Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 46 - Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere 1 2 .1. Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere. 2. La cessazione della materia del contendere è dichiarata [, salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge,] con decreto del presidente o con sentenza della commissione. Il provvedimento presidenziale è reclamabile a norma dell'art. 28 3. 3. Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate 4. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 95 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Comma modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera q), numero 1), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [4] La Corte Costituzionale, con sentenza 12 luglio 2005, n. 274, ( in Gazz. Uff. 20 luglio, n. 29). ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente comma, nella parte in cui si riferisce alle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge. Successivamente il presente comma è stato sostituito dall'articolo 9, comma 1, lettera q), numero 2), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. InquadramentoL'estinzione del giudizio si verifica anche in caso di cessazione della materia del contendere, che nel processo tributario, a differenza che in quello civile, è prevista quale autonoma causa di arresto dell'iter processuale, o nei casi di definizione delle pendenze tributarie contemplati dalla legge. La cessazione della materia del contendere corrisponde al venir meno della ragione della lite, sicché la conseguente estinzione del giudizio non è che il riflesso del mutamento della situazione sostanziale ed, ad avviso di una parte della dottrina, a differenza delle altre ipotesi, è preclusiva di nuovi giudizi sullo stesso oggetto, anche qualora non sia maturata alcuna decadenza, comportando il giudicato sulla situazione di merito. Va, tuttavia, rammentato che, secondo altra impostazione, la cessazione della materia del contendere ha una valenza meramente processuale, traducendosi in una pronuncia di rigetto per sopravvenuta carenza di interesse (per una sintesi delle opinioni sull'argomento v. Marcheselli, 582). Nel processo tributario, la cessazione della materia del contendere si differenzia dalla sopravvenuta carenza di interesse in quanto solo nel primo caso viene meno l'atto lesivo dell'interesse materiale oggetto della tutela giurisdizionale tributaria, mentre nel secondo, pur permanendo l'atto impugnato, cessa l'interesse meramente processuale al suo annullamento (così Cass. 5, n. 5098/2022). La dichiarazione della cessazione della materia del contendere, nel processo tributario, presuppone che sia venuta meno ogni questione controversa tra il contribuente e l'erario, e quindi non può essere pronunciata allorché il contribuente abbia aderito ad un condono che riguardi le sole sanzioni previste per il tardivo od omesso pagamento, né quando il contribuente abbia presentato una dichiarazione integrativa nella quale sia esposto un debito d'imposta comunque inferiore alla pretesa erariale (nella fattispecie, in cui in pendenza del giudizio di impugnazione di un avviso di accertamento il contribuente aveva dapprima presentato la dichiarazione integrativa prevista dall'art. 14 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella l. 7 agosto 1982 n. 516, e aderito al condono previsto dall'art. 25, comma 3, d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, ed il giudice tributario aveva ritenuto di dovere conseguentemente dichiarare cessata la materia del contendere, Cass. V, n. 13588/2007 ha cassato tale decisione in applicazione del principio enunciato). Come precisato da Cass. VI, n. 5188/2015 nel processo tributario, come in quello civile, la cessazione della materia del contendere presuppone, da un lato, che nel corso del giudizio siano sopravvenuti fatti tali da eliminare le ragioni di contrasto e l'interesse alla richiesta pronuncia di merito e, dall'altro, che le parti formulino conclusioni conformi, sicché l'allegazione di un fatto sopravvenuto, assunto da una sola parte come idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere, comporta la necessità della valutazione del giudice, a cui spetterà l'eventuale dichiarazione dell'avvenuto soddisfacimento del diritto azionato ovvero la pronuncia sul merito dell'azione (v. anche la più recente Cass. V, n. 5351/2020, secondo cui nel processo tributario, la pronuncia di cessazione della materia del contendere ex art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992 presuppone la cessazione della posizione di contrasto tra le parti in ragione del sopravvenire, nel corso del giudizio, di fatti sostanziali - quali l'annullamento dell'atto oggetto di impugnazione - incidenti sul "petitum" e sulla "causa petendi" della lite contestata e idonei perciò far venir meno l'interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia, con la conseguenza che non può desumersi dall'avvenuta definizione, in altro processo e con forza di giudicato, di una pretesa impositiva il venir meno del contrasto tra le parti in ordine ad un diverso atto impositivo che consegua da distinti presupposti). In definitiva, i presupposti della cessazione della materia del contendere nel contenzioso tributario non divergono da quelli individuati dalla giurisprudenza civile (tra le tante, Cass. III, n. 23289/2007, secondo cui la cessazione della materia del contendere si verifica solo quando nel corso del processo sopravvenga una situazione che elimini una posizione di contrasto tra le parti, producendo la caducazione dell'interesse delle stesse ad agire e a contraddire e, quindi, facendo venir meno la necessità della pronunzia del giudice). Tale situazione non ricorre nell'ipotesi di esecuzione anche spontanea, di un provvedimento del giudice che non abbia definito il giudizio, qualora a tale comportamento non si accompagni il riconoscimento espresso o implicito della fondatezza della domanda ovvero la rinunzia alla prosecuzione del giudizio; né, peraltro, può ritenersi cessata la materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse delle parti se non quando i contendenti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi; (Cass. VI - 5, n. 26733/2018, secondo cui è affetta da vizio di ultrapetizione la decisione che dichiari l'estinzione del giudizio per una "causa petendi" diversa da quella indicata dalle parti – vizio ravvisato, nel caso di specie, in quanto la pronuncia impugnata aveva dichiarato cessata la materia del contendere, a fronte di un'istanza del contribuente di "rinuncia al proseguimento del contenzioso" non subordinata a quella dell'Amministrazione finanziaria al recupero del proprio credito nella misura dei due terzi conseguente al rigetto del ricorso di primo grado). Secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, la cessazione della materia del contendere va inquadrata tra le pronunce di rito e non di merito (così di recente Cass. I, n. 8448/2012, quando nel corso del giudizio la pretesa in esso dedotta venga spontaneamente soddisfatta dall'obbligato e su tale circostanza non vi sia controversia fra le parti, per il giudice investito della domanda, sia esso ordinario o speciale, viene meno il dovere di pronunziare sul merito della stessa, essendo cessato per le parti l'interesse a tale pronunzia, e sorge quello di chiudere il giudizio con una pronunzia di rito che accerti la cessazione della materia del contendere, dichiarando pertanto il ricorso inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse; già in precedenza Cass. S.U., n. 6226/1997, secondo cui quando nel corso del giudizio la pretesa in esso dedotta viene spontaneamente soddisfatta dall'obbligato e su tale circostanza non vi è controversia fra le parti, per il giudice investito della domanda, sia esso ordinario o speciale, viene meno il dovere di pronunziare sul merito della stessa, essendo cessato per le parti l'interesse a tale pronunzia, e sorge quello di chiudere il giudizio con una pronunzia di rito quale quella dichiarativa della cessazione della materia del contendere, per cui contro tale pronunzia la parte può dolersi in sede di impugnazione solo contestando l'esistenza del presupposto per emetterla, risultandole invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura, ivi compreso quello attinente al difetto di giurisdizione del giudice adito a conoscere della pretesa originariamente versata in causa). Al contrario, quando l'atto impugnato venga meno non per una unilaterale determinazione dell'ufficio, ma per l'adozione di un atto conforme alla pretesa avanzata dal contribuente, la sentenza di cessazione della materia del contendere fa stato in merito alla definitiva realizzazione dell'interesse di quest'ultimo e, una volta passata in giudicato, impedisce all'erario di annullare, in via di autotutela, il provvedimento che aveva determinato la cessazione della "res litigiosa" (Cass. 5, n. 5098/2022). Le ipotesi di cessazione della materia del contendereL'indisponibilità dell'obbligazione tributaria non osta al riconoscimento, da parte dell'Amministrazione finanziaria, dell'illegittimità — totale o parziale — del provvedimento emesso ed alla sua revoca o sostituzione, in esercizio del potere di autotutela, che integra la principale causa della cessazione della materia del contendere (Gaffuri, 638). In dottrina ci si è, però, chiesti se si determini la cessazione della materia del contendere anche qualora il provvedimento con cui si sostituisce quello impugnato non risponda integralmente alle aspettative del contribuente. La soluzione positiva, sostenuta da Basilavecchia, I, 172, finisce, tuttavia, con lo svalutare il carattere di impugnazione – merito del giudizio tributario, che tende ad accertare non solo la legittimità dell'atto impugnato, ma anche l'esistenza e l'entità dell'obbligazione tributaria. Vi sono, inoltre, alcuni comportamenti delle parti incompatibili con la coltivazione della lite, che producono, pertanto, la cessazione della materia del contendere anche in assenza di formali dichiarazioni, come, ad esempio, il rimborso d'imposta, da parte dell'Amministrazione finanziaria, nonostante l'originario diniego oggetto d'impugnazione: v. Gaffuri, 642). È, peraltro possibile porre fine alla controversia tramite l'accordo conciliativo, di cui all'art. 48 del d.lgs. n. 546/1992 (al cui commento si rinvia), che, nella formulazione introdotta dal d.lgs. n. 156 del 2015, diretta ad ampliare l'operatività dell'istituto ed a potenziare tale strumento deflattivo, prevede che se in pendenza del giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia; se la data di trattazione è già fissata e sussistono le condizioni di ammissibilità, la commissione (ora Corte di giustizia tributaria) pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere; se l'accordo conciliativo è parziale, la commissione dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa; se la data di trattazione non è fissata, provvede con decreto il presidente della sezione; la conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell'accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento; l'accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all'ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente. Occorre ricordare che alla cessazione della materia del contendere sono equiparati una serie di istituti premiali, ognuno dei quali ha differenti presupposti e diverse modalità di funzionamento: ad esempio, l'art. 27 del d.P.R. n. 637/1972 (determinazione del valore venale per adesione: prima che la rettifica di cui all'articolo precedente sia divenuta definitiva il valore venale dei beni e dei diritti di cui agli artt. 20, 21 e 22 d.P.R. n. 637/1972 può essere determinato con l'adesione di tutti gli eredi e legatari mediante redazione di apposito atto scritto, datato e sottoscritto dal titolare dell'ufficio o da un funzionario da lui delegato e dai contribuenti o da chi li rappresenta, nel quale devono essere indicati, a pena di nullità, il valore dichiarato, quello accertato e quello determinato con l'atto stesso; quando l'imponibile è stato definito con la adesione del contribuente, questi non può ricorrere contro la rettifica; se il ricorso è stato già proposto il giudizio si estingue); gli artt. 16,26,31 del d.l. n. 429 del 1982, conv. in l. n. 516 del 1982 (art. 16: per i periodi d'imposta relativamente ai quali anteriormente alla data di presentazione della dichiarazione integrativa è stato notificato accertamento in rettifica o d'ufficio, la controversia si estingue se la dichiarazione integrativa reca un imponibile non inferiore alla somma del sessanta per cento dell'imponibile accertato dall'ufficio e del quindici per cento dell'imponibile dichiarato dal contribuente; se nella dichiarazione originaria, ancorché tardiva oltre il mese, non sono stati indicati redditi imponibili relativamente ad una o più imposte cui la dichiarazione si riferiva, la controversia si estingue se la dichiarazione integrativa reca imponibili non inferiori al 60 per cento di quello accertato dall'ufficio relativamente alle medesime imposte; se ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche i soggetti, nei cui confronti rilevano le perdite ai sensi degli artt. 17 e 24 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, nella dichiarazione originaria hanno esposto una perdita, la controversia si estingue se nella dichiarazione integrativa è indicata una variazione della perdita dichiarata per un importo pari al 60 per cento dell'ammontare complessivo della riduzione della perdita accertata e dell'eventuale imponibile accertato; art. 26: per i periodi di imposta relativamente ai quali, anteriormente alla data di presentazione della dichiarazione integrativa, è stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, la controversia si estingue se l'imposta risultante dalla dichiarazione integrativa non sia inferiore ad un ammontare costituito dal 60 per cento della maggiore imposta accertata dall'ufficio, diminuito del 25 per cento dell'imposta dovuta in base alla originaria dichiarazione, e, in ogni caso, al 20 per cento della maggiore imposta accertata; nei casi di omessa dichiarazione la controversia si estingue se l'imposta risultante dalla dichiarazione non è inferiore al 70 per cento dell'imposta accertata dall'ufficio; qualora la dichiarazione integrativa di cui al precedente comma non comporti la estinzione della controversia, questa prosegue limitatamente alla differenza fra l'imposta accertata e quella risultante dalla dichiarazione integrativa); l'art. 5, comma 4, d.l. n. 90 del 1990, conv. in l. n. 165 del 1990 (le controversie indicate nel comma 2 pendenti dinanzi alle commissioni tributarie, il cui importo complessivo non risulti superiore a lire dieci milioni, possono essere definite fino a quando non sia intervenuta la decisione della commissione tributaria di secondo grado con il pagamento di una somma pari al 90 per cento dei tributi ancora controversi e delle residue somme per soprattasse e per sanzioni pecuniarie; dell'avvenuto pagamento viene data comunicazione al presidente della commissione, che, con propria ordinanza, dichiara cessata la materia del contendere), l'art. 15 della l. n. 408 del 1990 (i processi concernenti i tributi erariali soppressi con provvedimenti emanati in attuazione della delega legislativa prevista dalla l. 9 ottobre 1971, n. 825, pendenti dinanzi alle commissioni tributarie e all'Amministrazione finanziaria alla data di entrata in vigore della presente legge, si estinguono e la controversia si intende definita sulla base dell'ultima decisione di merito ovvero, in mancanza, dell'accertamento dell'ufficio tributario, con riduzione del 10 per cento del tributo, risultante dovuto e senza applicazione di sanzioni ed interessi; non si fa luogo a rimborso di somme già pagate e il tributo risultante dovuto non può essere inferiore a quello corrispondente ai valori dichiarati; l'estinzione del processo, dichiarata con ordinanza del presidente della Commissione tributaria o della sezione, per i ricorsi già assegnati, è comunicata alle parti a cura della segreteria e diviene definitiva, ove entro il termine di sessanta giorni, non venga richiesta da una delle parti la riassunzione del giudizio con formale istanza notificata alla controparte; l'istanza dell'ufficio tributario deve recare, a pena di inammissibilità, il visto dell'ispettorato compartimentale, competente; per le controversie pendenti dinanzi all'Amministrazione finanziaria, l'estinzione è dichiarata dall'intendente di finanza), l'art. 34 della l. n. 413 del 1991 (art. 34, comma 1, per i periodi di imposta relativamente ai quali anteriormente al 1 ottobre 1991, è stato notificato accertamento in rettifica o d'ufficio diverso dall'accertamento parziale di cui all'art. 41-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, la controversia si estingue se la dichiarazione stessa reca un imponibile non inferiore alla somma del 60 per cento dell'imponibile accertato dall'ufficio o enunciato in decreto di citazione a giudizio penale e del 15 per cento dell'imponibile dichiarato dal contribuente e sono versate le relative imposte; se nella dichiarazione originaria, ancorché tardiva oltre il mese, non sono stati indicati redditi imponibili relativamente ad una o più imposte cui la dichiarazione si riferiva, la controversia si estingue se la dichiarazione integrativa reca imponibili non inferiori al 65 per cento di quello accertato dall'ufficio relativamente alle medesime imposte e sono eseguiti i relativi versamenti; se ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche o dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche i soggetti, nei cui confronti rilevano le perdite ai sensi degli articoli 8 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e successive modificazioni, 17 e 24 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, e successive modificazioni, 8 e 102 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, nella dichiarazione originaria hanno esposto una perdita, la controversia si estingue se nella dichiarazione integrativa è indicata una variazione della perdita dichiarata per un importo pari al 60 per cento dell'ammontare complessivo della riduzione della perdita accertata e dell'eventuale imponibile accertato; se alcuni elementi dell'imponibile accertato non sono oggetto di contestazione da parte del contribuente le relative imposte restano dovute per l'intero ammontare dei suddetti elementi e degli stessi non si tiene conto ai fini del presente articolo; art. 34, commi 8, 9, 10, nel caso in cui, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stata depositata la decisione della commissione tributaria di primo grado e penda ancora la controversia, la controversia stessa si estingue se la dichiarazione integrativa reca, rispetto alla dichiarazione originaria, un maggiore imponibile che risulti non inferiore al 20 per cento del maggiore imponibile accertato dall'ufficio e non inferiore all'80 per cento del maggiore imponibile stabilito dalla commissione tributaria; nel caso in cui, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stata depositata decisione di organi giurisdizionali di grado superiore al primo e penda ancora la controversia, la controversia stessa si estingue se la dichiarazione integrativa reca, rispetto alla dichiarazione originaria, un maggior imponibile che risulti non inferiore al 15 per cento del maggiore imponibile accertato dall'ufficio e non inferiore al 90 per cento del maggiore imponibile stabilito dalla commissione di secondo grado o dalla commissione centrale o dalla corte di appello; nelle ipotesi di cui ai commi 8 e 9, qualora la controversia abbia per oggetto riduzione di perdite dichiarate nei confronti dei soggetti cui le stesse rilevano ai sensi degli articoli 8 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e successive modificazioni, 17 e 24 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, e successive modificazioni, 8 e 102 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, la controversia stessa si estingue se nella dichiarazione integrativa è indicata una riduzione della perdita dichiarata: non inferiore al 30 per cento dell'ammontare complessivo della riduzione della perdita accertata e dell'eventuale imponibile accertato e non inferiore all'80 per cento del detto ammontare complessivo riconosciuto con la decisione di primo grado; non inferiore al 15 per cento dell'ammontare complessivo della riduzione della perdita accertata e dell'eventuale imponibile accertato e non inferiore al 90 per cento del detto ammontare complessivo riconosciuto con la decisione della commissione di secondo grado o della commissione centrale o della corte d'appello), le diverse modalità di definizione agevolata previste dalla l. n. 289 del 2002 (in particolare, art. 16, di cui si riportano il comma 1 e 9-bis: le liti fiscali pendenti, ai sensi del comma 3, dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle seguenti somme: a) se il valore della lite è di importo fino a 2.000 euro: 150 euro; b) se il valore della lite è di importo superiore a 2.000 euro: 1) il 10 per cento del valore della lite, in caso di soccombenza dell'amministrazione finanziaria dello Stato nell'ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare resa, sul merito ovvero sull'ammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio, dalla data di presentazione della domanda di definizione della lite; 2) il 50 per cento del valore della lite, in caso di soccombenza del contribuente nell'ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare resa, sul merito ovvero sull'ammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio, alla predetta data; 3) il 30 per cento del valore della lite nel caso in cui, alla medesima data, la lite penda ancora nel primo grado di giudizio e non sia stata già resa alcuna pronuncia giurisdizionale non cautelare sul merito ovvero sull'ammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio; per l'estinzione dei giudizi pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale all'esito della definizione della lite trova applicazione l'art. 27, comma 1, secondo e terzo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636; il Presidente della Commissione o il Presidente della sezione alla quale è stato assegnato il ricorso può delegare un membro della Commissione a dichiarare cessata la materia del contendere, mediante emissione di ordinanze di estinzione; il termine per comunicare la data dell'udienza alle parti e per il reclamo avverso tali ordinanze è di trenta giorni), dall'art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. in l. n. 111 del 2011 (al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l'Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell'art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289; a tale fine, si applicano le disposizioni di cui al citato articolo 16, con le seguenti specificazioni: a) le somme dovute ai sensi del presente comma sono versate entro il 31 marzo 2012 in unica soluzione; b) la domanda di definizione è presentata entro il 31 marzo 2012; c) le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente comma sono sospese fino al 30 giugno 2012; per le stesse sono altresì sospesi, sino al 30 giugno 2012 i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio; d) gli uffici competenti trasmettono alle commissioni tributarie, ai tribunali e alle corti di appello nonché alla Corte di cassazione, entro il 15 luglio 2012, un elenco delle liti pendenti per le quali è stata presentata domanda di definizione; tali liti sono sospese fino al 30 settembre 2012; la comunicazione degli uffici attestante la regolarità della domanda di definizione ed il pagamento integrale di quanto dovuto deve essere depositata entro il 30 settembre 2012; entro la stessa data deve essere comunicato e notificato l'eventuale diniego della definizione; e) restano comunque dovute per intero le somme relative al recupero di aiuti di Stato illegittimi; f) con uno o più provvedimenti del direttore dell'agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di versamento, di presentazione della domanda di definizione ed ogni altra disposizione applicativa del presente comma); artt. 5-bis, 6 e 6-ter del d.l. n. 193 del 2016, convertito in l. n. 225 del 2016 (si riporta l'art. 5-bis, comma 1: al fine di agevolare la soluzione del contenzioso pendente in materia di accise e di IVA afferente, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli è autorizzata a definire con transazioni, entro il 30 settembre 2017, le liti fiscali pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, aventi ad oggetto il recupero dell'accisa su prodotti energetici, alcol e bevande alcoliche, alle seguenti condizioni: a) le imposte oggetto del contenzioso devono riferirsi a fatti verificatisi anteriormente al 1 aprile 2010; b) al soggetto passivo d'imposta è data facoltà di estinguere la pretesa tributaria procedendo al pagamento, da effettuare entro sessanta giorni dalla data di stipula della transazione, di un importo almeno pari al 20 per cento dell'accisa e della relativa imposta sul valore aggiunto per cui è causa, senza corresponsione di interessi, indennità di mora e sanzioni; l'art. 6, comma 2: ai fini della definizione di cui al comma 1, il debitore manifesta all'agente della riscossione la sua volontà di avvalersene, rendendo, entro il 31 marzo 2017, apposita dichiarazione, con le modalità e in conformità alla modulistica che lo stesso agente della riscossione pubblica sul proprio sito internet nel termine massimo di quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; in tale dichiarazione il debitore indica altresì il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento, entro il limite massimo previsto dal comma 1, nonché la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione, e assume l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi; entro la stessa data del 31 marzo 2017 il debitore può integrare, con le predette modalità, la dichiarazione presentata anteriormente a tale data; l'art. 6-ter, commi 1 e 2: con riferimento alle entrate, anche tributarie, delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni, non riscosse a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al r.d. 14 aprile 1910, n. 639, notificati, negli anni dal 2000 al 2016, dagli enti stessi e dai concessionari della riscossione di cui all'art. 53 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, i medesimi enti territoriali possono stabilire, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con le forme previste dalla legislazione vigente per l'adozione dei propri atti destinati a disciplinare le entrate stesse, l'esclusione delle sanzioni relative alle predette entrate. Gli enti territoriali, entro trenta giorni, danno notizia dell'adozione dell'atto di cui al primo periodo mediante pubblicazione nel proprio sito internet istituzionale; con il provvedimento di cui al comma 1 gli enti territoriali stabiliscono anche: a)il numero di rate e la relativa scadenza, che non può superare il 30 settembre 2018; b) le modalità con cui il debitore manifesta la sua volontà di avvalersi della definizione agevolata; c) i termini per la presentazione dell'istanza in cui il debitore indica il numero di rate con il quale intende effettuare il pagamento, nonché la pendenza di giudizi aventi a oggetto i debiti cui si riferisce l'istanza stessa, assumendo l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi; d) il termine entro il quale l'ente territoriale o il concessionario della riscossione trasmette ai debitori la comunicazione nella quale sono indicati l'ammontare complessivo delle somme dovute per la definizione agevolata, quello delle singole rate e la scadenza delle stesse). L'estinzione avviene, tuttavia, solo qualora la definizione abbia validamente operato, spesso richiedendosi l'integrale e tempestivo pagamento dell'importo fissato, e sempre che sia conforme al diritto comunitario. In materia di accertamento, ancorché il credito d'imposta, quale espressione del precetto fiscale, non sia nella sua essenza negoziabile, in considerazione del principio di legalità che permea la materia tributaria, ciò non esclude che, nell'esercizio dei suoi poteri di autotutela, l'Amministrazione possa procedere, eventualmente in contraddittorio con il contribuente, ad una rivalutazione qualitativa e quantitativa degli elementi posti, in concreto, a fondamento dell'atto di accertamento, che di quel credito rappresenta la pretesa in proiezione processuale, pervenendo ad una definizione più coerente ai dati oggettivi e tale da evitare un'inutile e defatigante prosecuzione del contenzioso; infatti, il principio dell'indisponibilità dell'imposizione tributaria non osta a che l'Amministrazione finanziaria riconosca l'illegittimità totale o parziale dell'atto impositivo, e lo ritiri in via di autotutela, determinando così la cessazione della materia del contendere e l'estinzione del processo pendente, o comunque, disponga della lite, decidendo di resistere o non ad un ricorso, di impugnare o no una pronuncia sfavorevole, di coltivare un gravame o rinunciarvi (Cass. V, n. 18054/2008). Del resto, nel processo tributario le parti conservano la disponibilità dei diritti in contestazione, con la conseguenza che, qualora l'Amministrazione si avveda che è corretta e da accogliere una contestazione mossa dal contribuente, non per questo essa deve rinnovare l'intero procedimento amministrativo, spesso ormai precluso dai termini di decadenza, ma ha il potere - dovere di semplicemente ridurre la domanda rinunciando ad una parte di essa (Cass. V n. 29732/2020). In tema di contenzioso tributario, la semplice dichiarazione di desistenza dalla controversia, presentata dall'Amministrazione finanziaria nell'ambito del giudizio avente ad oggetto l'impugnazione del silenzio rifiuto avverso una richiesta di rimborso, non ha come effetto quello di sostituirsi ad una pronuncia di condanna al richiesto rimborso, non potendo valere come una sorta di virtuale atto di autotutela dell'Amministrazione medesima, in quanto, per rimuovere gli effetti di un silenzio-rifiuto, occorre un provvedimento espresso di riconoscimento dell'obbligazione tributaria o l'adempimento della stessa. (In applicazione del principio, Cass. V, n. 10431/2011 ha ritenuto che correttamente il giudice del rinvio, a seguito di annullamento, da parte della Cassazione, della sentenza di secondo grado, non aveva dichiarato cessata la materia del contendere, in presenza di una dichiarazione di desistenza dell'Agenzia delle Entrate depositata all'atto di costituzione nel giudizio di appello contro una sentenza che aveva condannato all'integrale rimborso dell'imposta). Tale posizione, poco in linea con una nuova visione del processo tributario, è stata confermata da Cass. 5 n. 15432/2022, che ha ribadito che la rimozione da parte dell'Amministrazione, nell'esercizio del proprio potere di autotutela, dell'avviso di accertamento impugnato determina il venir meno di ogni interesse del contribuente all'accertamento dell'infondatezza della pretesa fiscale impugnata, con conseguente cessazione della materia del contendere. In tale sentenza si è, inoltre, precisato che la cessazione della materia del contendere, conseguente alla rimozione dell'atto impugnato, in sede di autotutela, da parte dell'Amministrazione finanziaria, può essere dichiarata in primo grado anche con decreto presidenziale reso "inaudita altera parte", atteso che tale provvedimento è comunque reclamabile ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 546 del 1992, garantendo, quindi, il diritto di difesa alla parte che ne abbia interesse. La regola processuale, affermata relativamente al giudizio di primo grado, opera anche in quello di appello in virtù del rinvio di cui agli artt. 55 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992. Deve, però, segnalarsi che, proprio in considerazione di una più moderna ricostruzione del processo tributario, non circoscritta all'atto, ma estesa al rapporto, si è sviluppato un orientamento che, a prescindere dall'espressione utilizzata dal giudice tributario, distingue gli effetti della pronuncia della cessazione della materia del contendere, così come avviene nell'ambito del giudizio amministrativo, a seconda che la stessa rispecchi l'effettivo recepimento, nell'atto dell'Ufficio che l'ha determinata, dell'istanza del ricorrente ovvero derivi dalla mera caducazione degli effetti dell'atto annullato. Cass. 5, n. 5098/2022 ha, pertanto, precisato che qualora l'atto impugnato venga meno non per una unilaterale determinazione dell'ufficio, ma per l'adozione di un atto conforme alla pretesa avanzata dal contribuente, la sentenza di cessazione della materia del contendere fa stato in merito alla definitiva realizzazione dell'interesse di quest'ultimo e, una volta passata in giudicato, impedisce all'erario di annullare, in via di autotutela, il provvedimento che aveva determinato la cessazione della "res litigiosa". Per una ipotesi di mera sopravvenienza dell'interesse, senza cessazione della materia del contendere, cfr. Cass. V, n. 1213/2023, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, l'ingiunzione di pagamento sostituisce, provocandone la caducazione in via definitiva, la fattura commerciale con cui il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani ha richiesto il pagamento della T.I.A.; ciò determina la sopravvenuta carenza di