Divieto del deferimento ad arbitri delle controversie sulla determinazione del canone nelle locazioni ad uso diverso dall'abitativo

Giorgio Grasselli
15 Marzo 2018

L'art. 14, comma 2, della l. n. 431/1998, ha sancito l'abrogazione di una serie di articoli della legge n. 392/1978, tra cui l'art. 54, che vieta il ricorso ad arbitri per dirimere controversie relative alla determinazione del canone. La Suprema Corte, a Sezioni Unite, si è trovata a decidere una fattispecie in cui, alla domanda giudiziale del conduttore, intesa ad ottenere la declaratoria di nullità del criterio di adeguamento del canone, proposta avanti il Tribunale di Ragusa, competente territorialmente in quanto giudice del luogo in cui era posto l'immobile locato, la parte locatrice aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adìto, in forza di una clausola inserita nel contratto che prevedeva la competenza esclusiva a decidere di un collegio arbitrale presso la Camera di commercio di Parigi. Poiché l'art. 54 è inserito dall'art. 14 dalla l. n. 431/1998, nel contesto di un elenco di molti altri articoli, e dopo l'ultimo, ovvero l'art. 79, segue la precisazione “limitatamente alle locazioni abitative”, la Corte si è posta la questione se l'abrogazione...
Massima

Il paradigma dell'interpretazione conforme a Costituzione impone di propendere per l'interpretazione estensiva dell'art. 14, comma 4, della l. n. 431/1998, che vuole abrogato l'art. 54 della l. n. 392/1978, con riguardo all'intero suo raggio di operatività, e con il conseguente venir meno, anche nella locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello di abitazione, del divieto di deferimento ad arbitri delle controversie relative alla determinazione del canone. Questa interpretazione estensiva è confermata, altresì, dalla considerazione che la nullità della clausola compromissoria era in origine dovuta all'esigenza di tutelare il contraente più debole, esigenza venuta meno con il superamento del sistema di vincoli sulle locazioni legato al c.d. equo canone. Nemmeno è apprezzabile la tesi per cui la non arbitrabilità delle controversie sulla determinazione del canone, relative ad un rapporto di locazione ad uso diverso dall'abitativo, sia stata dettata in ragione di una disciplina inderogabile proprio con riguardo all'aggiornamento del canone, per il motivo che la sfera dell'indisponibilità dei diritti non coincide necessariamente con l'inderogabilità delle norme che li regolano.

Il caso

Una società immobiliare, denominata M. s.r.l., poi A. R. E. s.r.l., aveva concesso in locazione ad altra società, la s.r.l. Centro vacanze K. (poi incorporata da C. M. s.a., poi C. M. s.a.s.), un complesso immobiliare adibito a “villaggio vacanze”, sito nella provincia di Ragusa.

Il contratto fu stipulato per la durata di venti anni, sennonché, dopo circa 15 anni, la conduttrice presentò un ricorso al Tribunale di Ragusa nei confronti della locatrice, chiedendo che fosse dichiarata la nullità dell'art. 7 del contratto di locazione, ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978, nella parte in cui prevedeva che l'aggiornamento del canone fosse effettuato con riferimento ad indici diversi da quelli dell'ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

La conduttrice C. M., chiedeva pertanto che la locatrice fosse condannata a restituire le somme pagate in eccesso.

La convenuta, A. R. E. s.r.l., si costituiva eccependo pregiudizialmente il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore della giurisdizione arbitrale regolata dalla Camera di Commercio internazionale con sede a Parigi, come convenuto dalle parti con l'art. 30 del contratto di locazione.

In pendenza del giudizio avanti il Tribunale di Ragusa, la soc. C. M. propose ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione avanti la Corte di Cassazione, chiedendo che fosse dichiarata la giurisdizione del giudice italiano.

