Utilizzabilità delle dichiarazioni rese da persona che assumerà la veste di indagato alla compagnia assicuratrice. Confessione stragiudiziale?

Bruno Leone
Lucia Randazzo
12 Marzo 2018

La questione oggetto della pronuncia della Corte concerne l'utilizzabilità delle dichiarazioni eventualmente rese dalla persona che assumerà la veste di indagato e ...
Massima

Il ricorso alla attività di investigazione preventiva prevista dall'art. 391-nonies c.p.p., cui consegue l'attivazione del relativo istituto processuale, è del tutto facoltativa e il conferimento dell'incarico di analizzare la dinamica del sinistro da parte della compagnia assicuratrice all'investigatore privato non soggiace a tale regime.

Le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona che assumerà la veste di indagato all'investigatore delegato non devono essere garantite dalla somministrazione degli avvisi, configurandosi come dichiarazioni extra-procedimentali, sempre valutabili secondo le regole che governano il mezzo di prova che le immette nel processo.

Il caso

La Corte di appello di Milano condannava Tizio alla pena di mesi quattro per il reato di fraudolento danneggiamento dei beni assicurati di cui all'art. 642 c.p.

Il difensore di Tizio proponeva ricorso per cassazione avverso tale sentenza deducendo - tra più motivi - vizio di legge e di motivazione in quanto per l'accertamento della responsabilità sono state poste a fondamento della motivazione le dichiarazioni rese dall'imputato all'investigatore privato che le aveva raccolte nell'ambito di una attività investigativa difensiva di tipo “preventivo”, senza il rispetto delle regole codicistiche. La difesa deduceva che non era stato conferito alcun incarico ad un difensore che avrebbe potuto delegare l'investigatore privato a svolgere gli accertamenti e che non sarebbero stati somministrati gli avvisi ex art. 391-bis c.p.p.

La Corte di cassazione riteneva il ricorso inammissibile ritenendo il motivo di ricorso che deduce l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato all'investigatore delegato dall'assicurazione manifestamente infondato.

La questione

La questione oggetto della pronuncia della Corte concerne l'utilizzabilità delle dichiarazioni eventualmente rese dalla persona che assumerà la veste di indagato e la configurabilità nel caso in esame delle investigazioni difensive preventive previste dall'art. 391-nonies c.p.p.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione giuridica prospettata dalla sentenza in esame inquadra le dichiarazioni rese dal soggetto – non ancora iscritto nel registro delle notizie di reato – all'investigatore privato incaricato dalla compagnia assicuratrice come «confessione stragiudiziale, sicché assumono valore probatorio secondo le regole del mezzo di prova che le immette nel processo (Cass. pen., Sez. II, 18 giugno 2015, n. 38149, Russo e altri; Cass. pen., Sez. I, 2 febbraio 2011, n. 17240, Consolo e altri), ovvero nel caso in esame, attraverso valutazione degli approfondimenti tecnici sulla dinamica del sinistro entrati nel processo attraverso l'acquisizione della relazione tecnica delegata dall'assicurazione alla società X.X.X. S.r.l.». Nelle motivazioni gli Ermellini specificano, inoltre, che non può rientrare l'attività sopra descritta nelle investigazioni difensive preventive previste dall'art. 391-nonies c.p.p.

«Si ribadisce che le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona che assumerà la veste di indagato all'investigatore delegato non devono essere garantite dalla somministrazione degli avvisi, configurandosi come dichiarazioni extraprocedimentali, sempre utilizzabili in sede processuale, sebbene valutabili secondo le regole che governano il messo di prova che le immette nel processo».

Osservazioni

Il ricorrente nella sentenza in esame ritiene che dovevano essere valutate le dichiarazioni rese dall'imputato all'investigatore privato nel pieno rispetto delle norme previste per l'attività di investigazione difensiva preventiva; deduceva, inoltre, che non era stato conferito alcun incarico al difensore e non sarebbero stati somministrati gli avvisi previsti dall'art. 391-bis, comma 3, c.p.p. La sentenza in esame ritiene utilizzabili le dichiarazioni dell'imputato rese all'investigatore privato senza alcuna garanzia codicistica.

È opportuno un richiamo ad alcuni passi della sentenza in argomento per poi verificarne la rispondenza ai principi di diritto che saranno in appresso richiamati. Significativo è l'esordio della motivazione sul punto: «[…] l'assicurazione non intendeva affatto attivare le investigazioni difensive preventive […] ma semplicemente chiarire, attraverso l'approfondimento tecnico delegato la apparente incompatibilità tra i danni patiti e la denuncia di sinistro».