interesse delle parti alla decisione del giudizio riguardante il rapporto documentato dalla fattura, sulla cui base non possono più essere avanzate pretese tributarie di alcun genere (per una ipotesi di mera sopravvenienza dell'interesse, senza cessazione della materia del contendere. Nel processo tributario relativo all'impugnazione di avviso di accertamento per l'imposta comunale sulla pubblicità, il riconoscimento successivo da parte del Comune dello sgravio dall'imposta comporta la cessazione della materia del contendere, trattandosi di fatto sopravvenuto che fa venir meno l'interesse alla decisione della controversia (Cass. V, n. 16217/2010). Lo sgravio della cartella di pagamento disposto in provvisoria ottemperanza della sentenza di primo grado favorevole al contribuente — comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione — non produce, di per sé solo, alcun effetto sull'avviso di liquidazione, nel caso in cui tale atto prodromico non sia stato annullato in autotutela. (In applicazione di tale principio Cass. V, n. 24064/2012 ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato cessata la materia del contendere in conseguenza del provvedimento di sgravio totale dell'iscrizione a ruolo disposto dall'Agenzia delle entrate in pendenza del giudizio d'appello). Nello stesso senso, anche ad avviso di Cass. V, n. 21590/2015, lo sgravio della cartella di pagamento disposto in provvisoria ottemperanza della sentenza di primo grado favorevole al contribuente e la mancata impugnazione della sentenza che abbia conseguentemente dichiarato la cessazione della materia del contendere, in quanto di regola funzionali solo ad evitare un aggravamento delle spese processuali nel giudizio sul ruolo, non comportano, di per sé, alcun effetto di acquiescenza o, rispettivamente, di giudicato esterno nel giudizio che ha per oggetto l'impugnazione dell'atto presupposto, ed, ad avviso di Cass. V, n. 6334/2016, lo sgravio della cartella di pagamento, ancorché riferita a somme direttamente iscritte a ruolo dall'ufficio all'esito del controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, disposto in provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado favorevole al contribuente prima della presentazione dell'appello, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva quindi dell'impugnazione, trattandosi di comportamento che può essere fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione, senza che assuma rilievo l'esistenza o meno di atti prodromici all'atto impugnato. Oggetto del processo tributario, atteso il meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio che lo caratterizza, non è l'accertamento dell'obbligazione tributaria, da condursi attraverso una diretta ricognizione della disciplina applicabile e dei fatti rilevanti sulla base di essa, a prescindere da quanto risulti nell'atto impugnato, bensì l'accertamento della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l'atto impugnato e alla stregua dei presupposti di fatto e in diritto in tale atto indicati, con la conseguenza che, ove risulti accertato che l'Amministrazione, avvedutasi di un errore, abbia emesso un nuovo atto in sostituzione di quello errato (così implicitamente annullando quest'ultimo), deve ritenersi che il processo concernente l'impugnazione dell'atto sostituito non debba proseguire per sopravvenuta carenza di interesse ad ottenere una pronuncia sull'impugnazione di un atto già annullato in sede di autotutela (Cass. V, n. 17119/2007). Tale posizione, poco in linea con una nuova visione del processo tributario, è stata confermata da Cass. 5 n. 15432/2022, che ha ribadito che la rimozione da parte dell'Amministrazione, nell'esercizio del proprio potere di autotutela, dell'avviso di accertamento impugnato determina il venir meno di ogni interesse del contribuente all'accertamento dell'infondatezza della pretesa fiscale impugnata, con conseguente cessazione della materia del contendere. In tale sentenza si è, inoltre, precisato che la cessazione della materia del contendere, conseguente alla rimozione dell'atto impugnato, in sede di autotutela, da parte dell'Amministrazione finanziaria, può essere dichiarata in primo grado anche con decreto presidenziale reso "inaudita altera parte", atteso che tale provvedimento è comunque reclamabile ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 546 del 1992, garantendo, quindi, il diritto di difesa alla parte che ne abbia interesse. La regola processuale, affermata relativamente al giudizio di primo grado, opera anche in quello di appello in virtù del rinvio di cui agli artt. 55 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992. Deve, però, segnalarsi che, proprio in considerazione di una più moderna ricostruzione del processo tributario, non circoscritta all'atto, ma estesa al rapporto, si è sviluppato un orientamento che, a prescindere dall'espressione utilizzata dal giudice tributario, distingue gli effetti della pronuncia della cessazione della materia del contendere, così come avviene nell'ambito del giudizio amministrativo, a seconda che la stessa rispecchi l'effettivo recepimento, nell'atto dell'Ufficio che l'ha determinata, dell'istanza del ricorrente ovvero derivi dalla mera caducazione degli effetti dell'atto annullato. Cass. 5, n. 5098/2022 ha, pertanto, precisato che qualora l'atto impugnato venga meno non per una unilaterale determinazione dell'ufficio, ma per l'adozione di un atto conforme alla pretesa avanzata dal contribuente, la sentenza di cessazione della materia del contendere fa stato in merito alla definitiva realizzazione dell'interesse di quest'ultimo e, una volta passata in giudicato, impedisce all'erario di annullare, in via di autotutela, il provvedimento che aveva determinato la cessazione della "res litigiosa". In considerazione del collegamento all'istituto della cessazione della materia del contendere di una serie di istituti premiali, a cui si è già accennato, occorre rammentare che la Suprema Corte si è occupata spesso delle ipotesi di mancato perfezionamento della definizione agevolata avviata e delle relative conseguenze processuali — diverse in considerazione dello specifico istituto e delle sue modalità di funzionamento. Ad esempio, ad avviso di Cass. VI, n. 3301/2014 e Cass. V, n. 27223/2006, in tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti prevista dalla l. 30 dicembre 1991, n. 413, l'irrevocabilità della dichiarazione integrativa, ai sensi dell'art. 57 della predetta legge, va intesa esclusivamente nel senso che essa non è modificabile da parte dell'Ufficio né contestabile da parte del contribuente, e non anche nel senso che essa comporti la novazione del rapporto tributario originario, il quale invece permane, impedendo l'estinzione del relativo giudizio (ove il rapporto sia già sub iudice) finché il debito d'imposta non sia saldato: pertanto, qualora il pagamento della somma dovuta in base alla dichiarazione integrativa non sia stato effettuato neppure a seguito dell'iscrizione a ruolo disposta ai sensi dell'art. 39, comma 4, della medesima legge, e comunque prima dell'azione esecutiva, come previsto dall'art. 18 della l. 8 maggio 1998, n. 146, la definizione della pendenza tributaria rimane priva di effetto, e l'Amministrazione può esercitare l'azione di accertamento in riferimento a tutti i periodi che formano oggetto del condono, venendo in tal modo a risorgere il relativo contenzioso, di cui sia stata disposta la sospensione. Secondo Cass. V, n. 11548/2002, e Cass. V, n. 12333/2006, la facoltà di ottenere la chiusura delle liti fiscali pendenti al 31 dicembre 1994 davanti alle commissioni tributarie, conferita ai contribuenti dall'art. 2-quinquies del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, aggiunto dalla l. 30 novembre 1994, n. 656, attribuisce all'inoltro della prescritta domanda ed al pagamento di una somma correlata all'importo dell'imposta accertata l'effetto di estinguere i relativi giudizi per intervenuta cessazione della materia del contendere, fermo restando il potere dell'ufficio finanziario di rilevarne successivamente l'insussistenza dei presupposti, richiedendo la revoca dell'ordinanza emessa dal giudice; la dichiarazione giudiziale di estinzione non è, fra l'altro, subordinata alla riscossione delle somme il cui pagamento è previsto — nella specie, in tema di accertamento dell'IVA dall'art. 60 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 — in ipotesi di pendenza di giudizio, le quali, a norma del comma 6 dell'art. 2-quinquies del d.l., ed in deroga all'art. 310, comma 2, c.p.c., «restano comunque dovute» e sono riscosse autonomamente a titolo definitivo «a seguito della definizione», senza alcun diritto del ricorrente alla restituzione di quanto eventualmente già versato. Recentemente si è affermato che il sopravvenuto perfezionamento dell'accordo conciliativo con il Fisco ha effetto novativo del credito erariale e comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio tributario instaurato avverso la misura del sequestro conservativo di cui all'art. 22 d.lgs. n. 472 del 1997, atteso che si è venuto a formare un titolo nuovo e diverso rispetto a quello tipico sulla cui base era stata richiesta e riconosciuta la misura cautelare, con conseguente perdita di efficacia della medesima (Cass. V, n. 38766/2021). Cass. V, n. 24715/2022 ha, invece, affermato che, in tema di processo tributario, la conciliazione giudiziale, non avendo efficacia novativa, è inidonea, di per sé sola, ad estinguere il rapporto giuridico tributario sostanziale, poiché il momento in cui si perfeziona è quello del versamento completo o, nel caso di rateizzazione dell'adempimento, del versamento della prima rata, accompagnato da idonea garanzia del pagamento del debito residuo; sicché, in assenza del pagamento dell'obbligazione conciliata, non può dichiararsi la cessazione della materia del contendere, ai sensi dell'art. 46, comma 2, n. 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma va disposto il rinvio dell'udienza di trattazione della causa ad una data successiva alla scadenza del termine concesso per l'adempimento, al fine della verifica dei presupposti per la relativa declaratoria. Invero, il vero punto cruciale sembra essere non quello degli effetti (in particolare del riconoscimento o meno dell'effetto novativo rispetto al precedente debito tributario), ma piuttosto quello del momento e delle modalità stesse di perfezionamento dell'accordo conciliativo, che la giurisprudenza di legittimità sposta, in deroga al principio consensualistico, alla successiva condotta di adempimento del contribuente, in base ad una interpretazione che si discosta dalla lettera della legge. In definitiva, la declaratoria della cessazione del contendere non consegue automaticamente alla conciliazione, ma solo alla sua esecuzione. In tema di contenzioso tributario, gli atti dichiarativi delle varie specie di conciliazione di cui all'art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992 non determinano di per sé la cessazione della materia del contendere, che si ha solo con il versamento della somma concordata, sicché, nella conciliazione cosiddetta «breve postfissazione», in cui la proposta è depositata dopo la fissazione dell'udienza e prima della trattazione in camera di consiglio, la commissione tributaria provinciale, nel silenzio della norma, deve rinviare l'udienza di trattazione ad una data successiva alla scadenza del termine per il versamento, decorrente dalla comunicazione dell'ordinanza di rinvio, in applicazione analogica della disciplina dettata per la conciliazione cosiddetta «breve prefissazione», in cui la proposta è depositata prima della fissazione dell'udienza di trattazione, ed, in mancanza di tale rinvio e del versamento, la sentenza dichiarativa dell'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere è appellabile dall'Ufficio, che non può essere costretto all'esecuzione di una conciliazione inesistente, né privato della sua legittima pretesa di far valere l'interesse ad una pronuncia del giudice di merito sul rapporto giuridico controverso (Cass. VI, n. 14547/2015; nello stesso senso Cass. V, n. 14951/2019, secondo cui In tema di processo tributario, la conciliazione giudiziale non ha efficacia novativa del rapporto sostanziale controverso, attesa la diversa estensione degli effetti riconducibili al perfezionamento della conciliazione mediante versamento della prima rata e prestazione di garanzia e fatto sopravvenuto estintivo del giudizio pendente mediante pagamento del complessivo importo rateizzato, giustificandosi la parziale rinuncia della P.A. alla maggiore pretesa contestata soltanto in caso di integrale adempimento dell'obbligazione, sicché la pronuncia di estinzione adottata alla stregua del solo perfezionamento della conciliazione, senza versamento dell'intera somma che ne è oggetto, è affetta da nullità processuale; tuttavia, la sua mancata impugnazione, comportando la formazione del giudicato sulla pretesa tributaria, impedisce l'iscrizione a ruolo delle somme afferenti all'originario credito contestato, essendo consentita soltanto per gli importi indicati nel processo verbale di conciliazione). Parimenti secondo Cass. VI, n. 9019/2015, la conciliazione giudiziale prevista dall'art. 48 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha carattere novativo delle precedenti opposte posizioni soggettive e comporta l'estinzione della pretesa fiscale originaria, unilaterale e contestata, e la sua sostituzione con una certa e concordata, purché la fattispecie conciliativa si sia perfezionata secondo le modalità previste dall'art. 48 cit. Ne consegue che, in caso di conciliazione giudiziale rateale, che si perfeziona solo con il versamento, nel termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell'importo della prima rata concordata, e con la prestazione della garanzia prevista sull'importo delle rate successive, il mancato adempimento degli obblighi indicati impedisce l'estinzione del processo tributario per cessazione della materia del contendere. Cass. V, n. 31079/2022 ha precisato che, nel processo tributario, la transazione fiscale conclusa nell'ambito della procedura di concordato preventivo, ai sensi dell'art. 182-ter, comma 5, l.fall., comporta la cessazione della materia del contendere nei confronti della sola società coinvolta nella definizione concordataria, e non anche della società consolidante, estranea all'effetto di consolidamento del debito tributario. Le modalità e gli effetti dell'estinzioneLa cessazione della materia del contendere è dichiarata dal presidente della sezione con decreto, reclamabile ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 546 del 1992, o dalla commissione con sentenza. Con il d.lgs. n. 156 del 2015 è stato eliminato dal comma 2 della disposizione in esame l'inciso «salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge», in questo modo, da un lato, sancendosi l'uso improprio dell'ordinanza per la declaratoria della cessazione della materia del contendere e, dall'altro lato, attribuendosi centralità alla disciplina ivi contenuta (Marcheselli, 584). Sebbene non sia precisato, si ritiene possibile accertare d'ufficio la cessazione della materia del contendere, qualora risulti dagli atti, salva la possibilità di impugnazione della pronuncia nei modi ordinari e, quindi, con reclamo del decreto presidenziale, con appello della sentenza della commissione tributaria provinciale e con ricorso per cassazione per error in procedendo della sentenza della commissione tributaria regionale. In caso di erronea dichiarazione di estinzione da parte della commissione provinciale tributaria in sede di reclamo avverso il decreto presidenziale, come previsto dall'art. 59 del d.lgs. n. 546 del 1992, la causa deve essere rimessa al giudice di primo grado, mentre, invece, in caso di omessa declaratoria di estinzione, il giudice di secondo grado può procedere direttamente. Non vi sono preclusioni nel grado di gravame e eccepire o rilevare per la prima volta la cessazione della materia del contendere, a differenza di quanto avviene per l'estinzione determinata dall'inattività delle parti (Gaffuri, 644). Nelle ipotesi di definizione delle pendenze tributarie occorre, invece, fare riferimento alle specifiche disposizione di legge per il provvedimento da adottare e le modalità di chiusura della procedura. Per quanto riguarda gli effetti, sia la cessazione della materia del contendere sia la definizione della pendenza presuppongono un mutamento della situazione sostanziale, derivante o dalla rimozione dell'atto impugnato o dal suo adempimento, per cui i provvedimenti adottati nel corso del giudizio — anche le sentenze sulla giurisdizione e sulla competenza e le prove raccolte — sono destinati a perdere efficacia, salva l'ipotesi in cui vi sia stata una mera sostituzione del provvedimento con altro non interamente satisfattivo per il contribuente. Sono, però, fatti salvi gli effetti interruttivi della domanda ai fini della prescrizione ex art. 2945, comma 3, c.c. (Gaffuri, 645). In tema di contenzioso tributario, la definizione della lite fiscale mediante presentazione da parte del contribuente dell'istanza prevista dall'art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. con mod. in l. n. 111 del 2011, comporta l'estinzione del giudizio ex art. 46, comma 1, per sopravvenuta cessazione della materia del contendere sul rapporto tributario controverso, con conseguente cassazione senza rinvio della pronuncia impugnata (Cass. V, n. 17817/2016). La causa di estinzione del giudizio prevista dall'art. 46, per cessazione della materia del contendere, in conseguenza dell'annullamento in via di autotutela dell'atto recante la pretesa fiscale, prevale sulle cause di inammissibilità del ricorso per cassazione e va dichiarata con sentenza che operi alla stregua di cassazione senza rinvio, in quanto l'avvenuta composizione della controversia, per il venir meno di ragioni di contrasto fra le parti, impone la rimozione delle sentenze emesse non più attuali, perché inidonee a regolare il rapporto fra le parti (Cass. VI, n. 9753/2017 e Cass. VI, n. 19533/2011). Anche nel processo tributario, la cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione dedotta in controversia e sottopongano al giudice conclusioni conformi, occorrendo che la parte che ha agito in giudizio per la tutela dei propri interessi ne abbia conseguito l'integrale soddisfacimento direttamente ad opera della controparte. (In applicazione di tale principio, Cass. VI, n. 27598/2013 ha cassato la decisione della Commissione tributaria centrale la quale aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere in base alla sola istanza del contribuente — ricorrente avverso la sentenza di secondo grado favorevole all'Agenzia delle Entrate — e alle circostanze fattuali che il contribuente era fallito e il fallimento si era chiuso per concordato fallimentare, in assenza di prove del regolare adempimento di quest'ultimo e della mancanza di domande di annullamento o risoluzione ex art. 137 l. fall.). Nel processo tributario, il funzionario delegato a rappresentare l'amministrazione finanziaria nei procedimenti dinanzi la Commissione tributaria, per i principi generali immanenti nel sistema ed esplicitati nel cosiddetto statuto del contribuente, secondo cui i rapporti fra contribuente ed amministrazione devono essere caratterizzati da collaborazione e buona fede, ai sensi dell'art. 10 della l. n. 212/2000, ha il potere di richiedere che venga dichiarata cessata la materia del contendere, ai sensi dell'art. 46(Cass. V, n. 22175/2008). Ai fini della qualificazione di un provvedimento giurisdizionale come sentenza od ordinanza non rilevano le sue caratteristiche formali, ma unicamente il suo contenuto sostanziale. Ne consegue che il provvedimento — formalmente qualificato «ordinanza» — col quale la commissione tributaria, rilevando l'avvenuta definizione della lite tra l'Amministrazione ed il contribuente, dichiari cessata la materia del contendere ha contenuto e vigore di sentenza, e come tale è suscettibile di impugnazione (Cass. V, n. 13588/2007). In tema di contenzioso tributario, la denuncia, mediante ricorso per cassazione, dell'omessa rilevazione, nell'asserita presenza delle richieste condizioni, dell'intervenuta estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, è da qualificare come denuncia di error in procedendo, che legittima la Corte di Cassazione a verificarne la sussistenza mediante il diretto esame degli atti (Cass. V, n. 18054/2008). Nel processo tributario, l'estinzione del giudizio di legittimità per cessata materia del contendere ai sensi dell'art. 16, comma 8, della l. n. 289 del 2002 comporta conseguenze di ordine sostanziale sul contenuto delle proposte domande, determinando, in virtù della cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in giudicato, in quanto non più attuali in ragione del venire meno del contrasto tra le parti (Cass. V, n. 14258/2016). La declaratoria di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere ex art. 46 presuppone l'estinzione dell'obbligazione tributaria. Ne consegue la rimozione della sentenza impugnata (nella specie, con cassazione senza rinvio), non potendo trovare applicazione la diversa regola di cui all'art. 310 c.p.c., che comporterebbe il passaggio in giudicato di una regolamentazione del rapporto controverso non più attuale né voluta dalle parti (Cass. V, n. 16324/2014; nello stesso senso la più risalente Cass. V, n. 18640/2008, secondo cui, in tema di efeftti dell'estinzione del processo tributario e con riguardo all'efficacia delle sentenze di merito pronunciate nel corso del giudizio, la fattispecie rinviene la sua completa regolamentazione nell'art. 46, dettato per i «casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere» e nel correlato art. 16, comma 8, della legge n. 289 del 2002, in base al quale l'estinzione «viene dichiarata a seguito di comunicazione degli uffici [competenti] attestante la regolarità della domanda di definizione ed il pagamento integrale di quanto dovuto»: la declaratoria di estinzione, accertando la intervenuta «definizione» di una pendenza tributaria, importa la caducazione di tutti i provvedimenti resi nel processo relativo — avente ad oggetto «avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione» secondo il comma 3 dell'art. 16 citato — non applicandosi la diversa regola di cui all'art. 310 c.p.c., in quanto il perdurare degli effetti ivi previsto per le predette pronunce contrasterebbe con l'accertata definizione del rapporto oggetto delle stesse, nè potendo a tale stregua invocarsi il giudicato interno su un punto della controversia). La sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere, pronunciata dal giudice tributario, produce effetti diversi a seconda che consegua al mero riscontro del venir meno dell'atto impugnato per effetto di una unilaterale determinazione dell'ufficio, ovvero discenda dall'adozione, da parte della medesima Amministrazione, di un atto conforme alla pretesa avanzata dal contribuente: mentre nel primo caso la declaratoria di cessazione della materia del contendere non sortisce effetti sostanziali nei rapporti tra fisco e contribuente, nel secondo essa fa stato in merito alla definitiva realizzazione dell'interesse di quest'ultimo, sicché una volta passata in giudicato è preclusa all'erario la possibilità di annullare, in via di autotutela, il provvedimento che aveva determinato la cessazione della res litigiosa. (Cass. V, n. 21529/2007 e Cass. V, n. 16456/2008). In tema di rettifica, ai fini IRPEF, del valore di cessione di azienda, dalla declaratoria di cessazione della materia del contendere, pronunciata a seguito di intervenuta definizione di altra lite relativa a rettifica o liquidazione dell'imposta di registro sul medesimo atto nei casi stabiliti dalla legge (nella specie, per condono ex art. 16 della l. n. 289/2002), non consegue alcun accertamento di giudicato sulla «res litigiosa», trattandosi di un'assoluzione dal processo, come tale, quindi, priva di effetti di giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c.; ne consegue l'insussistenza di alcun vincolo, ai fini predetti, derivante dal valore di plusvalenza fissato dall'Amministrazione nell'avviso di accertamento relativo all'imposta di registro ed oggetto di condono (Cass. V, n. 8782/2017 e Cass. V, n. 8376/2013). Parimenti, secondo Cass. V, n. 5641/2015, l'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, conseguente allo sgravio, in via di autotutela, del debito fiscale, comporta la caducazione delle pronunce eventualmente emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in giudicato, ma è inidonea ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale, fatta eccezione per l'accertamento del venir meno dell'interesse alla prosecuzione del giudizio. In tema di ICI, la dichiarazione di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, a seguito di annullamento in autotutela dell'impugnato atto di attribuzione catastale di un immobile, determina l'illegittimità derivata degli avvisi di accertamento con cui è stata liquidata l'imposta sulla base del presupposto classamento annullato (Cass. V, n. 12570/2016). Come precisato da Cass. V, n. 26273/2010, la declaratoria, con sentenza definitiva, di estinzione del giudizio concernente cartelle di pagamento per cessazione della materia del contendere, a seguito di condono, ai sensi della l. n. 413/1991 determina il venir meno della originaria pretesa sostanziale, avanzata nei confronti del contribuente con ingiunzioni fiscali con la conseguenza che, anche nel giudizio relativo a quest'ultima, va dichiarata la cessazione della materia del contendere. (Fattispecie in cui, a seguito del passaggio in giudicato di sentenza in tema di IVA, il contribuente aveva impugnato sia le ingiunzioni fiscali emesse nei suoi confronti, sia le cartelle di pagamento con le quali, intervenuta la riforma di cui al d.P.R. n. 43 del 1988, era stata reiterata la pretesa tributaria). L'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere a seguito di sanatoria fiscale, ai sensi dell'art. 15 della l. n. 289 del 2002, intervenuta nelle more del giudizio di primo grado può essere fatta valere per la prima volta anche in grado di appello, dovendosi ritenere che la deduzione degli effetti del condono, per il rilievo pubblicistico dell'originario rapporto sostanziale e processuale col fisco, integri una eccezione in senso improprio, non soggetta alle preclusioni di cui all'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 e rilevabile d'ufficio dal giudice, ove risulti dagli atti di causa anche a seguito di nuova produzione ex art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass.S.U., n. 1518/2016). In tema di condono fiscale, e con riferimento alla definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti prevista dalla l. n. 413 del 1991, l'estinzione del giudizio conseguente alla presentazione della dichiarazione integrativa, ai sensi degli artt. 34, comma 5, e 32, comma 4, dev'essere dichiarata con ordinanza, la quale attribuisce all'Amministrazione finanziaria il potere di chiedere con una semplice comunicazione la revoca del provvedimento, determinando in tal modo la riapertura del giudizio, nel quale il giudice deve decidere con sentefacoltà di ottenere la chiusura delle liti fiscali pendenti al 31 dicembre 1994 davanti alle commissioni tributarie, conferita ai contribuenti dall'art. 2-quinquies del d.l. n. 564 del 1994, aggiunto dalla legge di conversione n. 656 del 1994, attribuisce all'inoltro della prescritta domanda ed al pagamento di una somma correlata all'importo dell'imposta accertata l'effetto di estinguere i relativi giudizi per intervenuta cessazione della materia del contendere, fermo restando il potere dell'ufficio finanziario di rilevarne successivamennza in ordine alla fondatezza sia dell'istanza di revoca che della pretesa sostanziale avanzata dall'Amministrazione (Cass. V, n. 25453/2014). Va, però, ricordato che la te l'insussistenza dei presupposti, richiedendo la revoca dell'ordinanza emessa dal giudice. Un siffatto potere dell'Amministrazione finanziaria di chiedere la revoca del provvedimento giudiziale non sussiste qualora la cessazione della materia del contendere sia pronunciata non con ordinanza, ma con sentenza, a seguito (come nella specie) di sgravio delle somme iscritte a ruolo disposto dall'ufficio, che aveva fatto venire a mancare il provvedimento impugnato, potendo l'ufficio, in tali casi, nuovamente reclamare le somme già iscritte a ruolo solo emettendo, in presenza dei relativi presupposti, un nuovo provvedimento (Cass. V, n. 22043/2006). Le spese di liteL'ultimo comma della disposizione in esame è stato adeguato dal d.lgs. n. 156 del 2015 alla sentenza della Corte cost. n. 274/2005, che ne aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale, in relazione al principio di ragionevolezza, riconducibile all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui si riferiva alle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge, ritenendo che la compensazione ope legis in caso di cessazione della materia del contendere rendesse inoperante il principio di responsabilità delle spese del giudizio, osservato anche nel processo tributario, e si traducesse in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni e, corrispondentemente, in un ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi dell'assistenza tecnica di un difensore. Invero, già prima della recente modifica legislativa, la giurisprudenza riteneva applicabile alla cessazione della materia del contendere la regola della soccombenza virtuale. Si è sostenuta la possibilità di liquidare le spese anche alla parte privata che si difenda da sola, rilevando in caso contrario una disparità di trattamento rispetto alla parte pubblica, in considerazione della previsione di cui all'art. 15, comma 2-sexies, del d.lgs. n. 546 del 1992, ai sensi del quale nella liquidazione delle spese a favore dell'ente impositore, dell'agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell'importo complessivo ivi previsto (v. Marcheselli, 584). In tema di contenzioso tributario, alla cessazione della materia del contendere, a seguito di annullamento dell'atto impugnato, in sede di autotutela, dopo la definizione del giudizio di merito, non può meccanicamente correlarsi la compensazione delle spese, non essendo improntata una siffatta soluzione esegetica, che riserva alla parte pubblica un trattamento privilegiato privo di obbiettiva giustificazione, ad un'ottica rispettosa dei principi costituzionali di ragionevolezza, di parità delle parti e del «giusto processo». Pertanto, in una prospettiva di equiparazione del processo tributario a quello civile ordinario, deve farsi ricorso alla regola, propria del secondo, della «soccombenza virtuale», la cui applicazione nel primo è stata in passato esclusa proprio per essere stata ritenuta, in modo non convincente, di ostacolo all'esercizio dell'autotutela, cui possa seguire la condanna dell'amministrazione alle spese (Cass. V, n. 1230/2007). Tuttavia, si è precisato che nell'ipotesi di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere determinata dall'annullamento in autotutela dell'atto impugnato (dovuta all'accoglimento di uno dei motivi preliminari d'invalidità dedotti dal contribuente) può, comunque, essere disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 15, comma 1, del medesimo d.lgs., in quanto intervenuta all'esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario, trattandosi di un'ipotesi diversa dalla compensazione ope legis prevista dall'art. 46, comma 3, come conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte cost. n. 274 del 2005 (Cass. v, n. 33157/2023; Cass. VI, n. 3950/2017 e Cass. V, n. 19947/2010). Parimenti, secondo Cass. V, n. 22231/2011, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell'atto in sede di autotutela non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora tale annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, stante, invece, l'obiettiva complessità della materia chiarita da apposita norma interpretativa, costituendo in tal caso detto annullamento un comportamento processuale conforme al principio di lealtà, ai sensi dell'art. 88 c.p.c., che può essere premiato con la compensazione delle spese. Cass. V, n. 21380/2006 ha, invece, ritenuto che qualora l'Amministrazione finanziaria, a seguito dell'impugnazione dell'atto impositivo, in quanto viziato sul piano formale (nella specie, per la mancata indicazione delle aliquote applicate al maggior reddito d'impresa accertato in sede di rettifica della dichiarazione), abbia provveduto alla sua sostituzione con altro atto idoneo a sanare il vizio tempestivamente fatto valere dal contribuente, l'intervenuta cessazione della materia del contendere, dichiarata ai sensi dell'art. 46, non esclude la soccombenza virtuale dell'Amministrazione, onde la motivazione del giudice di merito, che legittimamente, sia pure in base al comma terzo di detta disposizione come successivamente riformulato a seguito della parziale dichiarazione d'illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza n. 274 del 2005 della Corte costituzionale, abbia condannato l'Ufficio a rifondere le spese sostenute dal contribuente, non è contraddittoria, ma pienamente coerente con la ratio della previsione legislativa, in tali sensi resa conforme a Costituzione. 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