La Corte, con l'ordinanza in commento, pronunciata a Sezioni Unite, ha rigettato la domanda della ricorrente e ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

La questione

La Suprema Corte, preso atto che la domanda della conduttrice era circoscritta nell'ambito della determinazione del canone locatizio relativo ad un immobile ad uso diverso da quello abitativo, ha posto la questione nei termini di un accertamento se fosse stato o no totalmente abrogato, e quindi ancora in vigore per le locazioni ad uso diverso dall'abitativo, l'art. 54 della l. n. 392/1978, con la conseguente eventuale nullità della clausola compromissoria stipulata dalle parti nell'art. 30 del contratto di locazione, clausola che prevedeva che tutte le eventuali controversie nascenti dal contratto stesso, fossero devolute in un procedimento arbitrale governato dal regolamento di arbitrato della Camera di Commercio internazionale, con sede a Parigi.

Tale questione, afferma, infatti, la Corte, va affrontata alla luce dell'art. 54 della l. n. 392/1978, onde stabilire se detta norma sia tuttora in vigore con riguardo alle locazioni ad uso diverso dall'abitazione considerando a tal fine la portata dell'art. 14, comma 4, della l. n. 431/1998, che reca una disposizione del seguente tenore: «Sono altresì abrogati gli articoli 1, 3, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 54, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 75, 76, 77, 78, 79, limitatamente alle locazioni abitative, e 83 della legge 27 luglio 1978, n. 392, e successive modificazioni».

Le soluzioni giuridiche

La disamina della Corte prende le mosse, innanzi tutto, dall'interpretazione letterale delle norme innanzi citate, e sostiene che, seguendo questo criterio interpretativo, sarebbero possibili due letture dell'art. 14 della l. n. 431/1998; in altre parole, si doveva accertare se l'inciso, «limitatamente alle locazioni abitative», si riferiva a tutti gli articoli della serie, compreso quindi l'art. 54, che, come tutti gli altri, sarebbe pertanto rimasto in vigore per le locazioni a uso diverso dall'abitativo, oppure, come seconda lettura, se la limitazione anzidetta si doveva ritenere valida per il solo articolo 79 della l. n. 392/1978.

La prima interpretazione, ovverosia la tesi della perdurante vigenza dell'art. 54 per le locazioni ad uso diverso dall'abitativo, è stata seguita dalla Cassazione con orientamento costante, e l'ordinanza in esame ne dà atto, richiamando, in particolare, Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2007, n. 15470, ma si può ricordare anche Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2000, n. 1914,e la più recente Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2013, n. 6284, che danno per pacifico il divieto di compromettibilità in arbitri, stabilito dall'art. 54 della l. 27 luglio 1978, n. 392, per le locazioni ad uso diverso, con riferimento alle controversie relative alla determinazione del canone.

La seconda interpretazione prospettata dalla Suprema Corte, considera, invece, gli effetti dell'abrogazione di cui all'art. 14, limitati al solo ultimo articolo della serie, ossia all'art. 79, la cui natura sostanziale e non processuale è evidente, essendo volto a limitare la durata legale del contratto, o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dalla l. n. 392/1978, o altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della stessa legge.

In conclusione, il testo dell'art. 14 della l. n. 431/1998 potrebbe consentire entrambe le interpretazioni, afferma la Corte, che, tuttavia, sotto il profilo costituzionale, ritiene che il Legislatore abbia voluto l'abrogazione dell'art. 54 nella sua interezza, per entrambi i tipi di locazione.

Questa interpretazione - secondo i magistrati di piazza Cavour - troverebbe un elemento di conferma nel rilievo che la stessa l. n. 431/1998, ha previsto per le locazioni abitative una nuova disciplina dei patti contrari alla legge. Infatti, molti degli articoli abrogati di cui al citato art. 14 della l. n. 431/1998, riguarderebbero esclusivamente le locazioni ad uso di abitazione «sicché sarebbe superflua, per essi, una specificazione della limitazione dell'effetto abrogativo, quando questa già pianamente discende dalla portata stessa di queste disposizioni abrogate, che sono nate e sono vissute entro i confini della locazione abitativa».

Altra conferma - sempre secondo il supremo consesso decidente - si poteva ravvisare in ciò che l'art. 14 comma 4, dopo l'espressione limitativa, prosegue con l'abrogazione dell'art. 83 della l. n. 392/1978, ossia di una norma che riguarda in modo indifferenziato l'intero sistema delle locazioni di immobili urbani, tanto ad uso di abitazione quanto ad uso diverso da quello di abitazione.

Qualora poi si sostenesse la tesi contraria, in virtù del fatto che, ai sensi dell'art. 806 c.p.c., sussiste un generale divieto di far decidere ad arbitri controversie su diritti indisponibili, come è appunto inderogabile la disciplina che riguarda proprio l'aggiornamento del canone - secondo la Corte - in base ad una prevalente dottrina, la sfera dell'indisponibilità dei diritti non coincide con l'inderogabilità delle norme che li regolano. Ciò è tanto vero che, un orientamento giurisprudenziale consolidato, se pure ritiene nulle le pattuizioni difformi dal paradigma legale “prefigura una indisponibilità proiettata in futuro, rivolta ad evitare una elusione preventiva dei diritti del conduttore, ma non esclude la possibilità di disporne una volta che gli stessi siano sorti e possano essere fatti valere” (v., ex multis Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22908, e Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2017, n. 13139).

Osservazioni

La tesi che una vertenza locatizia sui criteri di aggiornamento del canone possa essere decisa per arbitri e nemmeno italiani, con buone probabilità non al corrente o comunque non esperti del diritto italiano che disciplina le locazioni, ad una prima lettura può apparire azzardata. Tuttavia, le complesse argomentazioni dedotte dalle Sezioni Unite impongono una accurata disamina, che coglie - a mio avviso - una prima discrepanza nell'interpretazione letterale dell'art. 14, comma 4, della l. n. 431/1998, che, secondo l'ordinanza in commento, porterebbe ad affermare l'abrogazione dell'art. 54 della l. n. 392/1978, sia per le locazioni ad uso abitativo, sia per quelle ad uso diverso.

Su questo punto, la motivazione del Supremo Collegio non è convincente, non essendo sufficiente richiamare la giurisprudenza anteriore maturata su rapporti precedenti l'entrata in vigore della l. n. 431/1998, che, ovviamente, attenendosi alla regola dell'art. 54, non ancora abrogato, dichiaravano nulla la clausola compromissorie inserita in un contratto locatizio di qualsiasi specie, abitativo e non.

Dedurre da questi precedenti che, dopo l'entrata in vigore dell'art. 14 della l. n. 431/1998, l'art. 54 della l. n. 392/1978 dovrebbe ritenersi per ciò stesso totalmente abrogato, ci sembra una conclusione non sostenibile.

Che l'argomentare sia debole, lo si riscontra, del resto, anche quando la Corte si avvale dell'interpretazione letterale onde pervenire alla conclusione condivisa, e afferma che l'inciso “limitatamente alle locazioni abitative”, si dovrebbe riferire “al solo ultimo articolo della serie, ossia all'art. 79”. Le motivazioni a sostegno, ad un attento esame, non seguono i criteri propri di un'interpretazione letterale, che altrimenti si dovrebbe pervenire alla conclusione opposta.

L'art. 79, infatti, nella scritturazione dell'art. 14, comma 4, ha il solo torto di trovarsi ultimo di una serie di altri articoli, pedissequamente separati da una virgola, senza elementi grafici che ne segnalino un trattamento diverso dai precedenti, ma tutti, dal primo all'ultimo, abrogati con l'anzidetto limite. Tant'è vero che, allorquando per l'art. 83 l'abrogazione deve intendersi per entrambi i tipi di locazione, questa norma viene elencata separata dalle altre.

Proseguendo l'analisi dell'interpretazione che ritiene l'abrogazione dell'art. 54 estesa anche ai contratti ad uso diverso dall'abitativo, la Corte si limita a enunciare l'assunto, senza addurre alcun elemento a sostegno, di talché, l'affermazione che la limitazione dell'effetto abrogativo al solo art. 79 troverebbe “un elemento di conferma” nel rilievo che la l. n. 431/1998, con l'art. 13 ha contestualmente previsto per le locazioni abitative una nuova disciplina dei patti contrari alla legge, in realtà più che una conferma appare come una petizione di principio.

Difatti, l'osservazione che segue, che “molte” della disposizioni menzionate riguardano soltanto le locazioni ad uso di abitazione, donde sarebbe del tutto superfluo segnalarne l'abrogazione limitatamente a queste ultime, già con il riferimento a “molte” e non a tutte le norme abrogate, mostra i suoi limiti, e induce invece a ritenere che il Legislatore non si sia dato briga di distinguere quali norme potevano restare in vigore per le locazioni non abitative e quali no, e così ad evitare perplessità interpretative abbia per tutte escluso l'abrogazione espressa, lasciando poi all'interprete valutare se in concreto alcune norme potevano effettivamente trovare applicazione alle locazioni diverse dall'abitazione.

Tanto più che proprio l'art. 54 è una norma di generale applicazione, non solo quindi per le locazioni abitative, ragion per cui, averlo tenuto in vita per le locazioni ad uso diverso dall'abitativo, contraddice l'assunto della Corte, e conferma l'attualità del divieto di deferire ad arbitri il contenzioso sulla determinazione del canone per le locazioni ad uso diverso, non essendovi altra norma sostitutiva dello stesso tenore per questa tipologia di rapporti locatizi.

La Corte poi, come ulteriore argomento a sostegno della propria tesi, ritiene l'interpretazione estensiva dell'art. 14 della l. n. 431/1998, con riferimento all'art. 54 della l. n. 392/1978, conforme al dettato costituzionale, e una volta che il Legislatore aveva ritenuto cessata anche la ratio che assisteva la previsione del divieto della clausola compromissoria nelle locazioni abitative, sarebbe stato irragionevole continuare ad escludere il ricorso alla giustizia arbitrale per le locazioni ad uso diverso.

Sarebbe irrilevante - proseguono i giudici di legittimità - sostenere la non arbitrabilità di un diritto in base all'assunto dell'inderogabilità della disciplina che lo regola, con riguardo proprio alla determinazione del canone delle locazioni non abitative. Infatti, si afferma che, secondo una certa dottrina, la sfera dell'indisponibilità non coinciderebbe con l'inderogabilità, in altre parole il divieto di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978, riferito ad una disciplina inderogabile, non impedirebbe al conduttore di disporne una volta che il suo diritto sia sorto e possa essere fatto valere, opinione recepita dalla giurisprudenza con un orientamento consolidato.

Il richiamo, a mio avviso, non è pertinente, perché l'eventuale disponibilità - originaria o sopraggiunta nel corso della locazione - del diritto del conduttore a pretendere dal locatore l'osservanza di norme previste a suo vantaggio, e l'inderogabilità di queste stesse norme pena la nullità di eventuali pattuizioni contrarie, costituiscono elementi che riguardano il merito della controversia, e non l'aspetto meramente processuale dell'art. 54 che sancisce un divieto specifico alla deroga della competenza dell'A.G.O. in favore di un collegio arbitrale.

In buona sostanza, il suddetto principio potrebbe deporre a favore della parte locatrice, posto che, con la stipula del contratto di locazione, la parte conduttrice era già in grado di disporre del diritto a che l'aggiornamento del canone si attenga alla norma di cui all'art. 32 della l. n. 392/1978 e alla sua invariabilità, sennonché, ed è proprio qui il punto, con il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione non è stata messa in discussione la eventuale deroga da parte del conduttore ad una determinazione del canone come prevista dal sopracitato art. 32, questione che appunto riguarda il merito della controversia, bensì la deroga al divieto, spiccatamente processuale, di deferire la controversia ad un collegio arbitrale, deroga che non è successiva all'acquisizione del relativo diritto, che, al contrario, è una clausola, inserita nel contratto originario e non in un patto stipulato nel corso del rapporto.

Vi è, tuttavia, a nostro avviso, un altro punto da prendere in considerazione sul quale l'ordinanza in commento non si è pronunciata.

A mente dell'art. 21 c.p.c., per le cause relative a rapporti di locazione, «è competente il giudice del luogo dove è posto l'immobile», e l'art. 447-bis, c.p.c., precisa che «sono nulle le clausole di deroga alla competenza», il che «induce a ritenere che la competenza per territorio sia inderogabile».

Sul punto, si è pronunciata, tra l'altro, anche la Cassazione, affermando che: «l'art. 447-bis, comma 2, c.p.c. prevede - in materia di locazione - l'inderogabilità della competenza del giudice del luogo ove si trova la cosa (con la conseguenza, pertanto, essendosi in presenza di un caso in cui l'inderogabilità della competenza per territorio è disposta espressamente dalla legge, a norma dell'art. 28, ultima parte, c.p.c., che la relativa eccezione non è soggetta alla preclusioni previste dal nuovo art. 38 c.p.c. come sostituito dall'art. 4 della l. 26 novembre 1990, n. 353 »(Cass. civ.,sez. III, 7 aprile 1998, n. 3563).

In conclusione, alla questione in esame, è del tutto estraneo il diritto del conduttore a che il canone convenuto sia aggiornato in base a criteri differenti rispetto a quanto prevede la normativa, trattandosi invece di accertare se alcune norme processuali che convergono nel sancire l‘assoluto divieto a derogare alla competenza per territorio come legislativamente prevista, abbiano valore assoluto, oppure consentano delle eccezioni a seguito accordi delle parti.

Ma a un tale quesito si dovrà dare senza meno una risposta negativa, atteso il disposto degli artt. 21 e 447-bis c.p.c., sopra richiamati.

D'altro canto, non è men vero che il comma 2 dell'art. 447-bis c.p.c., se pur non vieta espressamente la compromissione in arbitri, stabilisce la nullità della clausola di deroga alla competenza per territorio, e sarebbe fuor di luogo e contrario ad un principio di ragionevolezza, che la competenza per territorio del giudice del luogo in cui si trova l'immobile, fosse inderogabile solo qualora la deroga riguardasse il giudice italiano di un altro distretto, mentre la deroga fosse consentita qualora la devoluzione avvenisse a favore di un arbitro straniero.

Si comprende a questo punto che la questione affrontata dagli ermellini in ordine all'abrogazione parziale o estesa dell'art. 54 della l. n. 392/1978, non coglie nel segno, poiché la nullità del patto commissorio, nella specie si rivela affetto da insanabile nullità, non solo in ragione del divieto di deferimento ad arbitri della controversia sull'aggiornamento del canone, ma altresì per la deroga alla competenza territoriale, esclusiva e inderogabile, del giudice competente nel territorio di Ragusa ma altresì con deferimento della controversia al collegio arbitrale di un altro stato.

In dottrina, non si pone nemmeno in dubbio che l'abrogazione disposta dall'art. 14 della l. n. 431/1998, riguardi i soli rapporti di locazione ad uso di abitazione, restando invece in vigore, se ed in quanto applicabili, per le locazioni ad uso diverso dall'abitativo.

Conclusioni cui si perviene a seguito della nuova disciplina introdotta dalla l. n. 431/1998, che, per le locazioni ad uso di abitazione, con l'art. 13, «tutela in modo particolare taluni diritti soggettivi del conduttore ritenuti inderogabili e di natura indisponibile, la cui lesione determina nullità della pattuizione negoziale» (così Masoni).

Tanto più che la regola della competenza per territorio inderogabile, stabilisce una manifesta garanzia per la tutela dei diritti del conduttore, che, in quanto tale, nell'immobile da lui condotto in locazione ha stabilito un suo centro di interessi, a differenza della parte locatrice, che ben potrebbe avere la sede dei propri interessi in un qualsiasi paese estero, dove poter coltivare una vertenza nei confronti del conduttore con maggior agio rispetto a quest'ultimo, anche avvalendosi di normative più a lui favorevoli.

Guida all'approfondimento

Masoni, Le locazioni, II, Padova, 2007, 90.

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