Notifiche a mezzo PEC e oneri di collaborazione

Michele Nardelli
01 Marzo 2018

La Suprema Corte, nella sentenza in esame, si è occupata delle questioni inerenti la necessità dell'inserimento dell'indirizzo PEC del mittente nei pubblici elenchi previsti dalla legge, e la regolarità della notifica, quando il destinatario non sia in grado di leggere i documenti inviati.
Massima

La semplice verifica dell'avvenuta accettazione dal sistema e della successiva consegna, ad una determinata data ed ora, del messaggio di posta elettronica certificato contenente l'allegato notificato è sufficiente a far ritenere perfezionata e pienamente valida la notifica. L'eventuale mancata lettura dello stesso da parte del difensore per eventuale malfunzionamento del proprio computer andrebbe imputato a mancanza di diligenza del difensore che nell'adempimento del proprio mandato è tenuto a dotarsi dei necessari strumenti informatici e a controllarne l'efficienza.

Il caso

Nell'ambito di un giudizio di cassazione, nel controricorso viene eccepita l'inammissibilità del ricorso sotto due diversi profili. In primo luogo perché la notifica tramite PEC del ricorso avrebbe dovuto essere considerata inesistente, poiché proveniente da un mittente la cui identità non era stata certificata dal sistema, in violazione dell'art. 3-bis della l. n. 53/1994. In secondo luogo perché la notifica sarebbe stata inesistente, o quanto meno nulla, in quanto il messaggio PEC non avrebbe contenuto allegati leggibili, né nel formato firmato elettronicamente (.p7m), né in quello 'libero' (.pdf).

I due profili sono stati ritenuti infondati dalla decisione che si commenta. Il primo perché dalla relata di notifica a mezzo PEC del ricorso (comprensiva delle ricevute di invio, accettazione e consegna del messaggio), non risultavano anomalie con riferimento alla riconducibilità dell'indirizzo PEC al difensore del ricorrente. Il secondo sulla base del principio espresso nella massima.

La questione

Le questioni controverse vanno individuate in quelle espressamente affrontate dalla Cassazione, vale a dire la necessità dell'inserimento dell'indirizzo PEC del mittente nei pubblici elenchi previsti dalla legge, e la regolarità della notifica, quando il destinatario non sia in grado di leggere i documenti inviati.

Le soluzioni giuridiche

Quanto alla prima delle questioni così individuate, va subito considerato che ai sensi dell'art. 3-bis, l. n. 53/1994, la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi. Ne deriva che l'avvocato, al fine di procedere alla notifica telematica, deve essere dotato di una casella PEC risultante dai pubblici elenchi (si intendono per pubblici elenchi, ai sensi dell'art. 16-ter del d.l. n. 179/2012, alla luce dell'ultima modifica intervenuta per effetto dell'art. 66, comma 5, d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, in vigore dal 27 gennaio 2018, quelli previsti dagli artt. 6-bis, 6-quater e 62 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, dall'art. 16, comma 12, del d.l. n. 179/2012, dall'art. 16, comma 6, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia).

Ovviamente, sulla base della medesima normativa anche l'indirizzo PEC del destinatario deve essere compreso nei pubblici elenchi.

L'art. 3-bis, comma 5, l. n. 53/1994 permette di apprezzare una differenza tra i due indirizzi, poiché mentre di quello del destinatario è previsto (lett. e ed f) che il mittente indichi, nella relazione di notificazione, l'indirizzo di posta elettronica certificata a cui l'atto viene notificato, e l'elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto, analoga disposizione non è prevista per l'indirizzo dello stesso mittente, quanto alla indicazione dell'elenco nel quale lo stesso sia iscritto.

Da un punto di vista processuale le conseguenze della violazione delle disposizioni richiamate sono dettate dall'art. 11 della stessa legge, e consistono nella nullità della procedura di notificazione («Le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d'ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica»).

Quanto alla seconda delle questioni, la giurisprudenza si è già occupata del tema. Tra le altre Cass. civ., sez. VI – 3, ord., 25 settembre 2017, n. 22320 (rv. 645723-01), che ha stabilito come «La notifica a mezzo PEC ex art. 3-bis della l. n. 53/1994 di un atto del processo - formato fin dall'inizio in forma di documento informatico - ad un legale, implica, purché soddisfi e rispetti i requisiti tecnici previsti dalla normativa vigente, l'onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell'attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l'allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto; peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l'onere in questione non può dirsi eccezionale od eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l'esercizio della professione».

Osservazioni

Al fine di operare le necessarie considerazioni, è opportuno partire dal richiamo alla nota decisione della Cassazione (Sez. Un., 18 aprile 2016, n. 7665), che in motivazione ha stabilito come «il principio, sancito in via generale dall'art. 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali - pertanto - la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l'atto, malgrado l'irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario» (Cass. civ., sez. lav., n. 13857/2014; cfr., Cass. civ., sez. trib., n. 1184/2001 e n. 1548/2002), e soprattutto come «La denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l'interesse all'astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione».

In ordine alla prima questione, di conseguenza, in presenza della dimostrazione del mancato inserimento dell'indirizzo PEC del mittente nei pubblici elenchi, soccorreranno le ordinarie regole valutative, inerenti il rilievo della conseguente nullità, compresa la sanatoria della stessa per il caso nel quale lo scopo della notificazione sia stato comunque raggiunto (e in questo senso anche Cass. civ., sez. I, 31 agosto 2017, n. 20625, rv. 645225-01, che ha stabilito come «L'irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dell'atto ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale. (Nella specie la Suprema Corte ha escluso che la notifica a mezzo PEC attuata prima del 15 maggio 2014, giorno di entrata in vigore delle norme tecniche di cui all'art. 18 del d.m. n. 44/2011, che secondo i ricorrenti rendevano attuabile la notificazione a mezzo PEC, fosse inesistente, riscontrandone la nullità e il successivo raggiungimento dello scopo)»).

