Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 70 - Giudizio di ottemperanza 1 2 .1. La parte che vi ha interesse può chiedere l'ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado passata in giudicato mediante ricorso da depositare in doppio originale alla segreteria della corte di giustizia tributaria di primo grado, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla segreteria della corte di giustizia tributaria di secondo grado 3. 2. Il ricorso è proponibile solo dopo la scadenza del termine entro il quale è prescritto dalla legge l'adempimento a carico dell'ente impositore, dell'agente della riscossione o del soggetto iscritto nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, degli obblighi derivanti dalla sentenza o, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni dalla loro messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario e fino a quando l'obbligo non sia estinto 4. 3. Il ricorso indirizzato al presidente della commissione deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la proposizione con la precisa indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l'ottemperanza, che deve essere prodotta in copia unitamente all'originale o copia autentica dell'atto di messa in mora notificato a norma del comma precedente, se necessario. 4. Uno dei due originali del ricorso è comunicato a cura della segreteria della commissione ai soggetti di cui al comma 2 obbligati a provvedere 5. 5. Entro venti giorni dalla comunicazione l'ufficio [del Ministero delle finanze o l'ente locale] può trasmettere le proprie osservazioni alla corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado, allegando la documentazione dell'eventuale adempimento 6. 6. Il presidente della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado, scaduto il termine di cui al comma precedente, assegna il ricorso alla sezione che ha pronunciato la sentenza. Il presidente della sezione fissa il giorno per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio non oltre novanta giorni dal deposito del ricorso e ne viene data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima a cura della segreteria. 7. Il collegio, sentite le parti in contraddittorio ed acquisita la documentazione necessaria, adotta con sentenza i provvedimenti indispensabili per l'ottemperanza in luogo dell'ufficio [del Ministero delle finanze o dell'ente locale] che li ha omessi e nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge, attenendosi agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza e tenuto conto della relativa motivazione. Il collegio, se lo ritiene opportuno, può delegare un proprio componente o nominare un commissario al quale fissa un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi e determina il compenso a lui spettante secondo le disposizioni del Titolo VII del Capo IV del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 1157. 8. Il collegio, eseguiti i provvedimenti di cui al comma precedente e preso atto di quelli emanati ed eseguiti dal componente delegato o dal commissario nominato, dichiara chiuso il procedimento con ordinanza. 9. Tutti i provvedimenti di cui al presente articolo sono immediatamente esecutivi. 10. Contro la sentenza di cui al comma 7 è ammesso soltanto ricorso in cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento. 10-bis. Per il pagamento di somme dell'importo fino a ventimila euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio, il ricorso e' deciso dalla Commissione in composizione monocratica 8.
[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 128 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Così rettificato con Comunicato 27 marzo 1993 (in Gazz. Uff. 27 marzo, n. 72) , e successivamente modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera ii), numero 1), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [4] Comma modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera ii), numero 2), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [5] Comma modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera ii), numero 3), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [6] Comma modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera ii), numero 4), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [7] Comma modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera ii), numero 4), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [8] Comma inserito dall'articolo 9, comma 1, lettera ii), numero 5), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. InquadramentoIl fisco, essendo dotato di poteri autoritativi ed esecutori che esercita secondo la scansione disposta dall'art. 68, non ha mai l'interesse ad agire in ottemperanza in quanto non utilizza la sentenza ma il relativo «oggetto»: il provvedimento amministrativo impugnato, la cui efficacia è perimetrata dalla sentenza. Il giudizio ex art. 70, d.lgs. n. 546/1992, per l'ottemperanza a sentenze passate in giudicato a favore della “parte che vi ha interesse”, cosi come quello ex art. 69, stesso decreto, che introduce e disciplina l'immediata esecuzione delle sentenze di condanna emesse a favore del contribuente, ancorché non passate in giudicato ma provvisoriamente esecutiveex art. 67-bis, citato decreto, per l'impugnazione di atti impositivi e/o dinieghi su istanze di rimborso di tributi nonché per le controversie indicate al precedente articolo 2, comma 2, relative all'aggiornamento degli atti catastali, già disciplinate dal soppresso art. 69-bis stesso decreto, sono rimasti gli unici strumenti di esecuzione coatta per tutte le sentenze tributarie (ed ogni eventuale altra pronuncia esecutiva avente contenuto spiccatamente decisorio, prescindendo dal nomen iuris) emesse nei confronti di tutti quei soggetti che sono entrati nel processo tributario come «resistenti» per aver autoritativamente emesso atti unilaterali nell'esercizio del proprio potere impo-esattivo tributario – o anche per aver negato l'atto richiesto — dando luogo ad una controversia di impugnazione d'atto, propedeutica all'accesso al merito del sotteso rapporto d'imposta: gli uffici dell'Agenzia delle Entrate (che ha incorporato quella del Territorio e, recentemente, anche Equitalia-Riscossioni) e dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, altri residuali enti impositori di tributi – come indicati nell'art. 2, commi 1 e 2, d.lgs. n. 546/1992 – o emittenti degli atti di cui all'art. 19, stesso decreto, oggetto della giurisdizione tributaria, l'Agente della Riscossione ed infine i soggetti privati, titolari di «munera pubblica» per essere stati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni. I due articolati del medesimo istituto (v. art. 69, comma 5), si differenziano nel presupposto (sentenze passate in giudicato, per l'art. 70, e sentenze solo provvisoriamente esecutive, per l'art. 69) nonché per ogni cautela necessaria a garantire — nel caso di successiva riforma della sentenza immediatamente provvisoriamente esecutiva, ma tuttavia, non ancora definitiva — la ripetizione delle somme rimborsate superiori ad Euro 10.000/00 (diverse dalle spese di lite) o delle risorse proprie tradizionali di cui all'art. 2, par.1, lett. a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e dell'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione, che restano disciplinate dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell'Unione europea in materia. All'articolo 70 è stato infine aggiunto il comma 10-bis che, per il pagamento di somme dell'importo fino a 20 mila euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio, prevede la decisione dell'ottemperanza da parte della Commissione tributaria in composizione monocratica. Quando debba farsi valere l'inerzia della P.A. rispetto ad uno specifico comando contenuto in una sentenza di condanna esecutiva, è esperibile, anche nei confronti dell'Agente della riscossione Equitalia Sud S.p.a., il rimedio già previsto dall'art. 70, d.lgs. n. 546/1992 atteso che l'art. 22, l. n. 241/1990 statuisce che si intende per «pubblica amministrazione» qualunque soggetto di diritto pubblico e di diritto privato limitatamente alla propria attività di pubblico interesse, disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. (C.t.r. Puglia, n. 542/13/2015). Dopo giurisprudenza di legittimità in tal senso, ciò ha trovato conferma legislativa nell'art. 70, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, come novellato dal d.lgs. 156/2015: «stante la natura pubblica dell'agente e l'attività oggettivamente pubblica posta in essere dai concessionari privati» (Relazione illustrativa). Origine ed evoluzione dell'istitutoIl giudizio di ottemperanza è stato una naturale conseguenza al rapporto tra giustizia ordinaria e pubblica amministrazione istauratosi con l'art. 4, comma 2, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E: «L'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso»; in tal modo veniva previsto un obbligo giuridico, privo di sanzione/coazione (quoad effectum: onere per la pubblica amministrazione al corretto agire, necessariamente sotteso alla presunzione di legittimità dei suoi atti) valido solo per le sentenze dell'A.G.O. perché il coevo giudice ordinario aveva cognizione generale ed esclusiva sulle controversie relative ai rapporti tra i privati e la pubblica amministrazione; era tuttavia privo del potere di revoca o modifica dell'atto amministrativo lesivo di un diritto civile o politico, che poteva solamente disapplicare — qualora ritenuto non conforme alla legge — ai sensi e per gli effetti di cui al successivo art. 5: «In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi». «Sottratti al controllo della Corte Costituzionale», anche «i regolamenti rimangono...sottoposti al regime giuridico degli atti amministrativi. Essi dunque sono disapplicabili dal giudice ordinario qualora risultino in contrasto con norme di fonte legislativa ed annullabili dagli organi di giustizia amministrativa». Carlassare; coerentemente, in materia tributaria, l'art. 7, comma 5, d.lgs. n. 546/1992 così dispone: «Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente». Bisognerà attendere l'emanazione della legge 31 marzo 1889, n. 5, istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (c.d. Legge Crispi) affinchè il giudizio di ottemperanza (c.d. «azione di esecuzione» e poi «azione di adempimento») fosse introdotto — solo per le sentenze dell'A.G.O., come ivi stabilito dall'art. 4, n. 4, poi ripreso dall'art. 27 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, comma 1, n. 4: «Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale decide pronunciando anche in merito: 4) dei ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico»; la Corte costituzionale, con sentenza 10-12 dicembre 1998, n. 406 (Gazz. Uff. 16 dicembre 1998, n. 50, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, primo comma, numero 4, sollevata in riferimento agli artt. 3,24,103 e 113 della Costituzione, e con successiva ordinanza 14-20 luglio 1999, n. 332, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, primo comma, numero 4, sollevata in riferimento agli artt. 3,24,103 e 113 della Costituzione. Con l'emanazione della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei T.A.R., l'art. 37, commi 3 e 4, ha esteso tale rimedio esecutivo anche alle sentenze dell'A.G.A., come attualmente disciplinato dagli artt. 112 e seguenti del vigente codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010). La conformazione dell'Amministrazione al giudicato è obbligatoria, atteso il principio di legalità dell'azione amministrativa sancito dall'art. 97 Cost. Con la riforma della legge n. 241/1990 è stata operata dalla legge n. 15/2005 la codificazione nell'art. 21-septies della nullità del provvedimento: «1. È nullo il provvedimento amministrativo ... adottato in violazione o elusione del giudicato ... 2. Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo», anteriormente enucleato in via interpretativa dalla giurisprudenza amministrativa, introducendo tale sanzione procedimentale a tutela dell'obbligo giuridico posto dalla legge a carico dell'ammnistrazione. L'art. 31, comma 4, d.lgs. n. 104/2010 (c.p.a.), secondo il quale «La nullità dell'atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d'ufficio dal giudice», prevedendo un ampio termine decadenziale (180 giorni) per l'esercizio dell'actio nullitatis amministrativa — forse per eterogenesi dei fini – marca per la prima volta normativamente una differenza tra nullità relativa e nullità assoluta che, ontologicamente, non può essere sottoposta a termini di alcun tipo. Mentre il giudicato amministrativo (volto a verificare il corretto esercizio del potere attribuito, perimetrato dalla competenza, e ad indicare alla P.A. la regola per il seguito a praticare) ha un'efficacia conformativa estrinseca alla pronuncia giudiziale, tralaticiamente fatta risalire al citato art. 4, comma 2, l. n. 2248/1865, all. E, il giudicato tributario ha un'efficacia regolamentare intrinseca e diretta sull'atto/rapporto oggetto del giudizio tributario, effetto naturale della pronuncia giudiziale nel processo di impugnazione-merito. In ogni caso, poiché in materia tributaria vige una giurisdizione generale ed esclusivaratione materiae (ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992) che non può non comprendere la cognizione di ogni eventuale accessorio del tributo: interessi, sanzioni, spese etc. le Cc.Tt. — incidenter tantum — lo conosceranno in via incidentale ex art. 2 comma 3 d.lgs 546/1992 per eventualmente disapplicarlo exartt. 4 e 5, l. n. 2248/1865. Riferimenti normativi delle fattispecie la cui esecuzione può attualmente essere oggetto di ottemperanzaIl d.lgs. n. 156/2015, aumentando le fattispecie normative la cui esecuzione nei confronti della parte pubblica può essere oggetto di ottemperanza tributaria, ne ha fatto direttamente — o previo accoglimento di correlata richiesta di condanna — uno strumento di esecuzione tributaria coattiva generale ed esclusivo: D.lgs. n. 546/1992 — e succ. modif. e integr.: – Articolo 15 Spese del giudizio, comma 2 -quater: Con l'ordinanza che decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito. – Articolo 17- bis Il reclamo e la mediazione, comma 6: Nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo tra le parti, delle somme dovute ovvero della prima rata. Per il versamento delle somme dovute si applicano le disposizioni, anche sanzionatorie, previste per l'accertamento con adesione dall'articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n.218. Nelle controversie aventi per oggetto la restituzione di somme la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L'accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente. – Articolo 44 Estinzione del processo per rinuncia al ricorso, comma 2: Il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti salvo diverso accordo fra loro. La liquidazione è fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile. – Articolo 48 Conciliazione fuori udienza, comma 4: La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell'accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L'accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all'ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente. – Articolo 48- bis Conciliazione in udienza, comma 3: La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all'ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente. – Articolo 68 Pagamento del tributo in pendenza del processo, comma 2: Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza. In caso di mancata esecuzione del rimborso il contribuente può richiedere l'ottemperanza a norma dell'articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale. comma 3-bis Il pagamento, in pendenza di processo, delle risorse proprie tradizionali di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e dell'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione resta disciplinato dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell'Unione europea in materia. – Articolo 69 Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente, comma 5: In caso di mancata esecuzione della sentenza il contribuente può richiedere l'ottemperanza a norma dell'articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale. – Articolo 70 Giudizio di ottemperanza, comma 1: La parte che vi ha interesse può richiedere l'ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della commissione tributaria passata in giudicato mediante ricorso da depositare in doppio originale alla segreteria della commissione tributaria provinciale, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla segreteria della commissione tributaria regionale. D.lgs. n. 472/1997 — e succ. modif. e integr.: – Articolo 19 — Esecuzione delle sanzioni, comma 6: se in esito alla sentenza di 1º o di 2º grado la somma corrisposta eccede quella che risulta dovuta, l'ufficio deve provvedere al rimborso ai sensi dell'articolo 68, comma 2, d.lgs. n. 546/1992. Le modifiche all'articolo 70. Il decreto di riforma ha apportato significative modifiche quanto all'ambito applicativo del giudizio di ottemperanza, rimedio attraverso cui il contribuente può ottenere l'adempimento degli obblighi sanciti dalla sentenza per il caso di inerzia dell'Ufficio. Alla scelta di attribuire immediata esecutività, per tutte le parti in causa, alle sentenze delle commissioni tributarie, il legislatore delegato ha infatti accompagnato la previsione dell'esperibilità del ricorso in ottemperanza, oltre che — come finora previsto — per le sentenze passate in giudicato, anche per l'esecuzione: a) delle sentenze, non ancora definitive, di condanna al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio (a decorrere dal 1° giugno 2016); b) delle sentenze, non ancora definitive, relative alle operazioni catastali parzialmente o totalmente favorevoli al contribuente (a decorrere dal 1° giugno 2016); c) delle sentenze relative ad atti impositivi che comportano, ai sensi dell'articolo 68, comma 2, la restituzione al contribuente del tributo e relativi interessi e sanzioni, corrisposti in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza a lui favorevole (a decorrere dal 1° gennaio 2016); d) dell'ordinanza con cui sono liquidate le spese di giudizio in caso di rinuncia al ricorso ai sensi dell'articolo 44, comma 2. Il decreto di riforma ha dunque previsto un sistema unitario di esecuzione delle sentenze, definitive e non, con carattere di esclusività. A ciò ha fatto seguito la soppressione, al comma 1 dell'articolo 70, dell'inciso «Salvo quanto previsto dalle norme del c.p.c. per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo», da cui il venir meno della facoltà, prima riconosciuta al contribuente, di procedere con l'esecuzione forzata secondo le norme del codice di procedura civile. La relazione illustrativa sul punto ha chiarito che «La scelta della esclusività del giudizio di ottemperanza come unico strumento per la esecuzione delle sentenze si ritiene giustificata:—dalla peculiarità delle sentenze emesse nel processo tributario, dove spesso anche il calcolo delle somme dovute a titolo di rimborso di imposta non è agevole, essendo necessaria comunque un'attività dell'ufficio per la determinazione degli interessi per i vari periodi interessati; inoltre la necessità di una garanzia per le condanne in favore del contribuente al rimborso di somme superiori a 10.000 Euro, avrebbe creato notevoli problemi alle segreterie per il rilascio delle formule esecutive, non potendosi pretendere da tali uffici un controllo sulla idoneità della garanzia stessa; — dalla particolare efficacia della procedura di ottemperanza, che consente — anche con la nomina di un Commissario ad acta — di ottenere in tempi relativamente brevi l'adempimento dell'Amministrazione, con il rimborso delle relative spese; — dal fatto che l'ordinaria procedura esecutiva (oltre ad aggravare lo stato della giustizia civile), non garantisce spesso il soddisfacimento dell'interesse del contribuente, anche per le note difficoltà di agire in via esecutiva sui beni di soggetti pubblici». La natura esclusiva del rimedio dell'ottemperanza trova ulteriore conferma nell'integrale sostituzione dell'articolo 69, che nella versione previgente consente al contribuente che abbia ottenuto una sentenza favorevole di richiederne copia spedita in forma esecutiva a norma dell'articolo 475 c.p.c., alla segreteria della commissione che l'abbia emessa, quando la pronuncia sia passata in giudicato. Rilevanti novità interessano anche l'ambito soggettivo di applicazione dell'articolo 70. Il giudizio di ottemperanza diventa infatti proponibile anche nei confronti dell'agente della riscossione o del soggetto iscritto nell'albo di cui all'articolo 53 del d.lgs. n. 446 del 1997, «stante la natura pubblica dell'Agente e l'attività oggettivamente pubblica posta in essere dai concessionari (privati)» (relazione illustrativa). Rimangono invece ferme le modalità di presentazione del ricorso in ottemperanza. Occorre sul punto precisare che l'espresso riferimento alla sentenza passata in giudicato, ancora contenuto nell'articolo 70, comma 3, non osta all'applicazione del rimedio per le ipotesi previste dagli articoli 68, comma 2, e 69, comma 5, ma è da intendersi riferibile alle sole ipotesi in cui il ricorso venga proposto in relazione a una sentenza divenuta definitiva. La parte che vi ha interesse può, dunque, richiedere l'ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della commissione tributaria mediante ricorso da depositare in doppio originale: — a fronte di sentenza definitiva, alla segreteria della commissione tributaria provinciale, qualora la sentenza sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla segreteria della commissione tributaria regionale; — a fronte di sentenza provvisoriamente esecutiva, ai sensi delle nuove previsioni degli articoli 68, comma 2, secondo periodo, e 69, comma 5, alla segreteria della commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla segreteria della commissione tributaria regionale. Il ricorso è proponibile dopo la scadenza del termine entro il quale è prescritto dalla legge l'adempimento a carico dell'ente impositore, dell'agente della riscossione o del soggetto iscritto nell'albo di cui all'articolo 53 del d.lgs. n. 446/1997, degli obblighi derivanti dalla sentenza, nonché, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni dalla loro messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario e fino a quando l'obbligo non sia estinto. Gli articoli 68, comma 2, e 69, comma 4, prevedono uno specifico termine entro il quale l'Ufficio deve adempiere agli obblighi derivanti dalla sentenza. In particolare, ai sensi dell'articolo 68, comma 2, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria, con i relativi interessi, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza; a norma dell'articolo 69, comma 4, il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere eseguito entro novanta giorni dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia a cui il giudice abbia subordinato il pagamento dell'importo dovuto. Ne consegue che, nei casi disciplinati dagli articoli 68, comma 2, e 69, comma 4, non si richiede l'atto di messa in mora e, dunque, il ricorso in ottemperanza potrà essere proposto decorsi novanta giorni dalla notificazione della sentenza da eseguire ovvero dalla presentazione della garanzia, se prevista. Al riguardo, occorre considerare che la notifica della sentenza da parte del contribuente produce l'effetto di far decorrere sia il termine breve per l'impugnazione sia il termine di novanta giorni per l'esecuzione; conseguentemente è opportuno che l'Ufficio valuti sollecitamente la sentenza notificata, atteso che:—in caso di impugnazione, dovrà valutare anche l'opportunità di chiedere contestualmente la sospensione dell'esecuzione, salvo che il giudice abbia disposto la prestazione della garanzia; — in caso di acquiescenza, dovrà dare esecuzione alla sentenza evitando l'eventuale instaurazione di un giudizio di ottemperanza. Con specifico riferimento alle ipotesi di impugnazione, qualora la sospensione non sia concessa, l'Ufficio dovrà comunque procedere all'esecuzione della sentenza, per evitare l'ottemperanza. Il ricorso in ottemperanza, indirizzato al presidente della commissione, deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la proposizione con la precisa indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza — anche non definitiva — di cui si chiede l'ottemperanza, che deve essere prodotta in copia unitamente all'originale o copia autentica dell'atto di messa in mora, se necessario. Uno dei due originali del ricorso è comunicato a cura della segreteria della commissione ai soggetti obbligati a provvedere (ente impositore, agente o concessionario della riscossione). Restano ferme le previsioni di cui ai commi da 5 a 10 dell'articolo 70, che non hanno subito modifiche sostanziali. È stato infine aggiunto il comma 10-bis che, per l'esecuzione delle sentenze che comportano il pagamento di somme dell'importo fino a ventimila euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio, prevede che il ricorso in ottemperanza è deciso dalla commissione tributaria in composizione monocratica. In tema di esecuzione delle spese di giudizio si rileva che è stato, altresì, modificato l'articolo 44 del decreto n. 546, concernente l'estinzione del processo per rinuncia al ricorso. In particolare, al comma 2, nella formulazione vigente fino al 31 dicembre 2015, si prevede che l'ordinanza con cui sono liquidate le spese che il rinunciante al ricorso deve rimborsare costituisce titolo esecutivo. La novella ha eliminato l'inciso che fa riferimento all'efficacia di titolo esecutivo dell'ordinanza. La relazione illustrativa chiarisce che l'eliminazione è dovuta alla circostanza che «nell'impianto del provvedimento in esame l'unico strumento utilizzabile è il giudizio di ottemperanza, anche per le spese legali in favore contribuente. Diversamente, per le spese liquidate in favore dell'ente impositore e degli altri soggetti equiparati è prevista l'iscrizione a ruolo dopo il giudicato, come dispone il nuovo articolo 15, comma 4». Si ribadisce che anche per le spese liquidate con l'ordinanza di cui all'articolo 44, comma 2, è prevista la decisione dell'ottemperanza da parte della commissione tributaria in composizione monocratica. (Circ. Ag. Ent. 29 dicembre 2015, n. 38/E). Esame ed esecuzione delle decisioni. L'esame dei provvedimenti giurisdizionali va organizzato in modo da garantire la tempestiva esecuzione dei conseguenti adempimenti. In particolare, va garantita: o la tempestiva esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali, per evitare decadenze in materia di riscossione, giudizi di ottemperanza, esecuzioni forzate, ulteriori aggravi di spese, danni ai contribuenti; o la tempestiva impugnazione dei provvedimenti giurisdizionali sfavorevoli ovvero la tempestiva e motivata acquiescenza, che va protocollata e sottoscritta dal Direttore dell'Ufficio o da un suo delegato in ogni caso prima della scadenza del termine di impugnazione. (Circ. Ag. Ent. 28 marzo 2008, n. 29/E). Le Direzioni regionali svolgono un'adeguata e mirata attività di controllo sul livello di avanzamento degli obiettivi di cui alla presente circolare e sulla correttezza ed efficacia degli adempimenti svolti da tutte le strutture territoriali, tenendo conto delle istruzioni che precedono e con particolare attenzione: al rispetto del predetto termine di 120 giorni per l'iscrizione a ruolo; alla tempestiva costituzione in giudizio; alla partecipazione alle udienze pubbliche, in relazione soprattutto a quelle con valore della lite superiore a 5.000 euro; alla sistematicità e tempestività dell'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali; alle acquiescenze ai provvedimenti giurisdizionali; ai giudizi di ottemperanza, al fine di verificare i motivi per cui non è stata eseguita tempestivamente la pronuncia; alla completezza ed effettiva corrispondenza allo stato dello svolgimento del processo dei dati inseriti nel sistema informativo. (Circ. Ag. Ent. 15 maggio 2009, n. 24/E). «Giudizio di ottemperanza». L'articolo 9, comma1, lettera ii) del d.lgs n. 156 del 2015 apporta modifica all'articolo 70 del d.lgs. n. 546 del 1992. Al comma 1 dell'art. 70 è stato soppresso il rinvio alle norme del codice di procedura civile sull'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, prevedendo, in via esclusiva, per tale ipotesi, il rimedio del giudizio di ottemperanza che, ai sensi del successivo comma 2, può ora essere esperito oltre che nei riguardi dell'ente impositore, anche nei confronti dell'agente della riscossione o del soggetto privato concessionario iscritto nell'albo di cui all'articolo 53 del d.lgs. n. 446 del 1997. Le modifiche apportate ai vigenti commi 4, 5 e 7 del medesimo articolo 70 sono finalizzate a rendere coerente i testi degli stessi con il nuovo impianto normativo e non introducono novità di carattere sostanziale. Il nuovo comma 10-bis prevede, infine, che per il pagamento di somme di importo fino a ventimila euro e, comunque, per il pagamento delle spese di giudizio, il ricorso è deciso dalla commissione in composizione monocratica. (Circ. Ag. Dog. 23 dicembre 2015, n. 21/D). Contributo unificato tributario. Il comma 6-quater dell'articolo 13 del TUSG, come modificato dalla lett. t) dell'art. 37, comma 6, del d.l. n. 98 del 2011, convertito dalla l. n. 111 del 2011, e dall'art. 2, comma 35-bis, lett. f) del d.l. 138/2011, convertito dalla l. n. 148/2011, stabilisce che è dovuto il contributo unificato per i ricorsi principale e incidentale proposti innanzi alle Commissioni Tributarie. Sulla base dei principi contenuti negli articoli 13 e 18 del TUSG, il contributo unificato è dovuto per i seguenti atti e provvedimenti: [...] f) ricorso in ottemperanza di cui all'art. 70 del d.lgs. n. 546 del 1992. (Circ. min. ec. fin. 21 settembre 2011, n. 1/DF). Natura dell'ottemperanza tributaria. Differenza con l'ottemperanza amministrativa e l'esecuzione civileLa relazione governativa al d.lgs. n. 546/1992, sul giudizio di ottemperanza tributario ha affermato che: «l'articolo 70 regola compiutamente il giudizio stesso», prendendo «a modello la disciplina dettata per gli organi della giustizia amministrativa» — secondo Cass. n. 11867/2003, esiste una «perfetta equivalenza fra il giudizio disciplinato dall'art. 70, d.lgs n. 546/1992 e quello amministrativo» — ed agli organi della giurisdizione tributaria «viene riconosciuta pienezza di poteri anche sul piano esecutivo» in consonanza all'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992 ove, in maniera altrettanto netta, è stabilito che: «appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati». Tale «plena cognitio ratione materiae» ha trovato ulteriore vigore nell'esclusività della procedura d'ottemperanza tributaria recentemente introdotta con d.lgs. n. 156/2015 che, sostituendo per intero l'art. 69, ha anche escluso la possibilità di esperire la concorrente (alternativa o cumulativa) procedura esecutiva civile ex art. 479 e ss. c.p.c., chiedendo alla segreteria della Cc.Tt. il rilascio di copia della sentenza spedita in forma esecutiva a norma dell'art. 475 c.p.c.. Pertanto, all'attualità, il giudizio di ottemperanza rappresenta per il cittadino-contribuente l'unico strumento disponibile per l'esecuzione delle sentenze o ordinanze, ove caratterizzate da un contenuto spiccatamente decisorio tipico della sentenza (impugnabili, pertanto, anche per Cassazione: Cass. n. 3435/2005), di rimborso/restituzione tributi, ormai devoluta in via generale ed esclusiva alla giurisdizione tributaria. Secondo la dottrina più accreditata, «il giudizio di ottemperanza esperibile davanti ai giudici amministrativi ha natura e funzioni del tutto peculiari, dal momento che esso assomma in sé i caratteri del processo di cognizione e di uno speciale processo di esecuzione ...» mentre, invece, «nel processo tributario si tratta solo di dare vita all'attività meramente esecutiva avente ad oggetto la restituzione delle somme indebitamente percette e, dunque, quivi non si rinvengono aspetti cognitivi bensì soltanto aspetti esecutivi, collocandosi il giudizio di ottemperanza in un rapporto di pura e semplice alternativa con l'esecuzione della sentenza di condanna per il tramite dell'ordinario processo di esecuzione disciplinato dal c.p.c.» (Baglione, Menchini e Miccinesi, 602). In particolare, il giudice dell'ottemperanza amministrativa “delimita la reale portata della regola del diritto derivante dal giudicato, esercitando poteri di natura non meramente esecutiva, ma anche cognitiva affinché, attraverso tale formazione progressiva del giudicato, recante la compiuta determinazione del suo contenuto quale correttamente desumibile, sia assicurata la realizzazione sostanziale del bene della vita perseguito con il giudizio (cfr. Cons. Stato, VI, 19 agosto 2014, n. 4269). Presenta connotati diversi anche rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, in quanto lo scopo del giudizio di ottemperanza non è quello di ottenere l'esecuzione coattiva, tout court, del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, bensì quello di rendere effettivo quel comando, compiendo tutti gli accertamenti indispensabili a determinare e delimitare la portata precettiva effettiva della sentenza di cui si chiede l'esecuzione (Cass. n. 22188/2004; Cass. n. 28944/2008; Cass. n. 11450/2011 e Cass. n. 647/2012). Nella procedura tributaria si può ricorrere al giudizio d'ottemperanza anche in mancanza di una formale condanna ad un facere e, quindi, di un “titolo esecutivo” valido per l'accesso all'esecuzione civile. “il ricorso per ottemperanza è ammissibile ogni qualvolta debba farsi valere l'inerzia della P.A. rispetto al giudicato, ovvero la difformità specifica dell'atto posto in essere dall'Amministrazione rispetto all'obbligo processuale di attenersi all'accertamento contenuto nella sentenza da eseguire (Cons. Stato 992/98), e ciò indipendentemente dall'attivazione di altra eventuale procedura esecutiva; infatti il giudizio di ottemperanza, in quanto rivolto a rendere effettivo, mediante idonei provvedimenti, l'ordine di esecuzione contenuto nella sentenza passata in giudicato, di cui costituisce un'integrazione ed un compimento (Circ. Min: n. 98/E del 23.4.1996) deve ritenersi complementare (Cass. S.U. 1593/94) ad eventuale procedimento esecutivo, senza che possa ipotizzarsi una anteticità pregiudiziale dell'esecuzione forzata rispetto al giudizio di ottemperanza, il quale mira a garantire un'azione amministrativa conforme ad una decisione vincolante soprattutto allorché questa non contenga un precetto dotato dei caratteri di puntualità e precisione propri del titolo esecutivo […]. Il giudizio di ottemperanza […] si differenzia rispetto al concorrente giudizio esecutivo civile, in quanto il suo scopo non è quello di ottenere l'esecuzione coattiva del comando contenuto nel giudicato […], ma piuttosto quello di rendere effettivo quel comando da esso posto, anche e specialmente se privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo. Ed è proprio la natura “sui generis” di tale giudizio, caratterizzato da un misto di poteri cognitori ed esecutivi, nel quale il giudice dell'ottemperanza deve prioritariamente verificare il dispositivo della sentenza rimasta inapplicata per individuare gli obblighi ivi prescritti, valutare quindi la portata di tale dispositivo in una con la motivazione, per poi svolgere la tipica attività di merito dell'ottemperanza, che è quella dell'adozione di provvedimenti in luogo dell'amministrazione inadempiente, che richiede una particolare attività del giudice, rivolta ad individuare il complessivo oggetto dell'ottemperanza per il ripristino dell'integrità della posizione del ricorrente, per poter realizzare non un'espropriazione di beni propria dell'esecuzione ordinaria, ma la sostituzione coattiva dell'attività amministrativa che l'Ufficio avrebbe dovuto svolgere e non ha svolto, o ha svolto in maniera difforme dal giudicato”. (Cass. n. 4126/2004, confermata, ex plurimis da Cass. n. 5925/2005; Cass. n. 5925/2009; Cass. n. 4884/2013 e Cass. n. 13382/2016). Le pronunce tributarie reputate ex lege efficaci in executivis sono quelle passate in giudicato, anche se con la forma dell'ordinanza o del decreto purchè abbiano lo stesso contenuto decisorio di una sentenza; ad esempio, «... i decreti presidenziali non reclamati che dichiarino l'estinzione di giudizi d'appello proposti dall'Ufficio contro le sentenze delle Commissioni tributarie provinciali, condannandolo alle spese del (secondo) grado» (Glendi, 1365). «La parziale abrogazione [l'art. 69, d.lgs. n. 546/1992 è stato abrogato con efficacia 1 giugno 2016 dal d.lgs. n. 156/2015] delle norme del Codice di procedura civile, che prevedono la fruibilità dell'esecuzione forzata ivi contenuta (artt. 474 ss. c.p.c.) per tutte le sentenze costituenti titolo esecutivo anche nei confronti della Pubblica amministrazione, con la consequenziale privazione del contribuente di un vero e proprio diritto soggettivo all'accesso alla giustizia ordinaria a seguito di una ottenuta sentenza esecutiva di condanna dell'amministrazione a restituire quanto indebitamente trattenuto, avrebbe dovuto essere normativamente sancita per le vie ordinarie o su delega del Parlamento, non già tramite un provvedimento delegato deliberato di straforo senza che la Legge delega contenga il pur minimo supporto abilitativo in tal senso.». (Glendi, 2468). Tuttavia, per la precedente dottrina, come per la giurisprudenza, le procedure che hanno per oggetto dell'adempimento una somma di danaro possono esperirsi, a scelta del ricorrente, alternativamente o cumulativamente. Infatti, secondo Cass. n. 358/2004, «nel caso di sentenze di condanna costituenti titolo esecutivo, deve ritenersi che l'esecuzione forzata ordinaria, secondo le norme del codice di procedura civile, e l'esecuzione in sede tributaria, mediante il giudizio di ottemperanza ... costituiscano mezzi di tutela concorrenti e cumulabili, esperibili, quindi, anche contestualmente, affinché la pretesa creditoria espressa nel giudicato sia puntualmente attuata in via coattiva». Cons. St. IV, n. 4125/2000: «il giudizio di ottemperanza ben può essere proposto congiuntamente all'ordinaria procedura esecutiva, avuto riguardo alla loro concorrenza a tutelare le garanzie del creditore». (Conformi: Cass. sez. trib. n. 4126/2003; Cass. S.U., n. 1593/1993; Cons. St. VI n. 480/2001; Cons. St. V, n. 5788/2001). Fatta salva, pertanto, la facoltà del creditore di esercitare più azioni per lo stesso titolo esecutivo ai fini di un più efficace soddisfacimento del proprio credito, con l'eventuale limitazione di cui all'art. 483 c.p.c., Cass. n. 8576/2013 ha esteso il principio del divieto di frazionamento del credito, originariamente unitario, al processo esecutivo quando determina un immotivato aggravio per il debitore, costituendo: «un'indebita prevaricazione del creditore sulla controparte, sia per l'assoggettamento del debitore ai dispendi originati dall'ingiustificata moltiplicazione dei processi esecutivi, sia per la carenza di causa dell'eventuale locupletazione conseguibile dal creditore, ad esempio per maggiori rimborsi di spese o compensi». T.A.R. Calabria II, n. 291/2015: «La proposizione del giudizio di ottemperanza non è preclusa dall'istanza di ulteriori e diversi strumenti di tutela, anche davanti ad altri giudici (conf.: Cons. St. IV, n. 527/1994). Ed invero, come precisato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 9 marzo 1973 n. 1, il giudizio di ottemperanza è esperibile anche per l'esecuzione di sentenze di condanna al pagamento di somma di denaro, alternativamente (conf.: Cons. St. VI n. 527/1994) rispetto al rimedio dell'esperimento del processo di esecuzione, ma anche congiuntamente (conf.: Cass. S.U.,n. 4661/1994 e Cons. St. IV, n. 4125/2000), rispetto all'ordinaria procedura esecutiva. Esso tende a far conseguire al ricorrente vittorioso tutta l'utilità scaturente dalla pronuncia giurisdizionale ed illegittimamente negata dall'Amministrazione con un comportamento, apertamente o implicitamente, omissivo.» ... «Non sono, invece, dovute le eventuali spese di precetto, che riguardano il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 e ss. del c.p.c. (T.A.R. Lazio I, 11 dicembre 1987 n. 1917), poiché l'uso di strumenti di esecuzione diversi dall'ottemperanza al giudicato di cui al citato art. 112 c.p.a. è imputabile soltanto alla libera scelta del creditore.». C.t.p. Milano, n. 80/2003, ha commentato l'art. 70, comma 1: «salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata delle sentenze di condanna costituenti titolo esecutivo» osservando come essa «non introduce un rapporto di identificazione, alternativa esclusione o sussidiarietà tra i due istituti, ma esprime la conferma della reciproca interferenza tra gli stessi, in vista del comune obiettivo di realizzare concretamente la pretesa esecutiva sancita dal giudicato». Nel caso di attivazione cumulativa «ovviamente ... l'esito satisfattivo di una rende impraticabile l'altra» (T.A.R. Lazio n. 221/1995). Il processo amministrativo — come quello tributario, sul punto dichiaratamente derivato — è caratterizzato da un'azione d'adempimento c.d. «esecuzione surrogatoria», che rende il giudizio di ottemperanza straordinariamente efficace in termini di effettività nella tutela giudiziale. Il giudizio di ottemperanza amministrativo modella quello tributario mantenendo una differenza ontologica: mentre il giudice amministrativo sostituisce l'Amministrazione nel dare piena tutela ad ogni situazione giuridica soggettiva lesa da un provvedimento/ comportamento amministrativo, il giudice tributario si limita alla concreta esecuzione delle sentenze di condanna passate in giudicato. Il giudizio di ottemperanza tributario, infatti, rispetto all'analogo istituto amministrativo presenta tratti distintivi peculiari per la particolare natura di questo «processo di impugnazione di atti aventi natura provvedimentale normativamente predeterminati ...» ed il cui giudicato da ottemperare riguarda un'attività dell'Amministrazione Finanziaria vincolata, a volte in qualche misura diversa dalla c.d. discrezionalità tecnica ma priva di effettivi margini di c.d. discrezionalità amministrativa. Tale giudizio ha una duplice natura: di merito, in quanto inteso ad individuare gli obblighi contenuti nella sentenza e di esecuzione, in quanto inteso ad adottare i provvedimenti in sostituzione dell'A.F. inadempiente ( Cass. n. 4126/2004); è, dunque, fondamentalmente di esecuzione e solo in casi limitati anche di cognizione quando la regola posta dal giudicato viene non soltanto interpretata ma anche completata indagando tutti gli effetti inclusi nel giudicato, al fine di ripristinare «l'integrità della posizione del ricorrente». L'elusione del giudicato si configura quando la P.A. provvede solo formalmente all'esecuzione della sentenza, oppure in una formale ottemperanza posta in essere dissimulando una sostanziale elusione del giudicato perchè, quoad effectum, consegue i medesimi risultati già censurati dallo stesso giudicato; la violazione del giudicato, invece, si configura quando la P.A. ha emesso un nuovo provvedimento afflitto dagli stessi vizi ovvero in contrasto con lo iussum iudicis (Cons.St. IV, n. 2070/2011; Cons. St. IV, n. 1415/2011; Cons. St. IV, n. 9296/2009; Cons.St. V, n. 2400/2013). T.A.R. Calabria II, n. 291/2015: «... una volta intervenuta una pronuncia giurisdizionale, che riconosca come ingiustamente lesivo dell'interesse del cittadino un determinato comportamento dell'Amministrazione o che detti le misure cautelari ritenute opportune e strumentali all'effettività della tutela giurisdizionale, incombe l'obbligo dell'Amministrazione di conformarsi ad essa ed il contenuto di tale obbligo consiste, appunto, nell'attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice (conf.: Corte cost. n. 419/1995). L'amministrazione, in via generale, è sempre tenuta ad eseguire il giudicato e, per nessuna ragione, di ordine pubblico, di opportunità amministrativa o di difficoltà pratica, può sottrarsi a tale obbligo, non avendo, in proposito, alcuna discrezionalità per quanto concerne l'an ed il quando, ma, al più, e non necessariamente, una limitata discrezionalità per il quomodo, per cui non può invocare asserite difficoltà finanziarie per sottrarsi alla necessità del puntuale adempimento delle obbligazioni pecuniarie nascenti a suo carico dal giudicato (conf: Cons. St. IV, n. 2439/2002)». Il giudizio di ottemperanza amministrativo conseguente ad un provvedimento del giudice non esaustivamente adempiuto (l'inadempimento dell'Amministrazione è all'obbligo di conformarsi al giudicato) si rapporta al precedente giudizio di cognizione come successiva fase esecutiva – in un giudicato quasi a formazione progressiva – esattamente perimetrata dalla sentenza da eseguire: l'originaria statuizione del giudizio cognitorio non può essere in alcun caso modificata o integrata nel processo di ottemperanza Cons. St. V, 2143/2009 e Cons. St. IV, 2531/2013). È giurisprudenza consolidata sia della Corte di Cassazione sia del Consiglio di Stato che il giudizio di esecuzione e quello di ottemperanza sono nella quasi generalità dei casi complementari l'uno rispetto all'altro, salvo talune ipotesi dovute alle peculiarità dei due procedimenti. Il ricorso per ottemperanza è ammissibile per far valere l'inerzia della P.A. rispetto al giudicato, ovvero la difformità specifica dell'atto già posto in essere dall'Amministrazione rispetto all'obbligo processuale di attenersi all'accertamento contenuto nella sentenza da eseguire, indipendentemente dall'attivazione di altra eventuale diversa procedura esecutiva (Cass. n. 20202/2010); presenta connotati diversi rispetto al corrispondente e concorrente giudizio esecutivo civile, in quanto lo scopo del giudizio di ottemperanza non è quello di ottenere l'esecuzione coattiva, tout court, del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, bensì quello di rendere effettivo quel comando, compiendo tutti gli accertamenti indispensabili a determinare e delimitare la portata precettiva effettiva della sentenza di cui si chiede l'esecuzione (Cass. n. 22188/2004; Cass. n. 28944/2008; Cass. n. 11450/2011 e Cass. n. 647/2012). A differenza del concorrente giudizio civile di esecuzione, il giudizio di ottemperanza mira a rendere effettivo il comando contenuto nel giudicato (art. 70, comma 1, d.lgs. n. 546/1992: «Salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse può chiedere l'ottemperanza agli obblighi derivati dalla sentenza....»), anche e specialmente quando è privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo, non ad ottenere l'esecuzione coattiva di quel comando (Cass. n. 5925/2009), compiendo tutti quegli accertamenti indispensabili a comprendere e delimitare l'effettiva portata precettiva della sentenza di cui si chiede l'esecuzione (Cass. n. 646/2012; Cass. n. 15246/2012 e Cass. n. 9430/2014). Poiché il giudizio di ottemperanza mira a rendere effettivo, mediante l'adozione di idonei provvedimenti, l'ordine di esecuzione contenuto nella sentenza passata in giudicato, di cui costituisce un'integrazione ed un compimento, deve ritenersi complementare (Cass. S.U., n. 1593/1994) ad eventuale procedimento esecutivo, senza che possa ipotizzarsi una autenticità pregiudiziale dell'esecuzione forzata rispetto al giudizio di ottemperanza, il quale mira a garantire un'azione amministrativa conforme ad una decisione vincolante, segnatamente quando questa non contenga un precetto dotato dei caratteri di puntualità e precisione propri del tutolo esecutivo (Cons. St. n. 535/1990; Cons. St. n. 650/1991 e Cons. St. n. 711/1991), come accade nel caso di sentenze aventi ad oggetto un facere, ovvero di disposizioni relative ad adempimenti prodromici ad un pagamento; infatti, è proprio il comportamento inerte, elusivo, o peggio ancora, contrario al giudicato della P.A. condizione dell'azione di ottemperanza al giudicato (Cons.St. n. 652/1994; Cons. St. n. 779/1995; Cons. St. n. 328/1996 e Cass. 4123/2004). Il potere ermeneutico del giudice dell'ottemperanza sul comando inevaso, che non può essere sindacato nel merito, va esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendone il reale significato, ma non può essere attribuito un diritto nuovo e ulteriore rispetto a quello già riconosciuto con la sentenza da eseguire (Cass. n. 4126/2004; Cass. n. 22188/2004; Cass. n. 28944/2008 ; Cass. n. 13382/2016 e Cass. n. 15827/2016). Il giudizio di ottemperanza ha la funzione di «rendere effettivo» il contenuto nella sentenza passata in giudicato cosicché quando la sentenza accoglie il ricorso avverso il provvedimento di diniego di un'agevolazione, il giudice dell'ottemperanza può disporre il rimborso di quanto erroneamente versato, ancorché la sentenza in esecuzione non disponga esplicitamente in tal senso. (Cass. n. 23374/2006). È inammissibile il ricorso alla procedura di ottemperanza qualora il giudice di merito si sia limitato ad accertare l'illegittimità di un avviso di rettifica senza pronunciarsi in ordine ad un'istanza di rimborso, con la quale era stato richiesto dal contribuente il rimborso stesso; il ricorso alla procedura di ottemperanza prevista dall'art. 70, d.lgs. n. 546/1992, è consentito unicamente in presenza di una sentenza esecutiva che, decidendo nel merito una controversia tra contribuente e fisco, abbia impartito specifiche prescrizioni da eseguire (Cass. n. 28286/2013 e Cass. n. 1947/2008). Il ricorso alla procedura di ottemperanza è previsto dall'art. 70, d.lgs. n. 546/1992 per assicurare l'adempimento degli obblighi derivati da una sentenza di merito del giudice tributario; pertanto l'eventuale istanza extraprocessuale del creditore, sia pur fondata su detta sentenza, costituisce semplice sollecito al debitore per l'adempimento dell'obbligo, per cui il creditore non ha l'onere di impugnare preventivamente il rifiuto ad adempiere del debitore (o l'eventuale silenzio rifiuto sulla relativa istanza) per poter poi accedere al relativo giudizio (Cass. n. 25669/2008). Il giudizio di ottemperanza deve restare perimetrato negli invalicabili confini della sentenza di merito cui da esecuzione; pertanto, le parti non vi potranno nuovamente dedurre questioni attinenti il merito della controversia ormai definita (C.t.r. Lombardia n. 6585/2013). Il giudizio di ottemperanza è un procedimento sui generis volto alla concreta realizzazione della sentenza da eseguire, mirante a rendere effettivo un giudicato che ha già regolato i rapporti tra le parti. Pertanto il potere del giudice dell'ottemperanza non può modificare o attribuire un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello già contenuto nella sentenza da eseguire (C.t.r. Lazio, n. 223/2006). È ammissibile un ricorso per l'ottemperanza di sentenza di condanna al pagamento di somme non specificate, purchè determinabili dal contesto degli atti del processo cui si dà esecuzione (C.t.r. Lazio, n. 207/34/2005). I soci accomandanti che non hanno impugnato l'avviso di accertamento (n.d.r.: possibili fruitori del giudicato riflesso), non possono chiedere l'estensione a loro favore della ottemperanza della sentenza definitiva per la società e per il socio accomandatario, in quanto il giudice dell'ottemperanza non può entrare nel merito della sentenza in esecuzione (C.t.r. Toscana, n. 37/2005). Il coobbligato d'imposta non può avvantaggiarsi della pronuncia più favorevole definitivamente emessa nei confronti di altro debitore solidale, qualora egli sia destinatario di sentenza autonomamente efficace nei propri confronti. Il coobbligato d'imposta giudiziariamente inerte, può avvantaggiarsi del giudicato favorevole -non motivato da ragioni soggettive- emesso nei confronti dell'altro coobbligato (res inter alios acta) giudiziariamente attivo e vittorioso; il c.d. «giudicato riflesso» costituisce solo una preclusione all'esecuzione dell'atto impugnato, prossima negli effetti al giudicato formale e del tutto estranea al giudicato sostanziale, tanto da non poter costituire titolo per la ripetizione del debito già assolto. Costituisce, infatti, eccezione processuale, atta a contrastare la pretesa di pagamento solidale, ma non azione per la ripetizione di quanto già pagato; pertanto, l'onere economico dell'imposta già pagata resta a carico del contribuente che abbia adempiuto l'obbligazione, atteso che l'azione di regresso non è esperibile nei confronti di chi può eccepire il giudicato (sia proprio, sia riflesso). Diversamente opinando, se l'estensione del giudicato favorevole viene invocata non in virtù dell'art. 1306 c.c. ma perchè quello tributario è un processo di impugnazione-annullamento, allora l'annullamento ope iudicis dell'atto deve valere erga omnes, per cui il condebitore rimasto inerte potrà ottenere anche il rimborso di quanto pagato nelle more. Il principio del contraddittorio e il diritto di difesa impediscono, comunque, di opporre un giudicato sfavorevole a chi non abbia partecipato al processo o non sia stato messo in grado di esserne parte (Cass. n. 20065/2005). Sull'applicabilità dell'art. 1306, comma 2, c.c. vds. Cass. n. 21958/2013 e Cass. n. 22953/2013. L'Agente della riscossione è parte processuale esclusiva (non essendo configurabile un litisconsorzio necessario con l'ente impositore che, in questo caso, è privo di legitimatio ad causam) quando l'oggetto della controversia è circoscritto all'impugnazione di atti suoi, viziati da errori ad esso direttamente imputabili, come i vizi propri della cartella di pagamento e dell'avviso di mora (già previsto dall'art. 50, d.P.R. n. 602/1973, sostituito dall'art. 16, d.lgs. n. 46/1999, con l'avviso di intimazione ad adempiere), ai quali va equiparato, secondo il disposto dell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, il silenzio rifiuto su istanza di rimborso, come quella presentata da un contribuente che ha aderito al condono ex art. 12 l. n. 289/2002, per la restituzione di somme versate in riferimento a cartelle di pagamento sgravate dall'Agenzia delle Entrate (Cass. n. 8370/2015). Ne consegue l'inammissibilità del ricorso ove proposto esclusivamente nei confronti dell'Agenzia delle entrate, non potendosi configurare alcuna integrazione del contraddittorio nei confronti del Concessionario (Cass. n. 5832/2011). Il procedimento del giudizio di ottemperanza
Segue. a) Giurisdizione, competenza e giudicato In consonanza all'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992: «appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati», la relazione governativa al d.lgs. n. 546/1992, sul giudizio di ottemperanza tributario ha affermato che: «l'articolo 70 regola compiutamente il giudizio stesso» ed agli organi della giurisdizione tributaria «viene riconosciuta pienezza di poteri anche sul piano esecutivo». Il d.lgs. n. 546/1992 esaurendo nell'art. 70 la disciplina del giudizio di ottemperanza tributario, ha tagliato da tempo il nodo gordiano costituito dall'annosa disputa se la giurisdizione sull'ottemperanza al decisum tributario appartenesse ai giudici amministrativi (A.G.A.) o ai giudici ordinari (A.G.O.), in concorrenza con l'ordinaria loro giurisdizione per l'esecuzione civile. Il difetto di giurisdizione va rilevato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio; è ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41, comma 1, c.p.c.. Manca il regolamento di competenza (art. 5, comma 4, d.lgs. n. 546/1992: «non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sul regolamento di competenza») e l'unico criterio di ripartizione della competenza nel processo tributario è quello territoriale di cui agli art. 4 e 5. Nel giudizio di ottemperanza la ripartizione di competenza delle Commissioni tributarie non è verticale (articolata per gradi del giudizio) ma orizzontale (riconosciuta a quella medesima che ha pronunciato la sentenza da eseguire in ottemperanza o presso la Ctr se pende la prosecuzione del giudizio). La giurisdizione delle Commissioni tributarie sul punto è esclusiva, inderogabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio; è applicabile la translatio iudicii sia per la competenza ex combinato disposto art. 1 comma 2 d.lgs n. 546/1992 ed art. 50 c.p.c, sia per la giurisdizione ex art. 59 l. n. 69/2009. «La competenza giurisdizionale attribuita, ai sensi dell'art. 70 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in ordine al nuovo istituto del giudizio di ottemperanza nel processo tributario, alle commissioni tributarie provinciali e regionali di nuova istituzione deve essere estesa, sulla base dello stesso art. 70 citato e del complessivo sistema delle disposizioni del d.lgs. n. 546/1992, nonché in coerenza con la «intentio legis» (in assenza di una espressa disposizione di diritto intertemporale), anche relativamente alle decisioni delle soppresse commissioni tributarie di cui al previgente regime — comprese quelle della commissione tributaria centrale — con esclusione della giurisdizione del giudice amministrativo. La competenza delle nuove commissioni va distribuita tra commissioni provinciali e commissioni regionali, a seconda che le decisioni oggetto del giudizio di ottemperanza siano, rispettivamente, decisioni di prime cure o di ultima istanza degli organi previgenti.» (Cass.S.U., n. 9340/2002). Vds. anche C.t.r. Lombardia 109-01-2018. Quando la Commissione regionale rigetta l'impugnazione dell'Amministrazione finanziaria, esaminando il merito del rapporto devolutole, la sentenza di secondo grado sostituisce quella della Commissione provinciale e, quindi, oggetto di esecuzione del relativo giudicato è direttamente la sentenza della Commissione regionale, alla quale va attribuita la competenza a provvedere all'esecuzione del proprio giudicato (Cass. n. 18526/2005). Oltre ai casi di cui all'art. 69, comma 5, la competenza per i giudizi di ottemperanza tributari è attribuita dal successivo art. 70, alla commissione provinciale solo nel caso in cui una sentenza da essa pronunciata sia passata in giudicato per mancata impugnazione in appello, o nelle ipotesi in cui questa non sia stata sostituita devolutivamente da quella di appello —di tal chè costituisce giudicato meramente formale— quando il giudizio di secondo grado si concluda nel rito con una dichiarazione di irricevibilità, improponibilità, inammissibilità, improcedibilità, incompetenza, mancanza di giurisdizione, estinzione del giudizio etc., fatta eccezione dell'eventuale capo contenente la condanna alle spese, che può assumere il valore di giudicato sostanziale e costituire un titolo esecutivo autonomo, da far valere da solo in sede di ottemperanza davanti la Commissione regionale. In tutti gli altri casi la competenza per il giudizio di ottemperanza appartiene alla Commissione regionale, poiché la sentenza emessa in un grado superiore si sostituisce per devoluzione a quella emessa nel grado inferiore, superata per effetto delle nuove valutazioni operate da altro giudice, esplicitate nella necessaria relativa sua motivazione (Cass. n. 18266/2004). «La sentenza di appello si sostituisce alla sentenza impugnata nei casi di conferma o di riforma, non nei casi in cui dichiari l'inammissibilità, l'improcedibilità o l'improponibilità del gravame, in cui da essa non scaturisce alcun giudicato sulla pretesa sostanziale» (Cass. n. 6438/1992). L'assegnazione del ricorso per l'ottemperanza alla medesima sezione-collegio che ha pronunciato la sentenza da eseguire «ha semplice valenza di norma indicativa della distribuzione interna alla commissione tributaria competente (...sempre che il collegio sia formato dagli stessi giudici che hanno preso la decisione da attuare) e non di una competenza esclusiva di quella sezione.» (Cass. n. 25669/2008). Il giudizio di ottemperanza non attribuisce alle Commissioni una giurisdizione estesa al merito (Cass. n. 7388/2007), trattandosi di procedimento «chiuso», nel senso che il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita col giudicato (Cass. n. 28944/2008 e Cass. n. 11450/2011), di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendone il reale significato, ma non può essere attribuito un diritto nuovo e ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (Cass. n. 1947/2007), né può esserne adeguata la statuizione rispetto ad una situazione normativa sopravvenuta. (Cass. n. 19538/2014). Esaurite le impugnazioni ordinarie, si forma il c.d. «giudicato formale» (art. 324 c.p.c.: cosa giudicata formale) i cui effetti sostanziali sull'oggetto dedotto in giudizio si definiscono «giudicato sostanziale» (art. 2909 c.c.: cosa giudicata): due aspetti, quindi, del medesimo istituto. Con la locuzione «cosa giudicata formale» si mette in evidenza la stabilità processuale di una sentenza, non più impugnabile in via ordinaria (exceptío reí íudícatae); con «cosa giudicata sostanziale» se ne evidenzia, invece, il fare «stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa» (res inter alios judicatae alii non praeiudicant); l'una è un riflesso dell'altra (Cass. n. 9685/2003) essendo ambedue aspetti del medesimo fenomeno (Cass. n. 5840/1987). Poiché i vizi di nullità della sentenza si convertono in motivi di impugnazione ex art. 161, comma 1, c.p.c., il passaggio in giudicato formale determina la sanatoria delle nullità della sentenza. Il giudicato copre il dedotto ed il deducibile ovvero l'azione concretamente esercitata sia per i fatti costitutivi allegati sia per quegli altri implicitamente compresi dalla medesima causa petendi. Così come invece non lo producono gli «obiter dicta», ogni decisione «incidenter tantum», adottata ai sensi degli artt. 2 comma 3, o 7 comma 5, d.lgs n. 546/1992 od artt. 4 e 5, l. n. 2248/1865 all. E, ai soli fini della controversia di cui è causa, non produce giudicato (cfr. Cass.S.U., n. 8130/2003, sulla natura demaniale di un terreno; Cass. n. 2534/2003, sulla qualità d'erede e Cass. 11610/2003, sullo status di coltivatore diretto). Cass. 24433/2013 : «Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, il giudicato si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, anche ove ne sia solo il necessario presupposto logico, e la relativa preclusione opera anche nell'ipotesi in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono il «petitum» del primo (cfr. Cass. sez. lav. n. 7140/2002; Cass.S.U., n. 26482/2007). Tale indirizzo giurisprudenziale richiede che le cause, tra le stesse parti, abbiano ad oggetto un medesimo titolo negoziale od un medesimo rapporto giuridico ed una di esse sia stata definita con sentenza passata in giudicato: in tal caso, infatti, l'accertamento compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono l'esame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il «petitum» del primo» (cfr. Cass. III, n. 1365/2006; Cass. III, n. 19317/2006; Cass. III, n. 6628/2006). Ed ancora: «la formazione del giudicato, sia interno che esterno, è rilevabile d'ufficio dal giudice» (Cass. n. 14011/2007) «occorre però che sia in atti la sentenza, munita dell'attestazione del passaggio in giudicato» (Cass. n. 11889/2007; Cass. n. 24067/2006). È rilevabile d'ufficio per la prima volta anche in Cassazione se risulta già documentalmente acquisito agli atti di causa (Cass.S.U.,n. 295/2000 e Cass. n. 362/2006) o se sia intervenuto successivamente alla pronuncia impugnata per Cassazione. Nel giudizio di merito il giudicato esterno è rilevabile ad istanza di parte (la relativa eccezione può essere sollevata in qualsiasi momento prima della decisione. Cass. n. 266/2000 e Cass. n. 360/2006) e d'ufficio; qualora il giudicato si sia formato precedentemente all'emanazione della sentenza impugnata è possibile il ricorso per revocazione (ordinaria) ex art. 395 n. 5 c.p.c.. La Corte di Giustizia Unione Europea (CGUE) — in materia IVA (sent. C-2/08 del 2009 Olimpiclub) — ha affermato che il diritto eurounitario osta all'applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909, in tutti i casi in cui la decisione giurisdizionale nazionale passata in giudicato sia fondata su un'interpretazione in contrasto con il diritto eurounitario. Secondo la sentenza del Cons. St. n. 2866/2015, che conferma il precedente orientamento, le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) sono autonome rispetto al giudizio di ottemperanza ex art. 112 c.p.a., — e pertanto escluse — anche quando contengono condanne pecuniarie a favore di soggetti privati, perchè «non incidono direttamente nell'ordinamento giuridico dello Stato convenuto, vincolando, sul piano internazionale soltanto quest'ultimo a conformarvisi» (Cass.S.U., ord. n. 11826/2013). Segue. b) Legittimazione attiva. La legittimazione attiva è della parte che vi ha interesse”, normalmente quella privata vittoriosa nel giudizio di cognizione con una pronuncia di condanna esecutiva (nonchè dei suoi eredi o aventi causa ai sensi dell'articolo 2909 c.c.), accompagnata da una legittimazione sostitutiva riconosciuta ai suoi eventuali creditori che possono esperire un'azione surrogatoria qualora l'inerzia della parte privata vittoriosa, loro debitrice (nonchè creditrice del fisco) possa avere riflessi negativi sulla garanzia, di cui all'art. 2740 c.c. L'art 2900 c.c., infatti, prevede l'azione surrogatoria come mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, consentendo al creditore (surrogante) di sostituirsi al debitore (surrogato) nell'esercizio di diritti che quest'ultimo vanta verso terzi (debitor debitoris) ma che trascura al punto da far temere una insolvenza nei confronti del proprio creditore (surrogante). Il cessionario del credito i.v.a. (nella specie, mandatario irrevocabile all'incasso da titolare di credito i.v.a. a seguito di procedura esecutiva, proposta nei confronti di contribuente ed ufficio i.v.a.) che aveva partecipato al giudizio di merito da cui è derivata la pronuncia da ottemperare ha interesse e legittimazione a proporre il giudizio di ottemperanza (Cass. n. 1544/2002). Il ricorso per l'ottemperanza può essere presentato in proprio anche dal difensore in caso di condanna dell'ente impositore al pagamento delle spese del giudizio, distratte a suo favore ex art. 93, c.p.c., quando il difensore, nell'atto introduttivo del giudizio, si è dichiarato «antistatario» (o anticipatario o distrattario) ed il giudice deve liquidare in sentenza le spese di giudizio distraendole direttamente a favore di tale difensore. La Cass. n. 17157/2012: «Nel caso di riforma o annullamento della sentenza costituente titolo esecutivo di condanna al pagamento delle spese e degli onorari in favore del difensore della parte già vittoriosa, il quale abbia reso la dichiarazione di cui all'art. 93 c.p.c., tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è lo stesso difensore distrattario il quale, come titolare di un autonomo rapporto instauratosi direttamente con la parte già soccombente, è l'unico legittimato passivo rispetto all'azione di ripetizione d'indebito oggettivo proposta da tale parte, in favore della quale la restituzione di dette somme può essere disposta, oltre che in un giudizio autonomamente instaurato a tal fine, anche dal giudice dell'impugnazione o, in caso di cassazione, cassazione, dal giudice di rinvio ai sensi dell'art. 389 c.p.c. (Cass. n. 13752/2002)». Ai sensi dell'art. 93 c.p.c., il difensore con procura che si sia dichiarato anticipatario (o distrattario ovvero antistatario, per non aver riscosso gli onorari ed aver anticipato le spese del giudizio), può chiedere al giudice di distrarre a suo favore, direttamente nella medesima sentenza di condanna, il pagamento delle spese liquidate. Il debito per le spese, diritti ed onorari liquidati in sentenza e distratti a favore del procuratore antistatario è un'obbligazione pecuniaria. Controparte soccombente non è legittimata ad impugnare il provvedimento di distrazione e solamente il difensore distrattario è legittimato a proporre impugnazione ove sorga controversia sulla concessione della distrazione (Cass. n. 26089/2014). Tuttavia, la parte processuale assistita, che abbia poi provveduto al pagamento del proprio difensore, può chiedere al medesimo giudice la revoca del provvedimento di distrazione delle spese. La regolare notificazione -a cura del comune difensore abilitato- della medesima unica copia di titolo esecutivo (ad esempio: la sentenza tributaria di condanna al rimborso, che liquida anche le spese di lite, distratte a favore del difensore), contenente i distinti crediti di due soggetti privi di solidarietà attiva, quali una parte processuale vittoriosa ed il relativo difensore antistatario, non comporta alcuna nullità (Cass. n. 23914/2012).Infatti, nell'ipotesi di un “provvedimento giurisdizionale di condanna di un soggetto al pagamento di distinte somme di danaro in favore di più soggetti non legati da vincolo di solidarietà attiva, costoro possono notificare al debitore un unico precetto e procedere poi insieme agli atti esecutivi, in più processi esecutivi distinti, anche se contestuali e riuniti. Nè è configurabile una nullità del precetto per essere indicati i diversi crediti in una unica somma complessiva, risultando l'oggetto di ciascun credito dal titolo esecutivo, notificato al debitore, depositato dai creditori ed inserito nel fascicolo dell'esecuzione” (Cass. III, n. 798/1981). Anche il ricorso per l'ottemperanza tributaria può essere presentato -in proprio o insieme alla parte vittoriosa- da tale difensore; come nel caso in cui antistatario sia il difensore di parte privata e, secondo il Consiglio di Stato, n. 7441/2010: “il giudizio di ottemperanza deve ritenersi ammissibile non solo per l'esecuzione della parte della pronuncia contenente la condanna al pagamento delle spese di giudizio, ma anche quando esse siano liquidate in favore del difensore distrattario della parte vittoriosa”. Ed infatti, a seguito di tale statuizione “si instaura un rapporto obbligatorio tra detto difensore e la parte soccombente, che legittima il primo a proporre per il relativo adempimento un autonomo giudizio di ottemperanza, che non può che tendere, anche nei suoi riguardi, a far conseguire tutta l'utilità scaturente dalla pronuncia giurisdizionale ed illegittimamente negata dall'Amministrazione con un comportamento omissivo”. Anche il T.A.R. Puglia, Bari, II, sentenza n. 909/2016 in virtù del provvedimento di distrazione delle spese processuali in favore del difensore con procura della parte vittoriosa, “s'instaura, fra costui e la parte soccombente, un rapporto autonomo rispetto a quello fra i contendenti che, nei limiti della somma liquidata dal giudice, si affianca a quello di prestazione d'opera professionale fra il cliente vittorioso ed il suo procuratore. Ne deriva che il difensore distrattario è l'unico legittimato ad intimare il precetto di pagamento dell'importo delle spese e degli onorari e, analogamente, a chiedere l'esecuzione del giudicato con il rito dell'ottemperanza in sede di giudizio amministrativo” (Conf. Cass. III, n. 27041/2008; T.A.R. Lazio II, 24 febbraio 2015, n. 3275 e T.A.R. Piemonte, Torino I, 5 novembre 2014, n 1682). Vedasi anche annotazione dell'art. 69, paragr. "Spedizione in forma esecutiva della sentenza” Segue. c) Fase cognitiva, fase attuativa dell'esecuzione e spatium adimplendi Anche la giurisdizione esclusiva di merito (volta all'adozione di provvedimenti in luogo dell'amministrazione inadempiente, stabilendone, ove necessario, le modalità) del giudice tributario in sede di ottemperanza è partecipe delle due categorie: cognizione ed esecuzione (cfr. Nigro, 408, secondo il quale la cognizione del giudice amministrativo in tale sede è estesa all'intera attività amministrativa relativa al giudicato, fino ad esercitare tutti i poteri sostitutivi necessari alla relativa esecuzione). A differenza dell'ordinario processo cognitorio ex art. 27, d.lgs. n. 546/1992, quello d'ottemperanza (a cognizione sommaria) si articola in due distinte fasi: una prima, cognitoria-istruttoria, si svolge in contraddittorio tra le parti (rigorosamente limitato al tema e fortemente condizionato dall'esigenza di speditezza dell'esecuzione) e si conclude con la sentenza che adotta i provvedimenti indispensabili in luogo dell'Amministrazione inadempiente (ordina il compimento di determinati atti e/o esercita un potere sostitutorio attraverso la delega di un proprio giudice-componente o la nomina del commissario ad acta); una seconda, meramente esecutiva dei provvedimenti emanati dal collegio, dal componente delegato o dal commissario ad acta, si conclude con l'emissione di un'ordinanza che prende atto del perfetto adempimento. L'ultimo alinea del comma 2 prevede che il ricorso per l'ottemperanza possa essere proposto fino a quando l'obbligazione dell'Ente debitore, condannato inadempiente, non sia estinta; il termine prescrizionale cui qui far riferimento è quello dell'”actio iudicati” di cui all'art. 2953 c.c.e non quelli -eventualmente più brevi- previsti dalle singole leggi d'imposta. Il processo di ottemperanza, a differenza del rito ordinario, è privo di una «fase presidenziale» per il preventivo esame della ammissibilità e procedibilità del ricorso; tale attività è svolta, quindi, non dal Presidente della sezione ma, in via preliminare ad ogni altra valutazione, direttamente dal collegio, in camera di consiglio ex art. 70, comma 7, o dal giudice monocratico ex art. 70, comma 10-bis, d.lgs. n. 546/1992. Nel ricorso introduttivo del giudizio di ottemperanza prevale il petitum, atteso che la causa petendi si risolve nella contestata inottemperanza di controparte alla sentenza di condanna al rimborso, della quale il ricorrente chiede l'esecuzione, versata in atti ex art. 70, comma 3, d.lgs. n. 546/1992; con la domanda giudiziale di rimborso è chiesta una sentenza a contenuto complesso, volta a pronunciarsi non solo sull'accertamento del credito sottostante ma anche sull'annullamento del diniego e sulla condanna dell'amministrazione al relativo pagamento. Sono inefficaci per agire in executivis le sentenze di accertamento negativo («autoapplicative») o quelle di annullamento dell'atto impositivo («autoesecutive»); nonchè le sentenze tributarie dichiarative, costitutive o di condanna generica: la sentenza dichiarativa (o di mero accertamento) si limita ad accertare la realtà giuridica (ad esempio: una dichiarazione di nullità ex art. 21-septies, comma 1, l. n. 241/1990, oppure di riconoscimento dei requisiti per esenzioni o agevolazioni illegittimamente negate); la sentenza costitutiva, oltre all'accertamento, crea, modifica o estingue ex se un rapporto giuridico (ad esempio: annulla ex art. 21-octies, comma 1, l. n. 241/1990 un atto illegittimo); la sentenza di condanna, oltre all'accertamento, contiene un comando (positivo/negativo) alla parte soccombente di dare/facere (esempio di obbligo di dare: un pagamento di rimborso; di «obbligo di facere»: operazioni catastali come intestazione, delimitazione, figura, estensione e classamento dei terreni, attribuzione della rendita catastale, ripartizione dell'estimo tra compossessori, consistenza, classamento delle singole unità immobiliari urbane, oppure come emissioni di provvedimenti di iscrizione all'anagrafe delle ONLUS, riconoscimento di agevolazioni o di regimi fiscali speciali etc.). «Il ricorrente ... non può avanzare domande o far valere pretese che non derivino direttamene dal giudicato, né può sollevare nuove questioni di legittimità (ad eccezione del giudizio di costituzionalità, ritenuto ammissibile anche in questa fase) o dedurre motivi miranti ad una modifica del giudicato, né censurare gli eventuali provvedimenti emanati dall'Amministrazione in adempimento dell'obbligo. Egli, inoltre, non è tenuto a precisare le modalità dell'esecuzione, poiché spetta al giudice tributario stabilirli. Il contenuto del ricorso, infine, deve essere conforme a quanto intimato all'Amministrazione con la diffida» (Baglione, Menchini e Miccinesi, 1997, 609). Cass. n. 13681/2005 , sentenziando che il giudizio di ottemperanza ha come «suo oggetto ... non solo l'individuazione dei presupposti formali per la sua instaurazione, ma anche l'indagine di tutti gli effetti legalmente inclusi nel giudicato che risultano indispensabili per il ripristino dell'integrità della posizione del ricorrente», afferma la presenza di una eventuale fase cognitiva — residuale a quella già esperita nel precedente giudizio, al solo fine di una corretta interpretazione del giudicato, senza travalicarne i limiti, né modificarne illegittimamente il contenuto. Con il ricorso in ottemperanza deve essere indicata, a pena di inammissibilità (art. 70, comma 3), la sentenza passata in giudicato di cui si chiede l'ottemperanza, da produrre in copia (Cass. n. 15058/2003 e Cass. n. 5176/2010). Secondo la giurisprudenza di legittimità «il principio di effettività» opera «nel senso di ridurre ai casi indispensabili le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali». Ex plurimis: Cass. S.U., n. 3116/2006 e Cass. n. 27837/2013; Cass. n. 4431/2010; Cass. n. 4617/2008; Cass. n. 3042/2008; Cass. n. 18872/2007 e Cass. n. 905/2006. Trattasi, pertanto, di irregolarità c.d. «innocua», rimediabile con estrema semplicità, analogamente alla «mancata allegazione dell'atto impugnato» che «non determina dunque alcuna conseguenza ma sollecita piuttosto l'esercizio da parte della Commissione del potere di ordinare l'esibizione in giudizio, ai sensi dell'art. 22, comma 5, del d.lgs. n. 546/1992, degli originali degli atti e dei documenti di cui ai precedenti commi, e cioè del ricorso, dei documenti allegati dell'atto impugnato». (Ebreo — Petrucci, Il processo tributario. Commentario, quadri riassuntivi, formulario, tariffario, Novara 1998, 92). Secondo C.t. I Trento n. 57/2000: «parte ricorrente è onerata soltanto di individuare la sentenza che porta il giudicato, cioè l'elemento essenziale del giudizio, della quale è sufficiente la produzione in copia semplice, ogni carenza potendo essere eliminata procedendosi d'ufficio all'acquisizione del documento». La dottrina, comunque, ritiene che il termine ultimo per il deposito dei documenti sia quello della data di trattazione. In consonanza all'art. 17-bis, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, ove riproposta — emendata del vizio di improcedibilità, esiste giurisprudenza di merito (cfr. C.t.r Lombardia n. 111/5/09, C.t.r Lombardia n. 74/5/11 oppure C.t.r Lombardia n. 130/43/11 e C.t.r Lombardia, n. 80/43/12) che accoglie la riproposizione del ricorso respinto — con sentenza (rectius, con ordinanza) emessa limitatamente al rito — per mancato rispetto dei termini per il passaggio in giudicato della sentenza da eseguire o di quelli di cui all'art. 70, comma 2 (spatium adimplendi) perché tale termine costituisce solamente presupposto processuale inibitorio dell'esame della domanda. Per il rinvio di cui all'art. 1, comma 2. d.lgs. n. 546/1992 vedasi l'art. 487 c.p.c. «Salvo che la legge disponga altrimenti, i provvedimenti del giudice dell'esecuzione sono dati con ordinanza che può essere dal giudice stesso modificata o revocata finché non abbia avuto esecuzione. Per le ordinanze del giudice dell'esecuzione si osservano le disposizioni degli art. 176 e ss. in quanto applicabili e quella dell'art. 186». Giurisprudenza di legittimità costante (Cass. n. 24196/2006 e Cass. n. 11352/2012) insegna come nel giudizio di ottemperanza «l'ordinanza... si traduce in un provvedimento a carattere meramente ordinatorio» che « non può in alcun modo incidere su quanto stabilito dalla sentenza che definisce il giudizio di ottemperanza, a norma del d.lgs. 546 del 1992, art. 70, comma 7». Pertanto, mentre sono possibili processi di ottemperanza recanti più ordinanze, non sarebbero configurabili processi di ottemperanza recanti più sentenze. Parte pubblica obbligata a provvedere, entro venti giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 4, può trasmettere alla commissione adita le proprie osservazioni nonché, eventualmente, la documentazione attestante l'avvenuto pagamento del dovuto, senza alcuna necessità di formale costituzione, controdeduzione o memoria, avendo facoltà di svolgere mere osservazioni per opporre l'adempimento dell'obbligazione scaturente dal giudicato, formulare eccezioni di rito e/o di merito in ordine alla ammissibilità e fondatezza del ricorso, esclusa ogni questione di merito sollevabile nel giudizio di cognizione perchè coperta dal giudicato. In assenza di una previsione espressa nella procura, quella conferita da parte privata per il processo di cognizione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 83, comma 4, c.p.c. può essere data per più gradi di giudizio ma non può valere anche nel giudizio di ottemperanza, atteso che quello di ottemperanza non costituisce un grado del processo di cognizione, già esaurito con il passaggio in giudicato. Della data di trattazione, fissata nel termine (ordinatorio) di novanta giorni dal deposito del ricorso, le parti devono essere preavvertite almeno dieci giorni liberi prima, con comunicazione della segreteria; l'udienza avviene sempre in camera di consiglio, sui generis per la presenza delle parti ed il loro intervento attivo come per la trattazione dell'istanza di sospensione di cui agli artt. 47,52 e 62-bis, d.lgs. n. 546/1992, ma differente da quella prevista per l'emissione dell'ordinanza di cui al successivo art 70, comma 8, che resta disciplinata dall'art. 33, comma 2, stesso decreto; non è possibile la discussione in pubblica udienza, anche su concorde domanda delle parti; è possibile che il giudizio si protragga per diverse camere di consiglio in considerazione di esigenze istruttorie. L'art. 115 c.p.c. (richiamato come novellato dalla l. n. 69/2009 in virtù del rinvio dinamico dell'art. 1, comma 2. d.lgs. n. 546/1992) dice che: «salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita». Hanno valenza probatoria, quindi, sia quelle proposte dalle parti costituite sia le mancate contestazioni per il principio dell'equiparazione tra mancata contestazione e prova; Cass. n. 24992/2006 rileva come in nessun tipo di giudizio tributario esista la contumacia del convenuto e, quindi, questa non possa costituire in alcun modo implicite ammissioni sulla domanda dell'attore. La Commissione tributaria adita, non vincolata alle richieste del ricorrente, precisa i necessari provvedimenti attuativi con sentenza. Sono applicabili gli istituti della sospensione, interruzione ed estinzione del processo, mentre si pongono in contrasto con la natura del giudizio di ottemperanza l'incidente di sospensione dell'atto impugnato e la conciliazione giudiziale. L'inammissibilità, la sospensione, l'interruzione e l'estinzione del processo devono essere dichiarate con sentenza collegiale -o monocratica ex comma 10-bis d.lgs. n. 546/1992- e non con decreto del presidente della Sezione poiché l'art. 70, d.lgs. n. 546/1992, non richiama le disposizioni di cui ai precedenti artt. 27 e 28. L'art. 70 del d.lgs. n. 546/1992 non limita la procedura per l'ottemperanza alla sola pronuncia definitiva esaustiva dell'intera controversia, bensì consente l'attuazione coattiva anche di singole parti o capi autonomi della sentenza, rispetto ai quali si sia formato il giudicato interno, l'esistenza del quale va accertata dal giudice dell'ottemperanza — nell'ambito dei suoi poteri di verifica dei presupposti processuali della domanda — anche in assenza della relativa certificazione di cancelleria o segreteria (Cass. n. 980/2009). La sentenza con cui si adottano i provvedimenti indispensabili per l'ottemperanza ai sensi dell'articolo 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992, consegue unicamente a una precedente sentenza di condanna esecutiva per l'adempimento degli obblighi che da questa direttamente discendono. Pertanto, ove questa sentenza, pur avendo definitivamente annullato l'avviso di accertamento emesso dall'ufficio, non abbia altresì condannato l'amministrazione finanziaria al rimborso del diritto, ma solo al pagamento delle spese processuali, l'ufficio potrà provvedere al rimborso del diritto nei termini di legge, di propria iniziativa o su istanza del contribuente, che può comunque intraprendere un nuovo procedimento avverso l'eventuale provvedimento di rigetto (implicito o esplicito) dell'ufficio (C.t.r. Lombardia, 6 luglio 2004). Il ricorso per l'ottemperanza agli obblighi derivati da una sentenza emessa dalla commissione tributaria passata in giudicato, ex art. 70, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 è proponibile «solo dopo la scadenza del termine» assegnato dalla legge per l'adempimento all'Ufficio finanziario o all'ente locale, «o, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni dalla loro messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario»; con il ricorso in ottemperanza, a norma del comma 3, deve essere prodotta in copia la sentenza passata in giudicato di cui si chiede l'ottemperanza «unitamente all'originale o copia autentica dell'atto di messa in mora notificato a norma del comma precedente, se necessario» (Cass. n. 15058/2003 e Cass. n. 15176/2010). In mancanza di un termine legale per l'adempimento della sentenza, è improponibile il giudizio di ottemperanza non preceduto dalla messa in mora dell'A.F. a mezzo di ufficiale giudiziario, come prescritto dall'art. 70, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 (C.t.r. Sardegna, n. 10/2006). L'atto di intimazione alla conformazione (per gli effetti processuali) e messa in mora (per gli effetti sostanziali) è atto stragiudiziale che deve essere sottoscritto direttamente dalla parte o da un suo rappresentante negoziale sostanziale, e non processuale, per essere notificato – solo tramite ufficiale giudiziario — all'ente inadempiente e non alla relativa «Avvocatura» neanche nell'ipotesi in cui questa abbia già svolto la difesa nel giudizio passato in giudicato di cui si chiede l'ottemperanza. Il dies a quo del termine dilatorio — che ha una valenza sostanziale e non processuale (per cui non subisce la sospensione dei termini prevista nel periodo feriale) — è sempre e solo quello in cui l'atto di messa in mora è stato effettivamente e ritualmente notificato all'ente inadempiente — e non quello della consegna all'ufficiale giudiziario — ex art. 16 comma 5, seconda parte, d.lgs. n. 546/1992 atteso che, per un eventuale adempimento tardivo, è necessaria l'effettiva conoscenza da parte del destinatario. È inammissibile (recte: improponibile) il ricorso per ottemperanza preceduto da notifica all'Amministrazione finanziaria di atto di significazione e diffida stragiudiziale anziché da atto di messa in mora come previsto dall'art. 70, comma 2, d.lgs. n. 546/1992. (C.t.r. Lazio, n. 2/25/2004). Pregevole dottrina ritiene non necessaria l'intimazione e messa in mora dell'amministrazione che ha formalmente dichiarato di non intendere eseguire il giudicato. Il giudizio di ottemperanza può essere intrapreso soltanto dopo la scadenza dello «spatium adimplendi» che la legge tributaria prevede affinchè l'Amministrazione soccombente possa dare esecuzione alla sentenza; in tal caso l'atto di intimazione e messa in mora, non assurge a presupposto necessario per l'ammissibilità (recte: per la proponibilità) del ricorso (C.t.r. Lazio, n. 15/2003). come, ad esempio, per la restituzione dell'eccedenza dei pagamenti già eseguiti in pendenza del processo (art. 68, comma 2, del d.lgs n. 546/1992: 90 giorni) richiesti nel ricorso e disposti in sentenza come capo autonomo di condanna; per la Tarsu (art. 75, comma 1, del d.lgs. n. 507/1993: 90 giorni); per l'Ici (art. 13, comma 1, del d.lgs n. 504/1992: 60 giorni) etc. Il contribuente creditore ha l'onere, quindi, di verificare se la disciplina del tributo de quo preveda o meno un termine dilatorio; in mancanza di tale termine vige quello di 30 giorni — previsto dall'art. 70, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 — a decorrere dalla data di necessaria messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario; non si applica l'art. 14, comma 1, l. n. 30/1997, di conversione del d.l. n. 669/1996, recante disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997, così come modificato dall'art. 147, comma 1, lett. a), l. n. 388/2000, atteso che trattasi di procedura speciale: tributaria (diversa ed alternativa a quella ordinaria di esecuzione civile, distinta da quella omologa amministrativa) la cui disciplina si esaurisce nella chiusa specialità del disposto dell'art. 70 d.lgs. n. 546/1992, come affermato dalla relativa relazione governativa che sul giudizio di ottemperanza così testualmente recita: «l'articolo 70 regola compiutamente il giudizio stesso». In deroga all'art. 480, comma 1, c.p.c. (10 giorni), quando è debitrice la P.A., ex art. 14, comma 1, l. n. 30/1997, di conversione del d.l. n. 669/1996, recante disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997, così come modificato dall'art. 147, comma 1, lett. a), l. n. 388/2000, le amministrazioni pubbliche «completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di denaro entro centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atti di precetto». Non si applica l'art. 14, comma 1, l. n. 30/1997, di conversione del d.l. n. 669/1996, recante disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997, così come modificato dall'art. 147, comma 1, lett. a), l. n. 388/2000, perché il termine dilatorio è valido solo per l'esecuzione civile e amministrativa ma non per il giudizio di ottemperanza che, peraltro, postula solo il passaggio in giudicato della sentenza da eseguire senza necessità di formula esecutiva. Infatti, secondo Cass. n. 20202/2010, l'unico termine dilatorio valido per il giudizio di ottemperanza tributaria è quello previsto da ogni singolo tributo ed, in mancanza, dall'art. 70, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 (30 giorni) perchè il giudice dell'ottemperanza non procede all'esecuzione forzata stricto sensu ma all'emissione di mandati di pagamento in via sostitutiva all'amministrazione inadempiente. Segue. d). Poteri e provvedimenti del giudice La straordinaria efficacia del giudizio di ottemperanza consiste nella possibilità di ottenere un perfetto e rapido adempimento dall'Ente impositore condannato anche sulla base di sentenze di difficile esecuzione quali quelle che difettano di una condanna espressa, che rappresentano un precetto insufficientemente predeterminato, che costituiscono giudicato interno per gli effetti di cui all'art. 56 d.lgs. n. 546/1992 a causa di una loro impugnazione parziale etc.; infatti, secondo Cass. n. 4126/2004, esso «mira a garantire un'azione amministrativa conforme ad una decisione vincolante soprattutto allorché questa non contenga un precetto dotato dei caratteri di puntualità e precisione propri del titolo esecutivo». In tali casi il giudice deve desumere il contenuto o, comunque, l'effetto di condanna ad adempiere andando anche oltre la mera interpretazione letterale del dispositivo, fino ad arrivare alla valorizzazione dell'antecedente logico-giuridico, sul quale lo stesso dispositivo è fondato, che è la motivazione (Cass. n. 13681/2005) della sentenza da ottemperare nell'esercizio di un ineludibile potere-dovere ermeneutico dell'originaria intangibile statuizione di condanna resa nel giudizio cognitorio. «L'art. 70 d.lgs. n. 546/1992, il quale detta la disciplina del giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle commissioni tributarie passate in giudicato, non limita l'iniziativa delle parti alla sola ipotesi di pronuncia definitiva esaustiva dell'intera controversia, bensì consente l'attuazione coattiva anche di singole parti o capi autonomi della sentenza, rispetto ai quali si sia formato il giudicato interno, l'esistenza del quale va accertata dal giudice dell'ottemperanza – nell'ambito dei suoi poteri di verifica dei presupposti processuali della domanda – anche in assenza della relativa certificazione di cancelleria o segreteria. Inoltre, nel caso di sentenze di condanna costituenti titolo esecutivo, deve ritenersi che l'esecuzione forzata ordinaria, secondo le norme del codice di procedura civile, e l'esecuzione in sede tributaria, mediante il giudizio di ottemperanza disciplinato dalla norma sopra citata, costituiscano mezzi di tutela concorrenti e cumulabili, esperibili, quindi, anche contestualmente, affinché la pretesa creditoria espressa nel giudicato sia puntualmente attuata in via coattiva» (Cass. n. 358/2004). Si definisce «autoapplicativa» (come una sentenza di accertamento negativo) o «autoesecutiva» (come una sentenza di annullamento dell'atto impositivo) la sentenza che «in virtù del suo contenuto precettivo completo ed esauriente, non abbisogna di alcuna integrazione per ricevere compimento nella realtà fattuale» T.A.R. Campania 12 giugno 2001, n. 2698. «Ne consegue che la sentenza di merito, pronunziata in primo grado dal Tar, confermata in appello, che può qualificarsi come auto esecutiva, ha soddisfatto l'interesse azionato già con la caducazione dell'atto illegittimo, riespandendo la sfera giuridica degli interessati senza la necessità di un intervento conformativo della amministrazione.» (Cons. St. III, n. 7314/2011). Purtuttavia, una sentenza autoesecutiva, come quella che disponga lo sgravio di somme indebitamente iscritte a ruolo, o per le quali l'esattore ritardi la cancellazione della relativa ipoteca o fermo (c.d. ganasce fiscali), necessitando per l'esecuzione di provvedimenti amministrativi attuativi può essere oggetto di ottemperanza. Cass. n. 23374/2006, ha stabilito che la mancanza nella sentenza ineseguita di un formale comando «non esclude l'obbligo dello stesso giudice investito dell'ottemperanza di rendere effettivo il comando ... concernente [nella specie] il diritto della contribuente a fruire degli specifici benefici fiscali alla stessa riconosciuti». Nel giudizio di ottemperanza il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita col giudicato, enucleando e precisando il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendone il reale significato, senza attribuire alcun diritto nuovo e ulteriore rispetto a quello già riconosciuto con la sentenza da eseguire, senza adeguare la statuizione ad una eventuale sopravvenuta situazione normativa (Cass. n. 19538/2014, Cass. n. 13681/2005, Cass. n. 11450/2011 e Cass. n. 28944/2008) e senza negare il diritto riconosciuto dal dictum azionato (Cass. n. 8830/2014). La Cass. n. 25696/2009 precisa inoltre che «il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita con il giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla relativa decisione, chiarendosene il reale significato, ma non può essere attribuito un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire». Cass. n. 15246/2012 precisa infine che: «il giudizio di ottemperanza ... presenta connotati diversi dal corrispondente e concorrente giudizio esecutivo civile, atteso che il suo scopo non è quello di ottenere l'esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, bensì quello di rendere effettivo quel comando, compiendo tutti quegli accertamenti indispensabili a delimitare l'effettiva portata precettiva della sentenza di cui si chiede l'esecuzione (v. Cass. n. 20202/2010, Cass. n. 646/2012). È bensì vero, pertanto, che ... ben può – e deve – il giudice dell'ottemperanza enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendone il reale significato (Cass. n. 22188/2004), anche in relazione a quegli accessori del credito consacrato nel decisum che non abbiano trovato espressa applicazione da parte del giudice di merito, ma che possano – proprio per tale loro natura – essere considerati ricompresi nella pronuncia da eseguire. ... la domanda, avanzata in sede di giudizio di ottemperanza, di corresponsione degli interessi ad un tasso maggiore di quello applicato dal commissario ad acta deve ritenersi indubbiamente ricompresa – stante la natura meramente accessoria di tale obbligazione rispetto a quella di restituzione della sorte capitale – nel giudicato oggetto del giudizio di ottemperanza (cfr. Cass. n. 3555/2005)». Il giudice tributario può demandare all'Ufficio la rideterminazione dell'imposta (ed anche della sanzione) nel caso di parziale accoglimento delle doglianze del contribuente, a condizione che ciò avvenga attraverso prescrizioni determinate (quale, ad esempio, la mera esecuzione di calcoli aritmetici) e comunque prive di elementi di tipo valutativo. All'eventuale inerzia o difformità dell'atto adottato dall'Ufficio, rispetto al comando contenuto nella sentenza, è sempre ammesso il rimedio del giudizio di ottemperanza, al fine di rendere effettivo quel comando, attraverso la enucleazione e precisazione del contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato (Cass. n. 4126/2004, Cass. n. 28944/2008, Cass. n. 25696/2009 e Cass. n. 4884/2013). Il vincolo del giudicato esterno, ordinariamente operante nel caso in cui due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi costituisca la premessa logica indispensabile per la statuizione relativa all'altro, incontra un limite nel carattere «chiuso» del giudizio di ottemperanza atteso che il potere del giudice di enucleare il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione deve essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia irrevocabilmente definita, e non può quindi estendersi alla valutazione degli effetti potenziali del giudicato che appartiene al momento della cognizione. Pertanto, nel caso in cui il giudicato abbia ad oggetto il riconoscimento della spettanza di un'agevolazione fiscale in riferimento ad una specifica annualità, non può chiedersene l'estensione ad un'annualità diversa, al fine di ottenere il rimborso dell'imposta per essa versata, in quanto il diritto al rimborso postula l'accertamento di ulteriori presupposti di fatto, quali l'avvenuto pagamento e la sua misura, estranei all'oggetto del giudicato (Cass. n. 8486/2009). Il provvedimento con il quale il giudice dell'ottemperanza, adotta le misure attuative indispensabili per l'esecuzione del giudicato e nomina un commissario ad acta, stabilendone il compenso e fissandogli un termine per provvedere, ha natura di sentenza; pertanto, non può essere successivamente modifcato dallo stesso giudice che lo ha emesso, neanche nel caso di giudizio per l'ottemperanza di una sentenza (autoesecutiva) di mero annullamento del silenzio-rifiuto e quindi priva di condanna al pagamento, per la quale siano successivamente emersi dubbi di ammissibilità del giudizio di ottemperanza (Cass. n. 24196/2006). «L'art. 70 d.lgs. n. 546/1992 prevede quale provvedimento terminativo del giudizio soltanto la sentenza in caso di accoglimento del ricorso, nulla disponendo per l'ipotesi di rigetto. La pronuncia di rigetto è «allo stato», nulla impedendo alla parte creditrice di iniziare altro giudizio di ottemperanza al verificarsi delle condizioni di legge. Di conseguenza, giusta il canone di cui all'art. 131 comma 2 c.p.c., la forma propria del provvedimento di rigetto non è quella della sentenza, ma quella della ordinanza, come tale non suscettibile di passaggio in giudicato neppure formale» (C.t.r. Piemonte, n. 5/38/2003, in G.T Riv. giur. trib. 2003, 981 in nota di Glendi). Ex art. 35, comma 3, d.lgs. n. 546/1992: «...Non sono tuttavia ammesse sentenze non definitive o limitate ad alcune domande». Sfugge il motivo di fondo per il quale il processo d'ottemperanza tributario sia chiuso con ordinanza e non con sentenza mentre il provvedimento d'accoglimento adottato, dopo l'audizione delle parti in contraddittorio e l'acquisizione della documentazione necessaria, sia una sentenza e non un'ordinanza. Cfr. Glendi, Commentario, cit. «... si è indotti a ritenere che il legislatore con la disciplina in commento abbia voluto anticipare e rendere necessaria, con la trattazione da esperirsi avanti il collegio e nel contraddittorio delle parti, quella fase che nel processo esecutivo processualcivilistico è, al contrario, posticipata e soltanto eventuale, e consiste nei cd.«incidenti di natura cognitiva», dell'opposizione all'esecuzione e dell'opposizione agli atti esecutivi di cui, rispettivamente, agli artt. 615 e 617 c.p.c.». La mancata esecuzione del giudicato può costituire: - illecito civile per il quale il danneggiato può citare in giudizio direttamente il funzionario responsabile al fine di ottenere il risarcimento del danno subito sia in termini di danno emergente (interessi, rivalutazione monetaria, etc.) sia di lucro cessante (perdita di affari per mancata liquidità direttamente conseguente all'ineseguito rimborso etc.). - reato di mancata esecuzione di un ordine del giudice (art. 650 c.p.) se non di omissione di atto d'ufficio (art. 328 c.p..) alla cui denuncia è personalmente obbligato il P.U. (C.t.r. Lombardia, Ord. 851/1/2018). - illecito contabile per il quale caso la C.t.r. Friuli-Venezia Giulia, n. 77/2001, nell'accogliere il ricorso e dopo aver nominato per gli adempimenti necessari un commissario ad acta, dispose «la notifica della ... sentenza alla Procura regionale per il Friuli-Venezia Giulia della Corte dei Conti per il riscontro di eventuali responsabilità in relazione alla ... causa». Responsabilità contabili e penali incombono direttamente anche sul P.U. che abbia omesso le doverose denunce (361 c.p.). Il P.U. ha un obbligo giuridico diretto (ex art. 83 l. n. 1240/1923, art. 53 commi 2 e 3 r.d. n. 1214/1934: «La denunzia deve essere immediata. Quando nel giudizio di responsabilità la Corte accerti che per dolo o colpa grave, fu omessa la denuncia, a carico di personale dipendente, può condannare al risarcimento, oltre gli autori del danno, anche coloro che omisero la denuncia», artt. 20 e 21 t.u. n. 3/1957, art. 1 comma 3,l. n. 20/1994) di trasmettere alla Procura della Corte dei conti un rapporto su eventuali responsabilità per danno erariale (secondo Corte dei conti Puglia, sent. n. 5/1998, l'esecuzione della sentenza con nomina del commissario ad acta è fonte di danno erariale addebitabile al funzionario preposto all'ufficio inadempiente condannato, misurabile con il costo dell'attività commissariale e degli interessi dovuti per il ritardo) conseguente al mancato tempestivo e completo adempimento del giudicato, nonché alla Procura della Repubblica (ex art. 331 c.p.p.) denuncia per eventuali rilievi penali; l'inadempimento dell'ente impositore condannato può configurare il reato previsto e punito dall'articolo 328 c.p. (rifiuto e omissione di atti d'ufficio), 650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità) etc. Cfr. C.t.p. Pesaro, 94 febbraio 1999. Segue. e) L'attività del collegio giudicante, del giudice monocratico e del giudice delegato Il giudice dell'ottemperanza deve verificare prioritariamente il dispositivo della sentenza inapplicata al fine di individuare gli obblighi ivi prescritti, valutarne la portata insieme alla motivazione, per poi svolgere la tipica attività di merito dell'ottemperanza: l'adozione di provvedimenti in luogo dell'amministrazione inadempiente; a tale scopo, il giudice deve individuare il complessivo oggetto dell'ottemperanza per il ripristino dell'integrità della posizione del ricorrente, onde poter realizzare non un'espropriazione di beni propria dell'esecuzione ordinaria, ma la sostituzione coattiva dell'attività amministrativa che l'Ufficio avrebbe dovuto svolgere e non ha svolto, o ha svolto in maniera difforme dal giudicato. Spetta al giudice della ottemperanza, stabilire le modalità di esecuzione del giudicato rimasto ineseguito, ove tali modalità non sono in esso puntualmente precisate; appartiene alla discrezionalità del giudice tributario dell'ottemperanza, così come nei corrispondenti giudizi amministrativi, l'individuazione dei mezzi idonei ad assicurare l'esecuzione del giudicato, sia attraverso l'adozione di statuizioni amministrative, quali la comminatoria di un termine all'Ufficio per l'esecuzione, sia attraverso la nomina di un Commissario ad acta della sentenza, tenuto conto che il giudizio di ottemperanza non costituisce una nuova vicenda processuale, rispetto alla pretesa sostanziale della parte, ma solo un'integrazione volta alla realizzazione del giudicato (Cass. n. 5925/2009). Acquisita ogni cognizione funzionale all'ottemperanza ed emessa la sentenza contenente i necessari provvedimenti, il relativo procedimento continua con l'attività stricto sensu esecutiva — che lo stesso giudice collegiale, un componente delegato o, se necessario, un commissario ad acta nominato, sono tenuti a svolgere — per essere dichiarato chiuso con ordinanza (ai sensi del comma 8) solo dopo aver «eseguiti i provvedimenti di cui al comma precedente e preso atto di quelli emanati ed eseguiti dal componente delegato o dal commissario nominato». I poteri del giudice-componente delegato o del commissario ad acta nominato sono attribuiti con la sentenza di ottemperanza; pertanto, costoro non potranno autonomamente interpretare la sentenza da eseguire ma sono obbligati all'interpretazione che ne ha dato il giudice dell'ottemperanza in quanto la loro attività va direttamente riferita a tale giudice. Ove la loro attività fosse estranea ed autonoma rispetto al giudicato da eseguire caso, il giudice delegato o il commissario ad acta ne rispondono personalmente per aver esercitato autoreferenzialmente un'attività di amministrazione straordinaria (e non più giurisdizionale); per rimanere in ambito giurisdizionale, devono sollecitare il giudice dell'ottemperanza ad emettere ordinanza orientata nel senso da loro prospettato. Per quanto riguarda l'attività commissariale che ha esulato dallo stretto «perimetro» della perfetta ottemperanza al dictum non si può che concordare con la tesi «meccanicamente» sostitutiva dell'ente inadempiente non solo nell'attività (amministrativa) ma anche nei poteri (amministrativi), postulando una mera sostituzione dell'agente (come versione giudiziaria della avocazione/sostituzione gerarchica amministrativa) nella misura in cui trattasi di «amministrazione straordinaria». «Nell'ambito delle Amministrazioni dello Stato, il dirigente responsabile della spesa, in assenza di disponibilità finanziarie nel pertinente capitolo di bilancio per eseguire provvedimenti giurisdizionali o lodi arbitrali, deve disporre il pagamento mediante emissione di uno «speciale ordine di pagamento» da scritturare al conto sospeso «collettivi». Le modalità di emissione dello «speciale ordine di pagamento» sono disciplinate dal d.m. 1 ottobre 2002 (che ha sostituito il precedente decreto attuativo del 2 aprile 1997). Successivamente, la facoltà di avvalersi di tale procedura è stata accordata dal MEF anche alle Agenzie fiscali e, per esse, ai commissari ad acta nominati dal giudice per l'esecuzione delle sentenze di condanna contro l'Amministrazione finanziaria (Mulone, La Banca d'Italia e la tesoreria dello Stato» in Bancaditalia.it, ottobre 2006). Attesane la natura giurisdizionale, l'attività commissariale per l'emissione degli Speciali Ordini di Pagamento in conto sospeso (S.O.P.) non necessita mai di alcuna autorizzazione amministrativa. (LabrunaIl giudizio di ottemperanza e la figura del commissario ad acta. Il giudicato tributario e la sua esecuzione civile, contabile e tributaria nell'interesse della parte privata. Boll. trib. inf. n. 9/2014, 663). La legge consente di rivolgere l'emissione dell'ordine in conto sospeso unicamente nei confronti del tesoriere provinciale, mentre tale procedura non era assolutamente ammessa nei confronti del concessionario della riscossione che non rivestiva la qualità di tesoriere dell'Amministrazione (Circ. Ag. Ent. 4 febbraio 2003, n. 5/E). Segue. f) Interessi, rivalutazione monetaria e spese conseguenziali all'esecuzione della sentenza
Gli accessori di un credito, fra cui gli interessi, possono essere riconosciuti dal giudice solo in presenza di domanda della parte; pertanto, ove il giudicato (nel caso di specie: della Cassazione in sede di pronuncia sul merito) disponga solo del capitale, il giudice dell'ottemperanza (art. 70, d.lgs. n. 546/1992) non può riconoscere gli interessi al contribuente in assenza di una specifica pronuncia nel dispositivo (e la relativa constatazione può essere compiuta dalla Corte di Cassazione in quanto la valutazione della portata del giudicato è questione di diritto e non di fatto) (Cass. n. 5069/2011). Il giudice dell'ottemperanza deve enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendone il reale significato anche in relazione a quegli accessori del credito consacrato nel decisum che non abbiano trovato espressa applicazione da parte del giudice di merito (Cass. n. 15246/2012). La decisione del giudice dell'ottemperanza che, nel silenzio dei giudici sulla domanda di pagamento degli interessi formulata dal contribuente, consideri il ricorso accolto nel suo complesso, compresa la richiesta di pagamento degli interessi, avuto riguardo alla natura meramente accessoria di tale obbligazione e alla compatibilità di tale interpretazione del giudicato sia con il dispositivo che con la sua motivazione, costituisce una corretta applicazione del principio derivante dall'art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992 (Cass. n. 3555/2005). Nelle obbligazioni di «valuta», il danno da ritardo nell'adempimento va risarcito con il riconoscimento dell'obbligazione accessoria del pagamento degli interessi per tutto il periodo di mora debendi, come stabilito dall'art. 1224, comma 1, c.c., e l'eventuale maggior danno, ad esempio per svalutazione medio tempore del danaro, con la rivalutazione del credito basata anche su presunzioni, ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c.. Il ritardo nell'adempimento di una obbligazione causa al creditore il danno della mancata disponibilità del danaro (o di altra utilità) tra il termine fissato e l'effettivo adempimento; costituisce, pertanto, un illecito civile tra le cui sanzioni possibili va annoverato l'obbligo di risarcimento (e non indennizzo) integrale sia del danno emergente sia del lucro cessante, ex art. 1223 c.c. Presupposto del riconoscimento del maggior danno da ritardo nell'adempimento di obbligazione pecuniaria è che il debitore sia costituito in mora. La mora del debitore, ovvero il ritardo colpevole ad adempiere, sussiste quando la mancata o ritardata liquidazione sia conseguente alla condotta ingiustificatamente dilatoria. Tale principio si applica anche al ritardato pagamento di rimborso d'imposta, per il quale l'amministrazione tributaria può essere condannata al risarcimento del danno a favore del contribuente (Cass. 16797/2016).. Relativamente ad una eventuale richiesta di risarcimento dei danni subiti dal ricorrente, successivamente alla presentazione del ricorso e nelle more della procedura, il giudice dell'ottemperanza potrà condannare l'ente inadempiente alla sola corresponsione degli interessi previsti dalle singole leggi d'imposta e mai al risarcimento ex art. 2043 c.c., per il quale il contribuente potrà adire direttamente il giudice ordinario. Gli interessi anatocistici postulano i requisiti specifici indicati dall'art. 1283 c.c., e l'obbligo restitutorio è debito di valuta e non di valore (Cass. n. 22664/2015), come tale non soggetto a rivalutazione monetaria che può essere riconosciuta solo a condizione che il creditore alleghi e dimostri, ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c., l'esistenza del maggior danno derivante dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora, non compensato dalla corresponsione degli interessi legali di cui all'art. 1224, comma 1, c.c.; rimane comunque esclusa la possibilità di cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi compensativi (ex plurimis: Cass. n. 18653/2004 e Cass. n. 11961/2003). Secondo giurisprudenza costante di legittimità (Cass. S.U., n. 19499/2010 e Cass. S.U., n. 1712/1995) il maggior danno di cui all'art. 1224, comma 2, c.c. può presumersi quando, medio tempore, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. In tal caso il risarcimento del maggior danno prescinde dalla qualità soggettiva o dall'attività svolta dal creditore che, se chiede a titolo di risarcimento del maggior danno una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l'onere di provarne l'ammontare, anche attraverso presunzioni semplici; ad esempio la società commerciale avrà l'onere di dimostrare di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone gli interessi passivi al tasso di libero mercato, oppure quale fosse la produttività della propria azienda, per le somme in essa investibili; il debitore, invece ha l'onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore non avrebbe potuto utilizzare il danaro tempestivamente pagatogli in attività idonee a garantire un rendimento superiore al saggio legale (Cass. n. 21828/2010). La Corte di cassazione, che già con sentenza Cass. n. 552/1999 aveva ritenuto applicabile l'anatocismo ai rimborsi fiscali, con sentenza Cass. n. 17993/2012, ha precisato che «in tema di rimborsi per crediti fiscali, in considerazione della portata innovativa (e non interpretativa) dell'art. 37, comma 50, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248), gli interessi anatocistici sulle somme dovute a titolo di ritardato rimborso d'imposta al contribuente non si calcolano a decorrere dal 4 luglio 2006, data di entrata in vigore della norma, mentre il principio dettato dall'art. 1283 c.c. continua ad avere pieno effetto per il periodo anteriore». L'anatocismo è un metodo di calcolo degli interessi che somma gli interessi già periodicamente maturati al capitale, di tal ché questi interessi capitalizzati, in quanto divenuti capitale, producono altri interessi nei periodi successivi in ragione del principio generale dettato dall'articolo 1283 c.c.: «gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi». In sede di giudizio tributario di ottemperanza, in relazione a fattispecie anteriori all'entrata in vigore del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in legge 4 agosto 2006 n. 248, gli interessi anatostici vanno liquidati, ai sensi dell'art. 1283 c.c., sugli interessi già scaduti alla data di proposizione del giudizio di ottemperanza, ai tassi previsti dalla disciplina codicistica, mentre sul capitale iniziale devono essere liquidati gli ordinari interessi moratori ai tassi previsti dalle leggi tributarie (Cass. n. 6850/2009). Né gli interessi anatocistici né il maggior danno da svalutazione possono ritenersi effetti naturali della liquidità ed esigibilità del credito; sicché la condanna al relativo pagamento non può ritenersi ricompresa in un giudicato limitato a disporre il rimborso di tributi. (Cass. n. 4401/2008). Non può essere accolta la richiesta di interessi anatocistici effettuata solo nel ricorso di ottemperanza, attestandone la natura meramente esecutiva e non potendosi ritenere implicitamente compresa nella domanda di rimborso del capitale e degli interessi di legge; per espressa previsione dell'art. 1283 c.c., necessita una domanda specifica, autonoma e distinta da quella relativa agli interessi principali (C.t.r. Lazio, n. 216/2006). È inammissibile la richiesta di interessi anatocistici (ed, a maggior ragione, la richiesta di condanna dell'Amministrazione inadempiente alla rivalutazione monetaria del debito) introdotta col ricorso di ottemperanza ad una sentenza che abbia già disposto il solo rimborso di tributi e gli interessi corrispettivi, perché il giudice della ottemperanza non può estrapolare dalla regula iuris ex iudicato, limitata a disporre il solo rimborso di tributi ed interessi corrispettivi, il comando al pagamento degli interessi ex art. 1283 c.c. (o alla rivalutazione). Il giudice dell'ottemperanza deve rilevare che la domanda di pagamento degli interessi anatocistici non può rappresentare oggetto del decisum in assenza di qualsiasi statuizione in materia del giudice di merito; pertanto, tale domanda formulata ex novo é inammissibile, atteso che gli accessori pretesi non maturano in via automatica per effetto della liquidità ed esigibilità del credito, essendo ontologicamente diversi rispetto agli interessi corrispettivi (Cass. n. 22565/2004). Il T.A.R. Calabria, II, n. 291/2015: «Quanto alla domanda di condanna dell'Amministrazione al pagamento di una somma a titolo di risarcimento per il ritardo nell'esecuzione del giudicato, ai sensi dell'art. 114, comma 4, lett. e) del c.p.a. («il giudice, in caso di accoglimento del ricorso, ... salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo»), ritiene il Collegio che detta norma, che ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto della cosiddetta «astreinte» (sul tema “neminem laedere: danni punitivi e astreintes ” vds. Cass. S.U., n. 16601/2017 e Cass. S.U., n. 9100/2015;Cass. 7613/2015 e Cass. n. 1183/2007; Corte cost. n. 152/2016; Corte cost. n. 238/2014 e Corte c ost. n . 