Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 45 - Estinzione del processo per inattività delle parti 1 2 .1. Il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo. 2. Le spese del processo estinto a norma del comma 1 restano a carico delle parti che le hanno anticipate. 3. L'estinzione del processo per inattività delle parti è rilevata anche d'ufficio solo nel grado di giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti compiuti. 4. L'estinzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con sentenza. Avverso il decreto del presidente è ammesso reclamo alla commissione che provvede a norma dell'art. 28. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 94 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Inquadramento.L'estinzione del giudizio, che comporta il suo definitivo arresto, è collegata talvolta all'inattività delle parti. Deve, però, trattarsi non di un'inerzia generica, ma qualificata, consistente nel mancato compimento di atti necessari alla prosecuzione del processo entro un termine perentorio, secondo l'esplicita previsione del legislatore. È, invece, irrilevante che tale condotta sia volontaria e, cioè, posta in essere con la consapevolezza degli effetti, o involontaria, determinata da mera negligenza (Gaffuri, 632). Va, comunque, ricordato che i termini perentori sono soggetti alla sospensione feriale (Marcheselli, 580), la quale a decorrere dall'anno 2015 è stata ridotta, in virtù dell'art. 16, comma 1, del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in l. 10 novembre 2014, n. 162, dal 1° al 31 agosto in luogo che dal 1° agosto al 15 settembre. Occorre, inoltre, tenere presente che nel processo tributario l'omessa o tardiva costituzione del ricorrente determina l'inammissibilità del ricorso e non l'estinzione del processo, come espressamente previsto dall'art. 22, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, ai sensi del quale, da un lato, il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d'inammissibilità, deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita, o trasmette a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, l'originale del ricorso notificato a norma degli artt. 137 e ss. c.p.c. ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale, e, dall'altro, l'inammissibilità del ricorso è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si costituisce a norma dell'articolo seguente. Al contrario, nel processo civile l'art. 307, comma 1, c.p.c. stabilisce che se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti siasi costituita entro il termine stabilito dall'articolo 166 ovvero, se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinato la cancellazione della causa dal ruolo, il processo, salvo il disposto dell'articolo 181 e dell'articolo 290, deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di tre mesi (originariamente, prima della modifica apportata dall'art. 46, comma 15, lett. b, della l. 18 giugno 2009, n. 69, di un anno), che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell'articolo 166, o dalla data del provvedimento di cancellazione; altrimenti il processo si estingue. Nel giudizio di legittimità, caratterizzato dall'impulso di ufficio, non sono configurabili ipotesi di estinzione del processo per inattività delle parti (Gaffuri, 634). In tema di contenzioso tributario, l'atteggiamento, anche prolungato, delle parti di mera attesa delle determinazioni della Commissione tributaria non equivale alla rinuncia tacita al ricorso di cui all'art. 45 — che prevede l'estinzione del processo nell'ipotesi in cui le parti non rispettino termini perentori entro i quali proseguire, integrare o riassumere il giudizio — non potendosi ricondurre nell'ambito di applicazione della norma, in mancanza di disposizioni che prevedano l'onere di sollecitare la definizione del processo, situazioni di inattività delle parti caratterizzate dalla generica assenza di istanze di sollecitazione. (In applicazione di tale principio, Cass. V, n. 7330/2011 ha ritenuto illegittimo il decreto adottato dal presidente di una commissione tributaria provinciale il quale, rilevato che erano trascorsi sei anni dalla presentazione del ricorso senza che ricorrente ed Ufficio ne avessero sollecitato la definizione, aveva dichiarato l'estinzione del giudizio per rinuncia tacita al ricorso). Cass. V, n. 8627/2022 ha precisato che, in tema di giudizio tributario, la sospensione legale del termine "di riassunzione", disposta per le controversie definibili dall' art. 6, comma 11, del d.l. n. 119 del 2018, riguarda il termine per la "riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio", di cui agli artt. 63 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 392 c.p.c., ma non si applica al termine per la presentazione dell'istanza di trattazione necessaria per la ripresa del processo di merito, sospeso o interrotto, di cui agli artt. 43 e 45 del d.lgs. n. 546 del 1992, che, pertanto, decorre ugualmente. La giurisprudenza di legittimità ha risolto positivamente il problema dell'applicabilità del previgente art. 44 del d.P.R. n. 636 del 1972 (ai sensi del quale, entro sei mesi dalla data di cui all'art. 42, commi 2 o 3, il contribuente deve chiedere la trattazione del ricorso o dell'impugnazione da lui proposta, con istanza diretta alla commissione competente ai sensi dell'art. 43 e presentata all'ufficio finanziario competente e, dall'altro, in difetto di tale istanza il processo è dichiarato estinto con ordinanza del presidente, da notificare alle parti) ai processi già instaurati nel precedente regime, in cui non era prevista l'estinzione per inerzia delle parti, attesa la caratteristica dell'impulso di ufficio. Così, secondo Cass. I, n. 1385/1987, in tema di contenzioso tributario, la declaratoria di estinzione del procedimento pendente al momento dell'insediamento delle nuove commissioni tributarie, che l'art. 44 del