Legge concorrenza e RCA: le novità processuali

Gianluca Cascella
06 Marzo 2018

La legge n. 124/2017, con specifico riguardo al settore assicurativo ed in particolare a quello del risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione di veicoli a motore (e natanti), ha introdotto svariate novità dal punto di vista sostanziale e processuale.
Inquadramento

Per quanto di interesse dello specifico settore della RCA, la circostanza, ben evidenziata dalla dottrina, che buona parte della riforma sia dedicata alla responsabilità civile automobilistica ed alla sua assicurazione – peraltro nel contesto di una (come efficacemente definita) «sequela torrentizia di norme destinate ad impattare profondamente vari settori» (HAZAN M.-BUGLI A., L'assicurazione R.C. AUTO dopo la legge sulla concorrenza 2017, Torino, 2017, p. 1 e ss.)- attesta indubbiamente la rilevanza di tale settore per la grandissima diffusione di veicoli in circolazione, che rende inevitabile la stipula di polizze assicurative, obbligando i cittadini a venire in contatto con le imprese di assicurazione (HAZAN M.-BUGLI A., op. loc. cit. ), subendone tante volte le condizioni capestro.

Rilevanza, che, conseguentemente, determina un contenzioso molto ampio, i cui costi, sia in termini di aggravio del carico di lavoro degli uffici giudiziari, con il logico corollario dell'allungamento dei tempi dei processi, sia, parallelamente dell'aumento dei costi delle polizze assicurative, con le note sproporzioni tra le diverse Regioni- finiscono inevitabilmente per gravare su tutti i cittadini, o quantomeno su coloro che, per i motivi più vari scelgono (ovvero necessitano) di servirsi di un veicolo a motore assoggettato ad obbligo di assicurazione (la stragrande maggioranza della popolazione).

Pertanto, per provare ad incidere su tali aspetti, il legislatore, in sede di approvazione della legge in questione, ha introdotto varie innovazioni sugli aspetti processuali, e collegati, del contenzioso RCA, il che dimostra, come affermato dalla dottrina, la «spasmodica attenzione del legislatore ad un settore (quello della circolazione stradale e della sua assicurazione obbligatoria) ritenuto – a ragione – nevralgico per la sua profonda e complessiva rilevanza socio economica» (HAZAN M., Il valore di piena prova della scatola nera ora al vaglio della Consulta, in Quotidiano Giuridico, 24 novembre 2017, p.1).

Preventiva identificazione dei testimoni

La legge sulla concorrenza 2017 è intervenuta con il comma 15 aggiungendo tre commi (3-bis, 3-ter, 3-quater) all'art. 135 cod. ass., rubricato “Banca dati sinistri e banche dati anagrafe testimoni e anagrafe danneggiati”.

Il comma 3-bis stabilisce precise regole per l'indicazione, da parte del danneggiato, dei testimoni, e per la successiva valida deduzione, in giudizio, di una prova testimoniale con i medesimi; si tratta di regole limitate (per il momento, salvo dovesse, in sede applicativa, consolidarsi un orientamento giurisprudenziale favorevole ad un'applicazione delle stesse in grado di oltrepassare l'ambito originario di riferimento) ai soli sinistri generatori di danni materiali.

La norma prevede che, in tale tipologia di sinistro:

