Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 60 - Non riproponibilità dell'appello dichiarato inammissibile 1 2 .1. L'appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto anche se non è decorso il termine stabilito dalla legge. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 114 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. InquadramentoLa regola in esame trova applicazione anche nel processo civile, in cui, ai sensi dell'art. 358 c.p.c., l'appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, sebbene non sia decorso il termine fissato nella legge. Il mancato riferimento nel d.lgs. n. 546 del 1992 all'improcedibilità viene giustificato in considerazione dell'assenza di casi riconducibili a tale istituto nel processo tributario (Gianoncelli, 836; Pistolesi, 461, precisa che «nell'appello tributario non trovano ingresso le fattispecie di improcedibilità previste dall'art. 348 c.p.c. e, cioè, la mancata costituzione in giudizio dell'appellante nei termini e l'omessa comparizione dell'appellante medesimo alle prime due udienze .... l'unica fattispecie di improcedibilità .. è quella occasionata dalla mancata riunione dei due o più appelli principali promossi contro la stessa pronuncia», che, però, come già visto sub art. 55, è, tuttavia dubbia, propendendo una parte della giurisprudenza per la trattazione dell'appello non riunito, salvi i limiti del giudicato formatosi riguardo all'appello già deciso). Secondo un'ipotesi ricostruttiva, la norma costituisce espressione del cd. principio di consumazione (o consunzione) dell'impugnazione, in virtù del quale il relativo potere si consuma con il suo esercizio, per cui l'impugnazione, una volta proposta, sia in modo rituale sia in modo irrituale, non può essere reiterata. La disposizione de qua manifesta tale regola, introducendone una deroga e, cioè, consentendo la riproposizione dell'appello inammissibile prima che ne sia dichiarata l'inammissibilità (Longo). Seguendo, invece, un'altra impostazione, in assenza di disposizioni che, come la presente, pongano dei limiti espressi, vige l'opposto principio generale di reiterabilità di mezzi d'impugnazione (si rinvia a Gianoncelli, 836, per una sintesi delle posizioni sul punto; riguardo al processo tributario in particolare, v. Tesauro, 233). L'individuazione del principio generale operativo nel nostro ordinamento assume importanza relativamente a quelle ipotesi che non sono specificamente disciplinate: ad esempio, per stabilire se prima che sia decorso il termine, possa proporsi un nuovo appello avverso la sentenza già ritualmente impugnata, introducendo un nuovo motivo eventualmente riferito ad un altro capo. (In senso contrario, Longo, 2012, secondo cui «la deroga al principio di consumazione dell'impugnazione riguarda esclusivamente l'appello inammissibile, non anche l'appello ritualmente proposto, essendo ammessa solo a fronte dell'esercizio irrituale del potere di impugnare la possibilità, nei limiti consentiti, di rimediare al vizio attraverso la riproposizione del gravame»; Pistolesi, 465, secondo cui «il principio della consumazione dell'impugnazione può dirsi operante in presenza del corretto esercizio del relativo potere oppure dell'intervenuta dichiarazione del suo irrituale esercizio», volendosi precludere ogni surrettizia articolazione di nuovi motivi d'impugnazione rispetto a quelli contenuti nell'iniziale atto di gravame legittimamente proposto.) Invero, la soluzione del problema va cercata tenendo conto dell'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate, determinata, ai sensi dell'art. 329, comma 2, c.p.c., dall'impugnazione parziale, sicché, una volta proposto un appello Appare, comunque, impregiudicata l'eventuale possibilità di esperire mezzi di impugnazione differenti, atteso che la consumazione o consunzione è limitata alla stessa specie di azione. La giurisprudenza di legittimità esclude l'applicazione del principio di consumazione dell'impugnazione, espresso dalla disposizione in esame riguardo al grado di appello, relativamente al primo grado di giudizio. In particolare Cass. V, n. 7393/2012, ha ritenuto che nel processo tributario il contribuente può riproporre il ricorso per ottenere dall'Amministrazione il rimborso delle somme che assume indebitamente versate a titolo d'imposta fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto, anche qualora la precedente domanda giudiziale sia stata dichiarata inammissibile, con sentenza passata in giudicato, per mancata formazione del silenzio-rifiuto, sia perché la statuizione sulla questione di rito, dando luogo soltanto al giudicato formale, ha effetto limitato al rapporto processuale nel cui ambito è emanata e, non essendo idonea a produrre gli effetti del giudicato in senso sostanziale, non preclude la riproposizione della domanda in altro giudizio, sia perché il principio di consumazione fissato dall'art. 60, secondo cui l'appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto, è circoscritto a tale grado di giudizio, attese la collocazione della disposizione, la formula della sua rubrica e l'assenza di una corrispondente previsione relativa al processo di primo grado. Nello stesso senso si è pronunciata Cass. V, n. 15441/2010, secondo cui nel processo tributario, il contribuente che abbia proposto valido ricorso contro un atto dell'Amministrazione finanziaria non consuma il potere di impugnazione e non perde, quindi, la possibilità di proporre, finché non sia scaduto il termine, un nuovo ricorso contenente anche motivi diversi da quelli espressi nell'atto introduttivo; peraltro, il primo ricorso è inammissibile nel caso in cui, all'atto della presentazione del secondo, lo stesso proponente abbia chiesto l'annullamento o la sostituzione del primo, verificandosi in tal caso una situazione analoga alla rinuncia del ricorso. Nel processo civile, compreso quello tributario, il principio della consumazione dell'impugnazione, che preclude la riproposizione di un secondo atto di appello, anche nell'ipotesi in cui non sia ancora scaduto il termine per impugnare, opera soltanto ove sia intervenuta una declaratoria d'inammissibilità o improcedibilità del primo, con la conseguenza che, nel caso in cui il primo atto di appello sia viziato, e fino a quando la declaratoria di inammissibilità non venga adottata, può essere notificato un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purché tale atto risulti tempestivo, in rapporto al termine breve, decorrente, in caso di mancata notificazione della sentenza, dalla data di proposizione del primo atto di appello, che equivale alla conoscenza legale della decisione da parte dell'impugnante – così recentemente Cass. VI, n. 4754/2018, che ha cassato la sentenza della Commissione tributaria regionale, che aveva dichiarato l'inammissibilità dell'appello per invalidità del conferimento dell'incarico al difensore, senza considerare che era stato tempestivamente notificato una secondo atto di appello, riunito al primo, privo di tale vizio. Come precisato da Cass. S.U., n. 16162/2002, stante l'espressa previsione degli artt. 358 e 387 c.p.c., la consumazione del potere di impugnazione presuppone l'esistenza di due impugnazioni della stessa specie nonché, al tempo della proposizione della seconda, una declaratoria di inammissibilità della precedente; pertanto non si ha consumazione del potere di impugnazione quando il suo esercizio sia stato preceduto da una impugnazione di diversa specie (v. anche più recentemente Cass. III, n. 12113/2013, secondo cui nel caso in cui siano esperiti mezzi di impugnazione di specie diversa, non operando il principio di consumazione dell'impugnazione, ciò che importa ai fini dell'ammissibilità della seconda impugnazione è unicamente la sua tempestività, irrilevante essendo l'eventuale declaratoria di inammissibilità della prima impugnazione). Sebbene relativa al giudizio civile e non a quello tributario, va segnalata Cass. lav., n. 2227/1991, in Riv. dir.proc., 1992, 657, con nota di Longo, Può l'appellato impugnare alcuni capi della sentenza e successivamente proporre un ulteriore gravame su altri capi della medesima sentenza, attraverso l'appello incidentale? secondo cui la proposizione dell'appello incidentale di una parte non è preclusa dalla precedente proposizione, ad opera della stessa parte, di un appello in via principale, sempreché tale precedente gravame non sia stato