Il nuovo comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p. e la sua applicabilità al giudizio abbreviato

Cristina Ingrao
16 Marzo 2018

La prima Sezione penale della Corte di appello di Palermo, in forza dell'art. 603, commi 3 e 3-bis c.p.p., con ordinanza dell'8 febbraio 2018, ha disposto doversi procedere ...
Abstract

La prima Sezione penale della Corte di appello di Palermo, in forza dell'art. 603, commi 3 e 3-bis c.p.p., con ordinanza dell'8 febbraio 2018, ha disposto doversi procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di secondo grado, in relazione a un caso in cui in primo grado si era optato per il rito speciale del giudizio abbreviato.

Il caso

La vicenda oggetto di analisi trae origine da un processo che in primo grado era stato celebrato nelle forme del rito abbreviato. In appello, la pubblica accusa, dopo avere ricostruito l'iter normativo e giurisprudenziale inerente all'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., introdotto, nelle more del giudizio di appello, con leggedi riforma 103/2017, sosteneva, in primo luogo, che la nuova disposizione non potesse essere interpretata, per il suo tenore letterale (rinnovazione dell'istruzione dibattimentale) e in virtù di una lettura costituzionalmente orientata, nel senso della sua applicabilità ai processi celebrati in primo grado con le forme del rito abbreviato, trattandosi di giudizio allo stato degli atti, in cui mai vi è stata istruzione dibattimentale. Tale nuova previsione normativa, dunque, sarebbe ontologicamente incompatibile con la sostanza del rito alternativo, che presuppone la rinuncia dell'imputato all'assunzione delle prove nel contraddittorio delle parti ed accettazione della decisione sulla scorta dei soli atti d'indagine.

La difesa delle parti civili appellanti formalizzava, invece, in ossequio all'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., richiesta di rinnovazione dell'istruzione probatoria mediante l'esame di 18 soggetti, le cui dichiarazioni risultavano decisive ai fini del ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado.

La difesa dell'imputato, a sua volta, invece, deduceva l'inammissibilità dell'appello del P.M., privo di specificità e congruenza, poiché limitato ad una richiesta generica di rinnovata verifica del compendio probatorio contenuto nel fascicolo processuale, senza fare alcun cenno alla posizione personale dell'imputato; e la sussistenza di un obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale solo a fronte di specifiche deduzioni dell'impugnante circa la valutazione fatta dal giudice di primo grado su di una o più prove dichiarative, decisive ai fini dell'eventuale overruling, specifiche deduzioni che, nel caso in esame, sarebbero mancate.

La nuova norma di cui all'art. 603 c.p.p., secondo la difesa, non potrebbe mai essere intesa alla stregua di un rigido ed inderogabile automatismo, pena la violazione dell'art. 3 Cost., del principio della ragionevole durata del processo e di quelle stesse garanzie difensive volte a tutela del giusto processo, in ragione delle quali la nuova normativa ha visto la luce.

In altri termini, secondo la difesa, il meccanismo introdotto dalla recente riforma del processo penale rappresenta una forma di garanzia dell'imputato e del suo diritto a che la valutazione delle prove dichiarative, su cui potrebbe fondarsi il ribaltamento dell'assoluzione ottenuta in primo grado, sia conforme al criterio generale dell'oltre ogni ragionevole dubbio e ai principi, anch'essi dotati di copertura costituzionale, dell'oralità e dell'immediatezza della prova (Cass. pen., Sez. unite, 28 aprile 2016, n. 27620, Dasgupta). A riprova di ciò, tutte le sentenze emesse sul punto attengono a casi in cui la violazione del principio del giusto processo si è verificata a danno dell'imputato, condannato in appello sulla base di una semplice rilettura delle dichiarazioni testimoniali.

Da tali premesse derivava, ad avviso della difesa, che la nuova norma, non potesse trovare applicazione anche quando, come nel caso di specie, l'assunzione dei testimoni contrastasse con le specifiche esigenze dell'imputato e fosse da questo espressamente rifiutata, soprattutto quando il predetto sia stato giudicato in primo grado sulla base di prove meramente cartolari, in virtù della scelta di un rito contratto.

La questione

La questione oggetto di esame è la seguente: dopo l'introduzione ad opera della legge di riforma Orlando del comma 3-bis all'art. 603 c.p.p., secondo cui «nel caso di appello del P.M. contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale», è possibile applicare tale previsione anche nel caso in cui in primo grado si sia optato per il giudizio abbreviato?

La soluzione accolta nell'ordinanza della Corte di appello di Palermo

Secondo la Corte di appello di Palermo, al fine di risolvere la questione sottoposta alla sua attenzione, occorre partire dalla considerazione che il comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p. è norma processuale, alla quale, in difetto di disposizione transitoria, si applica il principio tempus regit actum, con la conseguenza che essa, dalla data della sua efficacia, trova applicazione nei procedimenti di appello pendenti su impugnazione del P.M. avverso una sentenza assolutoria di primo grado.

Inoltre, la norma si inserisce in un sistema processuale che, prevedendo un doppio grado del giudizio di merito, delinea il giudizio di appello qualegiudizio di revisione di quello di primo grado, posto che l'art. 605 c.p.p. sancisce che il giudizio di appello può concludersi o con conferma o con riforma della sentenza appellata, la quale costituisce il punto di riferimento per la decisione di secondo grado, che è, altresì, condizionata, nei suoi contenuti redazionali, dal principio devolutivo sancito dall'art. 597, comma 1, c.p.p. e, quanto all'appello del P.M., dai principi di cui al comma 2 della medesima norma.

E in questa ottica la disposizione in esame va correlata alla disciplina di cui all'art. 581 c.p.p., attinente alla Forma dell'impugnazione, anch'essa oggetto di modifica da parte della riforma, con la previsione, a pena di inammissibilità, di una enunciazione specifica: a) dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione; b) delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione; c) delle richieste, anche istruttorie; e d) dei motivi, con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

Tanto, però, non conduce a ritenere, a sua volta, inammissibili gli atti di appello proposti dal P.M. e dalle parti civili, come eccepito dalla difesa dell'imputato, in quanto essendo stati proposti prima della modifica del citato art. 581 c.p.p., anch'essa norma processuale, per essi trova applicazione il previgente testo della norma, sicuramente meno restrittivo.

Va allo stesso modo osservato che, dal complesso di tutte le citate disposizioni normative, si ricava che, pur prevedendo la nuova norma una obbligatoria rinnovazione delle prove di natura dichiarativa nel caso di appello del P.M. contro una sentenza di proscioglimento, tale obbligatorietà è correlata ai motivi attinenti alla valutazione della predetta prova.

Da ciò consegue che non tutte le prove dichiarative debbano essere rinnovate ma solo quelle la cui valutazione effettuata dal primo giudice sia contestata nell'atto di appello e che assuma la qualità di prova decisiva, ossia di prova la cui valutazione abbia condotto il primo giudicante alla pronuncia assolutoria e che, nella logica dell'impugnante, risulti decisiva per il ribaltamento della pronuncia stessa.

Il che vale senz'altro a far ritenere che, secondo quest'assetto normativo, sia stato il Legislatore a positivizzare, con il comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p., la regola dell'assoluta necessità della rinnovazione probatoria, nel caso di appello con il quale si contesti la valutazione di una prova dichiarativa accompagnata dalla indicazione dei motivi specifici per i quali è elevata l'impugnazione.

E allora, è chiaro che, non essendo prevista alcuna facoltà discrezionale, tanto rende il giudice di appello obbligato alla rinnovazione nella misura in cui viene evidenziata, nella tesi dell'appellante, la "decisività" dell'assunzione della prova ai fini del chiesto ribaltamento in ordine alla sua valutazione. Dunque, nessuna valutazione anticipatoria sul merito del giudizio è richiesto al giudice di appello, ma solo quella sulla decisività della prova ai fini della valutazione delle ragioni esposte dall'appellante. Pertanto, la rinnovazione è sempre delimitata da tale parametro.

Venendo, poi, alla questione principale sottoposta dalle parti al Collegio, ossia quella dell'inapplicabilità della norma al giudizio svoltosi nelle forme del rito abbreviato non condizionato, va escluso, secondo la Corte, che il mero dato letterale, ossia il testuale riferimento alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, sia dirimente nell'escludere la sua applicabilità a processi in cui, in primo grado, si è proceduto con le forme rito abbreviato senza condizioni.

E invero, la norma ha lo stesso tenore testuale dei precedenti commi dell'art. 603 c.p.p., ove pure si riporta la medesima espressione, che sono pacificamente sempre stati applicati anche ai giudizi di appello di procedimenti svoltisi con rito abbreviato in primo grado.

Dunque, l'interpretazione letterale, in questo caso, va combinata con quella logico- sistematica, che conduce a ritenere la norma applicabile a ogni tipo di giudizio.

Tale conclusione, peraltro, secondo la Corte di merito, appare in linea con l'evoluzione legislativa che ha interessato il rito abbreviato nel 1999 e che ha radicalmente trasformato la disciplina del procedimento speciale, posto che oggi l'esercizio della facoltà dell'imputato di ottenere che il processo sia definito allo stato degli atti non è più condizionato dall'assenso del P.M. e che, quando manchi un'istanza di ammissione di prove, la volontà dell'imputato crea nel giudice dell'udienza preliminare l'obbligo di disporre il giudizio abbreviato, salvo il potere di integrazione probatoria ex officio, allorché ai sensi dell'art. 441, comma 5, c.p.p., il giudice ritenga di non potere decidere allo stato degli atti (Cfr. Cass. pen., Sez. I, 7 ottobre 2004, n. 43451).

Pertanto, il giudizio abbreviato è, allo stato attuale, un giudizio solo tendenzialmente a prova contratta, nel quale non vi è limite ai poteri integrativi d'ufficio del giudice, laddove non gli sia possibile decidere allo stato degli atti.

