Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 62 bis - Provvedimenti sull'esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per cassazione 1 2 3 .

Salvatore Labruna

Provvedimenti sull'esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per cassazione 123.

1. La parte che ha proposto ricorso per cassazione puo' chiedere alla corte di giustizia tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte l'esecutivita' allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile. [Il contribuente puo' comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto se da questa puo' derivargli un danno grave e irreparabile]4.

2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, comunque non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione della medesima istanza, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima5.

3. In caso di eccezionale urgenza il presidente puo' disporre con decreto motivato la sospensione dell'esecutivita' della sentenza fino alla pronuncia del collegio.

4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con ordinanza motivata non impugnabile.

5. La sospensione puo' essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all'articolo 69, comma 2. Si applica la disposizione dell'articolo 47, comma 8-bis.

6. La corte di giustizia tributaria non puo' pronunciarsi sulle richieste di cui al comma 1 se la parte istante non dimostra di avere depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza6.

 

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 117 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Articolo aggiunto, a decorrere dal 1° gennaio 2016, dall'articolo 9, comma 1, lettera aa), numero 2), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156.

Inquadramento

L’articolo 47, d.lgs. 546/1992 va ritenuto norma generale - in quanto compatibile - a tutte le sospensive cautelari di cui agli artt. 47, 52, 62-bis e 65 c. 3-bis, d.lgs. 546/1992. Con la novellazione operata dal d.lgs.156/2015, la recente introduzione dell'art. 62-bis, d.lgs.546/1992, non richiama congiuntamente i canonici concetti del «fumus boni iuris» e del «periculum in mora» ma, testualmente, richiede per la sospensione, in toto o in parte, dell'esecutività della sentenza impugnata o, comunque,» – analogamente alle altre diverse ipotesi disciplinate dagli artt. 47 e 52, stesso decreto – per la sospensione, in toto o in parte, dell'esecuzione dell'atto, oggetto del giudizio, un paventato «danno grave e irreparabile» (ragioni fattuali); per le ipotesi di cui agli artt. 47, comma 3 e 52, comma 4, è altresì prevista una delibazione nel merito, che, ovviamente, nell'ipotesi in rassegna non è praticabile. Dall'esercizio dell'una o dell'altra –non alternative- opzioni disponibili: sospensione cautelare della esecutività della sentenza o dell'esecuzione dell'atto (artt. 52 e 62-bis), discendono effetti diversificati in ordine sia all'onere probatorio della sussistenza dei requisiti necessari sia ai benefici concretamente conseguibili. Con la sospensione cautelare della esecutività della sentenza impugnata con ricorso per cassazione (anche della C.t.p.exart. 62, comma 2-bis), rimarrebbe comunque praticabile l'esecuzione dell'atto nella misura prevista in pendenza del relativo giudizio, atteso che la sospensione della sentenza inibirebbe solamente la relativa frazione aggiuntiva di riscossione ex art. 68, comma 1, d.lgs. n. 546/1992; con la sospensione cautelare della esecuzione dell'atto sarebbe invece sempre inibita direttamente la riscossione dell'intero importo richiesto e non ancora pagato. Si parla di esecuzione –e non di esecutività- dell'atto impugnato attesa l'obbligatorietà della riscossione del tributo, e, pertanto non è necessaria alcuna verifica giudiziale di esecuzione coattiva in corso. La sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata e la sospensione dell'esecuzione dell'atto condividono il requisito della gravità, con prognosi in fatto, accompagnata da una valutazione sulla irreparabilità alla luce dell'attività concretamente esercitata dall'intimato-istante.

In caso di “eccezionale urgenza”, il presidente della sezione assegnataria ex articolo 26, d.lgs. 546/1992, provvede sulla richiesta sospensione cautelare della provvisoria esecutività/esecuzione con proprio decreto, sinteticamente motivato e contestuale all’altro decreto di fissazione della udienza (ex articolo 47 comma 2, d.lgs. 546/1992) per provvedere in composizione collegiale sull’istanza medesima, da comunicare a tutte le parti costituite almeno 10 giorni liberi prima ex articolo 47 comma 2, d.lgs. 546/1992. Anche l'eccezionale urgenza presuppone per il decreto presidenziale cautelare di cui all’articolo 62 comma 3, nessuna delibazione nel merito ai fini della sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata (secondo giurisprudenza pretoria ciò vale anche per la sospensione dell’esecuzione dell’atto oggetto del giudizio). Il decreto presidenziale va emesso solo nell'ipotesi di accoglimento della richiesta di provvisoria sospensione dell'esecutività/esecuzione, sia pure parzialmente e/o subordinatamente alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69 comma 2, d.lgs.546/1992; gli effetti del decreto presidenziale cessano con l'emissione dell'ordinanza collegiale (di conferma, revoca o modifica della sospensione provvisoriamente disposta da tale decreto), il cui dispositivo è immediatamente comunicato alle parti presenti in udienza (articolo 47, comma 4, d.lgs. 546/1992). La legge non fissa alcun termine entro il quale il collegio debba pronunciarsi con propria ordinanza non impugnabile sul decreto presidenziale che ha provveduto in caso di “eccezionale urgenza”, perché fissa solamente: un termine (180 gg. dalla presentazione) entro il quale la richiesta cautelare vada comunque decisa (articolo 47, comma 5-bis). Sono possibili revoche o modifiche di qualsiasi effettivo provvedimento cautelare emesso (anche di provvedimenti già revocativi o modificativi), al rilevante mutamento del quadro circostanziale già ivi considerato (articolo 47, comma 8, d.lgs.546/1992). Gli effetti della sospensione accordata cessano col deposito/pubblicazione della sentenza che decide il giudizio. Sulla sospensione cautelare della provvisoria esecutività/esecuzione ex 62-bis, separatamente chiesta in pendenza di giudizio in cassazione, si deve pronunciare (con rito tributario) un collegio dello stesso ufficio giudiziario tributario (Cc.Tt.) che ha già emesso la sentenza impugnata e non la Suprema Corte di cassazione (con rito civile) cui è indirizzata l’impugnazione; premesso che la produzione della documentazione relativa al deposito del ricorso per cassazione è requisito di procedibilità per questo processo incidentale di sospensione cautelare, resta applicabile il termine (180 gg. dalla presentazione) entro il quale la richiesta cautelare va comunque decisa (articolo 47, comma 5-bis), ma non l’altro termine (90 gg. dalla decisione che accoglie -anche parzialmente- la richiesta) entro il quale la controversia andrebbe trattata (articolo 47, comma 6, d.lgs. 546/1992).

Prassi e Casistica

L'articolo 62-bis, infine, è stato inserito ex novo dall'articolo 9, comma 1, lettera aa) del decreto di riforma, al fine di disciplinare l'esecuzione provvisoria e i provvedimenti cautelari relativi alle sentenze impugnate per cassazione. In definitiva, è consentito alla parte ricorrente di richiedere direttamente «alla commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte l'esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile». Allo stesso fine è garantita al contribuente la possibilità di chiedere la sospensione dell'atto. In proposito, va evidenziato come la Corte costituzionale, con la sentenza 9 giugno 2010, n. 217, abbia ribadito il «consolidato orientamento giurisprudenziale (tale da costituire «diritto vivente»), secondo il quale, l'«irreparabilità del danno» di cui all'art. 373 c.p.c. va intesa, quantomeno, nel senso di un intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza nelle more del giudizio di cassazione e le concrete possibilità di risarcimento in caso di accoglimento del ricorso per cassazione». Come esplicitato nella relazione illustrativa al decreto di riforma, la formulazione dell'articolo 62-bis in esame è analoga a quella contenuta nell'articolo 373 c.p.c. e attribuisce rilievo al solo periculum in mora, senza possibilità di valutare il fumus boni iuris. Tale ultimo elemento è stato, infatti, già valutato, dallo stesso giudice che ha emesso la sentenza di cui si chiede la sospensione, impugnata innanzi alla Suprema Corte. Per il resto l'articolo 62-bis ricalca la medesima procedura disciplinata dal nuovo articolo 52 e ripropone il richiamo dell'articolo 47, comma 8-bis, sulla debenza degli interessi da sospensione amministrativa. In questo caso l'istanza va proposta con uno specifico atto (da notificare anche alla controparte), in quanto indirizzata ad un giudice diverso dalla Corte di cassazione, chiamata a decidere sull'impugnazione. Un'istanza di sospensione della sentenza presentata direttamente alla Suprema Corte sarebbe, quindi, inammissibile. Per contro, il comma 6, al fine di subordinare l'eventuale concessione della sospensione all'effettiva instaurazione del giudizio di legittimità, preclude alla commissione la possibilità di pronunciarsi qualora la parte istante non fornisca prova di aver depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza. A sua volta, il comma 4 chiarisce che il collegio, come per gli altri gradi di giudizio, provvede con ordinanza motivata non impugnabile, sentite le parti in camera di consiglio. La sospensione della sentenza favorevole di secondo grado esclude temporaneamente la possibilità di procedere sulla base delle norme che ne disciplinano l'esecutività, analogamente a quanto già detto a commento della sospensione delle sentenze di primo grado ai sensi dell'articolo 52. (Circ. Ag. ent. n. 38/E del 29 dicembre 2015. par. 1.12).

Il contributo unificato non è dovuto per i seguenti motivi: a) Istanza di sospensione di cui all'art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche nel caso in cui la stessa sia proposta con atto separato, sia antecedentemente che successivo alla proposizione del ricorso principale. Detta istanza, infatti, non si configura alla stregua di un vero e proprio giudizio cautelare, sebbene introduttiva di una fase incidentale del processo di primo grado i cui atti non sono assimilabili ad autonomi atti processuali o a quelli antecedenti, necessari o funzionali allo svolgimento del processo; b) Istanza di sospensione della sentenza di primo grado limitatamente alle sanzioni e quella proposta in pendenza del giudizio di primo grado, pur essendo manifestazione di potestà discrezionale del giudice adito, è espressione di un potere «proprio» del giudice dell'impugnazione, nei confronti della sentenza di primo grado, direttamente connesso all'effetto devolutivo dell'appello o del giudice che ha emanato la sentenza nei cui confronti è proposto il ricorso per revocazione o per Cassazione (circ. Min. ec. fin., 21 settembre 2011, n. 1/DF).

Con riferimento all'istanza di sospensione dell'esecuzione dell'avviso di accertamento e, in via subordinata, di sospensione dell'esecutività della sentenza di secondo grado (o della C.t.p.exart. 62, comma 2-bis) come consentito dall'art. 62-bis, comma 1, d.lgs. n. 546/1992 introdotto dall'art. 9 d.lgs. n. 156 del 2015, deve tenersi in considerazione il solo richiesto presupposto della gravità e irreparabilità del danno che potrebbe derivare dall'esecuzione, per la valutazione della sua sussistenza, senza porre mente alla fondatezza o meno dell'impugnazione, giudizio riservato alla Suprema Corte; detto requisito è sussistente nel caso di specie alla luce delle prove documentali offerte (con riferimento al compenso percepito dal contribuente in qualità di socio unico di una Srl; agli obblighi di versamento in capo al contribuente a seguito di omologa di separazione consensuale; all'impossibilità di adempiere anche in ipotesi di versamento mediante rateizzazione in misura massima) (C.t.r. Puglia n. 377/22/2016).

Occorre considerare solo il presupposto della gravità e irreparabilità del danno che potrebbe derivare dall'esecutività della sentenza di secondo grado, formulata in via subordinata rispetto alla domanda in via principale di sospensione dell'esecuzione dell'avviso di accertamento, oggetto della causa; detto presupposto, inteso come pregiudizio di rilevante attuale gravità e concreto pericolo di subire danni irrimediabili o difficilmente rimediabili, risulta sussistente, all'esito di una rigorosa valutazione delle prove documentali offerte e senza che appaia necessario imporre la prestazione di idonea garanzia, in considerazione del fatto che il contribuente pur potendo fruire di consistente reddito complessivo annuo si trova però in maniera altrettanto consistente esposto nei confronti della banca ed inoltre in conseguenza di pregressi debiti tributari divenuti definitivi è tenuto a versare mensilmente con rateizzazione ad Equitalia somme quasi pari al reddito dichiarato mensile. (C.t.r. Puglia Lecce 29 febbraio 2016 n. 217/2016).

Nel processo tributario l'udienza per la trattazione della richiesta di misura cautelare non può essere fissata prima che siano scaduti i termini per la costituzione della parte resistente. (C.t.p. Campobasso 28 maggio 2013, n. 108).

Va «valutato collegialmente ogni aspetto della controversia al solo fine di apprezzare il paventato danno grave e irreparabile, atteso che la valutazione di questa Commissione tributaria regionale deve astenersi da ogni delibazione del merito, (c.d. fumus boni iuris), sul quale, peraltro, si è già pienamente e negativamente pronunciata nella propria articolazione sezionale n° xx, con sentenza n° cccccc/ff/eeee, ormai rimessa alla valutazione della Suprema Corte, la cui «potestas iudicandi» va garantita nella effettiva futura efficacia, tenendo anche conto della prevedibile lunghezza dei relativi tempi processuali» (C.t.r. Lombardia Ordinanza 1166/10/2017).

«Già ritenuta insussistente l'eccezionale urgenza di cui all'art. 62-bis, comma 3, d.lgs. n. 546/1992, anche in considerazione della prossimità di questa udienza collegiale, fissata nei termini di cui all'articolo 47, comma 5-bis, stesso decreto, sentite le parti presenti nella odierna camera di consiglio sulla istanza di sospensione cautelare, visti gli atti di causa ed esaminati i documenti prodotti dalle parti, acquisito ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 62-bis, comma 6, stesso decreto, il certificato di deposito ricorso n° xxxxxx/2016, rilasciato dalla cancelleria centrale civile della Corte suprema di cassazione, il Collegio, pone la richiesta in decisione. Visto l'art. 62-bis, d.lgs. n. 546/92, come introdotto dal d.lgs.156/2015 in sostituzione del combinato disposto degli artt. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/92, e 373 c.p.c., che prevede la sospensione, in toto o in parte, dell'esecutività della sentenza — in epigrafe — impugnata per cassazione o comunque dell'esecuzione dell'atto oggetto del giudizio pendente, al fine di evitare un danno grave e irreparabile al contribuente; considerato l'insegnamento della Suprema corte, secondo la quale si deve tener conto delle inderogabili esigenze di un necessario bilanciamento degli interessi in gioco che nel caso della materia tributaria vedono contrapposti, da un lato l'interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile conseguenza del pagamento di un tributo, che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e, dall'altro, gli interessi dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze del bilancio. (Cass. n. 2845/2012), per cui l'irreparabilità del danno di cui all'art. 373 c.p.c. (hic et nunc: art. 62-bis, d.lgs. n. 546/1992) va intesa, quantomeno, nel senso di un'intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza nelle more del giudizio di cassazione e le concrete possibilità di risarcimento in caso di accoglimento del ricorso per cassazione.» (Corte cost. n. 217/2010); valutato collegialmente ogni aspetto della controversia al solo fine di apprezzare il paventato danno grave e irreparabile, atteso che la valutazione di questa Commissione tributaria regionale deve prescindere dal c.d. fumus boni iuris, sul quale, peraltro, si è già pienamente e negativamente pronunciata nella propria articolazione sezionale n. 19, con sentenza n. 3525/2016, ormai rimessa alla valutazione della Suprema Corte, la cui «potestas iudicandi» va garantita nella effettiva futura efficacia, tenendo anche conto della prevedibile lunghezza dei relativi tempi processuali; considerato che il c.d. periculum in mora, come denunciato dal contribuente, si fonda sull'importo da pagare — che non può integrare ex se il danno grave e irreparabile presupposto per la sospensione cautelare richiesta — senza illustrare conseguenti rischi concreti ed attuali per diritti primari della persona o per la sopravvivenza della attività economica considerata e senza prendere in esame la possibilità di sottoporre il pagamento richiesto ad una rateazione compatibile con la solvibilità del richiedente; preso, infine, atto che all'accertamento in epigrafe ha fatto seguito una intimazione di pagamento impugnata davanti la Ctp di Xxxx, la cui richiesta di sospensione avanzata ai sensi dell'articolo 47, d.lgs. n. 546/1992 è stata respinta; il Collegio ritiene non dimostrato il pericolo di danno grave e irreparabile, come illustrato dal contribuente; provvede sulle spese di questa fase incidentale — «salvo diversa statuizione espressa» con una valutazione complessiva all'esito della lite, ex art. 15, comma 2-quater, d.lgs. n. 546/92- tenendo conto della natura e complessità dell'affare, dell'importanza anche economica delle questioni trattate, del pregio dell'opera, dell'urgenza della prestazione, dei risultati del giudizio e dei vantaggi conseguiti, nonché del valore della controversia determinato (ex art. 5, comma 4, d.m. sotto indicato) in conformità all'importo delle imposte, tasse, contributi e relativi accessori oggetto di contestazione —in deroga all'art. 12, c. 2, d.lgs. 546/92 — liquidandole complessivamente ex art. 15, comma 2-ter, d.lgs. n. 546/1992 in base ai parametri disciplinati dal d.m. Min. Giustizia 10 settembre 2014, n. 55, recante «Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell'art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247», come da dispositivo. Il dispositivo dell'ordinanza è immediatamente comunicato alle parti presenti in udienza con le modalità indicate dalla seconda parte del novellato art. 47, c.4, d.lgs. 546/92; ai sensi del combinato disposto dall'art. 1, c.2, d.lgs. n. 546/92 e dall'art. 176, comma 2, c.p.c.: «le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi». Ne potrà essere richiesta copia alla segreteria di sezione dal giorno successivo a quello di deliberazione» (C.t.r. Lombardia ordinanza 0938-01-2017). Vds. anche C.t.r. Lombardia ordinanza 0026-01-2018.

Evoluzione interpretativa giurisprudenziale e questioni di legittimità costituzionale

In relazione agli artt. 324,53,111 e 113 Cost., è infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 49 del d.lgs. n. 546/1992 nella parte in cui si assume che violi il diritto di difesa (perché non consente la sospensione dell'esecuzione della sentenza tributaria nel giudizio di Cassazione); invece già con la sentenza n. 217/2010 (di questa Corte) si è data un'interpretazione al processo tributario nel senso che, in materia cautelare, non è escluso che possa applicarsi l'art. 373, comma primo, c.p.c. (Corte cost. n. 109/2012).

Inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Campania in riferimento agli artt. 3,23,24,111 e 113 della Costituzione, nonché, quale norma interposta all'art. 10 Cost., in riferimento all'art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata ed eseguita con legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto il rimettente, nonostante la mancanza di un diritto vivente sul punto, non ha esperito alcun tentativo di interpretare la disposizione censurata nel senso che essa consenta l'applicazione al processo tributario della sospensione cautelare prevista dall'art. 373 c.p.c., con conseguente insussistenza del prospettato contrasto con gli evocati parametri costituzionali (Corte cost. n. 217/2010).

Al ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali si applica la disposizione di cui all'art. 373, comma 1, secondo periodo, c.p.c. giusta la quale «il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione». La specialità della materia tributaria e l'esigenza che sia garantito il regolare pagamento delle imposte impone una rigorosa valutazione dei requisiti del fumus boni iuris dell'istanza e del periculum in mora (Cass. n. 2845/2012).

Alla luce dell'orientamento espresso dalla Corte cost. n. 217/2010, deve trovare accoglimento la domanda di sospensione della sentenza di appello, in quanto è infondata la tesi secondo la quale l'azione cautelare sarebbe proponibile solo in primo grado (ex art. 47 del d.lgs. n. 546/1992), è infatti possibile applicare la sospensione ex art. 373 del c.p.c. anche al processo Tributario, qualora dall'esecuzione possa derivare un danno grave e irreparabile al contribuente (C.t.r. Lombardia - Milano, 18 gennaio 2011, n. 2).

Alla luce della motivazione della sentenza n. 217/2010 della Corte costituzionale, si rileva la sospendibilitàope iudicis dell'esecuzione della sentenza di appello impugnata per Cassazione. Fra le disposizioni fatte salve dall'art. 337 c.p.c. oltre all'art. 373 vi è l'art. 283 c.p.c. applicabile nel giudizio tributario, ai sensi del quale il giudice d'appello, su istanza di parte proposta con l'impugnazione principale o incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione (C.t.r. Lombardia, 20 giugno 2011, n. 9-10).

Le spese della fase incidentale: compensazione, impugnabilità

L'art. 15, comma 2-quater, d.lgs. n. 546/1992, non fornisce specifici criteri di compensazione delle spese della fase cautelare, per cui possono valere quelli generali previsti dal precedente comma 2; la compensazione sarà quindi possibile in caso di accoglimento dell'istanza subordinato alla prestazione di idonea garanzia, potendosi ciò essere ritenuta soccombenza parziale o reciproca (per la valenza di controcautela — vds. Corte cost. n. 40/1962 — della garanzia richiesta), mentre in caso di accoglimento o rigetto dell'istanza, la compensazione può essere disposta solo per «gravi ed eccezionali ragioni» che devono essere sempre espressamente motivate, sia pure sinteticamente, argomentando su questioni attinenti il paventato danno grave e irreparabile («periculum in mora»), atteso che non vi è delibazione del merito. Se la sospensione dell'esecuzione dell'atto è stata accordata per ragioni fattuali relative alla sola condizione soggettiva del contribuente, del tutto estranee all'ente impositore, trova spazio una grave ed eccezionale ragione per la compensazione delle spese. Infatti, l'ente impositore resistente non può essere condannato al pagamento delle spese della fase cautelare per il mero accoglimento dell'istanza, dovendosi valutare anche le ragioni sottese all'emissione dell'atto impugnato, ancora sub iudice. È prevista, sempre in punto di spese, una possibile diversa statuizione espressa nella sentenza di merito a modifica della precedente statuizione incidentale, con una valutazione complessiva all'esito del giudizio. Tale valutazione non esclude necessariamente che la parte vittoriosa possa essere condannata al pagamento delle spese della fase cautelare, ove la propria istanza di sospensione fosse stata giustamente rigettata. La sentenza che definisce il grado di giudizio è impugnabile in punto di spese della fase incidentale, anche in mancanza di alcuna specifica statuizione, superando le paventate questioni di incostituzionalità su un'ordinanza cautelare non impugnabile, che abbia provvisoriamente deciso sulle spese della fase incidentale, difettando il requisito della definitività. La garanzia per la sospensione della riscossione o per il rimborso di ciascuna delle somme dovute ex art. 68, d.lgs. 546/1992 ed art. 19, comma 1, d.lgs. 472/1997, va prestata nelle forme e con le modalità di cui al Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22 (come già previsto dal novellato art. 69 comma 2, d.lgs 546/92) emesso ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988; i costi della garanzia, anticipati dal contribuente, saranno infine posti a carico della parte soccombente ai sensi dell'art. 8, comma 4, l. n. 212/2000 (e dell'art. 69, comma 3, d.lgs. 546/1992) all'esito definitivo del giudizio.

L'ordinanza è, comunque. revocabile con la sentenza che definisce il giudizio. È prevista tuttavia, sempre in punto di spese, una possibile diversa statuizione espressa nella sentenza di merito a modifica della precedente statuizione incidentale, con una valutazione complessiva all'esito del giudizio. Tale valutazione non esclude necessariamente che la parte vittoriosa possa essere condannata al pagamento delle spese della fase cautelare, ove la propria istanza di sospensione fosse stata giustamente rigettata. La sentenza che definisce il grado di giudizio è impugnabile in punto di spese della fase incidentale, anche in mancanza di alcuna specifica statuizione, superando le paventate questioni di incostituzionalità su un'ordinanza cautelare non impugnabile, che abbia provvisoriamente deciso sulle spese della fase incidentale, difettando il requisito della definitività. Il provvedimento cautelare, comunque, non ha natura decisoria e non è conseguentemente impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 5406/1986). La mancata impugnazione sul punto della sentenza che definisce il grado di giudizio darà luogo a giudicato interno. Nel caso in cui la sentenza impugnata fosse stata riformata «in toto» dal giudice d'appello, la riliquidazione delle spese relative a tale subprocedimento non può essere esclusa (Cass. n. 2671/2013).

Il provvedimento cautelare, comunque, non ha natura decisoria e non è conseguentemente impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 5406/1986). La mancata impugnazione sul punto della sentenza che definisce il grado di giudizio darà luogo a giudicato interno. Nel caso in cui la sentenza impugnata fosse stata riformata «in toto» dal giudice d'appello, la riliquidazione delle spese relative a tale subprocedimento non può essere esclusa (Cass. n. 2671/2013). Le spese della fase cautelare devono essere liquidate dalla Suprema Corte, unitamente a quelle del giudizio di legittimità, considerata la natura meramente incidentale della procedura in esame (C.t.r. Puglia — Bari 19 aprile 2016, n. 377/22/16).

Bibliografia

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