Consiglio di condominio: limiti ai poteri e all'impugnativa delle delibere

Adriana Nicoletti
02 Marzo 2018

Il consiglio dei condomini, introdotto nelle norme del condominio dall'art. 1130-bis c.c., è un organo consultivo e di controllo dell'operato dell'amministratore. Le sue funzioni sono determinate per legge, anche se un regolamento di tipo contrattuale (ovvero convenzionale se approvato o modificato dal consenso unanime) può estendere le attribuzioni del consiglio ad altre attività. La Corte d'Appello di Torino è stata chiamata a decidere su di un caso peculiare che non sembra avere precedenti...
Massima

La deliberazione del consiglio di condominio è invalida allorché consista in una delibera assembleare che non abbia contenuto consultivo (come previsto dall'art. 1130-bis,ultimo comma, c.c.) ma esprima una vera e propria decisione e sia stata assunta in difetto di convocazione per conto dell'amministratore di condominio. Il consiglio di condominio, infatti, come disciplinato dalla Riforma del 2013, necessariamente composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari, ha esclusivamente funzioni consultive e di controllo amministrativo, tecnico e contabile sull'operato dell'amministratore (nella specie l'assemblea del consiglio di condominio aveva deliberato sul punto “assegnazione lavori di rifacimento terrazzo/lastrico solare”, con evidente eccesso di potere in relazione alle sue legittime prerogative).

Il caso

Convocata dall'amministratore del condominio l'assemblea straordinaria del consiglio del condominio per deliberare in merito all'assegnazione di lavori su beni comuni (terrazzo/lastrico solare) un condomino, cui non era stato inviato l'avviso di convocazione, impugnava la delibera per vizi formali e violazione di norme di legge (omessa convocazione, violazione del numero legale e dei criteri di ripartizione dei costi dell'intervento, contrasto con le norme in tema di condominio parziale), chiedendo che ne venisse dichiarata la nullità, l'annullabilità e la revocabilità.

Si costituiva in giudizio il condominio che, in via preliminare, eccepiva la carenza di interesse ad agire del condomino e, nel merito, sosteneva l'inammissibilità e improcedibilità dell'impugnativa in quanto l'art. 1137 c.c. si applica solo alle delibere dell'assemblea del condominio e non a quelle del consiglio di condominio.

Il Tribunale di Torino, respinta l'eccezione pregiudiziale, annullava la delibera impugnata, sostanzialmente considerata, per le caratteristiche emerse dall'intestazione del verbale e dal suo contenuto (richiamo all'art. 1136 c.c.; i condomini non avevano espresso pareri ma una decisione per conto del condominio; il condomino era stato sollecitato per un pagamento che trovava titolo proprio nella delibera in questione ed altro), una delibera assembleare suscettibile di essere impugnata ai sensi dell'art. 1137 c.c.

Tale decisione è stata integralmente confermata dalla Corte d'Appello.

La questione

Due sono le questioni esaminate dai giudici: il rapporto tra l'art.1137 c.c. e l'art. 100 c.p.c. ovvero se l'impugnativa di una delibera assembleare debba presupporre un interesse ad agire da parte del condomino ed i limiti di operatività del consiglio di condominio come delineati dall'attuale art. 1130-bis c.c. anche in relazione alla previgente legislazione (art. 16 del r.d.l. 15 gennaio 1934, n. 56).

Le soluzioni giuridiche

Va evidenziato che, dall'incipit della motivazione, emerge come la Corte d'appello abbia dato importanza determinante, ai fini della decisione, all'intestazione del verbale assembleare che, indicato come «verbale di assemblea straordinaria del consiglio di condominio» e riferito all'art. 1136 c.c., avrebbe generato nel condomino il timore che si trattasse di un verbale di assemblea. A tale considerazione si era aggiunto un ulteriore rilievo, secondo il quale da tale qualificazione sarebbe stato tratto in inganno anche l'amministratore che, anche se trascorso un cospicuo lasso di tempo dalla decisione, avrebbe sollecitato il condomino al pagamento di quote condominiali scadute e pari alle due rate previste nella delibera assunta dal consiglio di condominio ed oggetto di impugnativa.

Quanto alla prima questione, anche nel giudizio di impugnazione di una deliberazione per vizi formali deve sussistere l'interesse ad agire come stabilito dall'art. 100 c.p.c., il quale dispone che «per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse».

