Adozione coparentale per le coppie same sex: prevale l’interesse del minore ad avere due genitori

Alberto Figone
14 Marzo 2018

Anche dopo l'entrata in vigore della l. n. 76/2016 è sempre ammissibile il ricorso all'art. 44, lett. d, l. n. 184/1983 per l'adozione del figlio del partner, all'interno di una coppia same sex?
Massima

La l. n. 76/2016 ha confermato l'interpretazione giurisprudenziale secondo cui l'adozione in casi particolari ex art. 44, lett. d, l. n. 184/1983 può pronunciarsi anche a fronte di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo, per mancanza di stato di abbandono del minore, per il quale esiste un genitore biologico che se ne prende cura; ciò purché sussista l'interesse del minore stesso al riconoscimento del rapporto parentale instauratosi di fatto con l'altra figura genitoriale sociale, ancorché dello stesso sesso.

Il caso

Le fattispecie oggetto delle due pronunce “gemelle” in esame sono speculari. Due coppie dello stesso sesso (rispettivamente donne e uomini), civilmente unite, desiderano un figlio. Nella coppia femminile, una delle due donne ricorre all'inseminazione con seme di donatore anonimo all'estero, all'esito della quale nasce una bimba, riconosciuta da colei che lo ha partorito. Nella coppia maschile, tramite il ricorso alla gestazione per altri, sempre all'estero, nasce un bimbo, riconosciuto come figlio di colui che aveva messo a disposizione il proprio seme. In entrambi i casi, la compagna della genitrice ed il compagno del genitore desiderano formalizzare il rapporto che li lega al minore, inserito sin da subito nelle rispettive famiglie e trattato come figlio. Lo strumento utilizzato è quello dell'adozione ex art. 44, lett. d, l. n. 184/1983, che il Tribunale minorile pronuncia all'esito di indagini sull'ambiente familiare da parte dei Servizi sociali.

La questione

Anche dopo l'entrata in vigore della l. n. 76/2016 è sempre ammissibile il ricorso all'art. 44, lett. d, l. n. 184/1983 per l'adozione del figlio del partner, all'interno di una coppia same sex?

Le soluzioni giuridiche

L'instaurazione di un rapporto giuridico di filiazione non presuppone necessariamente l'esistenza di un legame genetico tra genitore e figlio. Già la l. n. 431/1967 aveva introdotto nell'ordinamento la c.d. “adozione speciale”, che attribuiva al minore (di età fino ad otto anni, nel testo originale di legge) che versasse in stato di abbandono, lo status di figlio “legittimo” di una coppia coniugata, ritenuta idonea a farsi carico della sua crescita, educazione e mantenimento. Come noto, la l. n. 184/1983 ha modificato in più punti quella disciplina, prevedendo accanto all'adozione “legittimante” (oggi “piena”, a seguito dell'unificazione dello status filiationis, operata dalla l. n. 219/2012), quella in casi particolari di cui agli artt. 44 e ss., l. n. 184/1983, strutturata sul modello dell'adozione di maggiorenni, ma nella prospettiva di garanzia dell'interesse del minore. La scindibilità tra dato biologico e dato reale è stata sempre più confermata dalla l. n. 40/2004, che, pur vietando (prima dell'intervento della Consulta) il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, escludeva (ed esclude) il ricorso alle azioni “demolitive” dello status, quando vi sia stato accordo dei genitori per accedere ad esse. Nel contempo la l. n. 173/2015 ha parzialmente eroso le rigide barriere esistenti tra affidamento familiare e adozione, attribuendo agli affidatari (che siano ovviamente in possesso dei requisiti di legge) una posizione privilegiata per l'adozione del minore dichiarato nel frattempo in stato di abbandono. In questi ultimi anni, a fronte della novella dell'art. 44, l. n. 184/1983, operata con l. n. 149/2001, giurisprudenza e dottrina hanno elaborato una nuova interpretazione dell'attuale art. 44, lett. d, l. n. 184/1983, che consente l'adozione in casi particolari in presenza di impossibilità di affidamento preadottivo di minori. Inizialmente, infatti, detta impossibilità era intesa come di mero fatto, facendosi riferimento a quei minori con ben poche possibilità effettive di essere adottati nella forma legittimante, perché poco “appetibili” (es. minori di età prossima alla maggiore, ovvero con problematiche fisiche o di carattere). Posto che l'adozione in casi particolari è ammissibile anche per la coppia non coniugata, ovvero al single, si riteneva opportuno così ampliare l'ambito dei possibili adottanti, nella speranza di inserire comunque i minori in una famiglia. Successivamente la specifica posizione del minore affetto da handicap (ed orfano di entrambi i genitori) ha costituito oggetto della nuova fattispecie di cui all'art. 44, lett. c, l. n. 184/1983. Si è allora così ritenuto che l'impossibilità di affidamento preadottivo si riferisca anche ad un'impossibilità giuridica, quando il minore non sia in stato di abbandono, per la presenza amorevole ed attenta di un genitore e della famiglia di lui e tuttavia sia nell'interesse del minore l'acquisizione di una seconda relazione genitoriale. L'adozione è stata pronunciata, dunque, a favore del convivente more uxorio del genitore che aveva costruito con il minore solidi legami affettivi in un contesto familiare non fondato sul matrimonio (altrimenti, si sarebbe applicato l'art. 44, lett. b, l. n. 184/1983); il tutto all'interno di unioni tra persone di sesso diverso. Il passo successivo è stato quello di estendere i medesimi principi all'interno di famiglie composte da persone dello stesso sesso, nelle quali per di più il minore era frutto di un progetto genitoriale condiviso, e non di precedenti relazioni eterosessuali di uno dei componenti della coppia. La pronuncia “apripista” è Trib. min. Roma, 30 luglio 2014, confermata in grado d'appello (App. Roma, 23 dicembre 2015; v. G. Sapi, Stepchild adoption: ammissibile l'adozione del figlio del partner se risponde all'interesse del minore, in IlFamiliarista.it) e poi dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12962; v. A. Fasano, Anche la Cassazione riconosce la stepchild adoption, in IlFamiliarista.it). A quella decisione hanno fatto seguito numerose pronunce conformi di merito, rese in prevalenza all'interno di coppie femminili, in cui la compagna della madre chiedeva l'adozione del figlio che l'altra aveva avuto, una volta costituita la famiglia ricorrendo alla procedura di fecondazione assistita, ovviamente all'estero, posto che la l. n. 40/2004 impone pur sempre che la procreazione medicalmente assistita, anche in oggi di tipo eterologo, avvenga su richiesta di una coppia, sposata o meno, ma comunque composta da persone di sesso diverso (Trib. min. Roma, 23 dicembre 2015, v. E. Minolfi, Adozione del figlio minorenne del partner in una coppia same sex, in IlFamiliarista.it; App. Torino, 27 maggio 2016, v. Stepchild adoption: il sì della Corte d'Appello di Torino in una coppia di donne, in IlFamiliarista.it; Trib. min. Bologna, 31 gennaio 2017; App. Milano, 9 febbraio 2017, v. M. Winkler, Adozione in casi particolari e coppie dello stesso sesso: si pronuncia la Corte d'appello di Milano, in IlFamiliarista.it). Lo stesso Tribunale minorile di Roma ebbe anche ad accogliere una domanda proveniente dal compagno del genitore di un bimbo, nato a seguito di surrogazione di maternità; avverso quella pronuncia ebbe ad interporre impugnazione la Procura generale presso la locale Corte d'appello, ma l'appello venne dichiarato inammissibile (App. Roma, 23 novembre 2016, v. L. Cosmai, A. Figone, A. Simeone, V. Tagliaferri, Maternità surrogata: inammissibile l'impugnazione di una stepchild adoption da parte della procura generale presso la Corte d'Appello, in IlFamiliarista.it).

In questo contesto, diverse poi sono state le pronunce, sia di legittimità che di merito, che hanno riconosciuto tanto la validità di atti di nascita formati all'estero in cui un bimbo era stato dichiarato figlio di due donne, ovvero due uomini (Cass. civ., 15 giugno 2017, n. 14878, v. G. Cardaci, È trascrivibile l'atto di nascita straniero recante l'indicazione di due madri, in IlFamiliarista.it; Cass. civ., 30 settembre 2016, n. 19599, v. A. Fasano, La Costituzione non vieta alle coppie dello stesso sesso di generare figli, in IlFamiliarista.it) quanto l'esecutività di sentenze straniere in cui il rapporto di filiazione (anche adottiva) era stato riconosciuto all'interno di coppie dello stesso sesso (App. Trento, 23 febbraio 2017, v. G. Cardaci, Riconoscimento in Italia del parental judgment costitutivo del legame di filiazione tra due bambini e il padre non genetico, in IlFamiliarista.it; Trib. min. Firenze, 8 marzo 2017, v. R. Rossi, Adozione all'estero da parte di coppia omogenitoriale: riconosciuta a tutti gli effetti, in IlFamiliarista.it). Il che conferma come il dato genetico non sia più elemento necessariamente costitutivo dello status filiationis e nel contempo come possa configurarsi una genitorialità riferita anche a due persone dello stesso sesso.

Osservazioni

Le pronunce in esame, speculari nelle fattispecie ed omogenee nelle argomentazioni giuridiche, contribuiscono ad evidenziare l'importanza dell'adozione in casi particolari ex art. 44, l. n. 184/1983 quale strumento per attribuire formale rilevanza al rapporto affettivo e relazionale tra il compagno (o la compagna) del genitore (o della genitrice) nel contesto di famiglie same sex. Se le soluzioni giuridiche collimano, è indubbia la diversità delle fattispecie, a seconda della composizione delle famiglie. La nascita, in un rapporto di coppia tra due donne, è quella che maggiormente “imita la natura”, specie quando colei che partorisce è anche madre sotto l'aspetto genetico, per aver fatto ricorso alle c.d. banche del seme, ma anche per essere ricorsa ad ovodonazione, con ovocita di una terza estranea; già più complessa è invece la situazione in cui una delle due donne doni l'ovocita e l'altra accetti l'impianto dell'embrione e la conseguente gravidanza (per l'art. 269 c.c., madre è comunque colei che partorisce). Ad ogni modo, proprio la gravidanza e il successivo parto pongono in secondo piano le modalità con cui è avvenuto il concepimento; a livello sociale, prima ancora che normativo, la procreazione in un contesto di coppia omoaffettiva femminile non ha mai suscitato particolare clamore. Ben diversa è la realizzazione di un progetto di genitorialità per una coppia omoaffettiva maschile: quel progetto infatti deve necessariamente passare attraverso la pratica della gestazione per altri (o surrogazione di maternità). Come è noto l'art.12, l. n. 40/2004 vieta espressamente, anche con sanzioni penali, detta pratica, ritenuta contraria all'ordine pubblico. Sta di fatto che in diversi Paesi essa invece è compiutamente disciplinata per legge e dunque lecita, intendendosi valorizzare il desiderio di coloro che non possono aver figli in maniera naturale (in primis le coppie dello stesso sesso, ma anche quelle eterosessuali, nelle quali la donna, per varie patologie, non è in grado di concepire, ovvero di portare a termine una gravidanza). Il preconcetto negativo, ancora presente, verso progetti familiari in coppie gay è frutto della diffidenza, se non dell'avversione verso la gestazione per altri, quasi a voler far cadere sulle spalle di un bimbo gli effetti di una condotta che lo Stato italiano (come peraltro altri) considera illecita. Il pregio delle due pronunce in esame è allora l'approccio “laico” alle singole fattispecie e la valorizzazione dell'interesse specifico del minore ad avere due genitori, a prescindere dall'orientamento sessuale dei genitori stessi.

Il Tribunale minorile di Bologna, nel ripercorrere i precedenti in materia, ha cura di evidenziare come la ben nota decisione Cass. civ., n. 12962/2016, abbia fatto espresso riferimento ad una fattispecie già esaurita al momento dell'entrata in vigore della l. n. 76/2016. La Suprema Corte ha infatti affermato che quella disciplina non poteva trovare applicazione nella specie ratione temporis ed in mancanza di norme di tipo transitorio. Si pone dunque il problema della perduranza della validità di quei principi anche dopo l'emanazione della l. n. 76/2016. Come è noto, l'art. 1, comma 20, l. n. 76/2016 contiene una vera e propria clausola di equivalenza, prevedendo l'estensione di tutte le previsioni, normative e regolamentari che fanno riferimento al matrimonio, piuttosto che ai coniugi, anche all'unione civile e alle parti di esso. Ciò con la duplice eccezione delle norme del codice civile (non espressamente richiamate dalla legge stessa) e di quelle di cui alla l. n. 184/1983. Specifica nel contempo il cit. art. 1, comma 20, l. n. 76/2016 che: «Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti». Dunque, se da un lato la versione finale della c.d. legge Cirinnà (l. n. 76/2016) ha visto espungere l'iniziale art. 5 del progetto di legge (ove si prevedeva espressamente l'adozione in casi particolari del figlio della parte dell'unione civile), dall'altro viene espressamente confermato il regime vigente; solo apparentemente la previsione potrebbe apparire superflua o pleonastica. Essa invece assume una notevole rilevanza, di cui lo stesso Tribunale minorile bolognese dà atto, quando osserva che la sua funzione «è quella di chiarire all'interprete che la mancata previsione legislativa dell'accesso all'adozione coparentale non deve essere letta come un segnale di arresto o di contrarietà rispetto all'orientamento consolidato negli ultimi anni in giurisprudenza a favore dell'adozione coparentale ai sensi della lett. d)». Resta fermo quanto previsto non solo dalla legge (e altrimenti non poteva essere in difetto di esplicita previsione contraria), ma dal c.d. diritto vivente, ossia dall'interpretazione che della disciplina adozionale è stata fornita dai Giudici. Vi deve essere dunque continuità tra le pronunce rese prima della l. n. 76/2016, o comunque relative a domande presentate in epoca antecedente, e quelle successive, nel pieno rispetto del diritto del minore, inserito in una famiglia same sex, ad una bigenitorialità, ancorché realizzata tramite l'adozione in casi particolari, attributiva di uno status filiationis non del tutto corrispondente a quello conseguente al riconoscimento, piuttosto che all'adozione “piena”.

Guida all'approfondimento

M. Velletti, Responsabilità genitoriale: omogenitorialità, in IlFamiliarista.it;

V. Montaruli, Il legislatore e la giurisprudenza alle prese con nuove forme di genitorialità, in IlFamiliarista.it.

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