcautela. (Corte cost., n. 40/1962, a proposito della questione di legittimità costituzionale dell'art. 624, primo comma, c.p.c., in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione). Nel processo tributario l'udienza per la trattazione della richiesta di misura cautelare non può essere fissata prima che siano scaduti i termini per la costituzione della parte resistente (C.t.p. Campobasso 28 maggio 2013, n. 108). Mentre per il primo grado di giudizio, prima della emanazione della relativa sentenza: «in caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare» (art. 47, comma 8), e: «Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado» (art. 47, comma 7; anche nel caso di accoglimento parziale del ricorso), mancano analoghe specifiche discipline per la sospensione concessa nel grado d'appello. Ove non si accetti quanto disposto dal citato articolo 47 – per quanto compatibile e non diversamente disposto- come disciplina comune a tutte le ipotesi di sospensione processuale cautelare della esecutività della sentenza o della esecuzione dell'atto, di cui agli articoli 47,52 e 62-bis, d.lgs.546/1992, trova diretta applicazione, in virtù del rinvio dinamico di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, quanto disposto dal codice di procedura civile. Circa la revoca dell'ordinanza emessa, applicando la disciplina processualcivilistica generale indicata nell'art. 279, c.4, c.p.c.: «i provvedimenti del collegio, che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, non possono mai pregiudicare la decisione della causa; salvo che la legge disponga altrimenti, essi sono modificabili e revocabili dallo stesso collegio», lo stesso giudice che l'ha emessa può revocarla/modificarla, prima della emanazione della relativa sentenza, su motivata istanza della parte interessata o d'ufficio; relativamente, poi, alla cessazione degli effetti, secondo l'ultimo alinea del secondo comma dell'art. 283 c.p.c.: «l'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio», desumendosi, a contrariis, che ove non fosse stata revocata ope iudicis (anche nel caso di accoglimento parziale dell'appello) rimanga efficace fino all'esito definitivo del giudizio. Pendente ricorso per cassazione, dovrà essere dichiarata inammissibile, per carenza di interesse, l'eventuale istanza ex art. 62-bis della parte che ha già ottenuto la sospensione in grado di appello, ove non fosse stata revocata/cessata ope iudicis nella sentenza di secondo grado. Considerato che non è stato introdotto insieme alla sospensione cautelare in tutte le successive fasi processuali (appello e ricorso per Cassazione) quanto già disposto dal comma 7 dell'art. 47 ove si prevede che «Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado», anche in caso di accoglimento parziale del ricorso, sebbene espressamente previsto solo per il primo grado di giudizio dal comma 8 dell'art. 47 che «in caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza», giurisprudenza costante ritiene che la Commissione regionale possa modificare o revocare, anche d'ufficio e pendente il giudizio di appello, il provvedimento cautelare di sospensione concessa in limine gravaminis, con declaratoria espressa in sentenza, continuando, altrimenti, a conservare ogni validità la sospensione concessa. Ai sensi del combinato disposto dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 e dall'art. 176, comma 2, c.p.c.: «le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi». Riproposizione dell'istanza di sospensione cautelare respintaQuanto disposto dall'art. 669-septies c.p.c., che in caso di provvedimento negativo non preclude la possibilità di riproporre l'istanza cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze, è da considerarsi esclusivamente riferibile al procedimento cautelare di sequestro ed è applicabile prima dell'inizio della causa di merito. Si tratta di disposizione normativa non applicabile né in via estensiva, né in via analogica nell'istituto contemplato dall'art. 373 c.p.c., cui l'art. 62-bis d.lgs. n. 546/1992 è compiutamente informato, e nel riformulato art. 52 (giusta il parametro dell'art. 283 c.p.c.), quanto alla sentenza resa in primo grado; e ciò alla stregua di un regime apposito istituitosi in ricercato parallelo a quello della legge processuale generale, nel cui contesto sarebbero senz'altro incompatibili atipiche integrazioni quali quella della disposizione citata (integrazioni precluse peraltro dall'univoco tenore dell'art. 669-quattuordecies c.p.c.). L'istanza di sospensione pertanto, vagliata in ineludibile lettura organica delle citate disposizioni, è inammissibile, con condanna della proponente, ex art. 15, comma 2-quater del d.lgs. n. 546/1992 (C.t.r. Lombardia 12 aprile 2016, n. 487). Sospensione cautelare dopo la cassazione con rinvio— Il contribuente può chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto oggetto del giudizio, qualora la sospensione dell'esecutività della sentenza di prime cure sarebbe inutiliter data perché non spiegherebbe effetti inibitori sull'esecuzione dell'atto, come quando «dopo la cassazione con rinvio, la sentenza di primo grado e la sentenza di appello cassata si trovano sempre esattamente nella stessa condizione di inefficacia, di impossibilità di reviviscenza e di insuscettibilità di passaggio in giudicato» (Cass. n. 23596/2011), legittimando l'ente impositore a riscuotere la pretesa erariale nella misura già prevista per l'impugnazione; ciò perché, per costante giurisprudenza di legittimità, il giudizio di rinvio costituisce una fase nuova ed autonoma, funzionale ad una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti (cfr. Cass. n. 14892/2000; Cass. n. 13833/2002; Cass. n. 1824/2005; Cass. n. 7536/2009; Cass. n. 7781/2011). Le spese della fase incidentale: compensazione, sanzione amministrativa ed impugnabilitàLa Cassazione -con sentenza del 18 aprile 2005 n. 8028 (cfr. anche Cass. n.10917/2016 e Cass. n. 591/2017)- ha affermato che della eccezionale ragione di cui all'art. 15, comma 2, d.lgs.546/92, se ne debba dare conto, seppur succintamente, alla parte vittoriosa affinchè risulti chiaro come l'organo giudicante abbia valutato l'esistenza delle ragioni che hanno determinato la disapplicazione della regola della soccombenza.
L'art. 15, comma 2-quater, d.lgs. n. 546/1992, non fornisce specifici criteri di compensazione delle spese della fase cautelare, per cui possono valere quelli generali previsti dal precedente comma 2; la compensazione sarà quindi possibile in caso di accoglimento dell'istanza subordinato alla prestazione di idonea garanzia, potendosi ciò essere ritenuta soccombenza parziale o reciproca (per la valenza di controcautela – vds. Corte cost. n. 40/1962 – della garanzia richiesta), mentre in caso di accoglimento o rigetto dell'istanza, la compensazione può essere disposta solo per «gravi ed eccezionali ragioni» che devono essere sempre espressamente motivate, sia pure sinteticamente, argomentando su questioni attinenti: «fumus boni iuris» e «periculum in mora», «gravi e fondati motivi» e «danno grave e irreparabile». Come apertis verbis in relazione illustrativa, “trattasi di una disposizione che [...] mira ad evitare un abuso delle richieste di tutela cautelare”. Se la sospensione dell'esecuzione dell'atto è stata accordata per ragioni giuridiche e/o fattuali relative alla sola condizione soggettiva del contribuente, del tutto estranee all'ente impositore, trova spazio una grave ed eccezionale ragione per la compensazione delle spese. Infatti, l'ente impositore resistente non può essere condannato al pagamento delle spese della fase cautelare per il mero accoglimento dell'istanza, dovendosi valutare anche le ragioni sottese all'emissione dell'atto impugnato, ancora sub iudice. L'ultimo alinea del nuovo comma 2-quater prevede sempre in punto di spese, una possibile diversa statuizione espressa nella sentenza di merito a modifica della precedente statuizione incidentale, con una valutazione complessiva all'esito del giudizio. Tale valutazione non esclude necessariamente che la parte vittoriosa possa essere condannata al pagamento delle spese della fase cautelare, ove la propria istanza di sospensione fosse stata giustamente rigettata. La parte condannata alle spese di lite dalla statuizione interinale dell'ordinanza cautelare, nel successivo giudizio di merito -le cui statuizioni definiscono anche quelle dell'ordinanza in punto di spese- può presentare al giudice -ex art. 32 e 61, d. lgs. 546/1992- memorie illustrative dei motivi già dedotti nella medesima richiesta, al fine di una diversa statuizione con una prognosi postuma sulla richiesta respinta. La sentenza che definisce il grado di giudizio è impugnabile in punto di spese della fase incidentale, anche in mancanza di alcuna specifica statuizione, superando le paventate questioni di incostituzionalità su un'ordinanza cautelare non impugnabile, che abbia provvisoriamente deciso sulle spese della fase incidentale, difettando il requisito della definitività. La garanzia per la sospensione della riscossione o per il rimborso di ciascuna delle somme dovute ex art. 68, d.lgs. 546/1992 ed art. 19, comma 1, d.lgs. 472/1997, va prestata nelle forme e con le modalità di cui al Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22 (come già previsto dal novellato art. 69 comma 2, d.lgs 546/92) emesso ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988; i costi della garanzia, anticipati dal contribuente, saranno infine posti a carico della parte soccombente ai sensi dell'art. 8, comma 4, l. n. 212/2000 (e dell'art. 69, comma 3, d.lgs. 546/1992) all'esito definitivo del giudizio. Secondo alcuni autori, mancando un'autonoma disciplina sulla questione, in virtù del rinvio dinamico di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, può trovare applicazione l'art. 283, comma 2, c.p.c.: «Se l'istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio». Questo comma è stato aggiunto dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 27, l. 12 novembre 2011, n. 183, in vigore dal 1° gennaio 2012 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell'art. 36 della medesima l. n. 183/2011. Tale disposizione, come modificata dalla l. n. 183/2011, si applica dal 1° febbraio 2012, in virtù del comma 2 del citato art. 27, l. n. 183/2011. Il comma in parola introduce la previsione di una sanzione pecuniaria cui la parte potrebbe essere condannata nell'ipotesi in cui abbia proposto istanza di sospensione, ex art. 283 c.p.c., che sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata dal giudice del gravame. La ratio della previsione de qua è da ricondurre all'intento del legislatore di «responsabilizzare» la parte soccombente ed indurla a compiere una attenta e ponderata stima dei motivi da porre a fondamento della richiesta e delle possibilità di successo della stessa. Tale vaglio dovrà necessariamente essere effettuato sulla base di un giudizio prognostico di tipo probabilistico e secondo le comuni regole di esperienza giuridica), nonché di evitare che la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza venga richiesta per motivi di mero pretesto, in assenza dei requisiti di legge, al solo fine di impedire alla parte vittoriosa in prime cure di procedere all'esecuzione della sentenza medesima, in mancanza di adempimento spontaneo ad opera del proprio avversario, così imprimendo, al contempo, una forte accelerazione al contenzioso civile pendente in grado di appello. Trattasi, pur sempre, epperò, di un potere sanzionatorio che il giudice esercita discrezionalmente, sulla base di personali valutazioni di opportunità e che è subordinato alla sola effettuazione di una sommaria delibazione circa l'ammissibilità e la fondatezza dell'istanza. Ciò che, tuttavia, non deve certo porsi a discapito della difesa processuale della parte e dell'effettività della tutela giurisdizionale: principi, questi, che, sanciti a livello costituzionale, giammai devono essere sacrificati, neppure a fronte delle esigenze di celerità ed economia processuale, ispiratrici della riforma legislativa de qua. (D'Adamo,Commentario al codice di procedura civile, III, t. II, Torino, 2012, 291) L'ordinanza con cui in sede d'appello, alla prima udienza, il Collegio, a norma degli artt. 283 e 351 c.p.c. (nel testo successivo alla legge n. 353/1990) provvede in ordine alla provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado non è reclamabile davanti a un giudice diverso nè è ricorribile per Cassazione (Cass. S.U. 18 giugno 2008, n. 16537, e Cass. n. 5406/1986), a norma dell'art. 111 Cost., in quanto trattasi di provvedimento endoprocedimentale avente natura latamente cautelare e provvisoria, destinato ad essere assorbito e superato dal provvedimento a cognizione piena che definisce il giudizio (Cass. III, n. 4060/2005). La mancata impugnazione sul punto della sentenza che definisce il grado di giudizio darà luogo a giudicato interno. Nel caso in cui la sentenza impugnata fosse stata riformata «in toto» dal giudice d'appello, la riliquidazione delle spese relative a tale subprocedimento non può essere esclusa (Cass. n. 2671/2013). Le spese della fase cautelare devono essere liquidate dalla Suprema Corte, unitamente a quelle del giudizio di legittimità, considerata la natura meramente incidentale della procedura in esame (C.t.r. Puglia — Bari 19 aprile 2016, n. 377/22/16). Vedasi anche annotazioni degli artt. 47,62-bis e 65, comma 3-bis, d.lgs. 546/1992. BibliografiaBatistoni Ferrara - Bellè, Diritto processuale tributario, Padova, 2011, 169; Cancilla, Russo, La sospensione dell'esecuzione civile, Milano, 2012, 33; Chindemi e. LabrunaD.l. 28 ottobre 2020, n°137, c.d. “decreto ristori”; d.p.c.m. 3 novembre 2020 e d. mef 6 novembre 2020, n°44: ultime misure governative volte al contenimento della diffusione contagiosa “covid-19” che impattano sulla giustizia tributaria in ilTributarista.it del 10 novembre 2020; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile: Volume II. Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Torino, 14 ottobre 2014, 509; Consolo, Il coordinamento tra il nuovo art. 183 ed altre disposizioni sul processo civile. Il mancato ricompattamento dei riti, in Corr. giur. 2007, 12, 1757 ss; Giuliani, Codice del contenzioso tributario, Milano, 2016; Monteleone, Manuale di diritto processuale civile, II, Padova, 2009, 289; Monteleone, Esecuzione provvisoria, in Dig. Disc. priv. Sez. civ., Aggiornamento, Torino, 2000, 365 ss; Petrillo, Art. 624 – sospensione per opposizione all'esecuzione, in Briguglio - Capponi, Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2007, 625 ss.; Pistolesi, L'appello nel processo tributario, Torino, 2002, 51; Labruna Sintesi del processo incidentale di sospensione cautelare dell’esecutività della sentenza e/o dell’esecuzione dell’atto impugnati in ilTributarista.it del 04 febbraio 2020; Russo, Processo tributario, in Enc.dir., XXXVI, 1987, 801; Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2009, 231; Tesauro, Il processo tributario, Torino, 1998, 696; A. Lucarelli, Nuove strategie processuali: anche l'ente impositore fa istanza di sospensione giurisdizionale, Il tributario, Giuffrè, 14 maggio 2018. |