  • il danneggiato deve indicare le generalità di eventuali testimoni oculari sin dalla denuncia di sinistro, o, al limite, nella richiesta risarcitoria inviata;
  • qualora il danneggiato non vi provveda, deve essere l'impresa di assicurazione a richiedere al danneggiato i nominativi dei testi; si prevede che tale richiesta vada effettuata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento – nel termine di 60 giorni decorrenti dalla data di ricezione della denuncia di sinistro – lettera con la quale, parimenti, l'assicurato/danneggiato deve essere espressamente avvertito di quali saranno le conseguenze, in termini processuali, ove non provveda, entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta, a comunicare, sempre tramite raccomandata con avviso di ricevimento, del nominativo dei testimoni;
  • onere per l'impresa assicuratrice di individuare e comunicare all'assicurato eventuali ulteriori testimoni in un termine di altri 60 giorni (il cui dies a quo non risulta individuato, ma che ragionevolmente può ritenersi decorrente da quando l'impresa riceva la comunicazione del nominativo dei testimoni);
  • se il danneggiato non provveda ad identificare i testimoni, direttamente o indirettamente, nel rispetto dei termini già indicati, la cui natura - anche se non espressamente dichiarata tale, dalla norma, deve senza dubbio ritenersi perentoria - andrà incontro, in giudizio, alla sanzione della declaratoria di inammissibilità della prova testimoniale articolata con la indicazione di testi identificati dopo il decorso dei termini in questione, con una prima eccezione a tale regola, relativamente alle risultanze di verbali redatti dagli organi di polizia (per il caso, evidentemente, in cui risultino in essi identificati dei testimoni). Una ulteriore eccezione è prevista dal comma 3-ter: dopo aver premesso che, nel caso in cui giudice adito rilevi dalla documentazione in atti che i testi indicati non siano stati identificati secondo le modalità previste dal comma precedente, non è ammessa la relativa prova, al comma 2, tuttavia, prevede la possibilità di raccogliere comunque le deposizioni dei testi, la cui identificazione non sia avvenuta nel rispetto di quanto previsto dal comma precedente, soltanto ove la parte che li ha indicati dimostri di essere stata oggettivamente impossibilità ad identificarli nel rispetto dei termini predetti. Infine, il comma 3-quater prevede un preciso compito di segnalazione a carico del giudice assegnatario di una causa civile inerente il risarcimento danni da circolazione stradale. Infatti, sia ex officio, sia a seguito di specifica evidenza in tal senso formulata dalle parti – che, in quanto tenute a documentare simile segnalazione, possono acquisire le relative informazioni all'IVASS -, ove dalla banca dati sinistri prevista dal comma 1 dell'art. 135 emerga che un (o più) testimone risulti aver testimoniato, negli ultimi cinque anni, in relazione a più di tre incidenti stradali, deve trasmettere una informativa al riguardo alla Procura della Repubblica, per gli incombenti di competenza della stessa. Fa eccezione solo il caso in cui i nominativi che ricorrono con tale frequenza siano quelli di ufficiali ed agenti di autorità di polizia che siano stati chiamati a testimoniare.

Efficacia probatoria della c.d. “scatola nera”

Il comma 20 della legge concorrenza apporta poi una significativa innovazione al Codice delle Assicurazioni private, introducendo al suo interno l'art. 145-bis, norma la cui rubrica («valore probatorio delle cosiddette “scatole nere” e di altri dispositivi elettronici») testimonia in modo inequivoco quale sia la ratio legis ad essa sottostante.

La disposizione si dipana su 6 commi, ma il cuore di essa è senza dubbio rappresentato dal comma 1, dove si stabilisce che, nel caso in cui un veicolo coinvolto in un sinistro stradale sia dotato di un dispositivo elettronico in possesso delle caratteristiche tecniche e funzionali stabilite dall'art. 132-ter, comma 1, lettere b) e c) - con salvezza, ove equiparabili, dei dispositivi elettronici già utilizzati alla data di entrata in vigore della norma stessa – nelle cause civili inerenti tali sinistri, quanto attestato dal dispositivo in questione possiede valore di piena prova, relativamente ai fatti cui le risultanze del dispositivo si riferiscono.

Risultanze che la norma prevede siano rese disponibili per le parti, ed è facile capirne la ragione: la medesima disposizione prevede, per la parte nei cui confronti sia invocata l'efficacia probatoria di tali risultanze, la possibilità di fornire la prova contraria, dimostrando il mancato funzionamento oppure che il dispositivo in questione è stato manomesso (prova che, invero, appare davvero ardua).

Ulteriore modifica, collegata indubbiamente alla prima, è quella introdotta dal successivo comma 23 che aggiunge il comma 1-quinquies all'art. 201 c.d.s., in forza del quale le risultanze degli apparecchi di rilevazione delle infrazioni al codice della strada, qualora si tratti di apparecchiature omologate ovvero approvate per il funzionamento in modo completamente automatico (strumenti che devono essere gestiti direttamente dagli organi di polizia stradale ex art. 12, comma 1, c.d.s., e che non richiedono, per il loro funzionamento, la presenza degli agenti), inclusi i rilievi fotografici, possiedono valore probatorio pieno anche ai fini dell'accertamento di eventuali violazioni alle norme in tema di assicurazione obbligatoria. La loro valenza probatoria è dalla norma stessa specificamente individuata: dette risultanze costituiscono il presupposto per l'applicazione della sanzione amministrativa prevista dall'art. 193 c.d.s.

Ulteriori misure per il contrasto alle frodi assicurative

I commi 21 e 22 dell'art. 1 legge sulla concorrenza hanno modificato il comma 2-bis dell'art. 148 cod. ass., originariamente aggiunto al Codice delle Assicurazioni dall'art. 32, comma 3, lettera b), del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 e già in precedenza modificato dall'art. 1, comma 213, del d.lgs. 12 maggio 2015, n. 74.

Tale norma è dichiaratamente rivolta a prevenire o comunque contrastare i fenomeni fraudolenti.

Per il perseguimento di tale obiettivo, la modifica si è articolata su due aspetti: il primo capoverso del predetto comma della norma è totalmente nuovo, e l'altra modifica, poi, ha riguardato i capoversi quattro e cinque della disposizione, anch'essi di novella introduzione nel codice.

Il primo capoverso del predetto comma riconosce alle imprese assicuratrici la possibilità di consultare (inserendo come parametri di ricerca il codice fiscale del danneggiato, in caso di sinistri con lesioni personali, ovvero gli estremi identificativi dei veicoli danneggiati (id est, le targhe) in caso di sinistri con soli danni materiali) l'archivio informatico integrato introdotto dall'art. 21 d.l. 18 ottobre 2012 n. 179.

Qualora all'esito di tale ispezione il sinistro presenti elementi di anomalia (per la cui definizione la norma rimanda ad apposito provvedimento IVASS), oppure sussistano altri, presumibilmente diversi, indicatori di frode (ricavabili, per la norma, dalle risultanze dei dispositivi elettronici di cui all'art. 132-ter, comma 1, cod. ass.) ovvero all'esito della perizia sul veicolo danneggiato sia emersa incompatibilità dei danni lamentati, la disposizione attribuisce all'impresa la facoltà, esercitabile entro i termini previsti ex commi 1 e 2 art. 148, di astenersi dal formulare un'offerta di risarcimento, adducendo, a giustificazione, la necessità di svolgere ulteriori accertamenti sul sinistro.

Il quarto capoverso stabilisce poi che, nei casi in cui l'impresa assicuratrice abbia tempestivamente esercitato la predetta facoltà, il danneggiato potrà agire in giudizio ai sensi dall'art. 145 del predetto codice solo dopo aver ricevuto le determinazioni conclusive tratte dell'impresa a conclusioni degli ulteriori accertamenti, ovvero nel caso in cui tali determinazioni non siano state comunicate al danneggiato, una volta decorso il complessivo termine di sessanta giorni.

Infine, per il quinto capoverso, il danneggiato ha comunque il diritto di accedere agli atti del procedimento, secondo le prescrizioni dell'art. 146 cod. ass., con la sola eccezione dell'avvenuta, nelle more, presentazione della querela e/o denuncia da parte dell'impresa assicuratrice.

In conclusione

Si rende opportuno formulare alcune osservazioni al riguardo di ciascuna delle disposizioni innanzi richiamate, nell'ottica di provare ad evidenziarne luci ed ombre.

Art. 135 cod. ass.

Per quanto concerne il novellato art. 135 cod. ass., la previsione in esso contenuta mira dichiaratamente ad elevare la testimonianza a strumento di fondamentale importanza per combattere i sinistri non genuini e limitare, conseguentemente, i costi a carico delle imprese assicuratrici, costrette a liquidare risarcimenti a seguito di condanne giudiziali fondate su testimonianze non veritiere.

Questa disposizione, invero, presenta alcuni aspetti oscuri che possono rivelarsi suscettibili di incidere in senso negativo non solo sulla durata dei processi, ma anche – e ciò appare la criticità maggiore – sul concreto esercizio del diritto alla difesa, lasciando dubitare della sua costituzionalità, in particolare con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., oltre che per contrasto con l'art. 6 della CEDU (al pari di quella sulla c.d. “scatola nera”).

Infatti, partendo dal primo aspetto, ossia quello relativo al tempo occorrente al danneggiato per avere effettiva giustizia, appare evidente che, ove si guardi ai tempi richiesti dalla norma, al fine di completare tutto il procedimento di identificazione ante causam dei testimoni, si dilata il tempo che il danneggiato è costretto ad attendere prima di poter introdurre un giudizio di risarcimento (vedi anche PENTA A., La rilevanza dei testimoni nella lotta al contrasto delle frodi assicurative, in Ridare.it, secondo cui «l'offerta prodromica ad una eventuale definizione stragiudiziale della vertenza (e, con esso, lo spatium deliberandi minimo che deve precedere, a pena di improponibilità, l'instaurazione del giudizio) subirà uno slittamento che (contemplando altresì i tempi di ricezione delle due raccomandate con a/r) non potrà essere inferiore a 130 giorni»).

Detta norma, testualmente, mediante l'utilizzo dell'univoca espressione deve, prevede specifici obblighi di condotta a carico delle parti (danneggiato ed impresa assicuratrice), correlandole a termini altrettanto precisi, per la loro attuazione. Manca, invece, la previsione espressa delle conseguenze circa il mancato rispetto degli obblighi previsti sia in assoluto, sia in relazione alla tempistica. Ciò nonostante, considerato quanto affermato anche dalla Suprema Corte, ossia che «se l'art. 152 c.p.c. stabilisce che sono perentori solo i termini espressamente dichiarati tali dalla legge, essendo invece ordinatori tutti quelli ove simile dichiarazione manchi, non per questo deve concludersi senz'altro per la natura ordinatoria di un termine in assenza di tale espressa dichiarazione, ben potendo il giudice verificare se – al di là del mero dettato letterale – invece, un determinato termine, considerato in ragione del fine avuto di mira e della funzione svolta, richieda il suo rigoroso rispetto e, pertanto, anche se non qualificato apertis verbis come perentorio dal legislatore, tale sia, invece, nella sostanza, con tutte le relative conseguenze in caso di suo mancato rispetto» (Cass. civ., sez. I, 6 giugno 1997, n. 5074), si può comunque, sulla scorta di tale orientamento, ritenere il termine in questione perentorio, privilegiando quindi una interpretazione funzionale, quindi dinamica, piuttosto che meramente letterale, e quindi statica.

In ogni caso, si tratta di una norma che necessita, in sede applicativa, di una interpretazione non rigida nè formalistica, proprio per non pregiudicare il diritto alla difesa del danneggiato, obiettivo perseguibile attraverso la valvola di sicurezza dell'istituto della rimessione in termini, di cui la previsione contenuta nel comma 3-ter costituisce evidente ipotesi applicativa.

Deve essere infatti tenuto presente che l'oggettiva impossibilità di identificare un teste, per il danneggiato, può verificarsi in ipotesi molto più frequenti di quanto potrebbe a prima vista sembrare: ad esempio, nel caso in cui ad essere danneggiato sia stato un veicolo in sosta, il cui proprietario solo dopo alcune ore si rechi a riprendere il veicolo, magari di sera, con le evidenti oggettive difficoltà nel rinvenire testi oculari, che se mai presenti al momento del fatto, potrebbero poi – del tutto legittimamente, non si dubita – essersi allontanati rapidamente; ancora, come da alcuni rilevato, nel caso in cui il danneggiato si trovi alla guida del proprio veicolo ed, essendo in movimento, gli risulti impossibile il tempestivo arresto del veicolo al fine di identificare il teste del quale il medesimo ha notato la presenza sul luogo teatro dell'incidente (PENTA A., op. cit.,), se non a rischio di provocare un altro incidente, mettendo in pericolo la propria e l'altrui incolumità. Di contro, la previsione contenuta nell'ultima parte del comma 3-bis:, attraverso il richiamo alle risultanze dei verbali di intervento di pubbliche autorità sul luogo di un sinistro rappresenta un ulteriore strumento, costituisce chiara ipotesi applicativa di una c.d. prova atipica.

Tale previsione deve ritenersi valorizzabile, dal danneggiato e dal giudice, sia in sede di ammissione della prova testimoniale, sia in sede di valutazione, ex art. 116 c.p.c., delle relative risultanze, per temperare i possibili effetti negativi di una rigida applicazione delle norme innanzi richiamate.

La prospettata ampiezza di utilizzo (ed indubbia utilità) si appalesa di tutta evidenza ove si pensi che il danneggiato potrebbe trovarsi nella condizione di non poter avere tempestivo accesso alle risultanze dei citati documenti come nel caso, tutt'altro che infrequente, di sinistro stradale che abbia coinvolto più veicoli, e con lesioni riguardanti il conducente e/o trasportato di uno soltanto di essi, e soli danni materiali per gli altri veicoli.

Nell'eventualità innanzi prospettata, infatti, i proprietari dei veicoli danneggiati si troverebbero dinanzi al rifiuto degli organi di polizia al rilascio di copia di detti documenti fino al momento in cui – in presenza di lesioni personali – sono ancora pendenti i termini per la proposizione della querela, oppure a maggiore ragione nel caso vi sia un procedimento penale in corso; è chiaro che, in tal caso, sussiste il concreto rischio, per questi ultimi, di non poter rispettare le previsioni di detta norma, ovvero di dover attendere molto a lungo per poter validamente agire in giudizio per conseguire il ristoro dei danni subiti.

Si tratta, allora, di una possibilità da tenere in considerazione ancora di più se, come da parte di alcuni si ritiene senza dubbio ammissibile, l'applicazione di tale novella sia da estendere anche ai sinistri con lesioni, dovendosi altrimenti dubitare della ragionevolezza della norma, che introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni assimilabili, con i conseguenti, prevedibili, dubbi di costituzionalità (oltre a rivelarsi non del tutto idonea al perseguimento dell'obiettivo del legislatore, al quale si contesterebbe una mancanza di coraggio).

Inoltre tale norma «introduce una chiara limitazione di carattere extraprocessuale, peraltro di dubbia efficacia, attesa da un lato la limitazione ai soli sinistri con danni a cose (sarebbero quindi esclusi quelli con lesioni, anche lievi), e dall'altro, la previsione che nonostante l'omessa l'identificazione di eventuali testimoni sul luogo di accadimento dell'incidente nella denuncia di sinistro o nel primo atto formale del danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione, si prevede che analogo obbligo gravi sull'impresa di assicurazione, sia pure con l'espresso avviso all'assicurato delle non individuate conseguenze processuali che deriverebbero dalla mancata risposta» (AMENDOLAGINE V., Legge annuale sulla concorrenza: le novità in materia assicurativa, in www.quotidianogiuridico.it, 3 luglio 2017, p. 7).

Infine, secondo altra opinione, premesso che quello della identificazione preventiva dei testimoni rappresenta, in relazione a quelli che potranno essere i suoi concreti effetti sul contenzioso, uno degli aspetti di maggiore importanza fondamentale per la lotta ai sinistri non genuini (vedi HAZAN, BRUGLIA; op.- cit., secondo cui «L'industria del sinistro stradale conosce – tra le sue tante patologie – anche quella delle testimonianze di comodo, anch'esse idonee ad incidere in modo negativo sull'andamento tecnico del ramo (dell'assicurazione della RCA) e quindi sul livello dei premi. Da qui l'urgenza di intervenire, in qualche modo».), tale previsione mira al raggiungimento di due specifici obiettivi, rappresentati «da un lato, quello di arginare il più possibile il reperimento postumo di testi compiacenti; dall'altro, quello di consentire all'impresa assicurativa di gestire la fase stragiudiziale avendo chiaro il quadro dei possibili riscontri testimoniali disponibili, siano essi convergenti o dissonanti, ed evitando di scoprire, solo in un secondo momento, ed in corso di giudizio, l'esistenza di testi inizialmente sottaciuti» (HAZAN M.-BUGLI A., op. cit., p. 95).

È dunque evidente che tale disposizione stia suscitando molti dubbi in dottrina; bisognerà attendere le sue prime applicazioni giurisprudenziali per riscontrare la fondatezza di tali dubbi, e se invece – come già accaduto per la disposizione relativa alla c.d. scatola nera– si renderà inevitabile una verifica di costituzionalità della norma.

Art. 145-bis

In ordine alla disposizione relativa alla c.d. scatola nera, la stessa viene pacificamente considerata, dalla dottrina, quale strumento di contrasto alle frodi attraverso raccolta ed uso delle informazioni relative al rischio ed al sinistro (GAGLIARDI M., Le frodi assicurative nel diritto privato. Un'introduzione, in Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario), 2017, 1, 273 e ss.). In particolare, parte della dottrina rileva che «il modo più efficace per verificare che l'assicurato non menta sulle reali modalità in cui si è verificato il sinistro è quello di entrare in possesso di informazioni attendibili sui singoli elementi rilevanti. Precisamente questo è lo scopo, per esempio, della c.d. scatola nera da fare installare sugli autoveicoli assicurati. Con questi apparecchi di registrazione dati, si rende possibile accedere a informazioni – apparentemente neutre – come la localizzazione del veicolo, la velocità, la frequenza e l'intensità di frenata, e così via, che diventano fondamentali in caso di sinistro per verificare la corrispondenza di quanto dichiarato dall'assicurato o riscontrato sulla base di altri elementi di fatto con quanto registrato dalla macchina montata sul veicolo» (GAGLIARDI M., Le op. loc. cit.).

Le conseguenze della disponibilità dei predetti dati sono così individuate, affermandosi che la stessa «da un lato, consente di smascherare le frodi, quantomeno quelle meno sofisticate; dall'altro lato, ha un indiretto effetto di incentivo nei confronti del guidatore, che – sapendo di essere registrato – sarà verosimilmente indotto a tenere una condotta di guida maggiormente conforme ai dettami del codice della strada» (GAGLIARDI M., Le op. loc. cit.).

Tale disposizione, tuttavia, contiene evidenti profili di criticità, in relazione ai quali vi è già stata la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale da parte del Giudice di Pace di Barra (NA), con ordinanza del 30 settembre 2017.

Premesso brevemente, rispetto al giudizio di costituzionalità in via incidentale, che esso:

  • è regolato dall'art. 23 della l. n. 87 del 11 marzo 1953 (che attribuisce, alle parti e/o al pubblico ministero la legittimazione a sollevare, nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale una questione di legittimità costituzionale, attraverso l'indicazione, tramite una esplicita richiesta in tal senso, delle disposizioni della legge o dell'atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, viziate da illegittimità costituzionale ovvero delle le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali, che si assumono violate; la medesima norma, poi, prevede che, nel caso in cui non sia possibile definire detto giudizio senza risolvere la questione di legittimità costituzionale ovvero non la ritenga manifestamente infondata, tramite ordinanza contenente la individuazione dei termini e motivi posti a sostegno dell'istanza, sospende il giudizio e dispone che gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; analogamente avviene nel caso in cui la q.l.c. sia sollevata ex officio dall'autorità giurisdizionale dinanzi a cui pende il procedimento);
  • che il relativo thema decidendum è individuato e circoscritto dall'ordinanza di rimessione (C. Cost., 21 luglio 2016, n. 203, in Giurisprudenza Costituzionale, 2016, 4, 1438);
  • che la motivazione, da parte del giudice a quo, circa gli aspetti in relazione ai quali si ritiene sussistere la violazione di una norma costituzionale, deve necessariamente essere specifica e confacente (C. Cost., 11 novembre 2016, n. 239, in Foro Amministrativo (Il) 2017, 1, 8),

si rileva che il predetto giudice onorario, cui era stato assegnato un procedimento civile di risarcimento danni da circolazione stradale, nel quale l'Impresa assicuratrice convenuta in giudizio aveva invocato in proprio favore l'efficacia probatoria delle risultanze di tale dispositivo per contestare la pretesa risarcitoria del danneggiato, opponendosi – appunto in forza delle risultanze medesime – all'ammissione della prova testimoniale chiesta dal danneggiato, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell'art. 145-bis, comma 1, cod. ass. (introdotto dall'art. 1, comma 20, l. n. 124/2017), nella parte in cui la norma prevede che le risultanze del dispositivo formino piena prova, nei procedimenti civili, dei fatti cui le stesse si riferiscono, salvo che la parte contro cui dette risultanze sono state prodotte, dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo, individuandone le ragioni nel ravvisato contrasto con i principi del giusto processo di cui all'art. 111, comma 2, Cost., e dell'art. 6, comma 1, della CEDU quale norma interposta, ex art. 10 Cost.

Per il giudice a quo, infatti, attraverso la previsione che un documento proveniente da un terzo (cioè la società privata che gestisce i report della scatola nera, legata da un rapporto contrattuale con l'impresa assicuratrice), formatosi senza alcun controllo giudiziale, oltre che in assenza del contraddittorio, possa fondare il giudizio sul fatto storico, per di più con l'inversione dell'onere della prova circa la regolarità del funzionamento del dispositivo, che viene a gravare sul danneggiato (con oneri economici pesanti, nel caso di controversie di valore economico limitato, legati, in tale eventualità, alla indispensabile richiesta di una CTU che, eventualmente - ove se ne ammetta la valenza, in quel caso, percipiente – dimostri «il mancato funzionamento o la manomissione del dispositivo»), si determina una violazione del principio della “parità delle armi,” nonché una evidente compressione del diritto alla difesa, costituzionalmente garantito, del danneggiato, dato che, afferma testualmente il giudice onorario «alle compagnie assicurative basterà il deposito del report della scatola nera (predisposto da società contrattualizzate) per condizionare l'esito del processo, qualora le risultanze del dispositivo siano difformi dalle modalità del sinistro indicate in citazione».

Inoltre il predetto giudice onorario ha ritenuto tale limitazione non giustificabile a maggiore ragione in considerazione del fatto che, al momento della redazione dell'ordinanza di rimessione, per i dispositivi come la scatola nera non risultano ancora indicati i modo preciso i controlli indispensabili ad assicurarne il perfetto funzionamento. Parte della dottrina, pur riconoscendo come l'art. 145-bis cod. ass. abbia introdotto sensibili limitazioni alle facoltà istruttorie del danneggiato, con specifico riguardo alla ricostruzione della dinamica del sinistro ed alla congruenza di essa con i danni che si assumono subiti (HAZAN M., op. cit., p. 3) invece, non condivide l'ordinanza di rimessione sopra richiamata, ritenendo innanzitutto che la disposizione non sia applicabile al caso di specie – e, più in generale, ai sinistri avvenuti prima dell'emanazione del decreto attuativo previsto dall'art. 132-ter cod. ass.– dovendosi riconoscere l'efficacia probatoria prevista dal nuovo art. 145-bis solo alle scatole nere installate dopo l'emanazione del decreto che abbia provveduto ad individuare quali siano i meccanismi cui si attribuisce tale specifica valenza probatoria, ritenendo, per converso, la stessa non riconoscibile alle scatole nere (e simili) già installate in precedenza (HAZAN M., op. loc. cit.).

Inoltre, da un differente punto di vista, la richiamata opinione dubita che la limitazione alle possibilità di sostegno probatorio del danneggiato introdotta dall'art. 145-bis del d.lgs n. 209/2005 rappresenti effettivamente, in danno di tale soggetto, una limitazione della facoltà riconosciuta dall'art. 24 Cost., affermando invece che la stessa possa intendersi quale «diversa regolazione funzionale, finalizzata a produrre, in ottica generale e di sistema, effetti virtuosi per tutta la collettività assicurata» (HAZAN M., op. cit., p. 5).

In ogni caso, in attesa di quella che sarà la decisione della Consulta, è possibile osservare come si tratti, all'evidenza, di una prova che il legislatore ha inteso tipizzare, pur collocandola in una disposizione di settore.

Inoltre, detta norma rappresenta anche una ulteriore ipotesi di inversione legale dell'onere della prova, che si aggiunge a quelle previste, ad esempio, negli artt. 1988 e 2051 c.c.

Tale disposizione, e la prova che essa introduce, appare poi affiancata, in prospettiva dell'apertura all'utilizzo, da parte dei giudici di merito, di prove raccolte al di fuori (ed anche prima) del processo in cui viene invocata la loro efficacia probatoria, dall'utilizzo dei rilievi fotografici scaricabili dal sito internet Google Earth; di recente, infatti, i giudici di legittimità hanno statuito al riguardo che «I fotogrammi scaricati dal sito internet "Google Earth", in quanto rappresentano fatti, persone o cose, costituiscono prove documentali pienamente utilizzabili ai sensi dell'art. 234, comma 1, cod. proc. pen., o 189, cod. proc. pen.» (Cass. pen., sez. III, 19 ottobre 2017, n. 48178).

In tale prospettiva, un primo possibile utilizzo di tali fotogrammi potrebbe essere, ad esempio, per smentire una deposizione testimoniale, dimostrando che il medesimo, dalla posizione che ha riferito avere al momento del verificarsi dell'evento, in realtà, per la presenza di elementi oggettivi di segno contrario, non avrebbe potuto percepire quanto invece ha dichiarato di aver visto.

Il che dimostra, in un ordinamento processuale come il nostro improntato al principio del libero convincimento del giudice, ex art. 116 c.p.c. (con l'unica eccezione delle prove legali) e caratterizzato dall'assenza di una gerarchia tra le prove, che i mezzi di prova definiti come prove atipiche rivelano la loro indubbia rilevanza, come recentemente affermato dalla giurisprudenza di merito, che, in una controversia di risarcimento stradale contro il FGVS, ha ritenuto raggiunta la prova del nesso causale, in assenza di testi oculari, dalle risultanze di un esame autoptico svolto in sede penale, che ha rilevato sulla salma le tracce di un urto ricevuto da un veicolo munito di ruote (Trib. Torre Annunziata, 16 febbraio 2017, n. 496).

A tal proposito, ho già avuto modo di affermare che, in presenza di determinate condizioni «realmente le prove c.d. atipiche (e la consulenza percipiente non è l'unica ipotesi) si rivelano uno strumento fondamentale per assicurare l'effettività nella tutela dei diritti» (Veicolo pirata e prova atipica del nesso causale. Osservazioni a margine di Trib. T. Ann., 16 febbraio 2017, n. 496, in La Nuova Procedura Civile, 2018, 1, 25.1.18, par. 8).

Art. 148 cod. ass.

Con riguardo, infine, alle modifiche apportate all'art. 148, può osservarsi, innanzitutto come tale disposizione, nella prospettiva di contrastare i sinistri non genuini, abbia finito per attribuire alle imprese assicuratrici una discrezionalità forse eccessiva, non meno che ingiustificata.

Ed infatti, in dottrina si rileva che attribuendo, mediante la formulazione del nuovo comma 2-bis, dignità di jus positum a quella che costituisce una tipica prassi del settore assicurativo (AMENDOLAGINE V., op. cit., p. 13), il legislatore, non chiarendo cosa debba ritenersi per documentata incongruenza, legittima le imprese ad opporre, in modo sbrigativo quanto immotivato e puramente discrezionale, il diniego del risarcimento sul presupposto di una ritenuta – altrettanto (forse troppo) discrezionalmente – non genuinità del sinistro (AMENDOLAGINE V., op. loc. cit.), il che appare a maggiore ragione ingiustificato ove si consideri che, nella prassi assicurativa, è dato riscontrare, con non trascurabile frequenza, il diniego al risarcimento motivato dall'asserita non compatibilità dei danni (quindi una incongruenza) anche nel caso in cui il veicolo danneggiato non sia stato esaminato da parte dell'assicuratore.

Il novellato art. 148, sempre nel contesto dello spirito del contrasto alle frodi assicurative (che, come si è detto, permea l'intero corpus della l. n. 124/2017), introduce una ulteriore compressione (meno significativa rispetto a quella di cui all'art.145-bis) del diritto alla difesa del danneggiato, differendo la possibilità, per il medesimo, di agire in giudizio al momento in cui è spirato il termine di sospensione della procedura, ovvero da quando il danneggiato riceva le determinazioni conclusive da parte dell'impresa assicuratrice.

Si comprende perché la norma abbia previsto tale possibilità quantomeno allo spirare del termine di sospensione della procedura, e tanto al fine di evitare condotte ostruzionistiche ed utilitaristiche dell'impresa assicuratrice. Non essendo stato previsto un termine entro cui le imprese devono comunicare al danneggiato le loro determinazioni conclusive, le stesse potrebbero servirsi di tale omissione per dilatare a dismisura (ed a loro piacimento) il momento in cui il danneggiato potrà agire in giudizio.

Infine, la possibilità per il danneggiato di accedere agli atti del sinistro che lo riguarda appare di poco rilievo, non essendo stata prevista alcuna sanzione a carico dell'impresa assicuratrice, ove la stessa non gli consenta di esercitare validamente tale diritto (AMENDOLAGINE V., op. loc. cit.) .

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