già dichiarato inammissibile o improcedibile, restando altresì escluso, ove i due gravami concernano capi diversi, che l'impugnazione parziale attuata con il primo appello implichi acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate con tale gravame e censurate invece con quello successivamente proposto in via incidentale. In Cass. III, n. 20912/2005, si legge, però, sebbene a livello di mero obiter dictum, la consumazione dell'impugnazione non consente a chi abbia già proposto una rituale impugnazione di proporne una successiva di diverso o identico contenuto. Modalità e termine per la riproposizioneSi discute se il contenuto della seconda impugnazione, destinata a sostituire quella inammissibile, debba coincidere con quello della prima o possa risultare diverso e più ampio. Ad avviso di una parte della dottrina, la finalità dell'art. 60 del d.lgs. n. 546 del 1992, come delle disposizioni analoghe, è esclusivamente quella di consentire la sostituzione del gravame viziato, che non può, dunque, essere trasformato. Si obietta, però, che, da un lato, non è posta alcuna limitazione contenutistica alla seconda impugnazione e, dall'altro, la prima, in quanto inammissibile, è del tutto irrilevante e non può, pertanto, in alcun modo condizionare quella rituale (questa seconda è la posizione di Pistolesi, 464). La riproposizione dell'appello non dichiarato inammissibile deve, in ogni caso, intervenire nel rispetto del termine perentorio fissato per l'impugnazione, che, tuttavia, anche in caso di omessa notifica della sentenza, non viene fatto coincidere con quello lungo, decorrente dalla pubblicazione, ma con quello breve di sessanta giorni decorrente dalla proposizione della prima impugnazione, la quale implica la prova legale della conoscenza della sentenza ed equivale, perciò, alla sua notificazione. A ciò si aggiunga che dall'art. 326, comma 2, c.p.c., secondo cui, nel caso previsto nell'art. 332, l'impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti, si desume il principio di equivalenza tra notificazione dell'impugnazione e della sentenza. Infine, appare irragionevole imporre all'appellato l'onere di impugnare incidentalmente nello stesso processo in termini ristretti e, al contempo, lasciare libero l'autore dell'impugnazione inammissibile di riproporla nel termine annuale. Tale orientamento, prevalso in giurisprudenza, è tuttavia criticato da quella dottrina che contesta che la disciplina del termine breve per impugnare trovi fondamento nella conoscenza legale della sentenza, essendo piuttosto diretto ad accelerare la formazione del giudicato a favore della parte vittoriosa, ratio insussistente nella sua proposta applicazione relativamente alla reiterazione dell'impugnazione inammissibile (si rinvia per una sintesi completa del dibattito a Longo 2012). Il problema del termine entro cui deve essere proposto il nuovo appello, sostitutivo di quello inammissibile, è stato affrontato da Cass. S.U., n. 12084/2016, secondo cui la notifica dell'appello dimostra la conoscenza legale della sentenza da parte dell'appellante, sicché la notifica da parte sua di un nuovo appello anteriore alla declaratoria di inammissibilità o improcedibilità del primo deve risultare tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data del primo appello. (Nello stesso senso, con specifico riguardo al contenzioso tributario, v., tra le tante, Cass. VI, n. 11762/2012, secondo cui l'art. 60, riproducendo la formulazione letterale dell'art. 358 c.p.c., rende applicabile il principio in virtù del quale la consumazione dell'impugnazione, che ne preclude la riproposizione anche nell'ipotesi in cui non sia ancora scaduto il termine stabilito dalla legge, opera soltanto ove sia intervenuta una declaratoria d'inammissibilità, con la conseguenza che, fino a quando siffatta declaratoria non sia intervenuta, può essere proposto un nuovo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purché la seconda impugnazione risulti tempestiva, in rapporto al termine breve decorrente, in caso di mancata notificazione della sentenza, dalla data di proposizione del primo appello, che equivale alla conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante). Ai