d.P.R. n. 636 del 1972 contempla per la mancata presentazione da parte del contribuente di tempestiva istanza di trattazione, non è preclusa dalla circostanza che il procedimento stesso sia stato in precedenza sospeso (nella specie, fino all'esito di processo penale) e non riassunto dai contendenti, in considerazione del potere di impulso spettante alle commissioni secondo la normativa previgente (potere ostativo ad un'estinzione per inattività delle parti), nè dall'eventuale pregresso verificarsi della cessazione della materia del contendere, tenuto conto che la sanzione contemplata dal predetto art. 44, la quale implica la definitività dell'atto impositivo e l'improponibilità di ogni ulteriore ricorso contro il medesimo, deve essere applicata in via assorbente e preclusiva di ogni esame nel merito (nello stesso senso Cass. I, n. 1387/1987, poiché il procedimento dinanzi alle commissioni tributarie, secondo la normativa anteriore alla riforma del 1972, non era soggetto ad estinzione per inattività delle parti, un procedimento non estinto formalmente all'epoca dell'entrata in vigore della riforma ricadeva sotto la disciplina dell'art. 44 del d.P.R. n. 636 del 1972, tal che l'omessa richiesta di trattazione del ricorso allo scopo di far dichiarare la cessazione della materia del contendere o la rinuncia alla pretesa fiscale determinava l'estinzione del procedimento e la conseguente inoppugnabilità dell'atto impositivo). L'inattività delle partiLe ipotesi in cui all'inattività delle parti consegue l'estinzione del processo sono tassative, sebbene talora individuate dal legislatore in virtù del collegamento con la presente disposizione (per un'elencazione dettagliata v. Marcheselli, 580). In particolare, l'arresto processuale deriva 1) dalla mancata ripresa del processo una volta venuta meno la causa di sospensione o interruzione, come si ricava dal combinato disposto degli artt. 43, commi 1 e 2 (dopo che è cessata la causa che ne ha determinato la sospensione il processo continua se entro sei mesi da tale data viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, che provvede a norma dell'art. 30; se entro sei mesi da quando è stata dichiarata l'interruzione del processo la parte colpita dall'evento o i suoi successori o qualsiasi altra parte presentano istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, quest'ultimo provvede a norma del comma precedente), e 45, comma 1 (il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere ... non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge); 2) dalla mancata riassunzione dinanzi al giudice individuato come competente da quello adito all'esito della sua dichiarazione di incompetenza, secondo quanto testualmente dispone l'art. 5 (la riassunzione del processo davanti alla commissione tributaria dichiarata competente deve essere effettuata a istanza di parte nel termine fissato nella sentenza o in mancanza nel termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza stessa; se la riassunzione avviene nei termini suindicati il processo continua davanti alla nuova commissione, altrimenti si estingue), o 3) all'esito della cassazione con rinvio dinanzi al giudice di merito, come stabilisce l'art. 63, comma 2 (se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio l'intero processo si estingue) del d.lgs. n. 546 del 1992. Ancora l'estinzione può essere determinata dalla mancata integrazione del contraddittorio, secondo quanto espressamente previsto dalla disposizione in esame, atteso che, ai sensi dell'art. 14, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi, per cui ove il ricorso non sia stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l'integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza. Limitatamente al regime transitorio relativo al passaggio dal sistema previgente a quello attuale vanno, infine, ricordate le ipotesi di estinzione di cui agli artt. 75, commi 2 e 3 (se entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente decreto nessuna delle parti ha proposto istanza di trattazione a norma dell'art. 73, comma 2, il giudizio davanti alla commissione tributaria centrale si estingue, e si applica il comma 4 dell'art. 73; le parti che hanno proposto ricorso alla commissione centrale, anzichè presentare l'istanza di trattazione di cui al comma precedente, possono chiedere nello stesso termine l'esame da parte della Corte di cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c. convertendo il ricorso alla commissione tributaria centrale in ricorso per cassazione contro la decisione impugnata, osservate per il resto tutte le norme del codice di procedura civile per il procedimento davanti alla Corte di cassazione), e 76, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992 nell'originaria versione (quando alla data di insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali pendono i giudizi di rinvio davanti alla commissione tributaria di primo o di secondo grado o davanti alla commissione tributaria centrale l'istanza di trattazione va fatta rispettivamente davanti alla commissione tributaria provinciale, alla commissione tributaria regionale o alla commissione tributaria centrale nei modi e termini di cui all'art. 73 e, per quest'ultima, non oltre il 31 dicembre 1995, estinguendosi in difetto l'intero processo). Tuttavia, nella formulazione del citato art. 76 introdotta dal d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in l. 29 ottobre 1993, n. 427, se alla data di insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali pendono i giudizi di rinvio davanti alla commissione tributaria di primo o di secondo grado si applicano le disposizioni di cui all'articolo 72, comma 4, per cui le segreterie delle commissioni tributarie di primo e di secondo grado indicate nel comma 1 provvedono a trasmettere i fascicoli relativi alle controversie pendenti alle segreterie delle commissioni provinciale o regionale rispettivamente competenti e la prosecuzione del giudizio è automatica. Non appaiono, invece, compatibili con la struttura del giudizio tributario le ipotesi di estinzione collegate all'inattività delle parti previste dal c.p.c., tenuto conto, peraltro, della disciplina speciale sul punto contenuta nel d.lgs. n. 546 del 1992. Può, ad esempio, ricordarsi che alla mancata costituzione del ricorrente consegue l'inammissibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, il che rende inapplicabile l'art. 307, commi 1 e 2, c.p.c. Si ritiene, invece, applicabile l'art. 307, comma 3, c.p.c.: in particolare, in virtù della modifica apportata dall'art. 46, comma 15, lett. a, della l. 18 giugno 2009, n. 69, il termine fissato dal giudice, a ciò autorizzato dalla legge, per proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non potrà essere inferiore ad un mese né superiore a tre (v. sul punto Glendi, 2010, 2960, che analizza la Circolare dell'Agenzia delle entrate 31 marzo 2010, n. 17/E nella parte in cui si occupa delle modifiche apportate al codice di procedura civile ed alla loro operatività nel giudizio tributario, specificando, invece, che la riduzione a tre mesi del termine per la riassunzione del processo interrotto o sospeso non può operare in sede tributaria, vista la specifica previsione di un termine di sei mesi, contenuta nell'art. 43 del d.lgs. n. 546 del 1992). In tema di contenzioso tributario, la riassunzione della controversia interrotta avviene con la mera presentazione dell'istanza di trattazione al presidente della sezione, da effettuarsi nel termine di sei mesi dal provvedimento che dichiara l'interruzione, spettando alla segreteria della commissione tributaria l'onere di comunicare alle parti la data della nuova udienza (Cass. VI, n. 12672/2015). Non si pone, dunque, il problema sorto nel processo civile relativamente all'omessa tempestiva notifica del ricorso di riassunzione (v., tra la tante, Cass. III, n. 13683/2012, secondo cui quando il processo sia stato dichiarato interrotto, la riassunzione è tempestiva ove il relativo ricorso sia stato depositato in cancelleria nel termine di sei mesi, previsto dall'art. 305 c.p.c., con la conseguenza che ove il ricorso col pedissequo decreto di fissazione dell'udienza non sia stato regolarmente notificato, il giudice non può dichiarare l'estinzione del processo, ma deve ordinare la rinnovazione della notifica, in applicazione analogica dell'art. 291 c.p.c., entro un termine perentorio). Va segnalato, laddove il processo sia stato dichiarato erroneamente interrotto , la relativa riassunzione può essere effettuata anche senza il rispetto del termine all'uopo stabilito dal giudice, senza che ciò produca l'estinzione del giudizio (Cass. V, n. 4508/2024 relativamente a d una fattispecie in cui vi era stata la dichiarazione di interruzione del giudizio, nonostante la riassunzione del processo da parte dal curatore del fallimento del contribuente ). Va segnalato , laddove il processo sia stato dichiarato erroneamente interrotto , la relativa riassunzione può essere effettuata anche senza il rispetto del termine all'uopo stabilito dal giudice, senza che ciò produca l'estinzione del giudizio (Cass. V, n. 4508/2024 relativamente a d una fattispecie in cui vi era stata la dichiarazione di interruzione del giudizio, nonostante la riassunzione del processo da parte dal curatore del fallimento del contribuente ). Cass. V, n. 29569/2018 ha, di recente, precisato che la mancata riassunzione del giudizio a seguito dell'interruzione dello stesso determina l'estinzione per inattività delle parti, che può essere dichiarata anche d'ufficio ai sensi dell'art. 45, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992. Va, inoltre, segnalato che, in caso di riassunzione del processo in sede di rinvio dinanzi al giudice tributario, non trova applicazione l'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (formulazione anteriore al d.lgs. 14 novembre 2014, n. 175), nella parte in cui prevede che, ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l'appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell'appello presso l'ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, in quanto privo di apprezzabile funzione processuale, atteso che la possibilità che la segreteria del giudice di primo grado attesti erroneamente il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado è esclusa dalla intervenuta comunicazione della proposizione dell'appello (Cass. VI, n. 22135/2014). Appare applicabile anche dinanzi alle commissioni tributarie il principio enunciato riguardo al rito civile da Cass. I, n. 11498/2010, secondo cui qualora, a seguito di sentenza dichiarativa dell'incompetenza del giudice adito, sia stata posta in essere un'attività processuale astrattamente riconducibile al modello della riassunzione, spetta al giudice davanti al quale la riassunzione stessa sia stata effettuata stabilire se essa, come concretamente attuata, sia tempestiva e, più in generale, risponda ai requisiti di forma e di contenuto necessari perché si verifichi l'effetto della continuazione del processo davanti al giudice ad quem e sia evitata l'estinzione. Parimenti potrebbe porsi il problema dell'individuazione del dies a quo del termine per la riassunzione all'esito del venir meno della causa di sospensione, che è stato precisato decorre nei confronti della parte di un processo sospeso a norma dell'art. 295 c.p.c., estranea alla causa pregiudiziale, dalla data in cui la parte stessa abbia avuto conoscenza legale, mediante notificazione, comunicazione o dichiarazione, della cessazione della causa di sospensione, con la conseguenza che spetta alla controparte, che eccepisca l'avvenuta estinzione del processo per tardiva riassunzione, provare che l'indicata conoscenza sia stata acquisita dal riassumente nel semestre precedente la presentazione dell'istanza per