La Corte d'appello, riconosciuto che nel caso di specie detto interesse era sussistente in capo all'impugnante (infatti, l'incidenza della delibera impugnata sulla sfera economica del condomino non era astratta, visto che il medesimo aveva ricevuto un sollecito di pagamento che trovava la sua fonte proprio nella delibera in questione), si è allineata ad un certo orientamento giurisprudenziale secondo cui, anche se l'impugnativa ai sensi dell'art. 1137 c.c. non è condizionata al riscontro della concreta incidenza sulla singola situazione del condomino, la delibera deve essere idonea a determinare un mutamento della posizione dell'impugnante nei confronti dell'ente di gestione e tale da generare un eventuale pregiudizio (Cass. civ., sez. VI, 10 maggio 2013, n. 11214).

L'altro argomento trattato concerne le funzioni del consiglio di condominio, disciplinato per la prima volta con la legge n. 220/2012 e per il quale il giudice di secondo grado non ha potuto che ribadire le sue attribuzioni non deliberative (nel senso di imporre decisioni che incidano sulla sfera dei condomini e che, come tali, devono passare al vaglio o ratifica di apposita assemblea) ma più semplicemente consultive, collaborative e di controllo, tecnico e contabile, sull'operato dell'amministratore.

Come ha correttamente rammentato la Corte, trattasi di figura già presente in realtà immobiliari di grandi dimensioni e consacrata nei regolamenti condominiali, anche se sotto il vigore della richiamata legislazione previgente (r.d.l. n. 56/1934) era previsto che l'amministratore poteva essere assistito nell'esercizio delle sue funzioni, da un consiglio composto da non meno di due membri, scelti tra i partecipanti al condominio. Oltre alla funzione consultiva e di controllo amministrativo tale organo poteva anche svolgere attività di conciliazione delle vertenze tra i condomini: compiti che, comunque, potevano essere ampliati da un regolamento di condominio di natura contrattuale.

Detto questo, il giudice distrettuale non ha potuto fare altro che confermare la decisione di primo grado, visto che la decisione assunta dal consiglio di condominio era una determinazione operativa (peraltro mai ratificata in successiva sede assembleare) e come tale estranea alla propria competenza. Tutto ciò, peraltro, aveva trovato conferma nella stessa difesa del condominio appellante, il quale aveva richiamato la prassi ordinaria in atto negli stabili condominiali: fare vagliare ai consiglieri il preventivo apparentemente più idoneo per poi presentarlo in assemblea per la decisione finale

Osservazioni

Va premesso che la decisione della Corte sabauda ha riaffermato un principio pacifico per quanto concerne i limiti di operatività del consiglio di condominio.

Tuttavia, le argomentazioni relative alla fattispecie concreta e dalle quali è scaturita la decisione finale non appaiono condivisibili. Infatti, dalla motivazione emerge che il presunto inganno e/o errore nel quale sarebbero incorsi sia il condomino, sia l'amministratore avrebbero trasformato una delibera del consiglio di condominio in ordinaria delibera assembleare che, come tale, sarebbe stata correttamente impugnata. In realtà appare difficile ipotizzare che l'amministratore, il quale aveva convocato solo i cinque consiglieri, avesse potuto mai incorrere in un errore interpretativo del verbale dell'assemblea del consiglio dei condomini. In ogni caso, va osservato che il quadro delineato dalla Corte non poteva essere certamente rilevante ai fini della declaratoria di annullabilità della delibera assembleare.

Tali considerazioni, peraltro, portano a ritenere la nullità della delibera in discussione per essere stata assunta da organismo non competente a deliberare. Ma, ovviamente, se ciò fosse stato rilevato in questi precisi termini il giudizio avrebbe avuto un differente svolgimento.

Quanto all'eccezione sollevata in merito alla sussistenza dell'interesse ad agire del condomino anche insededi impugnativa di delibera assembleare(ovvero la necessità di dimostrare l'idoneità della delibera a determinare, non necessariamente in concreto, un'incidenza dei suoi effetti sulla sfera del singolo) giova evidenziare che la Corte Suprema si è anche pronunciata diversamente sul punto, affermando che, “in tema di azione di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali, la legittimazione ad agire attribuita dall'art. 1137 c.c. ai condomini assenti e dissenzienti non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell'atto impugnato, essendo l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. come condizione dell'azione di annullamento anzidetta, costituita proprio dall'accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni” (Cass.civ., sez. II, 10 febbraio 2010, n. 2999).

Guida all'approfondimento

Lazzaro - Di Marzio - Petrolati, Codice del condomino, Milano, 2017, 461;

Scarpa, Omessa convocazione del condomino, interesse ad agire ed onere della prova, in Immob. & proprietà, 2011, 420;

Celeste, Interesse del condomino ad impugnare la delibera assembleare, in lmmob. & diritto, 2006, fasc. 6, 20;

De Fusco, Legittimazione ad agire, interesse e litisconsorzio necessario, in Rass. loc. e cond., 1998, 390.

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