Quanto alla seconda delle questioni trattate, la premessa è che il concetto di posta elettronica certificata (ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. e), del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44), è quello di un «sistema di posta elettronica nel quale è fornita al mittente documentazione elettronica attestante l'invio e la consegna di documenti informatici, di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68». L'ottica nella quale ci si deve porre, in sostanza, è quella di permettere una comoda attività di notifica, basata su uno strumento comune alle varie parti processuali, che dia adeguata garanzia in ordine al perfezionamento della consegna del documento da notificare. Le varie parti processuali sono quelle di cui alla lettera m) del medesimo articolo, che individua i soggetti abilitati all'utilizzo dei servizi di consultazione di informazioni e trasmissione di documenti informatici relativi al processo, in particolare elencandoli in soggetti abilitati interni - i magistrati, il personale degli uffici giudiziari e degli UNEP-; i soggetti abilitati esterni -i soggetti abilitati esterni privati e i soggetti abilitati esterni pubblici-; i soggetti abilitati esterni privati -i difensori delle parti private, gli avvocati iscritti negli elenchi speciali, gli esperti e gli ausiliari del giudice-; i soggetti abilitati esterni pubblici -gli avvocati, i procuratori dello Stato e gli altri dipendenti di amministrazioni statali, regionali, metropolitane, provinciali e comunali. Affinché il sistema possa rispondere alle necessità indicate, l'art. 20 del decreto stabilisce alcune caratteristiche che devono essere possedute dalle postazioni tecnologiche dei soggetti abilitati esterni, come i difensori. In particolare il gestore di posta elettronica certificata è tenuto ad adottare software antispam idoneo a prevenire la trasmissione di messaggi di posta elettronica indesiderati (che potrebbero occupare la memoria della casella PEC), a dotare il terminale informatico utilizzato di software idoneo a verificare l'assenza di virus informatici per ogni messaggio in arrivo e in partenza (al fine di evitare che nel sistema possano essere veicolati virus informatici). La casella di posta elettronica certificata deve disporre poi di uno spazio disco minimo (definito nelle specifiche tecniche di cui all'articolo 34). Il soggetto abilitato esterno è infine tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.

Gli elementi indicati mostrano chiaramente che ciascun soggetto sia gravato da un onere di collaborazione, in vista del generale funzionamento del sistema. È il caso di dire che si tratta di un onere di collaborazione non particolarmente gravoso, tale da non poter essere inteso come lesivo delle prerogative delle parti processuali. E il riflesso che ne consegue è che rimanga irrilevante, ai fini del perfezionamento della notifica, che il destinatario, per qualsiasi motivo imputabile a sé, non abbia potuto avere effettiva conoscenza dell'atto. Tra i motivi privi di rilievo vi è certamente anche la mancata lettura dei documenti, che in ipotesi consegua alla mancanza, nella dotazione tecnica del destinatario, del software necessario alla lettura. A quest'ultimo proposito, è noto che le firme (art. 11 del provvedimento del Responsabile del Dgsia del 16 aprile 2014, recante le specifiche tecniche di cui all'art. 34 del d.m. n. 44/2011) possono essere quella CA-dES (con estensione .p7m) e quella PA-dES (con estensione .pdf). La differenza tra le due firme risiede nel fatto che mentre il file firmato PA-dES può essere letto utilizzando qualsiasi lettore di file PDF, di comune disponibilità, il file firmato CA-dES può essere letto solo mediante un software dedicato, necessario per l'apertura della busta crittografata (vale a dire il file .p7m), all'interno della quale viene inserito dal sistema il documento trasmesso. Questa seconda procedura è più macchinosa, ma può essere a sua volta eseguita sia mediante software gratuito, reso disponibile da alcuni operatori di settore, e sia mediante software da acquistare, che fornisce alcune funzionalità ulteriori.

In ogni caso, e per quello che qui rileva, l'attività di collaborazione degli operatori appare proporzionata alla necessità di favorire la funzionalità del sistema, e peraltro è comune a tutti i soggetti operanti nell'ambito del processo telematico.

Va rilevato, infine, che la possibilità di valutare i documenti inviati, e quindi di apprezzare la ritualità della notifica, è garantita da alcune norme. In particolare, l'art. 6, comma 4, del d.P.R. n. 68/2005, prevede che la ricevuta di avvenuta consegna possa contenere la copia completa del messaggio di posta elettronica certificata consegnato. Nel caso delle notifiche eseguite in proprio dagli avvocati, l'art. 18, comma 6, del d.m. n. 44/2011 prevede che «la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall'art. 3-bis, comma 3, della l. 21 gennaio 1994, n. 53 è quella completa, di cui all'art. 6, comma 4, del d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68», e questo consente al giudice proprio di verificare quanto ricevuto dal destinatario, e di verificare anche la leggibilità e la completezza del documento inviato.

Guida all'approfondimento
  • Cossignani, Percorsi di giurisprudenza - processo civile telematico: deposito, notificazioni e comunicazioni, in Giur. It., 2017, 4, 973;
  • Gualtieri, Sulle notifiche in proprio dell'avvocato tramite posta elettronica certificata, in Riv. Dir. Proc., 2013, 4-5, 1081.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario