È vietata la realizzazione di un accesso tra un fondo di proprietà esclusiva e il cortile del condominio

Edoardo Valentino
13 Marzo 2018

La Corte di Cassazione ha giudicato illegittima, in quanto in violazione del precetto dell'art. 1102 c.c., la condotta del condomino che aveva realizzato un'apertura nella recinzione perimetrale del condominio al fine di utilizzare...
Massima

La creazione di un'apertura nella recinzione del cortile condominiale utilizzata dalla proprietaria di un immobile confinante con lo stabile per effettuare il passaggio tra il condominio e la propria abitazione, non rappresenta un uso consentito della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c., ma piuttosto un abuso della stessa inammissibile ai sensi della vigente normativa e per costante giurisprudenza.

Il caso

Una condomina adiva il Tribunale domandando un'azione negatoria di servitù avverso la proprietaria di un immobile confinante con lo stesso palazzo.

In particolare la convenuta da tempo riversava le proprie acque nere nelle condutture fognarie del condominio, giusto allacciamento alle stesse, e aveva praticato un'apertura nella recinzione che separava la propria abitazione dal cortile condominiale (dello stabile adiacente, ove essa stessa era anche condomina) al fine di potere accedere a quest'ultimo.

Si costituiva in giudizio la convenuta eccependo l'intervenuto acquisto della servitù di scarico fognario per usucapione e sostenendo di avere sempre effettuato il passaggio tra il proprio cortile e quello dello stabile.

Il Giudice di prime cure accoglieva la domanda della parte attrice.

Di opinione opposta era la Corte d'Appello di L'Aquila, adita dalla condomina soccombente in primo grado. Questo giudice, infatti, riteneva provata l'usucapione della servitù di scarico fognario giusta prova intervenuta in appello (e considerata ammissibile ai sensi dell'art. 345, comma 3, c.p.c.) del fatto che l'allaccio era intervenuto nell'anno 1968 (e non 1996 come erroneamente creduto in primo grado).

In merito all'apertura nella recinzione condominiale, la Corte d'Appello affermava come tale opera non costituisse una servitù di passaggio, ma un uso più intenso della cosa comune consentito alla condomina convenuta ai sensi dell'art. 1102 c.c.

Alla luce della soccombenza in grado d'appello, la condomina attrice decideva di ricorrere in Cassazione.

La questione

La controversia oggetto dell'ordinanza n. 3345 del 12 febbraio 2018 ha come oggetto l'utilizzo della cosa comune da parte del privato.

L'art. 1102 c.c. afferma infatti al comma 1 che «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto».

Nel caso in commento, è di importanza cruciale comprendere se l'apertura del passaggio da parte della condomina, che come detto è utile alla stessa a transitare dal cortile condominiale alla sua adiacente privata abitazione, rappresenti una servitù di passaggio o un uso più intenso della cosa comune consentito dall'articolo 1102 c.c.

Le soluzioni giuridiche

La vicenda - a seguito dei due gradi di merito - approdava in Cassazione.

La condomina soccombente in grado di appello proponeva infatti ricorso fondato su due motivi di diritto.

In prima battuta ella contestava il ragionamento operato dalla Corte d'Appello e i precedenti giurisprudenziali citati al fine di motivare la propria sentenza. In particolare il Giudice del riesame aveva citato nella propria sentenza la sentenza Cass. civ., sez. II, 3 giugno 2003, n. 8830, che secondo la ricorrente sarebbe stata citata in modo errato, stante l'assoluta difformità tra il caso ivi deciso e l'attuale controversia.

Il cancello realizzato dalla convenuta, infatti, era stato realizzato per collegare il cortile condominiale ad un altro immobile privato ed esterno al condominio, caso del tutto difforme rispetto a quello oggetto della predetta decisione.

La Cassazione, con l'ordinanza n. 3345 del 12 febbraio 2018, accoglieva il motivo di doglianza della ricorrente.

Secondo gli ermellini, infatti, di sostanziale importanza risultava la circostanza che «tale collegamento avviene tra un'area condominiale ed una proprietà estranea al condominio stesso, da non confondersi con un'altra unità immobiliare appartenente alla stessa[parte resistente, ndr.], ma facente parte del condominio».

La decisione di appello - prosegue la Suprema Corte - è arrivata all'accoglimento delle ragioni della resistente sulla base dell'errata applicazione dei principi giurisprudenziali, dato che l'apertura sopra menzionata non collega una parte comune condominiale ad una parte privata sita nel condominio, ma ad un'immobile privato ed esterno allo stesso stabile.

Aggiunge la Cassazione sul punto che «questo essendo l'accertamento di fatto operato dalla Corte di merito, si rileva che la sentenza impugnata ha ritenuto che tale apertura sia legittima in quanto non pregiudica il pari godimento del cortile da parte degli altri condomini. Conclusione, questa, cui i giudici d'appello sono pervenuti richiamando in particolare (oltre ad altre sentenze del tutto non pertinenti al caso in esame)».

Risulta conseguentemente applicabile il principio giurisprudenziale in ragione del quale costituisce violazione dell'articolo 1102 c.c. l'apertura realizzata da un comproprietario nella rete condominiale per creare un accesso che colleghi il cortile condominiale con un immobile confinante di sua proprietà esclusiva.

A tal fine, secondo la Corte, il precedente giurisprudenziale da citare sarebbe stato quello della sentenza Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2008, n. 24243, nella quale si afferma che «l'uso della cosa comune da parte di un condomino a vantaggio di un bene di sua proprietà esclusiva, estraneo al condominio, costituisce abuso non consentito […] non solo quando alteri la destinazione del bene comune ma anche nel caso in cui, crei, senza il necessario consenso degli altri condomini, un varco nella recinzione del cortile condominiale al fine di creare un accesso dallo spazio interno comune, delimitato della recinzione, ad un immobile limitrofo, estraneo al condominio e di proprietà esclusiva del condomino, venendo, così, a costituire, a favore del bene estraneo alla comunione ed in pregiudizio degli altri condomini e della cosa comune, una servitù di passaggio».

La condotta posta in essere dalla condomina resistente, quindi, non era quella del comproprietario che fa uso più intenso della cosa comune, ma del proprietario del fondo dominante che impone una servitù di passaggio sul fondo servente (condominio), e con la conseguenza che tale posizione giuridica può essere validamente contestata con la proposizione di un'azione negatoria servitutis.

Alla luce di tale considerazione, ritenuto inammissibile il secondo motivo di ricorso in quanto vertente su circostanze di fatto non sindacabili in sede di giudizio di legittimità, la Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso e riformava la sentenza di appello - ai sensi dell'art. 384 c.p.c. - condannando la controricorrente alla rimozione del collegamento tra la propria abitazione e il cortile condominiale.

Osservazioni

L'ordinanza 3345 del 12 febbraio 2018 appare assolutamente corretta nell'esaminare e decidere la controversia.

Nel provvedimento in commento, infatti, la Cassazione ha correttamente riformato la sentenza di Appello la quale aveva deciso la questione senza comprendere a fondo le premesse fattuali.

Come sopra evidenziato, infatti, la Corte territoriale aveva valutato come consentito il comportamento tenuto dalla condomina che aveva creato il passaggio sulla base del precetto del primo comma dell'articolo 1102 c.c., citato in precedenza.

Tale utilizzo della cosa comune, tuttavia, sarebbe stato consentito solo se l'apertura avesse collegato una parte comune (il cortile condominiale, nel caso corrente) con una parte privata condominiale.

L'apertura diviene indiscutibilmente vietata qualora - come nel caso oggetto dell'ordinanza - l'apertura collega una parte comune del condominio con un immobile di proprietà di una condomina, ma posto al di fuori del palazzo.

È quindi corretto che ogni condomino possa servirsi della cosa comune a vantaggio del proprio appartamento, realizzando un'imposizione di un peso che al di fuori del contesto condominiale darebbe luogo ad una servitù prediale (si pensi all'esempio dell'apertura di luci e vedute sul cortile).

Tale peso non costituisce servitù dato che l'utilizzo che il condomino fa della cosa comune è conforme alla destinazione della cosa.

L'anomalia, infatti, deriva dalla stortura realizzata dalla condomina che aveva preteso di asservire una parte comune del condominio ad un immobile privato del tutto estraneo allo stabile.

Guida all'approfondimento

Pironti, Il diritto del condomino di servirsi della cosa comune non può estendersi a vantaggio di entità immobiliari estranee, in Giust. civ., 2000, 91;

Magliulo, L'uso delle cose comuni tra modifiche, servitù, innovazioni e alterazioni, in Dir. & giust., fasc. 10, 2004, 2725;

Triola, Il nuovo condominio, Torino, 2017.

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