303/2011), debba trovare applicazione anche nel caso in cui l'obbligo di cui si chiede l'adempimento consista in un'obbligazione pecuniaria (conf.: Cons. St. Ad. Plen. n. 15/2014; Cons. St. V, n. 2744/2012). Nella specie, ritiene il Collegio che la quantificazione di tale somma possa essere effettuata prendendo a fondamento il parametro, individuato dalla CEDU (caso: Gaglione e Cocchiarelli), con riferimento alla commisurazione degli interessi moratori dovuti dall'Amministrazione per il ritardo nel pagamento delle somme liquidate, dell'«interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali» e che, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., tale sanzione debba essere applicata a decorrere dalla data in cui il titolo giudiziale, munito della prescritta formula esecutiva, è stato notificato nei confronti dell'amministrazione soccombente, fino all'effettivo soddisfacimento del credito, essendo, nella specie, decorso il termine di sei mesi – ritenuto in via equitativa come termine massimo di «tolleranza» — rispetto alla data di emanazione della presente sentenza. Va, invece, respinta, la domanda intesa ad ottenere la condanna del Ministero al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno per la mancata esecuzione del giudicato pari ad euro 50/00 (cinquanta/00) per ogni giorno di ritardo, non potendosi ammettere l'applicazione di una duplice sanzione per il ritardo, tenuto conto delle note difficoltà di carattere organizzativo e finanziario in cui versa l'amministrazione della giustizia, in coerenza con ragioni di equità sostanziale, che possono trovare ingresso nella fattispecie, sulla base del dato testuale della prima parte della lett. e) del comma 4 dell'art. 114 del c.p.a. («salvo che ciò sia manifestamente iniquo»). In sede di ottemperanza vanno liquidate anche le spese conseguenziali alla sentenza eseguita (nel caso di specie quelle relative all'atto di precetto) formulando la relativa domanda con memoria depositata ai sensi dell'art. 32, commi 1 e 2, d.lgs. n. 546/1992, senza previa notifica a controparte che può ritirare in segreteria la propria copia e replicare ai sensi dell'art. 32, comma 3, stesso decreto, o esperire ogni difesa in udienza (Cass. n. 16834/2007). La domanda d'ottemperanza può riguardare anche spese conseguenziali alla sentenza non eseguita, come gli interessi sulla somma dovuta (Cass. n. 3555/2005 e Cass. n. 23374/2006) ed il risarcimento danni da svalutazione monetaria (C.t.r. Lazio, n. 223/2006). L'art. 70 non accenna assolutamente alle spese processuali, facendo opinare per l'applicazione della regola generale fissata dall'art. 15, fondata sul principio di soccombenza, nonostante si versi in un procedimento di esecuzione anzicchè di cognizione; pertanto, in virtù del rinvio di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, alcuni autori ritengono invece applicabile l'art. 95 c.p.c. (spese del processo di esecuzione): «le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l'esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile». L'adempimento sopravvenuto alla presentazione del ricorso in segreteria o, comunque, nelle more della procedura d'ottemperanza non esime da una soccombenza virtuale l'ente inadempiente ai fini della condanna alle spese. Per adempimento si deve intendere «la piena esecuzione e la completa soddisfazione dell'interessato, non già la mera intenzione dell'amministrazione di adeguarsi alla sentenza» (C.t.p. Trieste n. 307/1997). Va ritenuto che ogni eventuale mera «validazione del rimborso», «disposizione di pagamento», «dettaglio interrogazione rimborsi» etc., costituiscono atti interni di contabilità che non sono idonei ad assicurare l'effettiva, completa ed immediata disponibilità delle somme per il creditore procedente. Non potendosi in alcun modo ritenere eseguito l'«adempimento», non sussistono neppure i presupposti per una dichiarazione di estinzione del giudizio di ottemperanza per cessazione della materia del contendere ex art. 46, d.lgs. 546/92.» (C.t.r. Lombardia n. 6738/01/2016). La statuizione del giudice dell'ottemperanza che ritenga cessata la materia del contendere a seguito dell'emanazione dell'ordine di sgravio delle imposte indebitamente versate, non costituisce mero errore materiale bensì una valutazione in diritto, come tale contestabile solo con ricorso in cassazione (Cass. n. 4796/2011). «P.Q.M. ... condanna altresì alle spese di questo giudizio d'ottemperanza, qui liquidate complessivamente ex art. 15, comma 2-ter, d.lgs. n. 546/1992, in € X.XXX/00 (per: esborsi sostenuti, diritti, onorari al lordo degli oneri previdenziali e fiscali di legge); oltre 15% di spese generali; I.V.A. come per legge e 4% c.p., nonché al ristoro del C.U.T. (Contributo unificato tributario) effettivamente già pagato dalla ricorrente per ciascuno degli atti defensionali presentati durante questo giudizio di ottemperanza; nomina: il dott Aaaaaaa Bbbbbbbb Commissario ad acta, domiciliato per l'incarico presso la segreteria giudiziaria di questa sezione, affinchè adotti tutti i provvedimenti indispensabili per l'ottemperanza in luogo dell'ufficio condannato che li ha omessi, nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge, ivi comprese le procedure di pagamento in conto sospeso, di storno dai capitoli di spesa ovvero di modificazione delle poste dei capitoli stessi, attenendosi agli obblighi risultanti dal dispositivo della sentenza ineseguita, autorizzandolo fin d'ora all'immediato diretto approntamento di tutto quanto all'uopo ritenuto necessario, depositando presso la segreteria di questo Giudice unico ogni proprio atto in copia di conoscenza;ordina: ad Agenzia delle Entrate — Direzione provinciale di Vvvvvv debitrice inadempiente, di assicurare al dott. Aaaaaaa Bbbbbbbb ogni identificazione (user id), autenticazione (pwd iniziale di default) ed autorizzazione (profile user) necessarie all'accesso diretto ed immediato al SI.CO.GE. (sistema per la gestione integrata della contabilità economica e finanziaria per le Amministrazioni Centrali dello Stato) da un proprio computer collegato alla rete intranet, quale Commissario ad acta che agisce in luogo dell'Amministrazione sostituita, nonchè ogni altra assistenza tecnica utile all'emissione di un S.O.P. informatico, firmato digitalmente, per concludere al più presto la propria attività commissariale; tutte le spese connesse all'espletamento dell'incarico del Commissario ad acta sono a carico dell'amministrazione debitrice (ex art. 9, comma 3-bis, del d.l. n.185/2008).» (C.t.r. Lombardia n. 2850 gennaio 2017). ll Commissario ad acta per l'ottemperanza al giudicato tributario ad acta
Segue. a) natura giuridica Il rapporto di servizio fa sorgere per il dipendente pubblico il c.d. dovere d'ufficio (officium) consistente nell'attività da porre doverosamente in essere per l'ufficio nel quale è incardinato ed al quale va riferita. Dal dovere d'ufficio si distingue il munus pubblico, attribuzione di una funzione pubblica aliena alla persona fisica che ne diventa titolare, i cui atti ed attività sono riferibili allo stesso soggetto esercente tale pubblica funzione e non al soggetto nel cui interesse sono posti in essere. In buona sostanza, il munus cura interessi alieni con atti propri, l'officium cura interessi propri della struttura organizzativa d'appartenenza organica; la figura del Commissario ad acta, quindi, potrebbe annoverarsi tra i c.d. «munera necessitati». Il sottrarsi all'incarico integra il reato di cui all'art. 366, commi 2 e 3, seconda parte, c.p.: «Rifiuto di uffici legalmente dovuti». L'attività commissariale per l'ottemperanza tributaria della sentenza di condanna pone in essere esclusivamente gli atti ed i comportamenti necessari e sufficienti a garantire la piena e sollecita effettività della sentenza da eseguire e non, indirettamente, la mera sostituzione dei soggetti inadempienti. Pertanto, per la natura giurisdizionale della nomina e dei poteri attribuitigli, essa è diversa dai rimedi amministrativi gerarchici tipici dell'avocazione e della sostituzione. In passato, si è molto discusso, in dottrina e giurisprudenza, sulla qualificazione giuridica della figura del Commissario ad acta (condivisa, con qualche differenza, tra diritto generale: amministrativo e diritto speciale: tributario) e, conseguentemente, dei relativi atti. «Gli atti del commissario, in quanto riconducibili all'ufficio giudiziario, hanno natura giurisdizionale (e non amministrativa) e la loro verifica spetta solo al giudice dell'ottemperanza che lo ha nominato, il quale deve controllare, anche su impulso della stessa amministrazione, che la corrispondenza dell'operato del commissario a quanto disposto dalla sentenza passata in giudicato» (Baglione, Menchini e Miccinesi, 1997, 612). Abbandonata la teoria di organo amministrativo, sia in dottrina che in giurisprudenza sono poi emerse posizioni oscillanti tra la qualificazione di organo giurisdizionale ed altra che ne ha sostenuto la natura mista, in parte giurisdizionale, in parte amministrativa. Secondo la Cass. n. 14648/2007, esso sarebbe un ausiliario del giudice, una sua longa manus non equiparabile al C.T.U., chiamato ad «eseguire il proprio compito sotto il continuo controllo e l'assidua vigilanza di quest'ultimo al fine di assicurare l'esatta rispondenza della sua attività al comando contenuto nella sentenza, della cui esecuzione si tratta, assicurando al cittadino il conseguimento di quanto riconosciutogli in sede di cognizione». Come organo ausiliario del giudice dell'ottemperanza, la sua attività sostitutoria deve essere sempre rispettosa dell'interpretazione già fornita dal giudice che lo ha nominato. Di conseguenza gli atti da lui adottati si imputerebbero direttamente allo stesso Ufficio giurisdizionale che lo ha nominato (Cons St. Ad. Plen. n. 23/1978); essendo atti non amministrativi ma latamente giurisdizionali è precluso all'amministrazione inadempiente sostituita di annullarli nell'esercizio del proprio potere di autotutela; può, però, impugnarli davanti allo stesso giudice dell'ottemperanza. Proprio questa funzione di controllo immanente che il giudice ha sull'operato del Commissario ad acta tenderebbe a ridurre la possibilità di emissione di atti commissariali illegittimi o illeciti. Tale orientamento, peraltro, è consonante con quello adottato anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato. Oggi prevale l'orientamento della pluriqualificazione della natura giuridica del Commissario ad acta: esso agisce come ausiliario del giudice (in attività giurisdizionale esecutiva) quando la sua attività è esercitata nell'ambito di ciò che viene statuito nella sentenza passata in giudicato e recepito nel disposto del giudice dell'ottemperanza; agisce, invece, come organo straordinario d'amministrazione quando la sua attività, sul piano funzionale, benché «originata dalla necessità di attuare il decisum del giudicato e suscitata dalle prescrizioni del giudice di ottemperanza, non si limita al riesercizio o alla riedizione del potere assorbito dalla vicenda ottemperativa del giudicato, ma si inserisce nel ciclo normale del potere [amministrativo]... con i poteri sostitutori conferiti dal giudice di merito» (Cass.S.U.,n. 166/1999). In altri termini, dal momento genetico (della nomina) e fino a quando partecipa della funzione giurisdizionale esecutiva, direttamente vincolata, è ausiliario del giudice; nel momento funzionale, se esercita amministrazione sostitutiva con l'esercizio di poteri discrezionali ultronei rispetto al dictum del giudice dell'ottemperanza, è organo straordinario d'amministrazione. Di conseguenza, il giudice competente a cui reclamare per le varie attività commissariali poste in essere, sarà, nel primo caso, il giudice tributario dell'ottemperanza, nel secondo caso, il giudice amministrativo (e non quello tributario) o quello ordinario o, eventualmente, quello contabile. Mentre il giudice delegato è componente collegiale dell'organo giurisdizionale, il commissario ad acta nominato è un organo giurisdizionale ausiliario (Cfr. Cons.St. IV, n. 52/2015, Cons. St. VI, n. 412/1986, Cons. St. V, n. 702/1990 e Cons. St. V, n. 5435/1993; Cons. St. Ad. Plen. n. 1/1973 e Cons.St. Ad. Plen. n. 23/1978; Cons. Giust. Amm. Sicilia, n. 1/1981; T.A.R. Salerno, n. 76/1982; T.A.R. Napoli III, n. 375/1990; T.A.R. Catania III, n. 2399/1995 e T.A.R. Catania III, 45/1996), titolare di un potere (Cons. St. V, n. 1194/2012) finalizzato all'esecuzione della pronuncia giurisdizionale inottemperata, incomparabile con la figura del C.T.U.; assistito dalla tutela penale propria del pubblico ufficiale (ex art. 357 c.p.), all'occorrenza può farsi assistere nell'esercizio delle sue funzioni -a richiesta propria o del giudice che lo ha nominato- anche dalla Forza Pubblica costituita dagli agenti di pubblica sicurezza e dai carabinieri, come è specificato dagli artt. 19 e 28 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l'esecuzione del Testo unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza) ed art. 159 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112. Appartengono alla Forza Pubblica anche altri soggetti come le guardie delle province e dei comuni nominate nelle forme stabilite all'art. 4-bis r.d. n. 635/1940). La figura in esame trae origine dal c.d. controllo sostitutivo. Il commissario ad acta è nominato dal giudice dell'ottemperanza per efficacemente adottare, in coerenza con l'effetto ripristinatorio della sentenza amministrativa, tutti quei provvedimenti che avrebbe dovuto adottare la stessa amministrazione inadempiente, già prima del giudizio che l'ha vista soccombente. Lo spirare del termine per l'adempimento, eventualmente assegnato dal giudice al commissario ad acta, non fa automaticamente decadere i poteri e cessare l'attività commissariale, ove persista l'inerzia dell'amministrazione; ciò si verifica solo con la revoca espressa dell'incarico o con la piena ed integrale attuazione del comando contenuto nella sentenza da eseguire (Cons. St. V, n. 136/2010). «Va, infine, precisato che, a seguito dell'insediamento del commissario ad acta, gli organi dell'ente versano in situazione di carenza sopravvenuta di potestà, vengono esautorati dalle loro normali attribuzioni e non possono, conseguentemente, disporre degli interessi considerati, ovviamente nei limiti strettamente necessari per l'adempimento del giudicato (conf.: Cons. Giust. Amm. n. 92/1982; Cons. St. VI, n. 41/1995)». (T.A.R. Calabria II, n. 291/2015); ciò trova ulteriore fondamento – secondo alcuni autori — nel rispetto della divisione dei poteri, postulata dal conflitto di attribuzione, che potrebbe sorgere ove un titolare del potere giurisdizionale si sovrapponesse ad un titolare del potere esecutivo». Nel giudizio di ottemperanza, il Commissario ad acta è un organo straordinario dell'amministrazione inadempiente solo dal punto di vista oggettivo, quale centro di competenze esterno all'amministrazione sostituita nella misura in cui opera con atti imputabili all'amministrazione stessa. Dal punto di vista soggettivo, invece, il Commissario ad acta rimane estraneo all'amministrazione. Dal punto di vista funzionale, infine, il Commissario ad acta si configura come organo ausiliare del giudice dell'ottemperanza. I poteri del Commissario sono solo quelli stabiliti dal giudice dell'ottemperanza all'atto della nomina: egli non può quindi interpretare la sentenza da eseguire, ma deve rifarsi all'interpretazione data dal giudice che l'ha nominato. Perdurando l'inadempienza, il Commissario ad acta provvederà a tutti gli adempimenti necessari, direttamente presso gli uffici finanziari competenti nei quali gli dovrà essere fornita tutta la collaborazione richiesta; tra i suoi poteri sono compresi eventuali storni dai capitoli di spesa, eventuali modifiche delle poste dei capitoli stessi, istanze e/o accessi presso la Banca d'Italia quale ente pagatore, fino a giungere all'emissione del mandato di pagamento a favore del ricorrente, nonché infine ove necessario provvederà ad emettere il mandato anche per la liquidazione delle spese del giudizio di ottemperanza (C.t.r. Piemonte, n. 75/31/2013). Nel giudizio di ottemperanza vi è un limite al potere sostitutivo del Commissario ad acta costituito dalla statuizione contenuta in sentenza; pertanto, qualora nella sentenza di cui si chiede l'esecuzione sia considerato un solo anno d'imposta, l'attività del Commissario ad acta è illegittima se viene estesa ad ulteriori anni d'imposta (Cass. n. 22188/2004). Il Commissario si interfaccia sia con l'amministrazione inadempiente — quoad effectum, sul punto sostituita — sia con il giudice dell'ottemperanza, sia con terzi, esercitando poteri autonomi rispetto all'amministrazione sostituita —intercorre tra loro un rapporto di natura intersoggettiva e non interorganica (ex multis, Cons. St. IV, n. 327/2013) anche se gli effetti verso i terzi sono i medesimi- che traggono diretto fondamento dalla sua qualità di ausiliare del giudice (vds. art. 21 e 114 comma 4 lett. d) e comma 6 del codice del processo amministrativo; Cfr. Cons. St. V, n. 1194/2012 e Cons. St. V, n. 860/1982: «I provvedimenti emanati dal giudice dell'ottemperanza ovvero dal commissario ad acta nominato direttamente dal giudice o attraverso l'organo da lui indicato si inseriscono in un procedimento giurisdizionale, sia pure sui generis, e non hanno quindi natura di atti amministrativi». Vds. anche: Cons. St. IV, n. 1336/2002; T.A.R. Abruzzi, n. 721/2000; T.A.R. Molise, n. 55/1997; T.A.R. Lazio III, n. 384/1987; Cons. St. V, n. 298/1995; T.A.R. Campania III, n. 603/1995). Ciò lo legittima ad adottare autonomamente ogni misura di conformazione al giudicato — anche se estranea a quelle proprie dell'amministrazione sostituita — concretamente idonea all'effettivo conseguimento del diritto riconosciuto nella sentenza da ottemperare. Gli atti adottati dal commissario ad acta che non travalicano le determinazioni poste nella sentenza di ottemperanza, per competenza funzionale, sono impugnabili solo dinanzi al giudice dell'ottemperanza. Cfr. Cons. St. V, n. 6953/2011. L'attività commissariale non è assoggettata agli ordinari vincoli procedurali e contabili dell'amministrazione, in quanto essa tende alla piena e corretta attuazione del giudicato, utilizzando ogni strumento concretamente utile al conseguimento dello scopo (Cons. St. V, n. 1194/2012). Segue. b) Criteri di scelta ed incompatibilità ai sensi dell'art. 8, lett. c) d.lgs. n. 545/1992 Il comma 7 dell'art. 70 d.lgs. n. 546/1992 attribuisce al giudice la facoltà di «...delegare un proprio componente o nominare un commissario al quale fissa un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi e determina il compenso a lui spettante secondo le disposizioni della l. 8-7-1980, numero 319, e successive modificazioni e integrazioni». Con Risoluzioni n. 6 del 5 novembre 2002 e n. 4 del 4 marzo 2004 il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (C.P.G.T.) ha, tra l'altro, evidenziato come il legislatore abbia dettato, con il tenore letterale della formulazione della norma, un ordine di preferenza per la delega ad un giudice componente del collegio (interno) rispetto alla nomina del Commissario ad acta (esterno). C.P.G.T. Risoluzione n. 6 del 5 novembre 2002: «L'alternatività stabilita dalla legge esclude certamente che all'ufficio di commissario ad acta possa essere chiamato un componente del collegio». CPGT Risoluzione n. 4 del 4 marzo 2004: «i pareri espressi dall'Ufficio Studi di questo Consiglio, e dal Consiglio stesso approvati, non costituiscono alcun vincolo nell'esercizio delle funzioni giudiziarie proprie della magistratura tributaria bensì solo un supporto utile per la elaborazione di decisioni meditate» ... «il sindacato di questo Consiglio è ammesso solo nei ristretti ambiti propri del giudizio disciplinare.» Il giudice tributario provvede alla nomina intuitu personae del commissario ad acta, scelto tra esperti della materia, la cui attività è «originata dalla necessità di attuare il decisum del giudicato e suscitata dalle prescrizioni del giudice di ottemperanza» (Cass. S.U., n. 166/1999); egli non può, quindi, travalicare le determinazioni poste nella sentenza di ottemperanza, con la quale corre uno strettissimo nesso di strumentalità volto ad assicurare l'interesse pubblico all'esatto adempimento del precedente giudicato. A tal fine il Commissario gode di tutti i poteri necessari e sufficienti per assolvere, in un congruo termine prefissato ed in via autonoma rispetto all'ente inadempiente condannato, tutti i compiti assegnati dal giudice del quale è longa manus; non può, però, attribuire al ricorrente utilità maggiori e ulteriori rispetto a quelle già decise né definire questioni se non nella misura in cui siano già disciplinate dal giudicato da ottemperare. Rilevante dottrina e giurisprudenza sono orientati a ritenere quasi obbligata la scelta del Commissario ad acta tra pubblici dirigenti/funzionari della carriera direttiva (Area 3, per il cui accesso è normalmente necessaria la laurea; eventuale nomina di personale appartenente a carriere inferiori, come a volte è accaduto in passato, è bene sia almeno confortata da adeguata motivazione), esperti della specifica materia oltre che di contabilità pubblica (c.d. competenze tecnico-professionali), indispensabile per il regolare e consapevole svolgimento del loro incarico; costoro sarebbero i più idonei a coniugare attività giurisdizionale e attività amministrativa-contabile. Tuttavia, qualche profilo di inopportunità è stato, però, sollevato per la nomina a Commissario ad acta di un dirigente/funzionario direttivo appartenente allo stesso ente inadempiente condannato contro cui deve essere eseguita la sentenza; a tal proposito è stato eccepito che l'incarico de quo viene conferito ad personam e non per la funzione ricoperta, costituendo quest'ultima solo una modalità di selezione tra soggetti dotati delle richieste competenze tecnico-professionali, ma di cui sono ancora ignoti/ininfluenti i dati anagrafici. Pertanto, l'incarico di commissario ad acta segue la persona fisica anche ove, successivamente, perdesse la carica per la quale è stato nominato (per trasferimento, pensionamento etc.) fino alla chiusura del procedimento o all'eventuale sua sostituzione con una mera ordinanza del giudice dell'ottemperanza, che conserva sempre i propri poteri di controllo e sostituzione, segnatamente ove non riscontrasse l'esatta rispondenza della attività commissariale alle indicazioni fornite con la propria sentenza. Essendo intuitu personae, non può essere concessa facoltà di sub-delega al nominato né, tanto meno, si può delegare la nomina stessa a soggetto terzo nè si può effettuare una nomina ad incertam personam («Intuitu personae delegata potestas delegari non potest». cfr invece, C.t.r. Lombardia, sentenze nn. 01/44/2010 e C.t.r. Lombardia, 21/44/2010 ove il Collegio dà mandato al Direttore della competente Ragioneria Provinciale dello Stato di nominare liberamente un proprio funzionario per compiere ogni operazione necessaria ad effettuare il pagamento richiesto). Il dirigente/funzionario direttivo, nominato commissario ad acta, deve svolgere il proprio incarico sotto l'immanente controllo (per gli atti) e vigilanza (per i comportamenti) del giudice dell'ottemperanza — a cui chiunque può rivolgersi contro l'attività commissariale — rimanendo, pertanto, del tutto irrilevante il rapporto organico/gerarchico che lo lega all'ente inadempiente condannato, al fine di assicurare al cittadino-contribuente il conseguimento di quanto riconosciutogli in sede di cognizione. Non sembrerebbe, quindi, che la nomina di un dirigente/funzionario direttivo dell'ente inadempiente condannato «possa far presumere la mancanza di terzietà o imparzialità, anzi, la nomina, quale Commissario ad acta, del funzionario preposto all'ufficio che deve eseguire l'ordine del giudice è prassi consolidata in quanto il ruolo rivestito con la conseguente conoscenza delle problematiche correlate all'ordine da eseguire... garantisce una più celere ed esatta esecuzione di quanto statuito dal giudice» (Cass. n. 14648/2007). In tal caso, essendo una nomina «ratione officii», non va liquidato alcun compenso per l'attività commissariale attesa la omnicomprensività della prestazione dirigenziale ex art. 24, comma 3, d.lgs. n. 165/2001 (vds. nota Mef/Dag n. 107910/2015). L'eccezione di inopportunità assume maggiore vigore, diventando incompatibilità ex art. 8, lett. c) d.lgs. n. 545/1992 (fino a paventare un intollerabile conflitto di interessi) quando viene nominato commissario ad acta il direttore dell'ente impositore inadempiente condannato se non il relativo superiore gerarchico o, addirittura, lo stesso funzionario direttivo preposto alla struttura impositiva inadempiente; quali garanzie potrebbero esserci ove necessaria una segnalazione disciplinare (per eventuali comportamenti lesivi dell'obbligo di lealtà e probità processuale) al Collegio giudicante o, direttamente, al Dirigente di vertice dell'Amministrazione/Ente oppure ancora, una denuncia alla Procura dell'A.G.C. per danno erariale od alla Procura dell'A.G.O. per fatto di reato? Nemo tenetur se detegere è un principio generale processuale penale secondo cui l'obbligo di collaborazione con l'amministrazione giudiziaria si esaurisce immediatamente prima dell'autoincriminazione; tale principio vale, per quanto applicabile, anche in ambito amministrativo. Al comma 7 dell'art. 70, d.lgs n. 546/1992, si legge come nel giudizio di ottemperanza il Collegio giudicante possa provvedere direttamente alle incombenze relative all'esecuzione della sentenza «in luogo», e cioè in sostituzione, dell'Ufficio del Ministero delle Finanze o dell'Ente locale impositori inadempienti ovvero possa delegare un proprio componente o nominare un commissario ad acta. L'evidenziata locuzione «in luogo» fa ritenere che tutti i soggetti indicati dall'articolo in rassegna per l'attività sostitutiva debbano essere diversi da quelli inadempienti e, quindi, estranei all'Amministrazione o all'Ente che ha disatteso il comando contenuto della sentenza di cui si chiede l'ottemperanza; pertanto, così come non possono che essere ovviamente diversi il Collegio giudicante procedente ed il giudice-componente delegato, non può revocarsi in dubbio che lo debba essere anche il commissario nominato. La nomina dello stesso funzionario fiscale inadempiente, affinchè provveda in forza di una seconda sentenza (di nomina commissariale) a ciò che fino a quel momento non ha adempiuto per legge, prima, e per sentenza (di condanna), dopo, equivale, quoad effectum, ad una mera ingiustificata concessione di un ennesimo spatium adimplendi, che non può esimere da soccombenza virtuale. Come la citata locuzione porta ad escludere dalla nomina commissariale la persona fisica alla cui responsabilità sia da ascrivere direttamente o indirettamente l'inadempimento dell'Amministrazione o dell'Ente impositori, parimenti deve essere escluso il relativo superiore gerarchico. Ciò perchè l'attività commissariale è diversa – per la natura giurisdizionale della nomina e dei poteri attribuitigli – dai rimedi amministrativi gerarchici tipici dell'avocazione e della sostituzione. L'avocazione gerarchica è un istituto amministrativo per il quale un soggetto di rango superiore esercita un potere attribuito alla competenza non esclusiva di altro soggetto di rango inferiore. La sostituzione gerarchica è, invece, un istituto amministrativo per il quale un soggetto di rango superiore esercita un potere attribuito alla competenza non esclusiva di altro soggetto di rango inferiore, ingiustificatamente inerte in attività vincolata nonostante formale diffida del superiore ad adempiere. Il commissario ad acta, infatti, esercita nei confronti di terzi poteri giurisdizionali espressamente attribuiti dal Collegio giudicante ed i suoi atti sono impugnabili davanti lo stesso collegio secondo il principio generale che riconosce la cognizione degli «incidenti» in sede esecutiva allo stesso organo giurisdizionale procedente all'esecuzione. Il superiore gerarchico, invece, che esercita nei confronti dei subalterni poteri propri attribuitigli dalla legge o dai regolamenti di amministrazione e che si trova, anch'esso, in una situazione di incompatibilità ai sensi dell'art. 8, lett. c) d.lgs. n. 545/1992, non può assumere alcun incarico di natura giurisdizionale tributaria in una controversia nella quale, peraltro, é portatore di un interesse proprio quale responsabile diretto o di vertice dell'ente impositore condannato inadempiente, parte del giudizio. L'astensione e la ricusazione non sono contemplate dal d.lgs. n. 546/1992 per il Commissario ad acta, attesa la natura meramente esecutiva dell'attività commissariale tributaria ed il controllo immanente che il giudice ne ha sull'operato, a differenza dell'omologo amministrativo per il quale è prevista la ricusazione (v. art. 21, c.p.a.). Il Commissario ad acta, la cui nomina è irrinunciabile (art. 366 c.p.: Rifiuto di uffici legalmente dovuti), deve, però, tempestivamente comunicare al collegio giudicante l'eventuale esistenza di «gravi ragioni di convenienza» (art. 51, comma 4, c.p.c.) ostative all'incarico, da porre a fondamento dell'eventuale ordinanza di revoca/sostituzione. Il giudizio di ottemperanza amministrativo, infatti, è ontologicamente diverso da quello tributario atteso che il primo mira al corretto esercizio dell'attività amministrativa mentre il secondo alla perfetta esecuzione della sentenza. Ecco perché nel primo, a differenza del secondo (ubi lex non dixit non voluit), c'è spazio per astensione/ricusazione. Il rinvio dinamico di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 vale solo per il c.p.c. e non anche per il c.p.a. Segue. c) Attività L'attività commissariale non è assoggettata agli ordinari vincoli processuali e contabili dell'Amministrazione inadempiente, in quanto essa tende autonomamente alla piena e corretta attuazione del giudicato, utilizzando ogni strumento concretamente utile al conseguimento dello scopo (Cons. St. V, n. 1194/2012 e C.t.r. Lombardia n. 361/28/15). L'attività svolta dal Commissario ad acta differisce da quella del perito o del consulente in materia amministrativa contabile e fiscale, posto che, in senso «oggettivo», il compito proprio del Commissario ad acta non è quello di consulente o di perito, ma quello di organo (ancorché «straordinario») dell'Amministrazione sostituita, in relazione alla quale opera come strumento di imputazione di determinate situazioni, mentre la fonte del suo potere è giudiziale, e pertanto i suoi atti sono assistiti dalla forza propria della giurisdizione, con la conseguenza che, sotto tale diverso profilo, il Commissario ad acta si configura coma longa manus del giudice, non certo come suo consulente. (Cass. n. 3291/2009). Il Commissario ad acta deve eseguire il proprio compito sotto il continuo controllo e l'assidua vigilanza del giudice dell'ottemperanza che lo ha nominato, al fine di assicurare l'esatta corrispondenza della sua attività al comando contenuto nella sentenza in esecuzione, assicurando al cittadino il conseguimento di quanto riconosciutogli in sede di cognizione e rimanendo, quindi, del tutto irrilevante il rapporto organico che lo lega all'ente al cui ufficio è preposto. Peraltro, ha anche la facoltà di rivolgersi al giudice che gli ha conferito l'incarico e del quale costituisce la longa manus, per ottenere chiarimenti e suggerimenti circa i concreti provvedimenti da adottare in caso di dubbio o di contrasto con la parte richiedente. Il privato che ha ottenuto l'ottemperanza del provvedimento disatteso dall'ente, può reclamare gli atti del Commissario davanti allo stesso giudice di ottemperanza (Cass. n. 14647/2007). L'amministrazione inadempiente commissariata resta libera di attuare autonomamente il giudicato, facendo venir meno la propria inerzia e privando della causa la funzione di Commissario ad acta (Cons.St. IV, n. 3615/2008; Cons. St. IV, n. 5055/2008 e Cons. St. V, n., 6585/2008). L'attività commissariale tributaria (giurisdizione d'esecuzione priva degli incidenti cognitivi di cui alla procedura civile, non applicabili al processo tributario ex art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, perché l'art. 70 stesso decreto costituisce un «regime chiuso») è volta direttamente all'ottemperanza della sentenza di condanna — ponendo in essere esclusivamente gli atti ed i comportamenti necessari e sufficienti a garantire la piena e sollecita effettività della sentenza da eseguire — e non indirettamente, con la mera sostituzione dei soggetti inadempienti, in ruoli e procedure (an, quantum, quomodo, quando etc.) che possono anche rispondere a logiche metagiurisdizionali; trattasi, cioè, di emettere autonomamente (come soggetto terzo ed imparziale) efficaci provvedimenti che garantiscano l'effettività dello jussum iudicis— utilizzando ogni strumento concretamente utile al conseguimento dello scopo (Cons. St., n. 1194/2012 e, recentemente, T.A.R. Calabria II, n. 291/2015) — e non di sostituire alcuno nel suo ruolo. L'art. 70 prescrive al comma 7: «provvedimenti attuativi» ed al comma 8: «provvedimenti emanati ed eseguiti» per il commissario ad acta che è personalmente obbligato senza possibilità di delega, quindi, a svolgere una funzione attiva, nell'emettere tutti gli ordini di pagamento e/o gli eventuali altri atti necessari all'esecuzione del giudicato, per il principio di effettività della tutela, cui si correla il potere del giudice di imporre — anche coattivamente ove occorra — il rispetto della statuizione contenuta nel giudicato In assenza di disponibilità finanziarie, può anche disporre il pagamento mediante l'emissione – a sua firma — dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso nei confronti della Tesoreria. Provinciale dello Stato presso la Banca d'Italia. Con d.m. Tesoro 2 aprile 1997 e circolare Ministero del Tesoro 15 ottobre 1997, n. 74, sono state fissate le modalità di emissione di tale tipo d'ordine di pagamento e la procedura interna di rendicontazione delle amministrazioni dello Stato; l'utilizzabilità della procedura «in conto sospeso» per le Agenzie fiscali venne sospesa con nota Dipartimento Ragioneria Generale 23 aprile 2001, n. 26184, e Circolare Agenzia Entrate 8 giugno 2001, per essere poi riattivata con nota MEF del 25 marzo 2002. L'emissione dell'ordine in conto sospeso è possibile solo nei confronti della Tesoreria Provinciale dello Stato presso la Banca d'Italia e non anche nei confronti del concessionario della riscossione o di altri enti impositori. L'Agente della riscossione è parte processuale esclusiva (non essendo configurabile un litisconsorzio necessario con l'ente impositore che, in questo caso, è privo di legitimatio ad causam) quando l'oggetto della controversia è circoscritto all'impugnazione di atti suoi, viziati da errori ad esso direttamente imputabili, come i vizi propri della cartella di pagamento e dell'avviso di mora (già previsto dall'art. 50, d.P.R. n. 602/1973, sostituito dall'art. 16, d.lgs. n. 46/1999, con l'avviso di intimazione ad adempiere), ai quali va equiparato, secondo il disposto dell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, il silenzio rifiuto su istanza di rimborso, come quella presentata da un contribuente che ha aderito al condono ex art. 12 l. n. 289/2002, per la restituzione di somme versate in riferimento a cartelle di pagamento sgravate dall'Agenzia delle Entrate. (cfr. Cass. n. 8370/2015). Ne consegue l'inammissibilità del ricorso ove proposto esclusivamente nei confronti dell'Agenzia delle entrate, non potendosi configurare alcuna integrazione del contraddittorio nei confronti del Concessionario (cfr. Cass. n. 5832/2011). Sostituendo — solamente nell'agire — l'Amministrazione inadempiente il commissario ad acta — oggettivamente — ne appare come un provvisorio organo straordinario d'amministrazione, che instaura con essa — funzionalmente — un occasionale rapporto di servizio, imputandole ogni fattispecie posta in essere come suo sostituito. Ma, in effetti, tutti gli atti del commissario, nella misura in cui sono riconducibili all'esecuzione della sentenza da ottemperare, restano - soggettivamente — del tutto autonomi rispetto all'amministrazione sostituita perchè imputabili esclusivamente all'attività esecutiva all'Ufficio giurisdizionale che lo ha nominato (C.t.r. Piemonte, n. 33/2001) e, quindi, la loro natura non può che essere giurisdizionale, con tutte le relative conseguenze in ordine ad autotutela, impugnabilità, responsabilità etc. L'attività del commissario, infatti, è «ontologicamente» la medesima che il giudice dell'ottemperanza potrebbe svolgere direttamente (così come quella che avrebbe potuto svolgere il giudice-componente collegiale delegato) e, nonostante presenti il contenuto e la forma degli atti amministrativi, ha la medesima natura degli atti giurisdizionali tanto è vero che i suoi atti: - «sono immediatamente esecutivi» come «tutti i provvedimenti di cui al presente articolo» (art 70, comma 9, d.lgs. n. 546/1992), - non sono soggetti ai controlli (interni ed esterni) propri degli atti dell'Amministrazione inadempiente condannata sostituita, - sono impugnabili davanti allo stesso giudice dell'ottemperanza che ha proceduto alla sua nomina. Il commissario ad acta, come organo ausiliario del giudice in attività d'esecuzione, può adottare indistintamente ogni atto ritenuto in concreto necessario a ricondurre la situazione di fatto a quella di diritto, esattamente come descritta nella sentenza da eseguire; l'adempimento di tale incarico non può, quindi, prescindere da un necessario margine di autonoma discrezionalità limitato alla scelta dei mezzi più efficaci all'esecuzione del giudicato. In estrema sintesi, questa è la procedura usualmente seguita del Commissario ad acta nei casi di rimborsi erariali: 1. ricezione del provvedimento (sentenza o — in caso di sostituzione del precedente Commissario ad acta — ordinanza) di nomina dal giudice collegiale/monocratico dell'ottemperanza che reca anche l'indicazione di tutti gli importi da rimborsare al ricorrente (o altro adempimento di dare o facere per l'esecuzione di una sentenza attuativa), ed eventualmente il tempo assegnato al Commissario ad acta per l'esecuzione dell'incarico nonchè il compenso liquidato (secondo le disposizioni della legge 8 luglio 1980 n. 319 e successive modificazioni ed integrazioni di cui al d.P.R. n. 115/2002). In alcuni casi i giudici collegiali, dimostrando grande attenzione e misura, non assegnano un termine né liquidano il compenso in sentenza; assegnano un termine con successiva ordinanza interlocutoria solo in caso di immotivato ritardo (prima dell'eventuale sostituzione del Commissario ad acta e liquidano ogni compenso — con eventuale liquidazione di altre spese a piè di lista — nell'ordinanza di chiusura del procedimento, tenendo così conto dei criteri di cui all'art. 51, d.P.R. n. 115/2002. 2. richiesta (con raccomandata A.R. oppure con posta elettronica certificata) all'ente inadempiente condannato, ove avesse provveduto – successivamente all'udienza di trattazione — al perfetto adempimento della sentenza di condanna, di volerne dare esauriente evidenza, anticipandola nelle vie brevi, ed al creditore procedente di voler comunicare il codice IBAN, sul quale effettuare gli accrediti per i richiesti pagamenti, nonché ogni eventuale conoscenza di atti impeditivi al pagamento (ex artt. 69 r.d. n. 2440/1923 e 560 delle Istruzioni generali sui servizi del Tesoro che possano interessare la Tesoreria dello Stato presso la Banca d'Italia, insieme ad ogni altro eventuale elemento utile ad una completa e rapida esecuzione di tutti i pagamenti/adempimenti disposti con la sentenza cui si da esecuzione. 3. deposito specimen di firma alla Tesoreria dello Stato presso la Banca d'Italia (o al diverso ente pagatore come il Concessionario del servizio di riscossione per i rimborsi dei ruoli pagati, ante 1 luglio 2017, etc.). 4. sottoscrizione ed invio in Tesoreria dello Stato presso la Banca d'Italia degli ordinativi di pagamento necessari che vanno, preventivamente, sottoposti al vaglio dell'ufficio di controllo della Ragioneria Territoriale dello Stato, già muniti dell'attestazione telematica ex art. 48-bis d.P.R. n. 602/1973, per il prescritto visto di regolarità amministrativa-contabile. Gli speciali ordini di pagamento in conto sospeso vanno emessi secondo quanto previsto dall'art. 14 comma 2 del d.l. n. 669/1996, convertito in l. n. 30/1997; gli ordinativi di pagamento emessi in via giurisdizionale, in forza di una sentenza di ottemperanza immediatamente esecutiva volta all'esecuzione di una precedente sentenza di condanna passata in giudicato, non possono risentire di alcun effetto ostativo per atti amministrativi cautelari o compensativi volti ad impedirne totalmente o parzialmente il pagamento. L'attestazione di cui all'art. 48-bis d.P.R. n. 602/1973 assume, quindi, esclusivamente valenza descrittiva (ai fini di una eventuale compensazione volontaria) nella misura in cui l'attività commissariale non è assoggettata agli ordinari vincoli procedurali e contabili dell'amministrazione (Cons. St. V, n. 1194/2012). Il commissario ad acta che effettua pagamenti solo in conto sospeso, anche se assume la veste di Funzionario Delegato (F.D.), non dovrà presentare alcun rendiconto atteso che non utilizza alcun accreditamento in conto. Il Funzionario Delegato, che utilizza accreditamenti in conto, trasmette, ai sensi dell'art. 60 del r.d. n. 2440/1923 ed artt. 333,334 e 335 del r.d. 23 maggio 1924 n. 827, il conto delle somme erogate ed i relativi documenti giustificativi ogni sei mesi o una volta all'anno per spese inferiori a 20 milioni di lire. Anche se il F.D. è esonerato dal rendere il conto giudiziale, poichè tali rendiconti periodici sono rappresentativi di una gestione e, secondo giurisprudenza consolidata, la responsabilità contabile non è necessariamente subordinata all'obbligo di presentazione del conto, il F.D. può essere soggetto passivo di un'obbligazione cd. di restituzione, misurata nella discordanza tra i valori effettivamente utilizzati e quelli di cui dà conto. Gli ordinativi di pagamento relativi, invece, al rimborso di cartelle esattoriali non potevano essere emessi in conto sospeso (procedure riservata ai pagamenti dovuti — per sentenza definitiva esecutiva — dalle amministrazioni dello Stato) ma seguivano propria diversa procedura di invio telematica al Concessionario della riscossione; 5. sottoscrizione dell'avviso di pagamento ed invio ai rispettivi domicili fiscali dei creditori indicati nei relativi ordini di pagamento, per riscuotere e quietanzare; 6. eventuale segnalazione disciplinare, per comportamenti lesivi dell'obbligo di lealtà e probità processuale, al Collegio giudicante o, direttamente, al Dirigente di vertice dell'Amministrazione impositiva inadempiente condannata, nonché eventuale denuncia alla Procura contabile per danno erariale ed alla Procura penale per fatto di reato, dandone tempestiva evidenza al giudice dell'ottemperanza. Atteso che ex art. 11, comma 2 e 3, d.lgs. n. 546/1992 le Amministrazioni/Enti impositori stanno in giudizio direttamente con proprio personale, per il rinvio di cui all'art. 1, comma 2 d.lgs. n. 546/1992, si applica anche il disposto di cui all'art. 88 c.p.c. ai fini di un eventuale avvio di procedimento disciplinare; il principio, per altri versi, è il medesimo di quello di cui all'art. 13, comma 11, l. n. 212/2000 relativo ad un'autorità giustiziale (amministrativa) quale il Garante del contribuente: «Il Garante del contribuente individua i casi di particolare rilevanza in cui le disposizioni in vigore ovvero i comportamenti dell'amministrazione determinano un pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative nei loro rapporti con l'amministrazione, segnalandoli al direttore regionale o compartimentale o al comandante di zona della Guardia di finanza competente e all'ufficio centrale per l'informazione del contribuente, al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare». Il commissario ad acta ha un obbligo giuridico diretto (ex art. 83, l. n. 1240/1923, art. 53, commi 2 e 3, r.d. n. 1214/1934: «La denunzia deve essere immediata. Quando nel giudizio di responsabilità la Corte accerti che per dolo o colpa grave, fu omessa la denuncia, a carico di personale dipendente, può condannare al risarcimento, oltre gli autori del danno, anche coloro che omisero la denuncia», artt. 20 e 21, t.u. n. 3/1957, art. 1, comma 3, l. n. 20/1994) di trasmettere alla Procura della Corte dei conti un rapporto su eventuali responsabilità per danno erariale (secondo Corte dei conti Puglia, n. 5/1998, l'esecuzione della sentenza con nomina del commissario ad acta è fonte di danno erariale addebitabile al funzionario preposto all'ufficio inadempiente condannato, misurabile con il costo dell'attività commissariale e degli interessi dovuti per il ritardo) conseguente al mancato tempestivo e completo adempimento del giudicato, nonché alla Procura della Repubblica (ex art. 331 c.p.p.) denuncia per eventuali rilievi penali; l'inadempimento dell'ente impositore condannato può configurare il reato previsto e punito dall'articolo 328 c.p. (rifiuto e omissione di atti d'ufficio), 650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità) etc. cfr. C.t.p. Pesaro, n. 94/02/1999. Responsabilità contabili e penali incombono direttamente anche sul commissario ad acta che abbia omesso le doverose denunce (361 c.p.). 7. comunicazione al giudice collegiale dell'ottemperanza di tutti i provvedimenti emanati ed eseguiti (meglio se raccolti in una relazione che evidenzi anche le quietanze rese dai creditori per la riscossione dei rimborsi), ai fini dell'emanazione dell'ordinanza di chiusura del giudizio di ottemperanza ai sensi dell'art. 70, comma 8, d.lgs. n. 546/1992 e la contestuale liquidazione di eventuali ulteriori compensi/rimborsi spese al Commissario ad acta. La sospensione feriale dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie (nonchè tributarie, per il rinvio dinamico di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992) ed a quelle amministrative, prevista dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742 nel periodo intercorrente tra il 1° ed il 31 agosto di ogni anno, non si applica alle attività commissariali non processuali, come quelle relative all'obbligo di fare, le visure telematiche, il deposito di specimen, l'acquisizione di visti, l'emissione ordinativi di pagamento etc.) nonché alle segnalazioni disciplinari e denunce obbligatorie. Poiché il controllo del giudice collegiale sull'attività commissariale è immanente, è opportuno che ogni comunicazione commissariale gli venga trasmessa, in copia per conoscenza, presso la relativa segreteria giudiziaria di sezione, insieme alla comunicazione della Banca d'Italia, Tesoreria dello Stato, divisione gestione servizi di pagamento, di cui alla circolare n. 24 del MEF — RGS prot. 68986 del 27 agosto 2014. Segue. d) Reclami al collegio contro l'attività commissariale Le parti processuali che si assumono lese, devono rivolgersi con proprio reclamo al giudice dell'ottemperanza per qualsiasi valutazione dell'attività commissarialesuccedanea di quella che avrebbe potuto direttamente porre in essere lo stesso giudice (in composizione collegiale/monocratica o come giudice-componente delegato). Come nel processo amministrativo, l'Amministrazione sostituita non può modificare ex se gli atti commissariali — che, attesa la natura giurisdizionale del Commissarioad acta, sono soggetti solo alle impugnative processuali – perché è tenuta a conformarsi a quel giudicato del quale gli atti commissariali ne sono l'attuazione, potendo solo chiedere l'intervento diretto del giudice dell'ottemperanza, ex art 114, comma 6, c.p.a.: «il giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario». Il c.p.a. ha recepito, quindi, la tesi dell'Adunanza plenaria 14 luglio 1978, n. 23 (Cons. St., 1978, I, 948) inserendo la figura del commissario ad acta (libro I, capo IV, art. 21) tra agli ausiliari del giudice, affinché il controllo dei suoi atti, ove contestati «tra le parti nei cui confronti si è formato il giudicato», fosse attribuito alla cognizione del medesimo giudice dell'ottemperanza (art. 114, comma 6). Per i terzi che si assumono lesi, invece, poiché la sentenza da ottemperare costituisce res inter alios acta, che neque nocet neque iuvat per gli stessi limiti soggettivi di cui all'art 2909 c.c., ogni loro contestazione è attribuita alla cognizione del giudice ordinario. Gli atti del Commissario ad acta sono impugnabili davanti il giudice fino a quando esso partecipa della funzione giurisdizionale esecutiva, direttamente vincolata, come ausiliario del giudice; dal momento in cui, invece, esercita amministrazione sostitutiva con l'esercizio di poteri discrezionali ultronei rispetto al dictum del giudice dell'ottemperanza, diviene organo straordinario d'amministrazione. Di conseguenza, il giudice competente a cui reclamare per le varie attività commissariali poste in essere, sarà, nel primo caso, il giudice tributario dell'ottemperanza, nel secondo caso, il giudice amministrativo (e non quello tributario) o quello ordinario o, eventualmente, quello contabile, divenendo, il commissario ad acta, assoggettato all'ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) propri degli atti dell'Amministrazione inadempiente sostituita, ed agli atti impeditivi ai pagamenti. La Commissione tributaria che lo ha nominato conserva tutti i poteri di controllo e di sostituzione ed è competente per ogni contestazione sull'attività del commissario che – secondo la migliore dottrina — non è legittimato al contraddittorio con i propri contestatori per la difesa del proprio operato. I poteri del commissario ad acta nominato sono esattamente quelli attribuiti dalla Commissione con la sentenza di ottemperanza, senza potere autonomamente interpretare la sentenza da eseguire perchè obbligato all'interpretazione che ne ha dato il giudice dell'ottemperanza in quanto la sua attività va direttamente riferita a tale giudice con la conseguenza che tutti i provvedimenti del commissario ad acta sono sindacabili dal giudice dell'ottemperanza, tenuto a vigilarne la conformità dell'operato alle prescrizioni del giudicato, fino ad intervenire direttamente ove necessario secondo il principio generale che riconosce la cognizione degli «incidenti» in sede esecutiva allo stesso organo giurisdizionale procedente all'esecuzione medesima. L'«atto di reclamo» presentato dall'Agenzia delle Entrate diretto avverso uno specifico provvedimento del Commissario ad acta, deve essere delibato dal Giudice dell'ottemperanza preposto alla vigilanza e al controllo di tale esecuzione (C.t.r. Puglia n. 764/10/2014). In conclusione, nel ribadire che la concreta esecuzione del giudicato costituisce interesse e dovere dell'Amministrazione, si raccomanda ai dirigenti degli uffici di prestare ogni collaborazione, nei limiti e nelle forme normativamente consentiti, ai giudici dell'ottemperanza ed ai commissari ad acta; si fa presente nel contempo di valutare l'opportunità che eventuali richieste ed indicazioni non scritte del commissario ad acta siano verbalizzate ai fini della massima chiarezza della procedura. È altresì compito degli uffici, qualora ritenessero sussistere profili di illegittimità degli atti del commissario, apprezzare la necessità di presentare specifico reclamo al giudice dell'ottemperanza, ricordando che il giudizio di ottemperanza non ha termine con l'emanazione della sentenza ma con la concreta esecuzione del giudicato (Circ. Ag. Ent. 4 febbraio 2003, n. 5/E). Segue. e) Liquidazione compenso e spese del commissario ad acta per l'ottemperanza al giudicato tributario L'art. 36, comma 1, Cost.: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ...». Un compenso, quindi, va determinato per il commissario ad acta, già con la stessa sentenza di nomina di cui all'art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992 (o, per il riconoscimento delle eventuali ulteriori spese e/o liquidazione di maggiore compenso nella successiva ordinanza di chiusura del procedimento) secondo le disposizioni della l. n. 319/1980, abrogata (ad eccezione dell'art. 4 rimasto in vigore per le «vacazioni» come modificato dal d.m. giustizia e finanze 30 maggio 2002: «Gli onorari di cui all'art. 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319, sono rideterminati nella misura di Euro14,68 per la prima vacazione e di Euro 8,15 per ciascuna delle vacazioni successive.») con l'entrata in vigore del d.P.R. n. 115/2002 (T.U.S.G.) che nella parte 2, titolo VII ne prescrive la nuova disciplina: - art. 49: «agli ausiliari del magistrato spettano l'onorario, l'indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico. Gli onorari sono fissi, variabili e a tempo»; - art. 50, comma 1: «La misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, è stabilita mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400.» ; - comma 2: «Le tabelle sono redatte con riferimento alle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe, ...»; - art. 51: «Il magistrato deve tener conto delle difficoltà, della completezza e del pregio della prestazione fornita»; - art. 57: «Al commissario ad acta si applica la disciplina degli ausiliari del magistrato, per l'onorario, le indennità e spese di viaggio e per le spese sostenute per l'adempimento dell'incarico»; - d.m. 30 maggio 2002, allegato, art. 2 (tabella di riferimento ex art. 50, comma 1, d.P.R. n. 115/2002T.U.S.G.): «Per la perizia o la consulenza tecnica in materia amministrativa, contabile e fiscale, spetta al perito o al consulente tecnico (o, ex art. 57, d.P.R. 115/2002, al Commissario ad acta. N.d.R.) un onorario a percentuale calcolato per scaglioni» (trattasi di 7 scaglioni — calcolati sul valore della controversia, limitatamente alla misura oggetto di ottemperanza — a marginalità regressiva, ciascuno con un proprio range percentuale all'interno del quale scegliere, secondo i criteri di cui all'art. 51, d.P.R. n. 115/2002, quella con la quale determinare l'onorario). Vacazioni. l. n. 319/1980 (come modificato dal d.m. giustizia e finanze 30 maggio 2002 con l'entrata in vigore del TUSG 115/2002): Art 4: Onorari commisurati al tempo. 1. Per le prestazioni non previste nelle tabelle e per le quali non sia applicabile l'articolo precedente gli onorari sono commisurati al tempo impiegato e vengono determinati in base alle vacazioni. 2. La vacazione è di due ore. L'onorario per la prima vacazione è di L. 10.000 (modif. in € 14,68) e per ciascuna delle successive è di L. 5.000 (modif. in € 8,15). 3. L'onorario per la vacazione può essere raddoppiato quando per il compimento delle operazioni è fissato un termine non superiore a cinque giorni; può essere aumentato fino alla metà quando è fissato un termine non superiore a quindici giorni. 4. L'onorario per la vacazione non si divide che per metà; trascorsa un'ora e un quarto è dovuto interamente. 5. Il giudice non può liquidare più di quattro vacazioni al giorno per ciascun incarico. 6. Questa limitazione non si applica agli incarichi che vengono espletati alla presenza dell'autorità giudiziaria, per i quali deve farsi risultare dagli atti e dal verbale di udienza il numero delle vacazioni. 7. Ai sensi e per gli effetti dell'articolo 455 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, il magistrato è tenuto, sotto la sua personale responsabilità, a calcolare il numero delle vacazioni da liquidare con rigoroso riferimento al numero delle ore che siano state strettamente necessarie per l'espletamento dell'incarico, indipendentemente dal termine assegnato per il deposito della relazione o traduzione. Le Risoluzioni del CPGT n. 6/2002 e n. 4/2004 hanno stabilito che il componente del collegio giudicante, delegato per l'esecuzione della sentenza, non possa avere «diritto ad un compenso specifico ed aggiuntivo» posto che non è ammissibile «che il collegio possa fissare un compenso ad uno dei suoi componenti», peraltro non determinabile dall'indicata legge 8 luglio 1980 n. 319 e successive modificazioni ed integrazioni, visto che tale norma riguarda solo i compensi complessivamente spettanti agli ausiliari del giudice, ai quali non può certamente essere equiparato il componente delegato essendo esso stesso giudice collegiale. Per lo svolgimento di qualsiasi incarico ausiliario conferito dall'autorità giudiziaria, munus publicum non assimilabile all'esercizio della libera professione, non è assolutamente applicabile la tariffa della categoria professionale propria dell'ausiliario perché l'attività dovuta è svolta nell'interesse generale. «La natura pubblicistica dell'incarico affidato al consulente tecnico di ufficio, esclude in ordine alla determinazione del compenso il rinvio ricettizio alle tariffe professionali, dettate per regolare i rapporti fra i professionisti ed i privati, sia pur compatibilmente con l'interesse generale, atteso che il richiamo operato dall'art. 2 della legge n. 319 del 1980 al metodo di stima da adottarsi con riferimento alle tariffe professionali rappresenta soltanto l'indicazione di un possibile, ma non tassativo, parametro per la predisposizione del compenso» (Cass. n. 7837/1994). Ai sensi dell'articolo 57 del d.P.R. n. 115/2002, al Commissario ad acta si applica la disciplina degli ausiliari del magistrato, non trovando applicazione le tariffe professionali degli avvocati e procuratori (C.t.r. Lazio n. 82/2005). Il compenso del commissario ad acta va liquidato con il metodo delle vacazioni, disponendone l'anticipazione a carico dei ricorrenti per l'ottemperanza al giudicato tributario, in quanto la determinazione del compenso è contemplata dall'art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992; ciò anche perché, oggetto dell'ordinanza prevista dal successivo comma 8 dello stesso art. 70, è soltanto la chiusura del procedimento, previo accertamento dell'avvenuta esecuzione, e, quindi, l'anticipazione del compenso permette che il relativo credito della parte ricorrente sia soddisfatto nell'ambito di quello stesso procedimento, e non successivamente con autonomo iter amministrativo o, se del caso, giurisdizionale. Contestualmente, infine, l'Amministrazione resistente va condannata alle spese del procedimento per l'ottemperanza, facendo applicazione dei principi generali in materia, e ritenuto del tutto irrilevante il silenzio dell'art. 70, in quanto, diversamente, vi sarebbe una gravissima limitazione del diritto di difesa; in effetti, il giudice che condanna la parte soccombente non solo al pagamento delle spese processuali sostenute fino al momento della decisione, ma anche — genericamente — a quelle successive e conseguenti, non si pronuncia su una domanda, ma esplicita quell'obbligo consequenziale già contenuto nella legge, sì che anche le spese in esame, in quanto esecutive, debbono essere soddisfatte in sede di ottemperanza; ciò in applicazione della regola propria dell'esecuzione forzata, secondo la quale, va data soddisfazione simultanea al diritto azionato ed agli oneri, per l'effetto, sostenuti dalla parte (C.t.r. Sicilia, n. 36/2005). Secondo alcuni autori, se il compenso per il commissario ad acta va determinato secondo le disposizioni di cui alla legge n. 319/1980 e successive modificazioni ed integrazioni, non potrebbe revocarsi in dubbio che, tranne una previsionale per le prime spese, la determinazione del compenso — sia a tabella sia a vacazioni — debba seguire sempre il completamento dell'incarico per essere poi commisurato ai titoli professionali posseduti, alle spese affrontate ed al risultato conseguito in termini di efficienza, efficacia ed economicità. Il calcolo tabellare per la liquidazione di legge del compenso previsto per il Commissario ad acta dagli artt. 49 e 50, comma 1, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 — secondo la tabella di cui all'art. 2 dell'allegato al d.m. giustizia e finanze 30 maggio 2002 (come da risoluzione C.P.G.T. n. 8 del 20 luglio 2010, punto 5, novellata dalla successiva risoluzione n. 4 del 23 settembre 2014) – è posto a carico dell'ufficio inadempiente condannato previa liquidazione giudiziale nell'ordinanza di chiusura del procedimento (sul tema “neminem laedere: punitive damages e astreintes ” vds. Cass. S.U., n. 16601/2017 e Cass. S.U., n. 9100/2015;Cass. n. 7613/2015 e Cass. n. 1183/2007; Cort. cost. n. 152/2016, Cort . c ost. n. 238/2014 e Cort. c ost. n. 303/2011). Inoltre, qualora il collegio avesse provveduto alla nomina del Commissario ad acta e, contestualmente, avesse ritenuto di concedere all'ente inadempiente condannato un ulteriore termine dilatorio perfettamente rispettato (anche nel pagamento dei relativi interessi e spese del giudizio), nessun compenso spetterebbe al commissario ad acta — se non nei limiti del ristoro delle eventuali spese documentate e riconosciute — per il venir meno della causa della funzione di commissario ad acta (Cons. St. IV, 3615/2008; Cons. St. VI, 5055/2008 e Cons. St. V, 6585/2008). Infine, «l'attività del commissario ad acta deve intendersi giuridicamente cessata dalla» ordinanza di estinzione dell'ottemperanza «atteso che l'attività successiva è stata svolta senza l'idoneo presupposto giuridico rappresentato dalla pendenza del giudizio di ottemperanza medesimo». Ivi si è fatto altresì presente che «l'eventuale mancata conoscenza, da parte del commissario ad acta, della suddetta estinzione del giudizio di ottemperanza non incide sul venir meno del presupposto giuridico sopra citato» (dal che, si rammenta per incidens, è stata fatta discendere l'ulteriore conseguenza per cui, trattandosi di attività svolta sine titulo, non poteva essere liquidato al commissario ad acta alcun compenso per l'attività posteriore alla predetta data del 21 maggio 2010).» (Cons. St. IV, n. 52/2015). La determinazione del compenso complessivo, ancorché contenuto nella sentenza o nella successiva ordinanza, ha la medesima autonoma natura di decreto di liquidazione (tunc impugnabile ex art. 11, commi 4, 5 e 6, l. n. 329/1980 con il procedimento dettato dall'art. 29 l.13 giugno 1942 n. 794) nunc impugnabile ex art. 170, d.P.R. n. 115/2002 (T.U.S.G.), 5 e 15, d.lgs. n. 150/2011, innanzi al Capo dell'ufficio giudiziario (il Presidente della Commissione Tributaria) del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Il compenso, se non determinato con sentenza o ordinanza, potrebbe essere determinato anche successivamente, ai sensi dell'art. 168 T.U.S.G., con «decreto di pagamento motivato del magistrato che procede» applicando (ex art. 49 e ss. T.U.S.G.) sempre le stesse tabelle approvate con il citato decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che commisurano gli onorari per la consulenza tecnica al valore della controversia. - Art. 71 (L) d.P.R. n. 115/2002 (T.U.S.G.) (Domanda di liquidazione e decadenza del diritto per testimoni, ausiliari del magistrato e aventi titolo alle trasferte) 1. Le indennità e le spese di viaggio spettanti ai testimoni e ai loro accompagnatori, le indennità e le spese di viaggio per trasferte relative al compimento di atti fuori dalla sede in cui si svolge il processo di cui al titolo V della parte II, e le spettanze agli ausiliari del magistrato, sono corrisposte a domanda degli interessati, presentata all'autorità competente ai sensi degli articoli 165 e 168. 2. La domanda è presentata, a pena di decadenza: trascorsi cento giorni dalla data della testimonianza, o dal compimento delle operazioni per gli onorari e le spese per l'espletamento dell'incarico degli ausiliari del magistrato; trascorsi duecento giorni dalla trasferta, per le trasferte relative al compimento di atti fuori dalla sede in cui si svolge il processo e per le spese e indennità di viaggio e soggiorno degli ausiliari del magistrato. 3. In caso di pagamento in contanti l'importo deve essere incassato, a pena di decadenza, entro duecento giorni dalla ricezione dell'avviso di pagamento di cui all'articolo 177. - Art . 83 (L) d.P.R. 115/2002 (T.U.S.G.) (Onorario e spese dell'ausiliario del magistrato e del consulente tecnico di parte) 1. L'onorario e le spese spettanti ((al difensore,)) all'ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono liquidati dall'autorità giudiziaria con decreto di pagamento, secondo le norme del presente testo unico. 2. La liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all'atto della cessazione dell'incarico, dall'autorità giudiziaria che ha proceduto; per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. In ogni caso, il giudice competente può provvedere anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione al patrocinio è intervenuto dopo la loro definizione. 3. Il decreto di pagamento è comunicato al beneficiario e alle parti, compreso il pubblico ministero. - Art. 84 (L) d.P.R. 115/2002 (T.U.S.G.) (Opposizione al decreto di pagamento) 1. Avverso il decreto di pagamento del compenso al difensore, all'ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte, è ammessa opposizione ai sensi dell'articolo 170. - Art. 170 d.P.R. n. 115/2002 (T.U.S.G.) (Opposizione al decreto di pagamento) Avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione. L'opposizione è disciplinata dall'articolo 15 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. «Lo speciale procedimento previsto dall'art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per le opposizioni alla liquidazione del compenso degli ausiliari del giudice, è regolato dagli articoli 28 e seguenti della legge 13 giugno 1942, n. 794, ma tale giudizio, per espressa previsione del comma secondo del medesimo art. 170, è trattato davanti al tribunale in composizione monocratica» (Cass. II, n. 21786/2010). Secondo la Corte cost. n. 53 del 28 gennaio 2005, «la previsione monocratica anziché collegiale del giudice traeva fondamento dalla necessità di rendere la disciplina più coerente nel suo complesso e in sintonia con l'evolversi dell'ordinamento». Art. 15 d.lgs. n. 150/2011 (Semplificazione dei procedimenti civili di cognizione) (Dell'opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia) 1. Le controversie previste dall'articolo 170 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. Il ricorso è proposto al capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del giudice di pace e del pubblico ministero presso il tribunale è competente il presidente del tribunale. Per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del pubblico ministero presso la corte di appello è competente il presidente della corte di appello. 3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall'articolo 5. 5. Il presidente può chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione. 6. L'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile. - Art. 5 d.lgs n. 150/2011 (Semplificazione dei procedimenti civili di cognizione) (Sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato) 1. Nei casi in cui il presente decreto prevede la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato il giudice vi provvede, se richiesto e sentite le parti, con ordinanza non impugnabile, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni esplicitamente indicate nella motivazione. 2. In caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, la sospensione può essere disposta con decreto pronunciato fuori udienza. La sospensione diviene inefficace se non è confermata, entro la prima udienza successiva, con l'ordinanza di cui al comma 1. Sono «legittime e fondate» secondo il parere dell'Avvocatura Generale dello Stato C.S. 25554704 Sez. III, reso il 14 ottobre 2005 al M.E.F. (vds. anche parere dell'Avvocatura Generale dello Stato n. 130257 del 10 marzo 2018, reso al M.E.F., D.F., D.G.T.), tutte le istanze con le quali «i commissari ad acta richiedono, a loro favore, il rilascio di copia, munita della formula esecutiva, dell'ordinanza con la quale è stata dichiarata la chiusura del procedimento tributario di ottemperanza ed indicato il compenso spettante al suddetto organo» visto che l'art. 474, comma 1, c.p.c. ritiene idonei ad essere muniti della formula esecutiva per l'esecuzione forzata «le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria» e che l'art. 70, comma 9, d.lgs. n. 546/1992 stabilisce come «tutti i provvedimenti di cui al presente articolo (sentenze, ordinanze e decreti. N.d.R.) sono immediatamente esecutivi». Parimenti legittimi e fondati sono i relativi ricorsi per ottemperanza proposti contro l'ente inadempiente al pagamento del compenso, disposto in sentenza e liquidato a favore del Commissario ad acta con ordinanza di chiusura del procedimento; infatti, ex art. 70, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, «per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse, può chiedere l'ottemperanza agli obblighi derivanti». In questo caso trattasi di ordinanza immediatamente esecutiva, caratterizzata da un contenuto spiccatamente decisorio tipico della sentenza (impugnabile peraltro anche per cassazione: Cass. n. 3435/2005), che liquida il compenso già posto a carico della parte inadempiente con la sentenza di nomina del Commissario ad acta. Parere dell'Avvocatura Generale dello Stato n. 130257 del 10 marzo 2018, reso al M.E.F., D.F., D.G.T. paragr. IV. Apposizione della formula esecutiva per l'esecuzione dell'ordinanza cautelare che dispone la condanna alle spese relativa a tale fase di giudizio ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 546/92: “E' stato, inoltre, sottoposto al vaglio dell'Avvocatura la questione circa la necessarietà o meno dell'apposizione della formula esecutiva, ai fini della sua esecuzione, sulla copia dell'ordinanza cautelare che dispone la condanna alle spese relativa ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 546/1992. In merito, l'Avvocatura rileva in primis che la nuova disciplina del processo tributario non prevede espressamente le modalità di esecuzione coattiva di un'ordinanza cautelare di condanna alle spese di lite favorevole al contribuente. Tuttavia, avendo il legislatore eliminato in radice la possibilità per il contribuente di avvalersi delle forme dell'esecuzione forzata civile, l'Avvocatura ritiene che non siano applicabili le disposizioni del c.p.c. alle ordinanze cautelari in materia tributaria. Inoltre, in base all'art. 15, comma 2-quater del d.lgs. n. 546/1992, la pronuncia sulle spese, contenuta nell'ordinanza cautelare, è assimilabile ad una pronuncia di merito avendo acquisito una peculiare “stabilità” anche dopo la sentenza che definisce il giudizio nel merito, salva diversa statuizione espressa del giudice. D'altro canto, conformemente all'esigenza di garantire effettività della tutela giurisdizionale, l'Avvocatura ritiene che all'ordinanza cautelare, anche nella statuizione sulle spese della fase, debba essere attribuita provvisoria esecutività, e di regola non necessita dell'apposizione di formula esecutiva neanche nel processo civile. Alla luce di queste considerazioni, sembrano sussistere, nella fattispecie in esame, i presupposti per l'applicazione in via analogica (principio dell'analogia legis) del rimedio dell'ottemperanza ex art. 70 d.lgs. n. 546/1992 anche ai fini dell'esecuzione coattiva della condanna alle spese contenuta nell'ordinanza cautelare, senza, dunque, la necessità della previa apposizione della formula esecutiva. Soluzione questa, fra l'altro, applicata anche nell'ambito del processo amministrativo, nel quale è espressamente previsto il rimedio dell'”attuazione” delle misure cautelari, modellato sull'istituto dell'ottemperanza. Diverso orientamento, invece, visto che l'art. 474, comma 1, c.p.c. ritiene idonei ad essere muniti della formula esecutiva per l'esecuzione forzata «le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria» e che le procedure disciplinate dagli artt. 69 e 70, d.lgs. n. 546/1992, non ammettono all'ottemperanza tributaria atti diversi dalle sentenze, nonostante il contenuto spiccatamente decisorio in punto di spese (vds. art. 15, comma 2-quater) e l'efficacia ultrattiva alla relativa successiva sentenza di merito, ove questa non disponga espressamente diversamente, ammette che le ordinanze emesse ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 47, comma 5, 52, comma 6, 62-bis, comma 5 e 65, c.3-bis, d.lgs. n. 546/1992, possano essere rilasciate munite della formula esecutiva a norma dell'art. 475 c.p.c. nella considerazione che, a differenza delle ordinanze cautelari, le citate ordinanze ex art. 70, comma 8, d.lgs. n. 546/1992 liquidano la sola misura di un compenso già posto a carico della parte inadempiente con la sentenza di nomina del Commissario ad acta. Vedasi anche annotazioni degli artt. 9 paragr. : “Assistenza all'attività giudiziaria”, 25, paragr.: “Richiesta di copie”, 67-bis, paragr.: “Esecutività della sentenza secondo quanto previsto dal capo IV, d.lgs. n. 546/1992” e 69, paragr.: “Spedizione in forma esecutiva della sentenza”. Il ruolo esattoriale e gli atti «impeditivi» ai pagamenti nel giudizio di ottemperanza tributarioIl ruolo esattoriale (ex art. 10, d.P.R. n. 602/1973 e succ. modific.) è un elenco nominativo di debitori dello Stato, degli enti previdenziali, degli enti locali e di altri enti pubblici al fine di consentire all'Agente della Riscossione di procedere unitariamente per tutti i diversi debiti (tributi, contributi previdenziali, sanzioni pecuniarie, spese giudiziarie, sanzioni amministrative, contravvenzioni stradali, contributi di consorzi di bonifica, spese di mantenimento in carcere, etc.) gravanti sullo stesso soggetto: sia come contribuente sia come semplice cittadino. Ai crediti tributari chiesti a rimborso dai contribuenti, sono spesso efficacemente opposti debiti (controcrediti) tributari ed extratributari, iscritti a ruolo. Tuttavia, nel caso in cui il rimborso tributario è disposto con sentenza di condanna, assistita da sentenza di ottemperanza, l'attività d'esecuzione giurisdizionale è funzionale esclusivamente all'esecuzione del giudicato e completamente estranea ai pubblici interessi perseguiti dall'Amministrazione inadempiente; pertanto, i provvedimenti adottati con sentenza per l'ottemperanza in luogo dell'ufficio che li ha omessi e nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge, sono immediatamente esecutivi senza essere assoggettati né all'ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) propri degli atti dell'Amministrazione inadempiente sostituita, né agli atti impeditivi ai pagamenti come appresso indicato. «Gli atti impeditivi» ai pagamenti «sono provvedimenti che, notificati alle sezioni di tesoreria nei modi previsti dalla legge, mirano a tutelare i diritti di terzi, svolgendo a tal fine effetto ostativo alla effettuazione di specifiche operazioni di tesoreria, quali il pagamento dei titoli di spesa ... . Gli atti di cui sopra sono disciplinati, sia sul piano formale sia su quello sostanziale, in primo luogo dalle norme di diritto comune (codice civile e codice di procedura civile). Una specifica disciplina, attinente la materia ora trattata, è contenuta nella normativa di contabilità di Stato (legge e regolamento di CGS; IGST ecc.). L'art. 69 della LCGS e l'art. 560 delle IGST contengono una elencazione dei vari tipi di atti impeditivi che possono interessare la sezione di tesoreria; essi possono così raggrupparsi: – pignoramenti e sequestri, ai sensi degli artt. 543 e 670 e segg. c.p.c.; – atti di opposizione; – atti di cessione, delegazione, sequestro convenzionale o giudiziale, costituzione di pegno; – fermi amministrativi.» (Mulone) Eccezioni di merito sul diritto accertato con efficacia di giudicato, possono essere dedotte con esclusivo riguardo a fatti estintivi, impeditivi o modificativi sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo giudiziale, oggetto del giudizio di ottemperanza; diversamente opinando, verrebbe riconosciuta all'esecutato una facoltà di «restitutio in terminis» volta ad ottenere una nuova verifica della sussistenza dei fatti costitutivi del diritto, alla luce di fatti estintivi, impeditivi o modificativi preesistenti che avrebbero dovuto essere tempestivamente allegati e dedotti nel giudizio di merito in esecuzione (Cass. n. 12911/2012 e Cass. n. 9430/2014). Segue. a) La compensazione (legale, giudiziale o volontaria) L'art. 70, comma 2, prevede che il ricorso per l'ottemperanza possa essere proposto «fino a quando l'obbligo non sia estinto»; tra i mezzi di estinzione dell'obbligazione, il codice civile –cui rinvia l'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992- prevede la novazione, la remissione, la confusione, la impossibilità sopravvenuta e la compensazione. Con l'art. 8, comma 1, l. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente): «L'obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione», questa forma di autotutela del privato- viene elevata a principio di carattere generale; senza riferimento alcuno all'art. 17 del precedente d.lgs n. 241/1997, che per prima l'aveva prevista per i pagamenti tributari e previdenziali diretti, ampliandone successivamente, con l'art. 28 l. n.388/2000 e con gli artt. 4 ed 8 d.P.R. n. 542/1999, l'ambito operativo al ravvedimento operoso ed all'accertamento con adesione. Tale valenza generale del principio compensativo è stata però disconosciuta sia dall'Amministrazione finanziaria sia da parte della giurisprudenza (Cass. n. 14812/2001) per la mancata emanazione dei regolamenti attuativi di cui all'ultimo comma dell'art. 8;. Infatti, Cass. n. 2221/2011 ha ritenuto che lo Statuto del contribuente non garantisca automaticamente la compensazione dei crediti vantati dal cittadino nei confronti delle pretese tributarie perché tale compensazione opera solo nei casi espressamente previsti dalla legge (Cass. n. 2957/2010). A precisarlo Cass. n. 11450/2011, Cass. n. 25696/2009, Cass. n. 30058/2008 e Cass. n. 13681/2005, secondo le quali il giudizio di ottemperanza è un procedimento «chiuso» e, pertanto, sarebbe vietato compensare crediti e debiti così come prevede l'articolo 1242 c.c.. Anche in dottrina è emersa qualche perplessità a causa dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria, attesa l'espressa previsione legislativa secondo cui «le entrate dello stato si riscuotono in contanti» (art. 225, r.d. n. 827/1924) e l'art. 1246, n. 3, c.c. secondo cui non sono compensabili i crediti impignorabili, quali quelli tributari (Cass.S.U., n. 5303/1995). La declaratoria di estinzione per compensazione, del credito riconosciuto al contribuente dalla sentenza oggetto della ottemperanza, presupporrebbe un accertamento del controcredito dedotto dall'Amministrazione finanziaria, dei suoi requisiti di sussistenza, liquidità ed esigibilità, nonché della sua posteriorità alla formazione del giudicato da ottemperare, ampliando l'oggetto del giudizio di ottemperanza oltre l'ambito della cognizione fissato dall'art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992, incompatibile con un processo strutturato, ai sensi dell'art. 70, comma 10, in un unico grado di merito. Il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato può essere enucleato e precisato, chiarendone il reale significato, in sede di ottemperanza; non può tuttavia essere attributo un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello già riconosciuto dalla sentenza in esecuzione. Pertanto, l'istituto civilistico della compensazione — nel caso concreto opposta dall'Ufficio finanziario — deve ritenersi escluso nel giudizio di ottemperanza, in quanto la dichiarazione di estinzione del debito per compensazione presuppone un accertamento del giudice dell'ottemperanza che travalica i limiti fissati dal contenuto del giudicato, e — come tale — è sottratto alla sua competenza (Cass.S.U.,n. 30058/2008 e Cass.S.U., n. 25696/2009; Cass. n. 13681/2005 e Cass. n. 6670/2014). La compensazione — cui tende il fermo amministrativo come ogni altra misura impeditiva al pagamento- presuppone un accertamento di merito precluso in un giudizio a cognizione sommaria quale quello di ottemperanza (Cass. n. 18208/2010 e Cass. n. 25696/2009); ciò vale anche in sede fallimentare in quanto «il giudice può solo provvedere in ordine all'esecuzione del giudicato e non anche in relazione a profili cognitivi estranei all'individuazione del contenuto e della portata del giudicato; pertanto, è precluso a detto giudice disporre un'eventuale compensazione in sede fallimentare tra credito emerso dal giudicato con debiti fiscali sopravvenuti, potendo detta compensazione avvenire solo su precisa domanda del contribuente rivolta all'ufficio» (Cass. n. 13681/2005). É, tuttavia, possibile nei casi in cui non sia necessaria alcuna attività cognitiva (Cass. n. 11450/2011), come nella compensazione volontaria, che deve essere formalizzata extragiudiziariamente direttamente tra le parti, allegata alla relazione del Giudice-componente delegato/Commissario ad acta nominato ed acquisita al fascicolo d'ufficio per documentare l'avvenuto adempimento: Cass. n. 22761/2004 ha ritenuto che «ove il contribuente a cui favore sia stato adottato un giudicato di condanna a carico dell'amministrazione, proponga domanda di compensazione del credito da giudicato con debiti fiscali sopravvenuti, l'adempimento dell'obbligo derivante dal giudicato si perfeziona con l'accettazione – esplicita o implicita – da parte della A.F., della domanda di compensazione, perché da questo atto scaturisce l'effetto estintivo dell'obbligo compensato». Cass. n. 27044/2007 ha ritenuto applicabile la compensazione anche allorquando il controcredito opposto dal Fisco nel giudizio di ottemperanza risulti già accertato da sentenza passata in giudicato. Segue. b) Il fermo amministrativo ex art. 69, u.c. r.d. n. 2440/1923 (ed art. 23, comma 1, d.lgs. n. 472/1997) La procedura del fermo amministrativo prevista dall'art. 69, u.c., r.d. n. 2440/1923 ha lo scopo di legittimare la sospensione, in via cautelare e provvisoria, del pagamento di un debito liquido ed esigibile da parte di un'amministrazione dello Stato, in prospettiva e salvaguardia della eventuale compensazione legale con una ragione di credito, anche se non ancora liquido ed esigibile, che la stessa —o altra amministrazione statale- pretenda di avere nei confronti del suo creditore. Il contribuente che si vede opporre al rimborso di un proprio credito fiscale il fermo amministrativo per un debito non tributario, può chiederne l'accertamento negativo di sussistenza alla giurisdizione cui tale debito è soggetto (Cass.S.U.,n. 7945/2013). Può, comunque, impugnarlo davanti al giudice tributario ove ne eccepisca l'inapplicabilità al rimborso fiscale fermato (Cass.S.U., n. 7023/2006 e Cass.S.U., n. 1733/2002) o davanti al giudice amministrativo ove ne eccepisca vizi di legittimità —chiedendone l'annullamento- per la tutela di un proprio interesse legittimo (Cass. S.U., 1733/2002). In ogni caso, poiché in materia tributaria vige una giurisdizione generale ed esclusiva ratione materiae (ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992) che non può non comprendere la cognizione di ogni eventuale accessorio del tributo: interessi, sanzioni, spese etc. le Cc.Tt. —incidenter tantum- lo conosceranno ex art. 2, c.3, d.lgs. n. 546/1992 per disapplicarlo exartt. 4 e 5, l. n. 2248/1865, anche se non tempestivamente impugnato davanti al giudice amministrativo (Cass. n. 4567/2004). La giurisdizione deve seguire la natura giuridica del bene tutelato e quindi la natura del credito azionato (Cass.S.U., n. 25983/2010), anche per le pretese tributarie avanzate a mezzo di cartella di pagamento per conto di uno stato estero (Cass.S.U., n. 13357/2008). Poichè nel giudizio di ottemperanza il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita con il giudicato, deve ritenersi esclusa la possibilità di applicare al giudizio di ottemperanza l'istituto civilistico della compensazione, in quanto la dichiarazione di estinzione del debito per compensazione presuppone un accertamento del Giudice che travalica i limiti fissati dal contenuto del giudicato, sottratto alla sua competenza. Pertanto, il fermo amministrativo finalizzato alla compensazione del debito dell'erario con il credito vantato a diverso titolo nei confronti del contribuente, non può essere opposto nel giudizio di ottemperanza ma solo in quello di cognizione, escludendo in radice la necessità di qualsivoglia sindacato del Giudice dell'ottemperanza sul provvedimento di fermo, con la conseguente irrilevanza di eventuali errori di diritto commessi, dal Giudice tributario, nell'ambito di tale sindacato (Cass.S.U., n. 30058/2008 e Cass.S.U., n. 18208/2010). L'amministrazione finanziaria, in esecuzione degli obblighi risultanti dal giudizio di ottemperanza, non può, quindi, sospendere ai sensi dell'art. 23, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, il pagamento di un proprio debito nei confronti del contribuente a garanzia di eventuali controcrediti vantati a diverso titolo nei suoi confronti, non essendo consentito al giudice dell'ottemperanza altro accertamento che quello dell'effettiva portata precettiva della sentenza di cui si chiede l'esecuzione. (Cass. n. 21319/2013). Il fermo amministrativo di cui all'art. 69, sesto comma, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, (ed all'art. 23 d.lgs. n. 472/1997, che prevede l'applicazione di tale misura sui crediti vantati dai contribuenti a garanzia del pagamento delle sanzioni amministrative anche loro semplicemente contestate o irrogate e/o di maggiori tributi accertati, ancorchè in via non definitiva) è un provvedimento cautelare di carattere soprassessorio — espressione della c.d. autotutela esecutoria — emesso nell'esercizio di un potere autoritativo atto a degradare il diritto soggettivo del privato ad interesse legittimo. Tale autotutela esecutoria fa eccezione all'istituto della compensazione ex art. 1241 c.c. ed alla stessa disciplina dell'adempimento, tanto da impedire al creditore la costituzione in mora dell'amministrazione statale debitrice per cui, fin dalla data della formale adozione del fermo (che sospende sine die il pagamento del controcredito al cittadino-contribuente) non maturano interessi moratori. (C.t.r. Lombardia, n. 2850/01/2017). «In sostanza, l'Amministrazione creditrice richiede l'emissione di un provvedimento (appunto il fermo amministrativo), da notificare alle altre Amministrazioni dello Stato e alle tesorerie, con lo scopo di impedire che siano effettuati pagamenti già disposti e consentire quindi di soddisfare il proprio credito. Di norma, tali provvedimenti vengono emanati a cura del MEF e comunicati ai destinatari per il tramite della Direzione delle Entrate. In presenza di «fermo», la sezione sospende il pagamento del titolo e lo restituisce all'Amministrazione emittente.» (Mulone). Il fermo amministrativo – adottabile, pro concurrenti quantitate, autonomamente da ogni Amministrazione dello Stato (e non locale) anche se condannata al pagamento — ha lo scopo di legittimare la sospensione, in via cautelare e provvisoria, del pagamento di un proprio debito certo, liquido ed esigibile nell'attesa che maturino le condizioni per eccepire la compensazione con ragioni di credito erariale (un controcredito ancora solo potenziale) che l'Amministrazione dello Stato, considerata nella sua unità, vanta nei confronti del medesimo creditore. Per evitare che l'esercizio di tale autotutela esecutoria, possa costituire un ingiustificato privilegio per l'amministrazione debitrice, non è sufficiente una «mera» ragione creditoria ma occorre che il controcredito atteso versi già in una condizione complessiva tale da poter far ritenere «ragionevole» (fumus boni juris) la pretesa dell'amministrazione. È l'amministrazione competente per il credito erariale garantito – e non quella debitrice «fermata» — che può pronunciare l'estinzione delle contrapposte obbligazioni per compensazione del debito. La giurisdizione sul fermo amministrativo appartiene allo stesso giudice di cognizione del credito erariale (potenziale) garantito dal fermo e non del debito erariale «fermato», atteso lo stretto legame tra la misura cautelativa del credito ed il diritto per la cui provvisoria tutela essa è concessa (T.a.r. Lazio, Roma III, n. 1316/2011). Costante giurisprudenza di legittimità esclude ogni rilevanza ostativa del fermo amministrativo opposto in un giudizio di ottemperanza; infatti, Cass.S.U., n. 30058/2008 e Cass.S.U., n. 18208/2010; Cass. V, n. 25696/2009 e Cass. V, n. 11450/2011, hanno precisato che il fermo amministrativo può essere efficacemente adottato e validamente opposto solo nel corso del giudizio di cognizione. Pertanto, il giudice collegiale/monocratico dell'ottemperanza (o un giudice-componente delegato o un suo ausiliario come il commissario ad acta) non deve arrestarsi davanti ad un fermo amministrativo — sul credito da rimborsare per sentenza da eseguire in ottemperanza — opposto dall'amministrazione inadempiente dopo tale sentenza, anche ove il creditore procedente per l'ottemperanza non acconsentisse alla usuale richiesta, della stessa amministrazione debitrice, di offrire «volontarie» garanzie fideiussorie alternative (di adeguato importo e durata). In ogni caso, poiché in materia tributaria vige una giurisdizione generale ed esclusiva ratione materiae (ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992) che non può non comprendere la cognizione di ogni eventuale accessorio del tributo: interessi, sanzioni, spese etc. le Cc.Tt. — incidenter tantum — lo conosceranno ex art. 2 comma 3 d.lgs. n. 546/1992 per disapplicarlo exartt. 4 e 5, l. n. 2248/1865. Nel caso che ci occupa, trattandosi di un giudizio di ottemperanza, il contro credito vantato — peraltro senza alcuna illustrazione atta a farne cogliere la ragionevolezza» (fumus boni juris) – non può essere opponibile in una compensazione che non sia volontaria. (C.t.r. Lombardia n. 2628/01/2017). Segue. c) Sospensione pagamento ex art. 48-bis, comma 1, d.P.R. n. 602/1973. Inapplicabilità art. 10, d.lgs. n. 123/2011 È illegittima l'applicazione dell'art. 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973 alla procedura di ottemperanza tributaria e, per l'effetto, nullo il rilievo opposto al Commissario ad acta (nella asserita qualità di dirigente amministrativo) a fondamento del mancato visto di riscontro rifiutato dalla Ragioneria Territoriale dello Stato agli ordinativi emessi in via giurisdizionale dal Commissario ad acta per l'inapplicabilità dell'art. 10, d.lgs. n. 123/2011 (C.t.r. Lombardia, n. 361/28/2015). La sospensione del pagamento di cui all'art. 48- bis , comma 1, d.P.R. n. 602/1973 , al fine di consentire una preventiva verifica di insussistenza di inadempienze esattoriali del beneficiario per i pagamenti delle pubbliche amministrazioni superiori a diecimila euro, volta alla realizzazione della conseguente eventuale compensazione obbligatoria è inapplicabile al giudizio di ottemperanza. Poiché in materia tributaria vige una giurisdizione generale ed esclusiva ratione materiae (ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992) che non può non comprendere la cognizione di ogni eventuale accessorio del tributo: interessi, sanzioni, spese etc. le Cc.Tt. — incidenter tantum — lo conosceranno in via incidentale ex art. 2 comma 3 d.lgs. n. 546/1992 per disapplicarlo exartt. 4 e 5, l. n. 2248/1865 (C.t.r. Lombardia n. 2850/01/2017). Segue. d) Il pignoramento speciale dei crediti presso terzi di cui all'art. 72-bis, d.P.R. n. 602/1973 . È illegittima l'applicazione dell'art. 72-bisd.P.R. n. 602 del 1973 alla procedura di ottemperanza tributaria e, per l'effetto, nullo il pignoramento di crediti presso terzi da parte di Equitalia Nord alla Commissione Tributaria (nella asserita qualità di terzo pignorato) in attività giurisdizionale di ottemperanza. (C.t.r. Lombardia, n. 361/28/2015). Il pignoramento speciale dei crediti presso terzi di cui all'art. 72-bis, d.P.R. n. 602/1973, provvedimento amministrativo prescrittivo che non costituisce atto processuale di espropriazione forzata, volto alla realizzazione del credito fiscale con una procedura coattiva, alternativa a quella disciplinata dal Codice di Procedura Civile, è funzionale ad una conseguente eventuale compensazione obbligatoria. In ogni caso, poiché in materia tributaria vige una giurisdizione generale ed esclusiva ratione materiae (ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992) che non può non comprendere la cognizione di ogni eventuale accessorio del tributo: interessi, sanzioni, spese etc. le Cc.Tt. — incidenter tantum — lo conosceranno in via incidentale ex art. 2 comma 3 d.lgs n. 546/1992 per disapplicarlo exartt. 4 e 5, l. n. 2248/1865 (C.t.r. Lombardia n. 2850/01/2017). «Sono inapplicabili gli artt 48-bis e 72-bis, d.P.R. n. 602/1973 alla procedura di ottemperanza tributaria; deve essere, quindi, dichiarato nullo sia il rilievo opposto al Commissario ad acta (nella asserita qualità di dirigente amministrativo f.f.) a fondamento del mancato visto di riscontro, rifiutato dalla Ragioneria Territoriale dello Stato agli ordinativi emessi in via giurisdizionale dal Commissario ad acta, sia il pignoramento di crediti presso terzi alla Commissione Tributaria (nella asserita qualità di terzo pignorato) da parte di Equitalia Nord.» (C.t.r. Lombardia, n. 361/28/15): Stralcio nota 29 dicembre 2014 del Presidente al Commissario ad acta per restituzione inevasa dalla R.t.s. degli Speciali Ordini di Pagare in conto sospeso. Sezione XXVIII in composizione collegiale per l'ottemperanza del 24 ottobre 2014: «Premesso che il Commissario ad acta, dal momento della nomina — alla quale non può sottrarsi senza giustificato motivo (vds. art. 366, commi 2 e 3, seconda parte, c.p.: «Rifiuto di uffici legalmente dovuti») — svolge quelle medesime attività giurisdizionali che potrebbero essere svolte direttamente dal collegio giudicante o dal componente delegato (vds. art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992) e che — quale ausiliario del giudice — partecipa della medesima natura giurisdizionale del collegio giudicante e non di quella amministrativa del funzionario delegato inadempiente, si conferma che tutta l'attività commissariale finora posta in essere, nella misura in cui è stata rappresentata per iscritto con allegazione al fascicolo d'ufficio, risponde esattamente a quanto atteso ed in particolare si conferma la correttezza dell'ordinativo di pagamento emesso in conto sospeso per tutte le spese processuali di ogni grado di giudizio, determinate complessivamente con sentenza in Euro 5.000/00 (cinquemila/00), comprensiva di esborsi, onorari, spese generali, IVA e contributo cassa di previdenza, nella misura in cui sono previsti per legge. Relativamente, poi, ad ogni eventuale pretesa compensazione, ulteriore a quella della quale si è dato atto in sentenza: «la ricorrente ammette un proprio debito erariale pari a Euro 878/53 per I.L.O.R. anni d'imposta 2005 e 2006, da portare in deduzione dal proprio credito d'imposta chiesto a rimborso, pari ad Euro 140.439/47» ed operata come compensazione volontaria, non ci può essere alcuno spazio nel giudizio di ottemperanza tributaria. Considerato, infine, che ogni atto del Commissario ad acta è impugnabile in via funzionale direttamente davanti a questo giudice collegiale dell'ottemperanza — che ne ha disposto la nomina — e che nessun reclamo risulta finora pervenuto, esaurita ogni attività commissariale necessaria per assicurare l'esecuzione del giudicato, si resta in attesa del deposito della relazione conclusiva in segreteria, al fine di addivenire alla declaratoria di chiusura del procedimento, ai sensi dell'art. 70, comma 8 d.P.R. n. 546/1992.». C.t.r. Lombardia, n. 361/28/2015: Stralcio nota 30 dicembre 2014 del Presidente al C.ad A. per Pignoramento presso terzi indirizzato da Equitalia alla Ctr lombardia quale terzo pignorato. Sezione XXVIII in composizione collegiale per l'ottemperanza del 24/10/2014: «... neanche un «pignoramento presso terzi eseguito nei confronti del contribuente in oggetto (M.E.F.– C.T.R. N.d.r.) a fronte della vostra segnalazione ex art. 48-bis.» come quello anticipato — a mezzo fax — da Equitalia in data 11 dicembre 2014 al settore badget finanziario e risorse materiali dell'Ufficio di Segreteria della C.t.r. Lombardia – poi pervenuto in originale con raccomandata il 16 dicembre 2014, può trovare accoglimento; singolare, infine, identificare quale terzo debitore pignorato la segreteria di questa Corte tributaria che, evidentemente, non può essere debitor debitoris essendo giudice dell'esecuzione in ottemperanza, per il pagamento del rimborso (ex art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992) disposto con precedenti sentenze di condanna, già passate in giudicato.» Ordinanza di chiusura del procedimento«Nel processo tributario di ottemperanza, l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 70, comma 8, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 è un provvedimento a carattere meramente ordinatorio, che si limita a dichiarare chiuso il procedimento, una volta preso atto dell'avvenuta esecuzione di provvedimenti emessi con la sentenza che ha precedentemente pronunciato sull'istanza di ottemperanza, a norma dell'art. 70, comma 7, del medesimo d.lgs., e di quelli eventualmente adottati dal commissario «ad acta». Ne consegue che tale ordinanza non può incidere in alcun modo sulla sentenza posta in esecuzione, e, ove ciò accada, operandosi una sostanziale revisione di quanto statuito con la sentenza, avverso la stessa è ammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost.» (Cass. n. 11352/2012). Ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. è ricorribile in cassazione, nonostante il regime dell'inoppugnabilità proprio di tale provvedimento, l'ordinanza di chiusura del procedimento qualora sia impropriamente caratterizzata da un contenuto spiccatamente decisorio, assimilabile a quello tipico di una sentenza, come quando non sia coerente con il dispositivo della sentenza di condanna da eseguire oppure contenga la condanna dell'Amministrazione soccombente alle spese di giudizio d'ottemperanza, ove non liquidate già nella relativa sentenza. Ciò perchè la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 14637/2004, Cass. n. 7340/2003, Cass. n. 15583/2001 e Cass. n. 10731/2001) ha costantemente affermato che per stabilire se un provvedimento del giudice dell'ottemperanza sia impugnabile come sentenza, o invece, sia modificabile/revocabile dallo stesso giudice che l'ha emesso come ordinanza, bisogna fare riferimento agli effetti giuridici che è destinato a produrre e non al nomen juris. Secondo la Suprema Corte un'ordinanza difforme dal dispositivo della sentenza di condanna da eseguire anche solo nella liquidazione degli interessi, essendo caratterizzata da un contenuto spiccatamente decisorio è impugnabile per cassazione (Cass. n. 3435/2005); resta, per converso, inoppugnabile un'ordinanza di chiusura del giudizio pedissequa alla relativa precedente sentenza per l'ottemperanza di una sentenza di condanna errata (non precedentemente impugnata in appello, per cassazione o per revocazione), ad esempio, nella quantificazione del rimborso dovuto (Cass. n. 1647/2013). Ciò perchè tale ordinanza non potrebbe in alcun modo discostarsi dalla sentenza emessa ai sensi dell'art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992 «e, ove ciò accada, operandosi una sostanziale revisione di quanto statuito con la sentenza, avverso la stessa è ammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost.» (Cass. n. 11352/2012). In caso di rigetto per accertato adempimento dell'ente impositore, antecedente alla proposizione del ricorso, è possibile la condanna dell'incauto ricorrente alle spese processuali. In questo caso l'ordinanza ha natura decisoria ed è impugnabile con ricorso in cassazione (Cass. n. 3435/2005). L'impugnazione nel giudizio d'ottemperanza; ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.Il ricorso per Cassazione contro le sentenze di ottemperanza è ammesso dall'art. 70, comma 10 d.lgs. n. 546/1992 «per inosservanza delle norme sul procedimento» che va interpretato, nel rispetto del dettato costituzionale relativo al diritto di difesa, ritenendo che la denunciata violazione di norme procedurali includa necessariamente e preliminarmente ogni controllo sulla sussistenza delle condizioni e dei presupposti dell'azione. Infatti, il giudizio di ottemperanza tributario presenta connotati diversi dal corrispondente e concorrente processo civile di esecuzione, poiché non mira ad ottenere l'esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, bensì quello di rendere effettivo quel comando, ponendo in essere ogni accertamento necessario a delimitare l'effettiva portata precettiva della sentenza di cui si chiede l'esecuzione. Normalmente (nei casi diversi da quello di cui all'art. 384, comma 2, seconda parte, c.p.c.) privo di effetto devolutivo, tale giudizio consiste in una fase rescindente (di annullamento totale o parziale della sentenza impugnata) volta all'accertamento di errores in procedendo (profilo di legittimità) et in iudicando (profilo di merito: errori di fatto e di diritto) ai fini di una eventuale cassazione con rinvio al giudice di merito per il conseguente giudizio rescissorio (di sostituzione totale o parziale della sentenza annullata). In tali casi, oltre a cassare il provvedimento giudiziale impugnato, deve enunciare il principio di diritto cui il giudice del rinvio si conformerà nel riesame dei fatti di causa; tale principio costituisce un «precedente» non vincolante per altre cause ma, se enunciato dalla Corte di Cassazione convocata a Sezioni Unite o da una sua singola sezione che si pronunci ex art. 363, comma 3, c.p.c. nell'interesse della legge, costituisce «precedente vincolante» per le altre pronunce della Suprema Corte (funzione c.d. nomofilattica). Peraltro il novellato processo tributario, introducendo il comma 2-bis all'art. 62, d.lgs. n. 546/1992, dal 1 gennaio 2016 non limita più tale impugnazione alle sentenze della Ctr, perché, sull'accordo delle parti è possibile una «revisio per saltum» (art. 360, comma 3, c.p.c.) anche per le sentenze della C.t.p., mentre invece l'art. 70, comma 10, d.lgs. n. 546/1992, ne ha sempre previsto l'applicabilità a tutte le sentenze di ottemperanza (e quindi, anche senza accordo delle parti, a quelle di ottemperanza della C.t.p.). Il ricorso per Cassazione avverso la sentenza di ottemperanza tributaria per inosservanza delle norme sul procedimento riguarda anche il regolamento delle spese di giudizio; la mancata indicazione della specifica ragione — soccombenza reciproca ovvero altri giusti motivi- per cui è stata disposta la compensazione equivale a difetto assoluto di motivazione che, al pari della motivazione illogica o erronea, rende nullo in parte qua il provvedimento impugnato (Cass. n. 2505/2004). «Nel processo tributario, la sentenza che dichiari l'inammissibilità del giudizio di ottemperanza, nella specie in ragione del contenuto della pronuncia di cui si richiede l'esecuzione e della ritenuta conseguente insussistenza del presupposto per l'esperibilità del giudizio, esula dal novero di quelle a contenuto attuativo, contemplate dall'art. 70, comma, 7, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, e non è quindi soggetta ai limiti di impugnazione previsti dal successivo comma 10. Ne consegue che avverso di essa, se emanata, come nel caso di specie, dalla Commissione tributaria regionale — in sede di giudizio di ottemperanza per l'esecuzione di un precedente giudicato della Commissione tributaria centrale — è esperibile, trattandosi di pronuncia in unico grado, il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. e dell'art. 362 c.p.c.» (Cass. n. 15655/2004; conformi Cass. n. 4126/2003 e Cass. n. 22565/2004). I giudici di legittimità che hanno cassata la sentenza di rigetto nel merito la rinviano al Presidente della Commissione tributaria che l'ha emessa onde farla assegnare ad altra sezione per il seguito a praticare. Diversamente opinando, invece, emergerebbe un'irriducibile evidente incongruenza nell'aver disponibili mezzi di impugnazione differenziati sull'esito del giudizio: ricorso in Cassazione per l'accoglimento e appello in C.t.r. per il rigetto, lasciando aperto il conseguente problema dell'individuazione del giudice d'appello competente per le sentenze di rigetto emesse dalla C.t.r. Le ordinanze di rigetto per il rito possono essere revocate/modificate dallo stesso giudice che le ha emesse. L'impugnazione dei provvedimenti emessi nel giudizio di ottemperanza è governata da una logica restrittiva per la quale l'appello della sentenza con cui la Commissione tributaria provinciale abbia dichiarato inammissibile il ricorso in ottemperanza è da dichiararsi inammissibile (id est: non impugnabile), atteso che ai sensi del art. 70, comma 10 è ammesso «soltanto il ricorso in Cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento solamente nel caso di cui al n. 7 dell'art. 70 d.lgs. n. 546 del 1992 e cioè di accoglimento del ricorso in ottemperanza». (C.t.r. Sicilia, n. 96/2011). Secondo la Cass. n. 7312/2003 e Cass. n. 15655/2004, contro le sentenze pronunciate in sede di ottemperanza dalle commissioni tributarie provinciali (così come per quelle regionali), quale mezzo d'impugnazione è ammesso, ai sensi dell'art. 70, comma 10, d.lgs. n. 546/1992, soltanto il ricorso per Cassazione, anche quando tali decisioni non siano di accoglimento ma di rigetto o d'inammissibilità, atteso che, non essendo l'appello compatibile con le pronunce della commissione tributaria regionale, una diversa interpretazione creerebbe un sistema processuale disarmonico. Avendo ritenuto che una tale sentenza esula dal novero di quelle (a contenuto attuativo) di cui all'art. 70, comma 7, stesso decreto, essa non soggiace ai limiti di impugnazione di cui al comma 10 per cui è esperibile il ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 7 (Cass. n. 20639/2015), interpretato estensivamente dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto ammissibile il ricorso in cassazione per ogni violazione di legge, ovvero non solo quella processuale, ma anche quella sostanziale (Cass. n. 15084/2004; Cass. n. 4796/2011). E' ricorribile per Cassazione ex art.111, Cost., anche l'ordinanza di chiusura dell'ottemperanza, contenente un giudizio sull'attività commissariale (Cass. n. 22877/2017) ritenuta conforme a una corretta interpretazione della sentenza delle Ss.Uu. della Cassazione, richiamata nella parte in fatto della sentenza da eseguire. Ai sensi dell'art. 111, comma 7, della Costituzione si può presentare ricorso straordinario alla Corte di Cassazione per violazione di legge contro qualsiasi provvedimento dell'autorità giudiziaria come le sentenze dichiarate dalla legge non impugnabili e, secondo giurisprudenza costante, ogni altro provvedimento avente contenuto spiccatamente decisorio, anche se emesso nelle forme dell'ordinanza o del decreto (es: ordinanze di liquidazione dei compensi a favore di periti e consulenti tecnici o di commissari ad acta). La giurisprudenza di legittimità ha affermato che lo stesso ricorso in Cassazione, con la medesima latitudine di ammissibilità, resta esclusivo rimedio anche contro quelle sentenze che, anziché adottare «i provvedimenti indispensabili per l'ottemperanza» di cui al comma 7 del d.lgs. n. 546/1992, ne rigettino nel merito il ricorso introduttivo (Cass. n. 7312/2003). Ciò anche se potrebbe sembrare non operante la preclusione all'appello di cui al tenore letterale del successivo comma 10 stesso decreto che fa riferimento alle sole sentenze di accoglimento di cui al comma 7 (Minus dixit lex quam voluit) in quanto, a causa dei vincoli di competenza funzionale stabiliti al relativo comma 1, il sistema esclusivo dell'ottemperanza si esaurisce nell'articolo 70. È proponibile ricorso per Cassazione contro le sentenze pronunciate nel giudizio di ottemperanza, oltre che per inosservanza delle norme di quel procedimento (art. 70 d.lgs. n. 546/1992), anche per violazione di legge, in applicazione dell'art. 111 Cost., nel caso di radicale mancanza di motivazione, prescritta come requisito essenziale della sentenza di ottemperanza al giudicato tributario (art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546/1992 ed art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.) (Cass. n. 7801/2004). L'art. 70, comma 10, d.lgs. n. 546/1992, come le altre espresse previsioni normative che avverso provvedimenti giurisdizionali aventi carattere decisorio non ammettono altro mezzo di impugnazione che il ricorso per Cassazione, va inteso nel senso che, ai sensi dell'art. 111 Cost., esso è sempre consentito per violazione di legge, con riferimento tanto alla legge regolatrice del rapporto sostanziale controverso che a quella regolatrice del processo (Cass. n. 15084/2004). Avverso l'ordinanza che dichiara chiuso il procedimento, ex art. 70, comma 8, d.lgs., n. 546/1992 è proponibile ricorso per Cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., qualora tale provvedimento abbia un contenuto decisorio. (Nella fattispecie, la S.C. ha riconosciuto tale contenuto all'ordinanza con la quale la commissione tributaria, pur utilizzando la formula impropria della «presa d'atto», aveva espresso un giudizio di conformità, in relazione alla liquidazione degli interessi, tra il dispositivo della sentenza da eseguire e la sua esecuzione) (Cass. n. 3435/2005). La Cass. n. 12931/2008: «il ricorso per Cassazione avverso le decisioni della Commissione tributaria centrale (rese nel regime del processo tributario disciplinato dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) è proponibile solo ai sensi dell'art. 111 Cost., sicchè sono deducibili, con tale rimedio straordinario, soltanto i vizi di violazione di legge» (conf. Cass. n. 1055/2013). Sospensione cautelare ex art. 62-bis, dell'immediata esecutività della sentenza d'ottemperanzaL'eventuale ricorso per cassazione non incide sull'immediata esecutività di tutti i provvedimenti del giudice dell'ottemperanza. Tuttavia, l'ufficio inadempiente condannato — nei casi previsti per il ricorso in cassazione — può chiedere al giudice dell'ottemperanza (C.t.p. o C.t.r.) la sospensione ex art. 62-bis dell'esecuzione della sentenza — paventando un danno grave ed irreparabile- da disporre con ordinanza non impugnabile dello stesso giudice dell'ottemperanza. BibliografiaBaglione, Menchini, Miccinesi, Il nuovo processo tributario: commentario, Milano, 2004; Baglione, Menchini e Miccinesi, Il nuovo processo tributario, Milano, 1997; Basilavecchia, Il giudizio di ottemperanza, in AA.VV., Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da F. Tesauro. Il processo tributario, Torino, 1998, 929 ss, e 942; Chindemi, Labruna, Ultime misure governative volte al contenimento della diffusione contagiosa “COVID-19” che impattano sulla giustizia tributaria, in ilTributario.it, 11 novembre 2020; Chindemi e. 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