Non è chi non veda come il richiamo all'oggetto della verifica della «apparente incompatibilità tra i danni patiti e la dinamica del sinistro denunciata» confligga con il disposto di cui agli artt. 63, 198, comma 2, c.p.p. e 391-bis, comma 9, c.p.p.

E ancora, per potere apprezzare la pertinenza o meno della sentenza Cass.pen., Sez. II, 18 giugno 2015, n. 38149 richiamata dagli ermellini nel caso in esame, è necessario il richiamo ad alcuni passi della detta sentenza: «il C., come indicato nella sentenza di primo grado e ribadito nella pronuncia di appello, riferiva dell'intervento effettuato presso l'abitazione del D.R. in seguito alla segnalazione di una lite, riversando in dibattimento i dati relativi a tale intervento. Si tratta, all'evidenza, di una testimonianza che non involge alcun contenuto dichiarativo percepito, ma solo dati rilevati attraverso l'osservazione diretta. Il divieto di testimonianza indiretta riguarda infatti solo le dichiarazioni di persone che avrebbero potuto essere assunte come testimoni, ma non si estende ai dati di fatto percepiti direttamente; e nei “dati percepiti direttamente” devono essere sicuramente inclusi gli stati emotivi delle persone osservate dal testimone di polizia giudiziaria durante le fasi dell'intervento del quale riferisce. Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso che deduce l'inutilizzabilità della testimonianza della volontaria dell'autoambulanza nella parte in cui riferisce delle dichiarazioni rese dall'imputato D.R.A. nel corso del trasporto in ospedale. Come rilevato dai Giudici di merito si tratta di dichiarazioni rese prima dell'apertura del procedimento, che non devono rispettare lo statuto processuale della prova dichiarativa che viene “attivato” solo con l'apertura del procedimento. Nel caso di specie, le dichiarazioni rese durante il trasporto dell'imputato in ambulanza hanno natura di confessione stragiudiziale, in quanto non vi erano, nel momento in cui venivano rese, elementi idonei a giustificare l'iscrizione degli indagati per i fatti in relazione ai quali si è successivamente proceduto. Sul punto si condivide la giurisprudenza secondo cui la confessione stragiudiziale dell'imputato assume valore probatorio secondo le regole del mezzo di prova che immette nel processo (Cass. pen., Sez. I, 2 febbraio 2011, n. 17240; Cass. pen., Sez. V, 15 luglio 2008, n. 38252)».

È evidente la differenza dei due accadimenti oggetto delle due pronunce, invero, nella vicenda de qua la compagnia assicuratrice incarica il proprio consulente per approfondire le incompatibilità tra i danni patiti e la dinamica del sinistro denunciata, «apparente fin dalle prime fasi di verifica».

È indubbio, pertanto, che l'attività investigativa, nella fattispecie in esame, mira alla ricerca di elementi di reato; sotto questo aspetto è insuperabile il dettato dagli artt. 63, 198, comma 2, c.p.p. e 391-bis, comma 9, c.p.p., sopra richiamati.

Analogamente non convince il richiamo alle integrazioni della parte «non intendeva affatto attivare le investigazioni difensive [...]» specie in presenza degli elementi sopra richiamati che ne conclamano la natura di investigazioni difensive ex art. 391-noniesc.p.p.

Le norme del procedimento penale sulle dichiarazioni indizianti, in particolare le norme di cui agli articoli 63 c.p.p. dichiarazioni indizianti, 198, comma 2, c.p.p., obblighi del testimone e il comma 9 dell'art. 391-bis c.p.p.; le stesse prevedono rispettivamente (Si veda in tal senso BRICCHETTI- RANDAZZO, Le indagini della difesa, Milano, Giuffre 2012):

  • l'inutilizzabilità delle dichiarazioni indizianti nel caso in cui una persona non imputata ovvero non sottoposta alle indagini renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico (art.63 c.p.p.) con conseguente interruzione dell'esame rese dinanzi all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria;
  • che il testimone non possa essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (art. 198, comma 2, c.p.p.);
  • l'inutilizzabilità delle dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a carico del possibile testimone sentito mediante investigazioni difensive anche in questo caso con interruzione dell'assunzione delle informazioni rese da soggetto non imputato ovvero non sottoposto ad indagini (art. 391-bis, comma 9, c.p.p.).

Si può, pertanto, arrivare alla conclusione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni comunque rese dal soggetto non ancora imputato o non sottoposto ad indagini dalle quali possano emergere indizi di reità a suo carico.

Invero, l'art. 62 c.p.p. rappresenta lo strumento attraverso il quale il Legislatore ha inteso tutelare la libertà dell'imputato affinché possa essere garantito da dichiarazioni rese in maniera irrituale. «oltre che essere posto a tutela dell'imputato, il divieto ha anche la finalità di obbligare la p.g. al rispetto delle modalità previste dal codice di rito, il quale non consente di surrogare la redazione del verbale, formalizzazione in funzione documentativa non altrimenti rinunciabile» (Cass. Sez. II, 46023/2007. BELTRANI (diretto da), Codice commentato, Giuffrè, 2017, p. 241).

Deve rilevarsi, inoltre, che «privando di valenza le dichiarazioni non acquisite nelle forme prescritte e nella sede dibattimentale propria, la disposizione trova ragione anche nel principio del contradditorio nella formazione della prova, previsto e regolato dall'art. 111 Cost. che espressamente valorizza la prospettiva dell'impermeabilità del processo rispetto al materiale raccolto in assenza delle parti (Corte cost. n. 32/2002). La tutela dei predetti principi ha carattere assoluto e generale. Né è consentita alcuna distinzione tra dichiarazioni spontanee o sollecitate, tra imputato o indagato in reato connesso, ovvero tra coloro che hanno assunto la veste formale di indagato e coloro che, pur trovandosi nelle condizioni non l'abbiano ancora materialmente assunta. (Cass.pen., Sez. II, n. 1863/2006)» (BELTRANI, op. cit. p. 241).

«Il prevalente orientamento giurisprudenziale ritiene che, qualora l'attività di investigazione difensiva sia svolta in via preventiva, ossia prima dell'instaurazione di un procedimento penale, è necessario che il difensore abbia ricevuto un apposito mandato per l'eventualità che si instauri un procedimento penale e che il mandato sia rilasciato con sottoscrizione autenticata e contenga la nomina del difensore, nonché l'indicazione dei fatti ai quali si riferisce, secondo quanto previsto dall'art. 391-nonies c.p.p. (Tar Milano – Lombardia, Sez. III, 2 agosto 2010, n. 3322). Nello stesso senso in precedenza si era precisato, poi, che gli atti d'indagine compiuti dalla persona offesa o da suoi incaricati, prima dell'inizio formale del procedimento sono inutilizzabili quando non siano stati preceduti da espresso mandato al difensore, ex art. 391-nonies c.p.p. (tribunale Latina, 17 febbraio 2004). Così si è sostenuto che appare pienamente legittima l'utilizzazione della relazione redatta dall'investigatore privato a richiesta della parte lesa, trattandosi di fonte probatoria ben prodotta dal privato officiato dal diretto interessato e di libera valutazione, non sussistendo nel nostro ordinamento un sistema di prova legale tipicizzato. (Corte d'appello di Trento, 30 novembre 2012, dep. 3 gennaio 2013). Da varie decisioni che lambiscono la questione sembrerebbe, tuttavia, potersi affermare che la Corte di Legittimità propenda per l'orientamento più rigoroso volto a riconoscere valore all'indagine preventiva privata solo se compiuta da un difensore nel rispetto della disciplina codicistica (si vedano in questo senso: Cass. Pen., Sez. IV, 14 ottobre 2005, n. 46270 che fornisce una definizione di attività di indagine difensiva preventiva e Sez. V, 1 aprile 2016 n. 21005 in materia di limiti al legittimo utilizzo in giudizio delle indagini difensive) (GALATI, Le indagini difensive preventive effettuate dall'investigatore privato nominato dall'interessato, in questa rivista).

In conclusione la sentenza in commento, può ritenersi un vulnus alle norme relative all'attività di investigazione difensiva preventiva in particolare ai divieti sopra menzionati considerando “confessione stragiudiziale” la dichiarazione rese dal soggetto all'investigatore privato dell'assicurazione senza alcuna garanzia.

Appaiono inutilizzabili, a nostro sommesso avviso, le dichiarazioni rese all'investigatore privato nominato direttamente dall'interessato in quanto non si possono equiparare le indagini difensive a quelle svolte dall'investigatore privato senza alcuna garanzia codicistica. E' compito del difensore, infine, controllare che i suoi ausiliari rispettino le regole normative e deontologiche dell'indagine, con i rispettivi divieti (si veda in tal senso: GALATI, op.cit.).

Guida all'approfondimento

BELTRANI (diretto da), Codice di procedura penale commentato – artt. 62, 198, 391-bis c.p.p., Milano, Giuffrè, 2017;

BRICCHETTI – RANDAZZO, Le indagini della difesa, Milano, Giuffrè, 2012.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario