Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 54 - Controdeduzioni dell'appellato e appello incidentale 1 2 .

Francesca Picardi

Controdeduzioni dell'appellato e appello incidentale12.

1. Le parti diverse dall'appellante debbono costituirsi nei modi e termini di cui all'art. 23 depositando apposito atto di controdeduzioni.

2. Nello stesso atto depositato nei modi e termini di cui al precedente comma può essere proposto, a pena d'inammissibilità, appello incidentale.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 108 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

Inquadramento.

Nel processo civile la disciplina della costituzione in appello si ricava dagli artt. 347 c.p.c. (forme e termini della costituzione in appello), secondo cui «la costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale; l'appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata ed il cancelliere provvede a norma dell'art. 168 e richiede la trasmissione del fascicolo d'ufficio al cancelliere del giudice di primo grado», e 343 c.p.c. (modo e termine dell'appello incidentale) «l'appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, all'atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell'articolo 166; se l'interesse a proporre l'appello incidentale sorge dall'impugnazione proposta da altra parte che non sia l'appellante principale, tale appello si propone nella prima udienza successiva alla proposizione dell'impugnazione stessa». Tali disposizioni vanno integrate con l'art. 334, comma 2, c.p.c. ai sensi del quale se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, perde ogni efficacia l'impugnazione incidentale tardiva, che è quella proposta dalle parti contro le quali è stata proposta impugnazione oppure chiamate ad integrare il contraddittorio ex art. 331 c.p.c. nonostante la scadenza del termine di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. o l'acquiescenza prestata alla sentenza.

Occorre rilevare che, in base al combinato disposto dell’art. 83, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, in l. n. 27 del 2020, e dell’art. 36, comma 1, del d.l. n. 23 del 2020, tutti i termini procedurali – e, quindi, anche quelli previsti dalla presente disposizione – sono sospesi dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19. In proposito va sottolineato che tutta la disciplina del citato art. 83 si applica, in quanto compatibile, ai procedimenti relativi alle commissioni tributarie, come precisato dal comma 21, e che in ordine alla sospensione dei termini di impugnazioni non sussiste alcuna incompatibilità.

Nel processo tributario, come in quello civile, la costituzione nel grado di appello segue le stesse regole di quella in primo grado, in virtù del rinvio dell'art. 53 agli art. 20, commi 1 e 2, e 22, commi 1, 2 e 3, e dell'art. 54 all'art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche se, a differenza che nel rito civile, come già evidenziato nel commento dell'art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, l'omessa allegazione all'atto di appello della sentenza impugnata non determina l'inammissibilità del gravame, atteso che tale adempimento non è espressamente imposto da alcuna norma e che l'art. 53 del d.lgs. 546 del 1992, nel prevedere che il fascicolo trasmesso dalla commissione di primo grado a quella di appello debba includere copia della sentenza anzidetta, costituisce sicuro elemento utile al fine di esonerare dal medesimo onere l'appellante (Cass. VI-V, n. 24470/2015).

Con riferimento alle parti diverse dall'appellante, l'art. 54 del d.lgs. n. 546/1992 stabilisce che esse debbono costituirsi nei modi e termini di cui all'art. 23 depositando apposito atto di controdeduzioni, in cui può essere proposto, a pena d'inammissibilità, appello incidentale. Va ricordato che il richiamato art. 23 dispone che l'ente impositore, l'agente della riscossione ed i soggetti iscritti all'albo di cui all'articolo 53 d.lgs. n. 446/1997 nei cui confronti è stato proposto il ricorso si costituiscono in giudizio entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale; che la costituzione è fatta mediante deposito presso la segreteria della commissione adita del proprio fascicolo contenente le controdeduzioni in tante copie quante sono le parti in giudizio e i documenti offerti in comunicazione, che nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio e instando, se del caso, per la chiamata di terzi in causa. Naturalmente non vale in secondo grado il riferimento all'ente impositore, all'agente della riscossione ed ai soggetti iscritti all'albo di cui all'art. 53 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (nel testo precedente, all'ufficio del Ministero delle finanze, l'ente locale o il concessionario del servizio di riscossione), che si spiega in quanto in primo grado solo tali soggetti possono assumere la qualità di convenuti, identificandosi l'attore necessariamente con il contribuente, mentre in secondo grado l'appellante potrà essere anche la parte pubblica o il soggetto delegato della riscossione e l'appellato la parte privata (Gianoncelli, 768). Parimenti può trovare un'applicazione limitata in appello l'art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, in considerazione del divieto di proporre nuove eccezioni che non siano rilevabili anche di ufficio posto dal successivo art. 57, comma 2, per cui nelle controdeduzioni l'appellato può sollevare esclusivamente eccezioni in senso lato o eccezioni in senso stretto già formulate in primo grado. Sembra, inoltre, doversi escludere in questa sede un'eventuale istanza di chiamata in causa di terzi, stante il disposto dell'art. 344 c.p.c., operante in virtù del generale rinvio di cui all'art. 1 del d.lgs. n. 546/1992, da cui si ricava che in secondo grado è possibile la partecipazione, oltre che delle parti del primo grado, esclusivamente di quei soggetti legittimati alla proposizione dell'opposizione ex art. 404 c.p.c., non consentita in sede tributaria (Gianoncelli, 822). Peraltro, va ricordato che, secondo una parte della dottrina (Dalla Bontà, 682), il rinvio dell'art. 54 al precedente art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 va limitato, secondo il tenore letterale della disposizione, ai modi e tempi della costituzione e non, invece, al contenuto delle controdeduzioni, come delineato per il primo grado.

La giurisprudenza di legittimità si è più volte occupata delle modalità di costituzione delle parti diverse dall'appellante nel processo tributario. Ha, in primo luogo, chiarito la possibilità della costituzione tardiva, oltre il termine di 60 giorni dalla notifica del ricorso (v., ad esempio, Cass. V, n. 21212/2004, secondo cui in tema di contenzioso tributario, la tardività della costituzione in giudizio del resistente — disciplinata dall'art. 23 richiamato, per il giudizio di appello, dall'art. 54 — non comporta, sia in base alle norme indicate, sia alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di procedura civile, alcun tipo di nullità, stante la mancata previsione di simile sanzione ed il principio di tassatività delle relative cause, ex art. 156 c.p.c., ma determina soltanto la decadenza dalla facoltà di chiedere o svolgere attività processuali eventualmente precluse).

Cass. V, n. 14638/2019 ha precisato che la tardiva costituzione in giudizio della parte resistente non comporta alcuna nullità, stante il principio di tassatività delle relative cause, determinando soltanto la decadenza dalla facoltà di chiedere e svolgere attività processuali eventualmente precluse, sicché non fa venire meno il diritto del resistente a ricevere la comunicazione dell'udienza di trattazione, a meno che non sia avvenuta in un momento successivo a quello in cui l'avviso sia già stato inoltrato.

Il dies a quo del termine va naturalmente individuato in quello del perfezionamento della notifica per il destinatario dell'atto, in quanto se la notificazione costituisce il dies a quo di un termine processuale, sia esso a carico del destinatario o a carico del notificante, il principio di scissione soggettiva non opera integralmente, visto che l'atto di impulso produce il solo effetto di rendere ammissibile l'esercizio dei poteri o oneri processuali, che presuppongono la notificazione, ma non rileva ai fini del computo del termine, la cui durata continua a dipendere dall'esaurimento del procedimento partecipativo. In questo senso, sebbene con riferimento al giudizio di legittimità, Cass. I, n. 25796/2006, il principio per cui la notifica del ricorso si intende eseguita alla data di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario e non a quella dell'effettivo recapito trova applicazione quando si deve accertare il rispetto di un termine di decadenza posto dalla legge a carico del notificante, e non anche quando si tratta di individuare il dies a quo di un termine che il destinatario dell'atto notificato è tenuto a rispettare e che non può che decorrere dal perfezionamento della notificazione.

Costituisce orientamento consolidato quello secondo cui nel sistema processuale vigente l'impugnazione proposta per prima determina la costituzione del rapporto processuale, nel quale devono confluire le eventuali impugnazioni di altri soccombenti, perché sia mantenuta l'unità del procedimento e sia resa possibile la decisione simultanea. Ne consegue che, in caso di appello, le impugnazioni successive alla prima assumono necessariamente carattere incidentale, anche se irritualmente avanzate nella forma dell'impugnazione principale, e debbono essere proposte nel termine previsto dall'art. 343, comma 1, c.p.c. (Cass. II, n. 1671/2015) — così anche nel giudizio tributario la regola, posta dall'art. 54, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 secondo la quale l'appello incidentale può essere proposto, «a pena d'inammissibilità», nell'atto di controdeduzioni, da depositare entro sessanta giorni dalla notifica dell'impugnazione principale, ha, però, un'efficacia endoprocessuale — come l'analoga norma dettata in via generale dall'art. 343 c.p.c. — nel senso che dopo il deposito dell'atto di controdeduzioni — o della comparsa di risposta — non è più ammissibile la proposizione dell'impugnazione incidentale (salvo il caso previsto dall'art. 343, comma 2, c.p.c.): ciò tuttavia non comporta, purché sia rispettato il termine prescritto per l'impugnazione incidentale, l'inammissibilità dell'appello erroneamente proposto in via principale da chi, essendo stata la sentenza già impugnata da un'altra parte, avrebbe potuto proporlo solo incidentalmente (Cass. V, n. 8785/2008 e Cass. V, n. 11809/2006).

Quanto al contenuto delle controdeduzioni si è precisato che, nel processo tributario, improntato a criteri di speditezza e concentrazione, la volontà dell'appellato di riproporre le questioni assorbite, pur non occorrendo a tal fine alcuna impugnazione incidentale, deve essere espressa, a pena di decadenza, nell'atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio, e non può essere manifestata in atti successivi, che esplicano una funzione meramente illustrativa (Cass. VI-V n. 12937/2016 e Cass. V, n. 26830/2014).

Circa le modalità della costituzione, si è ritenuto che la violazione dell'obbligo della parte resistente, previsto dall'art. 23, di depositare presso la segreteria della commissione tributaria, all'atto della costituzione in giudizio, il proprio fascicolo contenente le controdeduzioni in tante copie quante sono le parti in giudizio, non trova alcuna espressa sanzione nelle norme sul procedimento tributario e non ha pertanto rilevanza processuale, stante la regola generale della tassatività delle cause di nullità dettata dall'art. 156 c.p.c. e la mera previsione dell'irricevibilità del fascicolo di parte, ex art. 73 disp. att. c.p.c., nel diverso e più rilevante caso in cui esso non contenga le copie degli atti che debbono essere inseriti nel fascicolo d'ufficio (così, tra le tante, Cass. V, n. 15858/2001 e Cass. V, n. 5348/2006).

Occorre, infine, tenere presente che l'erronea dichiarazione della contumacia di una parte non determina un vizio della sentenza deducibile in cassazione se non provochi in concreto alcun pregiudizio allo svolgimento dell'attività difensiva, nè incida sulla decisione (Cass.  S.U., n. 2881/2002). Al contrario, qualora ne sia derivato un pregiudizio per il diritto di difesa, si determina la nullità del procedimento e della sentenza (Cass. V, n. 21059/2007, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, la costituzione della parte resistente oltre il termine di sessanta giorni fissato dall'art. 23 d.lgs. n. 546 del 1992 per il giudizio innanzi la commissione tributaria provinciale e dall'art. 54del medesimo decreto per il giudizio innanzi alla commissione tributaria regionale, non comporta la legittima esclusione della parte stessa dal numero dei destinatari dell'avviso di trattazione previsto dall'art. 31, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 salvo il caso in cui la costituzione sia avvenuta in un momento successivo a quello nel quale il predetto avviso sia già stato inoltrato, per cui l'omissione dell'avviso di trattazione alla parte che si sia costituita in giudizio tardivamente ma prima che tale avviso sia inoltrato comporta la nullità del procedimento e della sentenza che sia stata eventualmente pronunciata, per violazione del diritto fondamentale alla difesa e dell'inderogabile principio del contraddittorio).

La costituzione delle parti diverse dall'appellante

Dal coordinamento tra gli artt. 23 e 54 del d.lgs. n. 546 del 1992 si ricava che il termine di costituzione per le parti diverse dall'appellante è di 60 giorni dalla notificazione dell'appello. Tale termine non è, però, considerato perentorio, in assenza di una specifica previsione in tal senso, sicché si ammette la costituzione anche successivamente (per una sintesi dei problemi al riguardo si rinvia a Muccari, 1955): secondo alcune opinioni, sino all'udienza di discussione o in assenza, in caso di trattazione della controversia in camera di consiglio, sino alla scadenza del termine di 5 giorni prima, di cui all'art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, per il deposito di brevi repliche scritte (Gianoncelli, 766); secondo altra ricostruzione, essendo richiesto il deposito di un atto scritto ai fini della costituzione, sino alla scadenza dei termini di cui all'art. 32, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (Pistolesi, 416, che sottolinea come l'ammissibilità della costituzione all'udienza imporrebbe, in contrasto con i caratteri di concentrazione e speditezza del giudizio tributario, il rinvio della discussione, onde consentire all'appellante di esaminare le difese dell'appellato).

Si pone, tuttavia, in considerazione del momento della costituzione tardiva, il problema di individuare le preclusioni maturate. Sicuramente non è più consentita la proposizione dell'appello incidentale, mentre è discussa la possibilità di riproporre le questioni non accolte nella sentenza della commissione tributaria provinciale. Si ammette, invece, la formulazione di nuove istanze istruttorie o la produzione di nuovi documenti purché nel rispetto del termine ultimo di cui all'art. 32, comma 1, applicabile in appello in forza dell'art. 61 del citato d.lgs.

La costituzione deve avvenire con il deposito delle controdeduzioni in un numero di copie pari a quello delle parti del giudizio, sebbene l'eventuale irregolarità numerica non sia sanzionata in alcun modo, essendosi escluso che possa derivarne alcuna nullità in ossequio alla regola di cui all'art. 156, comma 1, c.p.c. (Dalla Bontà, 680). Si è evidenziata l'esistenza di una discrasia tra gli artt. 23 e 54 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che nel primo si prevede la formazione ed il deposito di un fascicolo di parte, contenente controdeduzioni e documenti, mentre nel secondo si fa riferimento al solo deposito di controdeduzioni. Tale incongruenza viene, però, superata ritenendo necessaria anche in secondo grado la formazione di un fascicolo di parte in virtù del rinvio dell'art. 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 alla disciplina del primo grado (Gianoncelli, 768).

Solo la costituzione in giudizio attribuisce titolo per ricevere l'avviso di trattazione della causa, la comunicazione dell'ordinanza di differimento della trattazione a data fissa e quella del dispositivo della sentenza, la notificazione del reclamo contro i provvedimenti presidenziali e dell'istanza di discussione in pubblica udienza, la comunicazione della variazione del domicilio eletto o della residenza dell'avversario, atteso che gli artt. 31, comma 1, 34, comma 3, 37, comma 2, 28, comma 1, 33, comma 1, e 17, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 limitano l'adempimento nei confronti delle sole parti costituite (Pistolesi, 416).

Cass. V, n. 17953/2012 , ha ritenuto che nel processo tributario la costituzione in giudizio della parte appellata e la proposizione dell'appello incidentale possono avvenire non solo tramite materiale deposito delle proprie controdeduzioni e dell'atto di impugnazione, ma anche mediante trasmissione degli stessi con plico raccomandato spedito nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell'appello principale, poiché, sebbene l'art. 54 del d.lgs. n. 546/1992 richiami l'art. 23 del medesimo d.lgs., il quale fa riferimento al solo deposito degli atti, una soluzione che escluda l'ammissibilità del gravame incidentale spedito per posta sarebbe irragionevolmente diversa rispetto a quella prevista dal combinato disposto degli artt. 53 e 22 del d.lgs.d.lgs. n. 546 del 1992 citato che consente di spiegare appello principale anche a mezzo di invio postale, e quindi in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., tanto più che il processo tributario è ispirato al modello della semplificazione delle attività processuali e che l'uso dei mezzi di trasmissione è ampiamente ammesso nel sistema dei processi civili e amministrativi. Tale possibilità è stata confermata da Cass. V, n. 35393/2021.

Precedentemente Cass. V, n. 2925/2010, ha affermato che, nel processo tributario, è ammissibile la costituzione dell'appellato in udienza, senza l'osservanza dei termini e dei modi indicati nell'art. 23 del d.lgs. n. 546/1992, poiché la sanzione processuale dell'inammissibilità non è prevista dalla norma e la sua applicazione impedirebbe alla parte, in violazione dell'art. 24 Cost., di partecipare alla discussione orale della causa all'udienza e di esercitare il diritto fondamentale alla difesa, confutando le ragioni della controparte e la ricorrenza delle norme da questa invocate. Del resto, anche in primo grado, ad avviso di Cass. V, n. 18962/2005, la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. n. 546/1992, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, ma, qualora tali difese non siano concretamente esercitate, nessuna altra conseguenza sfavorevole può derivarne al resistente, sicché deve escludersi qualsiasi sanzione di inammissibilità per il solo fatto della tardiva costituzione della parte resistente, cui deve riconoscersi il diritto, garantito dall'art. 24 Cost., sia di difendersi, negando i fatti costitutivi della pretesa attrice o contestando l'applicabilità delle norme di diritto invocate dal ricorrente, sia di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del d.lgs. n. 546/1992, facoltà esercitabile anche in appello ai sensi dell'art. 58 del d.lgs. medesimo. Così si era già orientata anche Cass. V, n. 21212/2004, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, la tardività della costituzione in giudizio del resistente — disciplinata dall'art. 23 del d.lgs. n. 546/1992, richiamato, per il giudizio di appello, dall'art. 54 — non comporta, sia in base alle norme indicate, sia alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di procedura civile (alle quali rinvia l'art. 1 del citato d.lgs.), alcun tipo di nullità, stante la mancata previsione di simile sanzione ed il principio di tassatività delle relative cause, ex art. 156 c.p.c., ma determina soltanto la decadenza dalla facoltà di chiedere o svolgere attività processuali eventualmente precluse. Da ultimo, Cass. V, n. 947/2019, che ha affermato che nel processo tributario la tardiva costituzione in giudizio dell'appellato - sia per quanto stabilito dagli artt. 23 e 54 del d.lgs. n. 546 del 1992 e sia per l'operare in via residuale delle disposizioni del codice di procedura civile - non comporta, in difetto di un'espressa previsione, alcuna invalidità ma soltanto la decadenza della parte dalla facoltà di svolgere le attività processuali eventualmente precluse, ed, in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata, che aveva omesso di pronunciarsi sulle deduzioni dell'appellato, assumendone la tardività, per essersi quest'ultimo costituito depositando una nota, ove chiedeva semplicemente il rigetto del gravame, senza esplicitarne le ragioni, illustrate in una successiva memoria.

Proprio con riferimento ad un giudizio di appello Cass. V, n. 21059/2007, ha ritenuto che la costituzione della parte resistente oltre il termine di sessanta giorni fissato dagli artt. 23 e 54 del d.lgs. n. 546/1992 non comporta la legittima esclusione della parte stessa dal numero dei destinatari dell'avviso di trattazione previsto dall'art. 31, comma 1, del medesimo d.lgs., salvo il caso in cui la costituzione sia avvenuta in un momento successivo a quello nel quale il predetto avviso sia già stato inoltrato, sicché l'omissione dell'avviso di trattazione alla parte che si sia costituita in giudizio tardivamente ma prima che tale avviso sia inoltrato comporta la nullità del procedimento e della sentenza che sia stata eventualmente pronunciata, per violazione del diritto fondamentale alla difesa e dell'inderogabile principio del contraddittorio.

Cass. VI-V, n. 11103/2017 ha, però, precisato che nel processo tributario, il diritto della parte alla comunicazione dell'avviso di trattazione del giudizio di appello, ex art. 31 del d.lgs. n. 546/1992, è condizionato ad un atto di diligenza processuale, rappresentato dalla costituzione in giudizio, la cui omissione, corrispondendo ad una scelta legittima della stessa parte, le impedisce di dolersi della lesione del suo diritto di difesa.

Va, infine, ricordato che l'art. 347, comma 1, c.p.c., nello stabilire che la costituzione in appello avviene secondo le forme ed i termini per i procedimenti davanti al tribunale, rende applicabili al giudizio d'appello le previsioni di cui agli artt. 165 e 166 c.p.c., ma non quella di cui all'art. 171 c.p.c. (concernente la ritardata costituzione delle parti), la quale è incompatibile con la previsione di improcedibilità dell'appello per il caso che l'appellante non si costituisca nei termini di cui all'art. 348 c.p.c., sicché il giudizio di gravame è improcedibile in tutti i casi di ritardata o mancata costituzione dell'appellante, a nulla rilevando che l'appellato si sia costituito nel termine assegnatogli (Cass. VI-II, n. 6369/2017).

L'appello incidentale

Tempestivo

L'istituto dell'appello incidentale, il cui fondamento è costituito dall'esigenza dell'unitarietà del giudizio di impugnazione, strumentale al coordinamento dei giudicati ed all'economia processuale, caratterizza, come il contenzioso civile, anche quello tributario, sicché, proposto il primo appello, tutti gli altri, anche se formulati in via autonoma, assumono la natura di appelli incidentali e sono soggetti alla relativa disciplina (Dalla Bontà, 682). Pertanto, il secondo appello, sebbene proposto in distinto giudizio, va qualificato come incidentale e, pur potendo considerarsi valido in ossequio al principio del raggiungimento dello scopo, sebbene non formulato nelle controdeduzioni, è tempestivo solo laddove sia notificato e depositato presso la commissione tributaria regionale entro 60 giorni dalla notificazione del primo (Pistolesi, 249). La tardività comporta l'inammissibilità dell'appello incidentale, rilevabile d'ufficio anche in sede di giudizio di legittimità.

Si ritiene, peraltro, che la parte che abbia proposto il secondo appello abbia l'onere di sollecitarne la riunione al primo, pena la sua improcedibilità.

Ad ogni modo, l'appello principale ed incidentale, che presuppongono una soccombenza ripartita, da cui derivi la possibilità di proporre impugnazione in capo a più parti, si differenziano esclusivamente in ragione del criterio temporale, essendo il primo anteriore rispetto al secondo, ma presentano la medesima finalità ed efficacia, in quanto entrambi sono diretti ad ottenere la riforma della sentenza impugnata, mentre con le controdeduzioni si mira soltanto alla sua conferma, sia pure in base ad una ratio decidendi diversa o, in caso di riproposizione, in base all'accoglimento di una eventuale domanda o eccezione non esaminata (Gianoncelli, 771). Detta identità funzionale comporta, da un lato, che l'appello incidentale è autonomo e va deciso anche in caso di inammissibilità del principale e, dall'altro, che deve rispettare gli stessi requisiti strutturali di forma e contenuto previsti per il primo — in particolare quello dell'unitarietà, derivante dalla consumazione del potere d'impugnazione, per cui non è possibile frazionare l'appello in una pluralità di atti separati, e quello della specificità dei motivi (Dalla Bontà, 682).

La dottrina esclude, in considerazione della rigorosità del termine fissato dall'art. 54 del d.lgs. n. 546/1992 e della concentrazione che caratterizza il rito tributario, l'applicabilità in questa sede dell'art. 343, comma 2, c.p.c., ai sensi del quale «se l'interesse a proporre l'appello incidentale sorge dall'impugnazione proposta da altra parte che non sia l'appellante principale, tale appello si propone nella prima udienza successiva alla proposizione dell'impugnazione stessa». Del resto, la prima udienza utile coincide con quella di trattazione in cui la controversia dovrebbe essere decisa (Pistolesi, 251). Parimenti si dubita della possibilità di invocare l'art. 292 c.p.c., a sostengo della necessità di notificare l'appello incidentale a favore del contumace, attesa, da un lato, la generale inapplicabilità nel contenzioso tributario della disciplina della contumacia e, dall'altro, l'inammissibilità dell'appello principale in caso di mancata costituzione dell'appellante (così sempre Pistolesi).

L'individuazione dei confini tra la proposizione dell'appello incidentale e la riproposizione delle questioni non accolte non risulta sempre ben definita. Ad esempio, in caso di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. una parte della dottrina esclude la sufficienza della mera riproposizione ritenendo indispensabile la proposizione dell'appello incidentale (Gianoncelli, 790; Pistolesi, 330), mentre, secondo altre opinioni, sussistono entrambe le possibilità, in via alternativa tra di loro (Burana, 693). Dubbi sussistono anche in ordine alle questioni oggetto di una soccombenza solo teorica ovvero alle questioni sollevate dalla parte totalmente vittoriosa nel merito, su cui vi sia una pronuncia espressa negativa nella pronuncia di primo grado, per le quali, da un lato, si ritiene sufficiente la mera riproposizione, non essendovi alcun interesse all'impugnazione, mentre, dall'altro lato, si richiede, onde evitare il giudicato interno, all'esito dell'acquiescenza, la proposizione dell'appello incidentale (per la sintesi delle posizioni si rinvia a Burana, 690, e Gianoncelli, 783; per Pistolesi, 264-266 «bisognerà..discernere fra le domande rigettate e verificare quando si ravvisi il reale pregiudizio o il mancato vantaggio della parte che le ha formulate e considerare che, solo all'esito del positivo riscontro di detti profili, non si potrà prescindere da gravame ... rendendosi altrimenti sufficiente la mera riproposizione a termini dell'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992» — pregiudizio o mancato vantaggio configurabili per la parte vittoriosa nel merito solo laddove la questione decisa in modo a lei negativo abbia attitudine al giudicato).

Va, infine, segnalato che nel contenzioso tributario, ai sensi dell'art. 13, comma 6-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto con il d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni in l. 15 luglio 2011, n. 111, il contributo unificato è dovuto negli importi stabiliti sia per i ricorsi principali sia per quelli incidentali proposti avanti le commissioni tributarie provinciali e regionali, mentre negli altri giudizi, ai sensi del successivo art. 14, è tenuta al pagamento del contributo unificato la parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo.

Cass. V, n. 15501/2010 , ha precisato che anche nel processo tributario, come in quello ordinario, per la proposizione dell'appello incidentale ad opera della parte non totalmente vittoriosa in primo grado non occorrono formule sacramentali, essendo sufficiente che dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni formulate dall'appellato nella comparsa di costituzione risulti in modo non equivoco la volontà di ottenere la riforma della decisione del primo giudice nella parte sfavorevole all'appellato.

Nel processo tributario l'appello incidentale deve essere proposto a pena d'inammissibilità entro 60 giorni dalla notificazione del gravame, e l'intempestività di esso è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. V, n. 16285/2007) ed, a differenza dell'appello principale, non deve essere notificato alle controparti, ma solo depositato (così, da ultimo, Cass. V, n. 9757/2017, secondo cui, nel processo tributario, ai sensi degli artt. 53 e art. 54, solo l'appello principale, che è l'impugnazione proposta per prima, va notificato alle altre parti per poi essere depositato presso la segreteria della commissione tributaria adita nei trenta giorni successivi, mentre l'appello incidentale, vale a dire l'impugnazione proposta successivamente, va solo depositato insieme alle controdeduzioni; in passato Cass. V, n. 15009/2009; Cass. V, n. 8785/2008; Cass. V, n. 22023/2006). Recentemente Cass. VI, n. 23834/2020 ha riformato la decisione impugnata che, in relazione ad una difesa di merito espressamente rigettata in primo grado, aveva ritenuto ammissibile la sua riproposizione in appello, ad opera della parte rimasta vittoriosa in prime cure, mediante un atto di gravame incidentale tardivo, precisando che la pronuncia delle Sezioni Unite che componga il contrasto sull'interpretazione di una norma processuale non configura un'ipotesi di "overruling" avente il carattere di imprevedibilità e, di conseguenza, non costituisce presupposto per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella preclusione o nella decadenza.

Tuttavia, va ricordato che nel processo civile tale principio vale solo nei confronti delle parti costituite, atteso che l'art. 343, comma 1, c.p.c., secondo cui l'appello incidentale si propone nella prima comparsa o, in mancanza di costituzione in cancelleria, nella prima udienza o in quelle previste dagli artt. 331 e 332, senza che sia necessaria, quindi, la notifica dell'atto di impugnazione, è applicabile all'appello incidentale rivolto contro l'appellante principale o contro altra parte già costituita o che si costituisca prima del decorso dei termini d'impugnazione, ma non quando l'appello incidentale sia proposto nei confronti di parti non presenti nel giudizio di secondo grado. In tal caso, se l'impugnazione ha per oggetto una sentenza pronunciata in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti, il giudice deve assegnare all'appellante incidentale (che abbia tempestivamente proposto l'impugnazione con la comparsa o in udienza, nei confronti dell'appellante principale) il termine per integrare il contraddittorio nei confronti degli avversi litisconsorti necessari, a norma dell'art. 331 c.p.c.; se, invece, l'impugnazione ha per oggetto una sentenza resa in cause scindibili, l'appellante incidentale deve provvedere alla notifica dell'impugnazione nei termini perentori di cui agli artt. 352 o 327 c.p.c. (Cass. II, n. 9649/2011). In tale senso si sono orientate anche Cass. V, n. 19754/2014 e Cass. III, n. 7769/2016, secondo cui l'appello incidentale, ai sensi dell'art. 343, comma 1, c.p.c., si propone con il deposito della comparsa in cancelleria nei termini di cui all'art. 166 c.p.c., senza che sia necessaria alcuna preventiva notificazione dell'atto che lo contiene all'appellante principale o ad altra parte già costituita, dovendosi, invece, provvedere solo nei confronti della parte contumace non presente nel giudizio di secondo grado. Invero, nonostante i dubbi formulati dalla dottrina circa l'applicabilità della disciplina della contumacia ed in particolare dell'art. 292 c.p.c. nel processo tributario, il problema non è stato ancora risolto espressamente della giurisprudenza, per cui resta un margine di incertezza circa la necessità o meno di notificare l'appello incidentale alle parti non costituite diverse dall'appellante.

Pure occorre segnalare che Cass. V, n. 6204/2023 ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione riguardante le modalità di proposizione dell’appello incidentale nel processo tributario e le possibili ripercussioni sul diritto di difesa in caso di cause scindibili. In particolare si chiede di chiarire se l’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, disciplini un litisconsorzio necessario processuale che imponga sempre, prescindendo dal carattere scindibile o inscindibile delle cause o della loro dipendenza ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, e, cioè, se il legislatore abbia inteso rendere la materia del litisconsorzio nel processo tributario di secondo grado autonoma rispetto a quella contenuta nel codice di procedura civile, così evidenziando gli aspetti peculiari della disciplina del processo tributario di appello e, tra questi, le modalità di proposizione dell’appello tributario stabilite dall’art. 54 del d.lgs. n. 546 del 1992. Nell’ordinanza si è evidenziato che l’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 nulla dice sulla differenza tra cause inscindibili, dipendenti e scindibili e che nel processo tributario,  tenuto conto che l’appello incidentale può essere proposto solo con il deposito dell’atto contenente le controdeduzioni, ai sensi del successivo art. 54, la parte appellata, qualora abbia interesse ad impugnare nei confronti di tutte le parti presenti nel giudizio di primo grado, nelle cause scindibili, non può notificare la sua impugnazione incidentale alle parti presenti nel giudizio di primo grado alle quali l’appellante principale non abbia notificato il suo atto di appello, con la conseguenza che la mancata instaurazione del contraddittorio con le parti interessate dal capo della sentenza, da lui appellata e che lo ha visto soccombente, determina un’evidente e grave lesione del suo diritto di difesa - nella fattispecie in esame, caratterizzata dalla scindibilità delle cause, riguardanti tributi diversi, l’appello principale, proposto dalla sola Agenzia delle Entrate, è stato notificato al solo contribuente e non agli altri enti impositori (Regione e Camera di commercio), nei cui confronti il contribuente pure è risultato soccombente.

All’esito della rimessione di tale questione, Cass., S.U. n. 11676/2024 hanno affermato che le modalità di proposizione dell’appello incidentale – che l’art. 54, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 prevede che sia contenuto, a pena di inammissibilità, nell’atto di costituzione dell’appellato, al pari delle modalità di proposizione dell’appello incidentale che, a pena di decadenza, l’art. 343, primo comma, c.p.c., prescrive sia contenuto nella medesima comparsa di risposta depositata – riguardano esclusivamente le ipotesi di processi relativi a cause inscindibili o dipendenti, non anche quei giudizi nei quali siano portate al vaglio dell’organo giudiziario cause scindibili. Pertanto, l’appellato che intende impugnare la sentenza anche nei confronti di una parte del giudizio di primo grado non convenuta dall’appellante principale in riferimento a cause scindibili, deve proporre l’appello mediante notifica nel termine di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992, decorrente dal momento della conoscenza della sentenza e comunque non oltre i termini di decadenza dal diritto all’impugnazione.

La regola, posta dall'art. 54, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, secondo la quale l'appello incidentale può essere proposto, «a pena d'inammissibilità», nell'atto di controdeduzioni, da depositare entro sessanta giorni dalla notifica dell'impugnazione principale, ha, però, un'efficacia endoprocessuale — come l'analoga norma dettata in via generale dall'art. 343 c.p.c. — nel senso che dopo il deposito dell'atto di controdeduzioni — o della comparsa di risposta — non è più ammissibile la proposizione dell'impugnazione incidentale (salvo il caso previsto dall'art. 343, comma 2, c.p.c.): ciò tuttavia non comporta, purché sia rispettato il termine prescritto per l'impugnazione incidentale, l'inammissibilità dell'appello erroneamente proposto in via principale da chi, essendo stata la sentenza già impugnata da un'altra parte, avrebbe potuto proporlo solo incidentalmente (Cass. V, n. 8785/2008 e Cass. V, n. 11809/2006). Tale principio costituisce applicazione dell'orientamento consolidato secondo cui nel sistema processuale vigente l'impugnazione proposta per prima determina la costituzione del rapporto processuale, nel quale devono confluire le eventuali impugnazioni di altri soccombenti, perché sia mantenuta l'unità del procedimento e sia resa possibile la decisione simultanea. Ne consegue che, in caso di appello, le impugnazioni successive alla prima assumono necessariamente carattere incidentale, anche se irritualmente avanzate nella forma dell'impugnazione principale, e debbono essere proposte nel termine previsto dall'art. 343, comma 1, c.p.c. (Cass. II, n. 1671/2015). Va, del resto, sottolineato che la parte cui sia stata notificata l'altrui impugnazione, qualora proponga la propria, avverso la medesima sentenza, separatamente, in via principale, anziché in via incidentale, deve porre il giudice in grado di conoscere la simultanea pendenza dei due procedimenti, affinché possa provvedere alla loro riunione, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.; in difetto, la mancata riunione delle due impugnazioni, mentre non incide sulla validità della pronuncia relativa alla primae, rdne improcedibile la seconda, atteso che, risultando ormai impossibile il simultaneus processus, si verifica un impedimento all'esame degli ulteriori gravami, in ragione della decadenza con la quale l'art. 333 c.p.c.  sanziona la prescrizione dell'incidentalità delle impugnazioni successive alla prima (Cass. S.U., n. 15843/2009). Tale orientamento, sebbene confermato, tra le altre, da Cass. II, n. 9567/2011, risulta successivamente ridimensionato da Cass. V, n. 20514/2016, secondo cui, da un lato, l'inosservanza, da parte del giudice di appello, dell'obbligo di riunire, in un unico procedimento, i gravami separatamente proposti contro la medesima sentenza non spiega effetti quando, malgrado la formale mancanza di un provvedimento di riunione, dette impugnazioni abbiano sostanzialmente avuto uno svolgimento unitario, in quanto chiamate alla stessa udienza, nonché contestualmente discusse e decise dallo stesso collegio con il medesimo relatore, così restandosi nell'ambito della mera redazione separata di due pronunce per una decisione di tipo unitario (salva, poi, la facoltà di riunione dei ricorsi che siano stati proposti contro di esse) e, dall'altro, la decisione di una delle impugnazioni non precedentemente riunite non determina l'improcedibilità delle altre, sempre che non si venga a formare il giudicato sulle questioni investite da queste ultime, dovendosi attribuire prevalenza — in difetto di previsioni sanzionatorie da parte dell'art. 335 c.p.c. — alle esigenze di tutela del soggetto che ha proposto l'impugnazione rispetto a quelle della economia processuale e della teorica armonia dei giudicati.

Dall'autonomia dell'appello incidentale principale deriva che la sanzione dell'inammissibilità dell'appello principale, che colpisce l'appellante il quale non abbia depositato, nella segreteria della Commissione tributaria adita, l'originale del ricorso notificato o copia dello stesso, unitamente a copia della ricevuta, se la notifica è avvenuta a mezzo posta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 53, comma 2, e 22, commi 1 e 2, si ripercuote sul secondo appello principale proposto dalla stessa parte, in un secondo tempo, per ovviare alle conseguenze sanzionatorie comminate per il primo atto e deve essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del processo, ma non incide sul dovere che lo stesso giudice ha di esaminare nel merito il ricorso incidentale ove questo sia stato ritualmente e tempestivamente proposto (Fattispecie esaminata da Cass. V, n. 12154/2004, relativa ad appello principale non seguito da tempestiva costituzione dell'appellante, ma seguito da appello incidentale tempestivo e da un secondo appello principale e da un secondo appello incidentale, in cui la Corte ha anche escluso che il secondo appello principale potesse essere inteso come appello incidentale, rispetto al primo appello incidentale elevato ad appello principale, in ragione della inammissibilità di quello, per sua tardività). Tuttavia, secondo l'orientamento consolidato della Suprema Corte, l'inammissibilità dell'appello principale, determinata dall'omesso o tardivo deposito dell'atto d'impugnazione notificato a mezzo posta nella segreteria della commissione tributaria di primo grado, comporta anche quella del gravame incidentale egualmente non depositato, atteso che tale adempimento deve ritenersi imposto anche all'appellante incidentale, ai sensi dell'art. 53, comma 2, (nel testo applicabile ratione temporis), in quanto diretto ad evitare il rischio di un'erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, mentre, laddove questo rischio non sussista, per essere stato regolarmente depositato l'appello principale, la declaratoria di inammissibilità di quest'ultimo per altre cause (nella specie, per carenza di specificità dei motivi d'impugnazione) non travolge l'appello incidentale ritualmente proposto (Cass. V, n. 1253/2017; nello stesso senso Cass. V, n. 17722/2016; Cass. V, n. 16909/2016, secondo cui Cass., V n. 15432/2015, in tema di contenzioso tributario, qualora l'appello principale sia inammissibile per mancato deposito dell'atto d'impugnazione nella segreteria della Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, è inammissibile anche l'appello incidentale egualmente non depositato, atteso che tale obbligo di deposito deve ritenersi imposto anche all'appellante incidentale, pur se tempestivo, ai sensi dell'art. 53, comma 2, vigente ratione temporis, in quanto diretto ad evitare il rischio di un'erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza impugnata da parte della segreteria del giudice di primo grado).

La proposizione dell'appello incidentale con atto distinto dalle controdeduzioni, contrariamente a quanto prescritto dall'art. 54, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ma comunque entro il termine stabilito, non ne comporta l'inammissibilità, stante il principio di tendenziale limitazione delle ipotesi di inammissibilità nell'ordinamento processuale tributario e il carattere non essenziale della formalità della proposizione congiunta (Cass. V, n. 16577/2009; Cass. V, n. 1545/2007 e Cass. V, n. 26391/2005).

Ad avviso di Cass. V, n. 2752/2012  e di Cass. V, n. 22652/2019, nel processo tributario, qualora il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intenda contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, trattandosi di parte vittoriosa, eventualmente in via incidentale condizionata ex art. 54 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, pur senza ricorrere a formule sacramentali, essendo sufficiente che dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni formulate dall'appellato in sede di costituzione risulti chiaramente la volontà di ottenere la riforma della decisione.

Relativamente alla individuazione del confine, talvolta incerto, tra l'appello incidentale e la mera riproposizione delle questioni non accolte, sembra emergere un contrasto in caso di omessa pronuncia, in violazione dell'art. 112 c.p.c. e, quindi, al di fuori dell'ipotesi del suo assorbimento. In particolare, secondo la recente Cass. II, n. 2855/2016, il giudizio di appello integra una revisio prioris instantiae, sicché l'omessa pronuncia su una domanda (o su un punto di essa) non può essere oggetto di mera riproposizione ex art. 346 c.p.c. ma deve essere denunciata, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., con la formulazione di uno specifico motivo di appello, mediante il quale si deduca l'errore commesso dal giudice di primo grado, sebbene la specificazione delle ragioni poste a fondamento di tale motivo possa esaurirsi nell'evidenziare l'omessa decisione sulla domanda ritualmente proposta. Tuttavia, ad avviso di Cass. I, n. 9485/2014, in caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un punto della domanda, l'appellante, ai fini della specificità del motivo di gravame, deve soltanto reiterare la richiesta non esaminata in prime cure, sicché è stata cassato la sentenza con cui la corte d'appello, a fronte dell'omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, aveva ritenuto nullo l'atto di appello nel quale la parte si era limitata ad insistere per l'accoglimento della domanda non esaminata, senza formulare un apposito motivo di impugnazione. Le problematiche relative alla soccombenza teorica appaiano, invece, recentemente risolte, quanto al giudizio ordinario, dalle Sezioni Unite. In particolare, ad avviso di Cass. S.U., n. 11799/2017, in tema di impugnazioni, qualora un'eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un'enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d'appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all'esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell'art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l'eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest'ultimo l'esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c. Già precedentemente, del resto, Cass. S.U., n. 25246/2008, aveva ritenuto che la parte risultata vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, al fine di evitare la preclusione della questione di giurisdizione risolta in senso ad essa sfavorevole, è tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato sul punto la mera riproposizione della questione, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., in sede di costituzione in appello, stante l'inapplicabilità del principio di rilevabilità d'ufficio nel caso di espressa decisione sulla giurisdizione e la non applicabilità dell'art. 346 c.p.c., riferibile, invece, a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso, a domande o eccezioni autonome espressamente e motivatamente respinte, rispetto alle quali rileva la previsione dell'art. 329, comma 2, c.p.c., per cui in assenza di puntuale impugnazione opera su di esse la presunzione di acquiescenza. Pur non essendo stata decisa dalle Sezioni Unite la medesima problematica sollevata, con riguardo proprio al contenzioso tributario, da Cass. V, n. 21808/2016, circa l'onere della parte totalmente vittoriosa nel merito di formulare appello incidentale o mera riproposizione ex art. 56 relativamente alla questione pregiudiziale che non risulti assorbita, ma sia stata espressamente rigettata, non sussistono argomentazioni idonee a giustificare una soluzione nel processo tributario diversa da quella adottata nel processo civile. Si può, quindi, rinviare a Cass. S.U., n. 13195 del 2018 (secondo cui la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l'onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo) e a Cass.S.U. n. 7940 del 2019 (nel processo ordinario di cognizione, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell'autoresponsabilità e dell'affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia -al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c. - a riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel "thema probandum" e nel "thema decidendum" del giudizio di primo grado).

Peraltro, in questo senso appare già orientata la più recente giurisprudenza di legittimità: difatti, secondo Cass. V, n. 16477/2016, nel processo tributario, la parte, totalmente vittoriosa nel merito, rimasta soccombente su una determinata questione (nelle specie, omessa notifica della cartella di pagamento), onde evitare la formazione del giudicato interno, deve necessariamente proporre impugnazione incidentale sul punto, non essendo sufficiente la mera riproposizione della questione in appello, ai sensi dell'art. 56, poiché la dizione «non accolte» ivi utilizzata riguarda le sole domande ed eccezioni su cui il giudice non si sia espressamente pronunciato (nello stesso senso Cass. n. 23228/2015, nel processo tributario, la parte rimasta soccombente sull'eccezione preliminare di decadenza, onde evitare la formazione del giudicato interno, deve necessariamente proporre impugnazione — principale o incidentale — sul punto, non essendo sufficiente la mera riproposizione della questione in appello, ai sensi dell'art. 56, poiché la dizione «non accolte» ivi utilizzata riguarda le sole domande ed eccezioni su cui il giudice non si sia espressamente pronunciato).

Cass. V, n. 18119/2021 ha ribadito che nel processo tributario d'appello, come in quello civile, la devoluzione al giudice del gravame dell'eccezione di merito, respinta in primo grado, formulata dalla parte comunque vittoriosa, esige la proposizione dell'appello incidentale, ma ha pure chiarito che se la parte ripropone tale eccezione, contestando la statuizione sul punto, può procedersi alla sua riqualificazione, in applicazione del principio dell'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo, tenuto anche conto che, nel contenzioso tributario, l'appello incidentale non deve essere notificato, ma è contenuto nelle controdeduzioni, depositate nel termine di costituzione dell'appellato, venendo così ad affievolirsi la distinzione tra appello incidentale, riproposizione dei motivi e difesa del resistente.

Tardivo

Nel contenzioso tributario si riconosce l'operatività dell'istituto dell'appello incidentale tardivo, proponibile, cioè, nonostante risulti preclusa l'impugnazione principale. Del resto, mentre di ciò si dubitava nel vigore del d.P.R. n. 636/1972 (Gianoncelli, 777), l'attuale art. 49 del d.lgs. n. 546/1992, nel disporre che «alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l'art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto», rende direttamente applicabile l'art. 334 c.p.c., ai sensi del quale le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'articolo 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza, ma in tal caso, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia (Pistolesi, 253). La finalità della rimessione in termini, realizzata tramite la disciplina dell'appello incidentale tardivo, viene tendenzialmente individuata con l'esigenza di favorire l'accettazione della decisione, consentendo alle parti di non assumere alcuna determinazione in ordine all'eventuale impugnazione e di attendere serenamente le mosse degli avversari, consapevoli della possibilità di formulare censure avverso le parti della sentenza a loro sfavorevoli anche oltre la scadenza del termine. In tale impostazione l'appello incidentale viene configurato come privo di autonomia e, perciò, condizionato all'ammissibilità di quello principale, atteso che ove si fosse nutrito un interesse reale ad appellare non ci si sarebbe rimessi all'iniziativa della controparte (Pistolesi, 255). Tuttavia, come osservato da una parte della dottrina, la natura del rapporto tra l'impugnazione principale e quella incidentale tardiva non è un dato oggettivo, ma dipende dalla scelta e dall'obiettivo del legislatore, che può consistere non solo nell'evitare un'impugnazione meramente cautelativa da parte di chi sarebbe disposto ad accettare la decisione, ma anche nello scoraggiare l'impugnazione principale, alla quale, pertanto, si attribuisce l'effetto di rimettere in termini, in modo assoluto e non condizionato, la controparte (v. Odorisio, 244, rileva che «se il legislatore avesse svincolato l'efficacia della impugnazione incidentale tardiva dalla ammissibilità della impugnazione principale – e quindi avesse previsto il permanere di efficacia della impugnazione incidentale tardiva anche in caso di inammissibilità della impugnazione principale – ciò non sarebbe stato in contrasto con la ratio dell'art. 334, comma 1, c.p.c.», atteso che «se lo scopo dell'istituto è anche quello di scoraggiare la parte parzialmente soccombente ad impugnare, avvertendola che la sua impugnazione, anche se proposta nell'imminenza della scadenza dei termini, potrebbe indurre la controparte ad impugnare a sua volta la sentenza, è chiaro che l'efficacia deterrente dell'istituto sarebbe ancora maggiore se tale avvertimento fosse accompagnato dall'ulteriore regola secondo la quale se per un qualsiasi motivo l'impugnazione principale dovesse essere dichiarata inammissibile, ciò non precluderà l'esame di quella incidentale, seppure tardiva». Al contrario, «nella misura in cui l'istituto assolve alla propria funzione scoraggiando impugnazioni principali meramente cautelative, l'esigenza sembrerebbe essere quella di consentire l'esame della impugnazione incidentale tardiva solo in caso di accoglimento di quella principale, assicurando il massimo grado possibile di vincolo tra le due impugnazioni. Ed infatti, dal momento che l'interesse all'impugnazione incidentale tardiva sorge solo in seguito alla impugnazione principale, tutte le volte in cui per un qualsiasi motivo l'impugnazione principale non porta a quella soccombenza temuta dall'impugnante incidentale tardivo, se si consente l'esame di quella incidentale tardiva si da accesso ad una impugnazione sfornita di un effettivo interesse ad impugnare». Sul punto v. anche Turatto, 1585, «la disciplina dell'impugnazione incidentale tardiva assolve alla propria funzione di favorire l'accettazione della sentenza in due diverse direzioni: essa infatti, mentre consente di evitare impugnazioni meramente cautelative, pone anche una remora alla impugnazione principale, con la minaccia di una reviviscenza della impugnazione preclusa»). Secondo tali opinioni, pertanto, le interpretazioni tese a comprimere l'impugnazione incidentale tardiva non possono essere giustificate con l'anomalia ed eccezionalità dell'istituto, che è pur sempre espressione di principi generali, essendo funzionale a facilitare la formazione del giudicato, atteso che, ove non ne fosse consentita la proposizione, si moltiplicherebbero le impugnazioni principali tempestive.

Si tende ad escludere, in assenza di indicazioni in tal senso nell'art. 334 c.p.c., una limitazione di tipo oggettivo all'appello incidentale tardivo, che può perciò investire anche capi della pronuncia del tutto distinti ed autonomi da quelli investiti dal gravame principale. Dal punto di vista soggettivo, invece, l'art. 334 c.p.c. attribuisce tale potere esclusivamente alla parte contro cui è stata proposta l'impugnazione o a quella chiamata ad integrare il contraddittorio ex art. 331 c.p.c., non anche a quella a cui l'impugnazione sia notificata ex art. 332 c.p.c. Non sembra, però, che tale preclusione soggettiva possa valere anche riguardo alla legittimazione passiva, per cui l'appello incidentale tardivo potrà essere proposto anche contro parte diversa dall'appellante principale, coinvolta ai sensi dell'art. 332 c.p.c. (Gianoncelli, 777). In considerazione del principio generale della consumazione dell'impugnazione, però, non può servirsi dall'appello incidentale tardivo l'appellante principale né per aggredire quelle parti della sentenza originariamente non contestate (Dalla Bontà, 686).

L'appello incidentale tardivo è disciplinato, stante il rinvio operato dall'art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992, dall'art. 334 c.p.c., con la conseguenza che la verifica della tempestività è limitata al rispetto delle condizioni e dei termini derivanti dal combinato disposto degli artt. 23 e 54 del detto decreto, vale a dire con la proposizione del gravame incidentale a mezzo del deposito delle controdeduzioni in appello nei sessanta giorni dalla notifica del ricorso dell'appello principale (Cass. VI-5, n. 22836/2018).L'impugnazione de qua può riguardare anche questioni diverse da quelle prospettate con l'appello principale, non potendo attribuirsi a questo strumento di difesa una pienezza diversa da quella dell'appello incidentale civile, tenuto conto della tendenziale equiparazione del processo tributario a quello civile, stante il disposto dell'art. 49 del d.lgs. n. 546/1992, che richiama per le impugnazioni tributarie le norme processuali civili, nonché dell'art. 54 del citato d.lgs., che, nel disciplinare espressamente l'appello incidentale tributario, non pone alcuna limitazione in ordine ai suoi contenuti (così, Cass. V, n. 6650/2014). In questo senso risultano orientate, con riguardo proprio al contenzioso tributario, le recenti Cass. V, n. 18415/2018 e Cass. V, n. 13651/2018, secondo cui l'impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche se riguarda un capo della decisione diverso da quello oggetto del gravame principale o se investe lo stesso capo per motivi diversi da quelli già fatti valere, dovendosi consentire alla parte che avrebbe di per sé accettato la decisione di contrastare l'iniziativa della controparte, volta a rimettere in discussione l'assetto di interessi derivante dalla pronuncia impugnata, in coerenza con i principi della cd. parità delle armi tra le parti e della ragionevole durata del processo, atteso che una diversa, e più restrittiva, interpretazione indurrebbe ciascuna parte a cautelarsi proponendo un'autonoma impugnazione tempestiva sulla statuizione rispetto alla quale è rimasta soccombente, con inevitabile proliferazione dei processi. Si tratta, del resto, di una posizione conforme al risalente arresto di Cass. S.U., n. 4640/1989, secondo cui l'art. 334 c.p.c., che consente alla parte, contro cui è stata proposta impugnazione (o chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331 c.p.c.), di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l'accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l'avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall'impugnazione principale. Tuttavia, deve segnalarsi che sussiste un difforme orientamento, che si è formato relativamente al giudizio civile, secondo cui l'impugnazione incidentale tardiva, da qualunque parte provenga, va dichiarata inammissibile laddove l'interesse alla sua proposizione non possa ritenersi insorto per effetto dell'impugnazione principale (così Cass. III, n. 12387/2016, ha ritenuto inammissibile il ricorso incidentale tardivo proposto dall'originario attore avverso il rigetto, in appello, della propria domanda, a fronte di un ricorso principale concernente l'omessa pronunzia, in secondo grado, sulla restituzione degli importi corrisposti dall'originario convenuto per effetto della sentenza di primo grado, che aveva, invece, accolto la domanda attorea, osservando come il rigetto di questa non consegua all'accoglimento delle istanze restitutorie avanzate con il ricorso principale, autonomamente proponibili, peraltro, in separato giudizio, bensì si ponga a monte delle stesse; Cass. lav, n. 6156/2018, che ha dichiarato inammissibile un ricorso incidentale tardivo riguardante l'omessa pronuncia sulle spese dell'ordinanza d'appello ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c., affermando che il vizio denunciato determinava per l'impugnante incidentale effetti pregiudizievoli autonomi rispetto all'impugnazione principale; Cass. III, n. 27616/2019, che, a fronte del ricorso principale proposto dall'assicuratore di uno dei veicoli coinvolti in un sinistro stradale con esclusivo riferimento alla misura di corresponsabilità attribuita dal giudice d'appello al Comune tenuto alla manutenzione della strada, ha ritenuto inammissibili tanto il ricorso incidentale tardivo con il quale l'assicuratore di un altro dei mezzi coinvolti aveva censurato l'accertamento del concorso di colpa del proprio assicurato, quanto il ricorso incidentale tardivo proposto dall'ente pubblico avverso la statuizione sulle spese del giudizio di primo grado, così come ulteriormente regolate nella sentenza d'appello).

Dal punto di vista soggettivo, si è ritenuto che il rapporto di pregiudizialità sussistente tra la controversia promossa avverso il provvedimento di attribuzione della rendita catastale ad un immobile da parte dell'Ufficio del territorio e la controversia promossa avverso l'avviso di liquidazione dell'imposta, calcolata sulla base di detta rendita, non è idoneo, in ragione del diverso ambito soggettivo e oggettivo, a rendere le controversie medesime inscindibili, comportando una situazione di mero litisconsorzio facoltativo improprio. Ne consegue che, nella ipotesi di appello principale proposto dall'UTE e non notificato all'ufficio del registro, tale ufficio avrebbe potuto proporre impugnazione incidentale entro i limiti temporali di decadenza dall'impugnazione ai sensi degli artt. 23 e 54 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma non tardivamente ex art. 334 c.p.c. (Cass. V, n. 2785/2006 e Cass. V, n. 18271/2004, in Giur. it., 2005, 1097, con nota di Pistolesi, In tema di difesa da parte dell'Avvocatura dello Stato nel giudizio tributario di primo grado e di inscindibilità, in sede di impugnazione, delle cause catastali e sull'ICI).

L'ambito applicativo dell'art. 334, comma 2, c.p.c. risulta alquanto controverso negli orientamenti della giurisprudenza di legittimità. È sufficiente ricordare che, secondo le Sezioni Unite, se il ricorso principale è improcedibile, quello incidentale tardivo diventa inefficace, in base ad un'interpretazione logico-sistematica dell'ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un'impugnazione (tra l'altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità (Cass. S.U., n. 9741/2008), secondo cui qualora il ricorso principale per cassazione venga dichiarato improcedibile, l'eventuale ricorso incidentale tardivo diviene inefficace, e ciò non in virtù di un'applicazione analogica dell'art. 334, comma 2, c.p.c. — dettato per la diversa ipotesi dell'inammissibilità dell'impugnazione principale — bensì in base ad un'interpretazione logico-sistematica dell'ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un'impugnazione (tra l'altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità). Al contrario, si ritiene che se l'impugnazione principale è oggetto di rinuncia, l'art. 334, comma 2, c.p.c. non opera, atteso che, non avendo il destinatario della rinuncia alcun potere di opporsi all'iniziativa dell'avversario, si finirebbe per rimettere l'esito dell'impugnazione incidentale tardiva all'esclusiva volontà dell'impugnante principale (v. Cass. S.U., n. 8925/2011), secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la norma dell'art. 334, comma 2, c.p.c. — secondo cui, ove l'impugnazione principale sia dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale tardiva perde efficacia — non trova applicazione nell'ipotesi di rinuncia all'impugnazione principale; poiché, infatti, la parte destinataria della rinuncia non ha alcun potere di opporsi all'iniziativa dell'avversario, l'ipotetica assimilazione di tale ipotesi a quelle dell'inammissibilità e dell'improcedibilità dell'impugnazione principale finirebbe per rimettere l'esito dell'impugnazione incidentale tardiva all'esclusiva volontà dell'impugnante principale. In proposito, occorre rilevare che, nella pronuncia più risalente, riferita all'improcedibilità, le Sezioni Unite hanno configurato l'impugnazione incidentale tardiva come naturalmente dipendente da quella principale, così da ritenere addirittura superflua la previsione dell'art. 334, comma 2, c.p.c., in quanto insita nella natura dell'istituto; al contrario, più recentemente ne hanno riconosciuto la possibile autonomia, come confermato dall'art. 487 del codice previgente, che espressamente stabiliva l'irrilevanza, ai fini della sua decisione, sia del rigetto per ragioni diverse dalla tardività sia della rinuncia.

Bibliografia

Dalla Bontà, Sub art. 54, in AAVV., Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo – Glendi, Padova, 2012, 680; Gianoncelli, Sub art. 54, in AA.VV., Codice commentato del processo tributario, a cura di Tesauro, Torino, 2016, 766; Glendi, Sui limiti di riproponibilità dell'appello inammissibile, in Riv. giur. trib., 2006, 1041; Graziano, L'appello incidentale nel processo tributario, in Dir. e fisc. dell'assicurazione 2012, 213; Muccari, Opinioni contrastanti e «querelle» giurisprudenziale sulla costituzione in giudizio, in Corr. trib. 2002, 1955; Odorisio, Dichiarazione di improcedibilità dell'impugnazione principale ed impugnazione incidentale tardiva, in Riv. dir. proc. 2009, 244; Pistolesi, In tema di difesa da parte dell'Avvocatura dello Stato nel giudizio tributario di primo grado e di inscindibilità, in sede di impugnazione, delle cause catastali e sull'ICI, in Giur. it., 2005, 1097; Pistolesi, L'appello nel processo tributario, Torino, 2002; Randazzo, L'appello incidentale tardivo non può determinare l'estensione soggettiva del giudizio, in Corr. trib. 2016, 749; Russo, L'appello incidentale nel processo tributario, in Il fisco, 2009, 5659; Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2014;  Turatto, Le Sezioni Unite e la ristabilita autonomia dell'impugnazione incidentale tardiva almeno nel caso di rinuncia all'impugnazione principale, in Corr. giur. 2011, 1585.

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