la fissazione dell'udienza di prosecuzione (così Cass. I, n. 24533/2010, che ha affermato ancora pendente il processo presupposto dinanzi alla Corte dei Conti, sospeso per essere stata sollevata questione di legittimità costituzionale, non essendo stata mai comunicata alla parte la decisione della Consulta). Nello stesso senso la più recente Cass. III, n. 12790/2012, secondo cui nel caso di sospensione del processo per pregiudizialità, la parte del processo pregiudicato, quando non sia parte anche di quello pregiudicante, non ha alcun onere di attivarsi per accertarsi se quest'ultimo si sia concluso, sicché incombe su chi intende eccepire la tardiva riassunzione del processo, per inutile decorso del termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza pregiudicante — oggi ridotto a tre mesi dall'art. 46, comma 12, della legge 18 giugno 2009 n. 69 — l'onere di provare che la parte, la quale ha proceduto alla riassunzione, avesse avuto in qualunque modo notizia del passaggio in giudicato della sentenza pregiudicante più di sei mesi prima del deposito dell'istanza di prosecuzione. Occorre, comunque, tenere presente che allorché la comunicazione di un provvedimento giurisdizionale serva, oltre che a far conoscere quanto accaduto nel corso del processo, anche a individuare il momento iniziale per la decorrenza di un termine perentorio, contrariamente a quanto avviene negli altri casi in cui la funzione della comunicazione è limitata unicamente a finalità partecipative, il sistema della sola conoscenza di fatto del provvedimento non comunicato non può avere efficacia sanante della nullità dell'atto, per cui, nel caso di ordinanza relativa alla sospensione del processo, è necessario che la stessa sia comunicata ai sensi dell'art. 136 e seguenti c.p.c., ovvero in forme equipollenti che non possono in ogni caso prescindere, stante l'esigenza della certezza processuale, da un'attività del cancelliere, organo deputato infungibilmente a tale incombenza, non potendo altrimenti conseguire alla sospensione del processo l'estinzione per inosservanza del termine di riassunzione (Cass. lav., n. 6601/2000): ciò vale per la comunicazione del provvedimento di sospensione e, solo laddove le parti del giudizio pregiudiziale e pregiudicato coincidano, per quella del provvedimento conclusivo del primo. Occorre segnalare che, nella vigenza del rito tributario disciplinato dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, la morte o la perdita della capacità di una delle parti o di un suo rappresentante intervenuta nel corso del giudizio rilevava soltanto nei limiti previsti dall'art. 31 del d.P.R. n. 636 cit., così come sostituito dall'art. 18 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, il quale, non contemplava l'interruzione del processo e si limitava a prevedere quale unica conseguenza dell'evento in questione la proroga di sei mesi del termine per la proposizione del ricorso e di tutti i termini processuali pendenti alla data della morte o della sentenza che abbia dichiarato l'incapacità (Cass. V, n. 16489/2006). Nel nuovo processo tributario, invece, l'istituto della interruzione del processo è regolato secondo le linee del codice di rito civile, sicché è applicabile il principio, formatosi sulla disciplina corrispondente per il processo civile ordinario, secondo cui le norme che disciplinano l'interruzione del processo sono preordinate a tutela della parte colpita dal relativo evento, con la conseguenza che difetta d'interesse l'altra parte a dolersi dell'irrituale continuazione del processo (Cass. V, n. 7216/2001). In merito all'estinzione del processo derivante dall'inottemperanza del provvedimento di integrazione del contraddittorio, deve ricordarsi che, anche nel contenzioso tributario, l'integrazione del contraddittorio è obbligatoria, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., non solo nelle ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale (cd. cause inscindibili), ma altresì nell'ipotesi di cause che, pur scindibili, riguardano rapporti logicamente interdipendenti tra loro o dipendenti da un presupposto di fatto comune (cd. cause dipendenti), quando siano state decise nel precedente grado di giudizio in un unico processo, al fine di evitare che le successive vicende processuali conducano a pronunce definitive di contenuto diverso (Cass. V, n. 14253/2016). Ne deriva, pertanto, che qualora in sede di appello la parte interessata — e, dunque, in primo luogo l'appellante (nella specie, l'Amministrazione finanziaria) — non adempia l'ordine d'integrazione del contraddittorio nei confronti del concessionario per la riscossione, rispetto al quale il contribuente appellato abbia riproposto le contestazioni rimaste assorbite in primo grado in ordine ai vizi formali della cartella, si produce ex art. 45 una causa estintiva dell'intero giudizio con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (Cass. V, n. 21975/2015). In tema di contenzioso tributario, la segreteria deve dare comunicazione alle parti costituite, almeno trenta giorni prima, ai sensi dell'art. 31 del d.lgs. n. 546/1992, della data stabilita per la trattazione della controversia, anche nell'ipotesi in cui la trattazione della stessa sia stata rinviata a tempo indeterminato per esigenze del servizio — tra le quali deve ricomprendersi anche la necessità ravvisata dall'organo giudicante di acquisire d'ufficio prima della pronuncia documenti ritenuti rilevanti ai fini della decisione della lite. L'omissione di tale comunicazione non determina l'estinzione del processo, ma la nullità dei successivi atti processuali e della sentenza, a norma degli artt. 101 e 156, comma 2, c.p.c., essendo detta comunicazione indispensabile per assicurare il contraddittorio e l'esercizio del diritto di difesa delle parti (Cass. V, n. 8133/2001). La giurisprudenza ha specificato, con riferimento al regime transitorio previsto