fini dell'applicazione dell'art. 60 è, ad ogni modo, sufficiente che prima della dichiarazione d'inammissibilità dell'impugnazione irritualmente proposta intervenga la notifica del secondo appello alla controparte, non essendo necessaria anche la costituzione in giudizio, in quanto il rapporto processuale tra le parti si instaura con la mera vocatio in ius (così Cass. n. 18823/2006). Dichiarazione d'inammissibilità: effetti e possibili rimediLa dichiarazione d'inammissibilità dell'appello, che costituisce causa ostativa alla sua riproposizione, può intervenire o con decreto del presidente di sezione, se manifesta, o con sentenza del collegio. Il primo provvedimento è impugnabile con il reclamo di cui all'art. 28 del d.lgs. n. 546 del 1992; il secondo, invece, con gli strumenti ordinari del ricorso per cassazione o della revocazione. Ove non contestata o confermata, la declaratoria d'inammissibilità determina, in linea di principio, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, che potrebbe, però, essere precluso dalla proposizione di un appello incidentale tempestivo su cui, come si ricava dall'art. 334 c.p.c., il giudice di appello è tenuto ugualmente a pronunciarsi, oppure dalla proposizione dell'appello da parte di un eventuale litisconsorte necessario ancora in termini (Gianoncelli, 840). Si è, invece, osservato che, laddove vi sia stata tempestiva e corretta rinnovazione dell'impugnazione, la successiva declaratoria d'inammissibilità del primo appello, da un lato, non comporta il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, essendo stato nuovamente esercitato il potere d'impugnativa, e, dall'altro lato, non può considerarsi soggetta né a reclamo né a ricorso per cassazione, difettando ogni concreto interesse ad agire (Pistolesi, 464-465). Si è, infine, sottolineato che la regola de qua è inapplicabile all'appello proposto al giudice incompetente, fattispecie disciplinata dall'art. 5 del d.lgs. n. 546 del 1992, il cui ultimo comma prevede che la riassunzione del processo davanti alla commissione tributaria dichiarata competente, effettuata a istanza di parte nel termine fissato nella sentenza o in mancanza nel termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza stessa, comporta la prosecuzione del processo davanti alla nuova commissione (Gianoncelli, 840). Riguardo al giudizio civile, Cass. III, n. 20313/2006, confermata da Cass. III, n. 14538/2009, ha ritenuto che, qualora venga notificato un atto di appello e successivamente l'appellante, ritenendo che la notificazione sia affetta da nullità, provveda spontaneamente alla notificazione di un nuovo atto di appello, nel rispetto del termine di impugnazione (da considerarsi comunque iniziato a decorrere, a carico dello stesso notificante come termine cosiddetto breve, dal momento della prima notificazione), il giudice dell'impugnazione, ove l'appellante (pur avendone l'onere, sia nel caso di insussistenza della nullità del primo appello, sia — in ragione della efficacia ex tunc della rinnovazione — nel caso di nullità) non si sia costituito nei termini in relazione alla prima notificazione, non può dichiarare improcedibile l'appello per difetto di tempestiva costituzione del medesimo, ove l'improcedibilità dell'appello proposto con la prima notificazione non risulti dichiarata al momento della seconda notificazione, trovando viceversa applicazione l'art. 358 c.p.c. BibliografiaAzzoni, Modalità di presentazione del ricorso, consumazione dell'impugnazione e adempimenti in materia di fatturazione, in Il Fisco 2010, 4667; Gianoncelli, Sub art. 60, in AA.VV., Codice commentato del processo tributario, a cura di Tesauro, Padova, 2016; Glendi, Sui limiti di riproponibilità dell'appello inammissibile, in Riv. giur. trib. 2006; Longo, Sub art. 60, in AAVV., Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo - Glendi, Padova, 2012; Longo, Può l'appellato impugnare alcuni capi della sentenza e successivamente proporre un ulteriore gravame su altri capi della medesima sentenza, attraverso l'appello incidentale?, in Riv. dir. proc. 1992, 657; Pistolesi, L'appello nel processo tributario, Torino, 2002; Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2014. |