dall'art. 75 del d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui, per i giudizi pendenti dinanzi alla commissione tributaria centrale, sanziona con l'estinzione la mancata proposizione di apposita istanza di trattazione nel termine dei sei mesi dall'entrata in vigore del d.lgs. cit., che nessuna nullità si verifica nel caso in cui, prima che sia decorso il predetto termine, il giudice abbia fissato la discussione in assenza della citata istanza, essendo il giudizio tributario regolato dal principio dell'impulso d'ufficio, con la conseguenza che la previsione di una causa eccezionale e transitoria di estinzione per l'inattività delle parti non preclude al giudice, in difetto di un'espressa previsione, di dar corso agli adempimenti processuali quando la presunzione di disinteresse al giudizio non possa ritenersi sussistente per non essere ancora decorso il termine che la determina (Cass. V, n. 274/2010). La dichiarazione di estinzione.Nel contenzioso tributario l'estinzione del processo per inattività delle parti può essere dichiarata su eccezione di parte o anche d'ufficio, come, peraltro, accade anche nel processo civile in virtù dell'art. 307, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione introdotta dall'art. 46, comma 15, lett. a), della l. 18 giugno 2009, n. 69, applicabile ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, cioè, dopo il 4 luglio 2009 – anteriormente alla novella, invece, l'estinzione, pur operando di diritto, doveva essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra difesa. In caso di rilievo di ufficio, però, la questione dovrà essere sottoposta alle parti in virtù del principio generale del contraddittorio. Come si desume dall'artt. 45 comma 3, detta estinzione, a differenza di quella che consegue alla rinuncia, può essere rilevata anche d'ufficio solo nel grado di giudizio in cui si verifica, per cui non invalida la sentenza pronunciata, visto che nel grado successivo diviene irrilevante, salva l'ipotesi in cui, essendo stata ritualmente eccepita da una delle parti e rigettata, può tradursi in un motivo di impugnazione. In definitiva, lo sbarramento del grado di giudizio vale sia per il giudice sia per le parti. A tale conclusione si perviene sia in considerazione della locuzione «anche di ufficio», che lascia intendere si tratti di una fattispecie aggiuntiva, soggetta alla medesima disciplina di quella ordinaria dell'impulso di parte, sia in considerazione del dato storico-sistematico dell'interpretazione già adottata nel processo civile prima delle modifiche apportate dall'art. 4 della l. 3 novembre 1990, n. 353 (Marcheselli, 814). Al contrario, laddove l'estinzione, correttamente eccepita nel relativo grado, non venga dichiarata, il giudice dell'impugnazione potrà accertarla e chiudere il processo con effetti dal grado precedente, non dovendosi fare applicazione dell'art. 59, lett. c, del d.lgs. n. 546/1992, che prevede il rinvio da parte della commissione tributaria regionale a quella provinciale nella fattispecie inversa dell'erronea conferma dell'estinzione con sentenza all'esito del reclamo avverso il provvedimento presidenziale. Unica deroga è costituita, ad avviso di Gaffuri, 634, dall'inottemperanza all'ordine del giudice di integrazione del contraddittorio, in cui dall'art. 59, lett. b, del d.lgs. n. 546 del 1992 deriverebbe la regressione al primo grado: tale conclusione lascia, tuttavia, perplessi, in quanto il citato art. 59, lett. b sembra piuttosto riferirsi all'ipotesi in cui non sia stato rilevato il difetto di contraddittorio nelle precedenti fasi di giudizio e non anche a quella in cui il contraddittorio non sia stato integrato, nonostante l'ordine del giudice, in cui sarebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata il rinvio al giudice a quo al solo fine della pronuncia del provvedimento di estinzione del processo. L'estinzione è accertata dal presidente della sezione con decreto, reclamabile ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 546 del 1992, o dalla commissione con sentenza. In caso di interruzione o sospensione è necessaria la presentazione di apposita istanza per riattivare il processo, sebbene non al fine della trattazione della controversia, ma della pronuncia di estinzione. Il provvedimento ha natura di accertamento ed i suoi effetti, dunque, retroagiscono al momento della verificazione delle relative cause. Non si rende necessaria alcuna liquidazione delle spese processuali, che restano a carico della parte che le ha sostenute, salva l'ipotesi in cui sia insorta controversia sulla sussistenza dei presupposti dell'estinzione ed in cui coerentemente, all'esito della decisione del reclamo avverso il decreto presidenziale o dell'impugnazione avverso la sentenza della commissione tributaria provinciale o regionale, le spese processuali seguono il principio della soccombenza (Gaffuri, 635). Non è prevista la possibilità di un diverso accordo delle parti sulla regolamentazione delle spese, difformemente da quanto disposto dall'art. 44 del d.lgs. n. 546 del 1992 per l'estinzione del processo conseguente alla rinuncia al ricorso. In tema di contenzioso tributario, la dichiarazione di estinzione del processo per inattività delle parti, successivamente al provvedimento di interruzione per morte di una di esse, emesso in udienza a seguito della dichiarazione del difensore del soggetto colpito dall'evento, è validamente pronunciata d'ufficio, ai sensi dell'art. 45, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, anche se gli eredi non abbiano ricevuto comunicazione né del provvedimento di interruzione, né della successiva data di trattazione della controversia, atteso, quanto al primo profilo, che il precisato atto del giudice, per la sede in cui è stato adottato, è legalmente noto, e, quanto al secondo, che l'estinzione costituisce la reazione dell'ordinamento al protrarsi del comportamento inerte delle parti, mirando allo scopo di attuare il principio della ragionevole durata del processo; ne consegue che eventuali censure in ordine a detta declaratoria sono proponibili davanti al giudice del reclamo o dell'impugnazione, così restando assicurato anche il diritto di difesa (Cass. V, n. 21128/2011). Si è precisato che ove il processo tributario venga riassunto dal curatore del fallimento del contribuente, o dall'altra parte nei suoi confronti, e successivamente venga ciononostante dichiarato interrotto, la relativa riassunzione può essere effettuata anche senza il rispetto del termine all'uopo stabilito dal giudice, senza che ciò produca l'estinzione del giudizio (Cass. V, n. 4508/2024). Il provvedimento con cui il giudice neghi essersi verificata l'estinzione del processo e ne disponga la prosecuzione non è impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., in quanto manca di carattere decisorio, perché non incide in modo sostanziale sui diritti delle parti, cui rimane salva la facoltà di reagire, con i normali mezzi di impugnazione, contro la pronuncia che definisca il processo irritualmente proseguito (Cass. S.U., n. 4251/1979). Si è, pure, precisato che, in applicazione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, le doglianze avverso il decreto presidenziale che ha pronunciato l'estinzione del giudizio per inattività delle parti devono essere fatte valere con il reclamo previsto dall'art. 45, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e non per mezzo del ricorso per cassazione, esperibile solo nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali definitivi aventi contenuto decisorio (anche se emessi sotto forma di ordinanza o di decreto), rispetto ai quali non sia previsto uno specifico rimedio impugnatorio (Cass. V, n. 21254/2017). In tema di spese giudiziali, ove l'insorta controversia in ordine alla estinzione del processo venga decisa con sentenza, non trova applicazione la regola di cui all'art. 310, ultimo comma c.p.c., ma riprendono vigore i principi sanciti dagli artt. 91 e 92 c.p.c., e, quindi, il criterio della soccombenza, sebbene limitatamente alle spese causate dalla trattazione della questione relativa all'estinzione (Cass. VI, n. 533/2016): principio che appare applicabile anche con riferimento al processo tributario, sicchè la regola di cui all'art. 45, comma 2, non opera laddove sia insorta una controversia sulla sussistenza della causa di estinzione, risolta dalla commissione con sentenza. Gli effetti dell'estinzioneGli effetti dell'estinzione sono automatici, per cui la pronuncia del giudice ha valore solo accertativo con decorrenza dalla verificazione del relativo presupposto e tutti gli atti compiuti successivamente a tale momento sono invalidi. L'estinzione del giudizio di primo grado comporta la definitivà dell'atto impositivo impugnato (secondo Glendi, 2014, 2618, «nel processo tributario, l'estinzione del processo estingue l'azione ed è per questo che l'estinzione di tale processo, rendendo inefficaci gli atti processuali, determina il definitivo consolidarsi degli effetti propri dell'atto impugnato; ed è per questo, altresì, che, una volta che ciò sia accaduto, non è più proponibile alcuna azione»). Parimenti, in caso di estinzione del giudizio di rinvio, tutto il processo si estingue, secondo quanto testualmente previsto dall'art. 63 del d.lgs. n. 546/1992, conformemente alla disciplina dell'art. 393 c.p.c., per cui l'atto impositivo diviene definitivo. In caso di estinzione del giudizio di secondo grado, invece, la sentenza già pronunciata resta salva e passa, pertanto, in giudicato, con conseguente conferma, annullamento o modifica dell'atto impugnato, essendo applicabile, in virtù del rinvio di cui all'art. 49 d.lgs. n. 546 del 1992, l'art. 338 c.p.c., ai sensi del quale l'estinzione del procedimento di appello o di revocazione nei casi previsti nei numeri 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c. fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto. Si ritiene, inoltre, compatibile con la disposizione in esame e, dunque, applicabile il regime di cui all'art. 310, commi 2 e 3, c.p.c., per cui l'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito e le pronunce che regolano la competenza e le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell'art. 116 c.p.c. L'art. 49 del d.lgs. n. 546/1992 prevede, difatti, che alle impugnazioni delle sentenze tributarie debbano applicarsi tutte le disposizioni contenute nel titolo III («delle impugnazioni»), capo I («delle impugnazioni in generale», del libro II («del processo di cognizione») del codice di procedura civile (che comprende gli articoli da 323 a 338) e fatto salvo quanto disposto dallo stesso decreto legislativo che disciplina il processo tributario, il quale, all'art. 1 rinvia, per tutto quanto non espressamente previsto dal decreto sul contenzioso, alle disposizioni che regolano il processo civile. Ne deriva la piena operatività nel contenzioso tributario dell'art. 310, comma 2, c.p.c., che, nel disciplinare in linea generale gli effetti dell'estinzione nel processo ordinario di cognizione, stabilisce che «l'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo», e dell'art. 338 c.p.c., che statuisce che «l'estinzione del procedimento di appello (...) fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto» (Russo, 504; Gorgoni- Gorgoni, 385). L'estinzione può assumere indirettamente rilievo in altri processi, ai fini, ad esempio, della litispendenza. Le spese restano a carico della parte che le ha anticipate, conformemente a quanto previsto anche dall'art. 310, ultimo comma, c.p.c., salvo il caso in cui sui presupposti dell'estinzione sia sorta una controversia, dovendo allora essere ripartite in base all'ordinario criterio della soccombenza. Ad avviso di Canè, 1302, in caso di estinzione del giudizio, la riscossione dovrebbe avvenire nel termine di prescrizione decorrente dal momento in cui l'avviso è divenuto definitivo: «se è definitivo anche l'avviso che si consolida dopo l'estinzione del giudizio, deve concludersi che il termine prescrizionale decorre dalla notifica dell'avviso (il potere di impugnazione si è estinto e la definitività risale sino al momento di efficacia dell'atto)». In tema di contenzioso tributario, l'estinzione del giudizio comporta la definitività dell'avviso di accertamento impugnato, giacchè quest'ultimo non è un atto processuale, ma l'oggetto dell'impugnazione (Cass. VI, n. 5044/2012). L'estinzione del processo tributario, comportando la definitività dell'avviso di accertamento che ne costituiva l'oggetto, rende inammissibile per difetto d'interesse l'impugnazione proposta dall'Amministrazione finanziaria avverso la sentenza dichiarativa dell'estinzione (Cass. V, n. 3040/2008; v. anche Cass. VI, n. 21143/2015, secondo cui l'estinzione del processo tributario all'esito della cassazione con rinvio della sentenza di merito e dell'omessa riassunzione del giudizio, comportando la definitività dell'avviso di accertamento che ne costituisce l'oggetto, rende inammissibile per difetto d'interesse l'impugnazione proposta dall'Amministrazione finanziaria avverso la sentenza dichiarativa dell'estinzione). Tuttavia, se , l'estinzione per inattività delle parti è, intervenuta in appello, in un giudizio già definito in primo grado con decisione favorevole al contribuente di annullamento dell'avviso di accertamento, si determina la cristallizzazione della situazione giuridica sostanziale come definita dalla sentenza di merito impugnata, che passa in giudicato, essendo applicabile, in virtù del rinvio di cui all'art. 49 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l'art. 338 c.p.c., compatibile con la disciplina speciale del contenzioso tributario, senza che possa rimanere in vita il provvedimento impositivo impugnato, ormai travolto dal titolo giudiziale che ne ha annullato gli effetti (Cass. V, n. 13808/2014; così anche Cass. VI, n. 22368/2015 e Cass. V, n. 23487/2016, secondo cui nel processo tributario, l'estinzione per inattività delle parti, intervenuta in appello, in un giudizio già definito in primo grado con decisione favorevole al contribuente di annullamento dell'atto impugnato, determina la cristallizzazione della situazione giuridica sostanziale come definita dalla sentenza di merito impugnata, che passa in giudicato, per cui non può rivivere il provvedimento impositivo, essendo applicabile l'art. 310 c.p.c., in virtù del rinvio di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, attesa la compatibilità con il contenzioso tributario della regola secondo cui l'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito già pronunciate). Nel giudizio tributario, a norma dell'art. 392 c.p.c., alla riassunzione della causa avanti al giudice di rinvio può provvedere disgiuntamente ciascuna delle parti, configurandosi essa non come atto di impugnazione, ma come attività di impulso processuale, che coinvolge gli stessi soggetti che sono stati parte nel giudizio di legittimità; ne consegue che, ove nessuna delle parti si sia attivata per la riassunzione, il processo si estingue, determinando, con riguardo al giudizio tributario, la definitività dell'avviso di accertamento, che ne costituiva l'oggetto (Cass. V, n. 23049/2015 e Cass.V, n. 16689/2013). In definitiva, l'estinzione del processo all'esito della cassazione con rinvio della sentenza di merito e dell'omessa riassunzione del giudizio è rilevata anche d'ufficio ex artt. 45, comma 3, e 63 del d.lgs. n. 546 del 1992, e si estende non soltanto al grado in cui viene pronunziata, ma all'intero giudizio, con il conseguente effetto di consolidamento dell'atto impositivo (Cass. VI, n. 23922/2016), rendendo vana l'efficacia del principio di diritto stabilito in sede di legittimità (Cass. V, n. 16002/2023). Cass. V, n. 32276/2018 , pur affermando che, nel processo tributario, l'omessa o tardiva riassunzione, nel termine di legge, del giudizio a seguito di rinvio dalla Corte di cassazione, ne determina l'estinzione che, differentemente da quanto avviene nel giudizio ordinario, è rilevabile anche d'ufficio ex artt. 45, comma 3, e 63 del d.lgs. n. 546 del 1992, e comporta il venir meno dell'intero procedimento, con conseguente definitività dell'avviso di accertamento, ha, tuttavia, escluso il verificarsi dell'estinzione in ragione della costituzione sanante della controparte. Tuttavia, l'atto impugnato, che, di regola, diviene definitivo in caso di estinzione del giudizio non essendo un atto processuale ma l'oggetto dell'impugnazione, non si sottrae all'effetto del giudicato parziale formatosi tra le parti, a cui l'ufficio impositore deve adeguare la propria posizione sostanziale, anche nell'ipotesi di estinzione per omessa riassunzione del giudizio di rinvio, poiché non può porre in riscossione il tributo sulla base dell'atto impositivo impugnato «come se» quest'ultimo non fosse stato ritenuto, per taluni aspetti, illegittimo con sentenza passata in giudicato (Cass. V, n. 16956/2016). Nel giudizio tributario, l'omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio determina l'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 63, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, e la definitività dell'avviso di accertamento impugnato, sicché il termine di prescrizione della pretesa tributaria, necessariamente incorporata nell'atto impositivo, decorre dalla data di scadenza del termine utile per la non attuata riassunzione, momento dal quale l'Amministrazione finanziaria può attivare la procedura di riscossione (Cass. V, n. 556/2016). Cass. V, n. 23502/2016, ha, inoltre, precisato che, in caso di estinzione del processo tributario dovuta ad omessa riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio, non trova applicazione la regola generale dettata dall'art. 2945, comma 3, c.c., ai sensi del quale se il processo si estingue, rimane fermo l'effetto interruttivo ed il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell'atto interruttivo, e che il termine di prescrizione della pretesa fiscale decorre dalla data di scadenza del termine utile per la (non attuata) riassunzione, giacché solo da tale momento l'atto impositivo diviene definitivo, mentre, ove venisse meno l'effetto sospensivo previsto dall'art. 2945, comma 2, c.c., la prescrizione maturerebbe anteriormente a tale definitività in favore dell'unica parte processuale (il contribuente) interessata alla riassunzione, proprio al fine di evitare che l'atto impugnato diventi definitivo. Nello stesso senso si è pronunciata Cass. V, n. 25014 del 2021, secondo cui, iIn caso di estinzione del processo tributario dovuta all'omessa riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio, la regola generale dell'art. 2945, comma 3, c.c., non trova applicazione e il termine di prescrizione della pretesa fiscale decorre dalla data di scadenza del termine utile per la (non attuata) riassunzione. Le ragioni della mancata applicazione della predetta regola generale sono le seguenti: a) la natura impugnatoria del processo tributario e la natura amministrativa, e non processuale, dell'atto impositivo, con la conseguente definitività di questo per effetto dell'estinzione del giudizio di impugnazione di esso proposto dal contribuente; b) l'irrazionalità della soluzione opposta, atteso che essa farebbe decorrere la prescrizione a carico dell'amministrazione finanziaria da una data (l'introduzione del giudizio) antecedente alla definitività dell'atto impositivo, con la paradossale conseguenza che il titolo dell'imposizione potrebbe risultare ineseguibile (perché estinto per prescrizione) ancor prima di essere divenuto definitivo; c) l'insussistenza, nel processo tributario, della "ratio" dell'art. 2945, comma 3, c.c., atteso che, data la natura impugnatoria di tale processo, e per la definitività che assume l'atto impositivo per effetto dell'estinzione nel caso di mancata riassunzione, è il solo contribuente ad avere interesse alla riassunzione, con la conseguenza che, qualora si applicasse la regola generale dell'art. 2945, comma 3, c.c., l'eliminazione dell'effetto sospensivo della prescrizione in pendenza del processo tributario, che poi si estingua per la mancata riassunzione, opererebbe a favore della parte processuale (il contribuente) che, mostrando disinteresse per la coltivazione del giudizio, ha consentito che l'atto impugnato divenisse definitivo. In tale pronuncia si è anche precisato che non si ricavano argomenti in senso contrario a tale soluzione dal regime della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, a norma dell'art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto, se prevista (sentenze intermedie favorevoli all'amministrazione finanziaria), essa non realizza in via definitiva la pretesa tributaria, ma opera sul piano meramente anticipatorio e interinale degli effetti di un accertamento giudiziale ancora "in itinere"; se non prevista (sentenza intermedie favorevoli al contribuente), sussiste un impedimento di diritto alla realizzazione della pretesa tributaria, con il conseguente mancato decorso, per regola generale, del termine prescrizionale. Come rilevato da Cass. VI, n. 27265/2016 e Cass. V, n. 4574/2015, in tema di riscossione delle imposte e delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, non si applica il termine di prescrizione di dieci anni di cui all'art. 2953 c.c. ove la definitività dell'accertamento derivi non da una sentenza passata in giudicato, ma dalla dichiarazione di estinzione del processo tributario per inattività delle parti. Al contrario, il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta actio iudicati, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del d.lgs. n. 472/1997, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario (Cass. S.U., n. 25790/2009). La stessa regola è stata ribadita, relativamente alla riscossione delle imposte, dalle più recenti Cass.V, n. 9076/2017, secondo cui il diritto alla riscossione di un'imposta, azionato mediante emissione di cartella di pagamento e fondato su un accertamento divenuto definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 (nel testo vigente ratione temporis), bensì al termine di prescrizione decennale previsto dall'art. 2953 c.c. per l'actio iudicati, e Cass. V, n. 16730/2016, secondo cui n caso di notifica di cartella esattoriale fondata su una sentenza passata in giudicato relativa ad un atto impositivo, non sono applicabili i termini di decadenza e/o prescrizione che scandiscono i tempi dell'azione amministrativa/tributaria, ma soltanto il termine di prescrizione generale previsto dall'art. 2953 c.c., perché il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l'atto e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità, derivandone l'inapplicabilità del termine di decadenza di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, che concerne la messa in esecuzione dell'atto amministrativo e presidia l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici e l'interesse del contribuente alla predeterminazione del tempo di soggezione all'iniziativa unilaterale dell'ufficio. Nel giudizio tributario, l'omessa riassunzione, nel termine di legge, del processo, a seguito di rinvio dalla Corte di cassazione, ne determina l'estinzione, che, ai sensi degli artt. 393 c.p.c. e 63, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, con il venir meno dell'intero procedimento, comporta la definitività dell'avviso di accertamento, sicché il termine a quo per l'emissione degli avvisi di liquidazione inizia a decorrere una volta inutilmente consumato il termine utile per la riassunzione (Cass.VI, n. 9521/2017). 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