A seguito, dunque, della nuova formulazione dell'art. 438 c.p.p. è stata ritenuta possibile la richiesta di rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale da parte dell'imputato che abbia subordinato la richiesta di accedere al rito abbreviato ad una specifica integrazione probatoria (Cass. pen., Sez. III, 2 marzo 2004, n. 15296) ma non da parte dell'imputato che abbia richiesto il rito abbreviato allo stato degli atti. In tal caso, gli è stata, tuttavia, riconosciuta la possibilità di sollecitare il giudice di appello all'esercizio del potere di ufficio, di cui all'art. 603, comma 3, c.p.p.

La non incompatibilità del rito speciale con le assunzioni probatorie (Cass.pen., Sez. 6, 1 ottobre 1998, n. 397), comporta, tuttavia, che all'assunzione d'ufficio di nuove prove o alla riassunzione delle prove già acquisite agli atti si proceda solo quando e nei limiti in cui il giudice di appello la ritenga assolutamente necessaria ai fini della decisione (Cass. pen., Sez. VI, 24 novembre 1993, n. 1944), sicché, come ribadito, deve comunque ritenersi escluso che la parte conservi un diritto proprio a prove alla cui acquisizione ha rinunciato per effetto della scelta del giudizio abbreviato, ma non, a contrario, che il giudice non possa dispone ex officio, ai sensi dell'art. 603, comma 3, c.p.p.

Del dovere di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello a seguito di assoluzione in primo grado ed impugnazione del P.M., prima che lo stesso venisse definitivamente positivizzato nell'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., si sono occupate, infine, due fondamentali decisioni delle Sezioni unite, citate nella stessa ordinanza. Il riferimento è alle sentenze Dasgupta e, soprattutto, Patalano, che meritano un breve approfondimento.

Le sentenze Dasgupta e Patalano

Nella pronuncia Dasgupta (Cass. pen., Sez. unite, 28 aprile 2016, n. 27620), in particolare, si afferma che la necessità per il giudice di appello di procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante. Inoltre, la previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d) della Cedu, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza della Corte Edu, implica che il giudice di appello, investito dall'impugnazione del p.m. avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all'esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca un'erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 603, comma 3, c.p.p., a rinnovare l'istruzione dibattimentale, attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio di assoluzione di primo grado.

Infine, nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado, fondata su una diversa valutazione della concludenza delle dichiarazioni ritenute decisive, l'impossibilità di procedere alla necessaria rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa preclude il ribaltamento del giudizio assolutorio ex actis, fermo restando il dovere del giudice di accertare sia la effettiva sussistenza della causa preclusiva alla nuova audizione, sia che la sottrazione all'esame non dipenda né dalla volontà di favorire l'imputato, né da condotte illecite di terzi, essendo in tali casi legittimo fondare il proprio convincimento sulle precedenti dichiarazioni assunte.

Nella sentenza Patalano, n. 18620 del 19 gennaio 2017, le Sezioni unite, poi, sviluppano con riguardo al rito abbreviato il dictum della pronuncia Dasgupta.

In tale secondo pronuncia, la Suprema Corte, in particolare, era chiamata a decidere sul quesito se nel caso di appello del P.M. contro una sentenza di proscioglimento emessa all'esito del giudizio abbreviato per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, il giudice di appello che riforma la sentenza impugnata debba disporre l'esame delle persone che hanno reso tali dichiarazioni. La stessa ha fornito risposta affermativa; con la conseguenza che non distinguendo in alcun modo il nuovo comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p. il tipo di giudizio, l'obbligo di rinnovazione incombe sul giudice di appello, in tutti i casi di rivalutazione della prova dichiarativa, sia essa stata assunta nel corso dell'istruzione dibattimentale in contraddittorio, sia essa stata acquisita nella fase delle indagini preliminari e poi utilizzata durante il giudizio abbreviato, sia condizionato che non.

Nel costituirsi in giudizio l'Avvocatura generale aveva evidenziato, invece, come nel giudizio abbreviato non condizionato la prova dichiarativa non è raccolta in forma orale, immediata e nel contraddittorio delle parti, ma solo valutata ex actis dal giudice di primo grado che ha pronunciato l'assoluzione; sicché non ricorrerebbero le ragioni fondanti la regola di simmetria operativa, enunciata dalle Sezioni unite Dasgupta, in assenza di dati normativi e sistematici indicativi del fatto che l'obbligo di motivazione rafforzata debba essere obbligatoriamente assolto attraverso l'effettuazione di una istruttoria dibattimentale, inesistente nel giudizio di primo grado, con l'assunzione, per la prima volta in appello, di una prova dichiarativa decisiva.

L'estensione anche al giudizio abbreviato della regola secondo cui, ove p.m. o parte civile propongano appello avverso una sentenza di assoluzione per motivi relativi alla valutazione di prova dichiarativa, il giudice di appello deve disporre la rinnovazione dell'esame dei dichiaranti, invece, trova secondo le Sezioni unite aggancio nell'interpretazione della valenza del canone della responsabilità solo oltre ogni ragionevole dubbio, di cui all'art. 533 c.p.p.

Tale criterio generalissimo, infatti, collegato alla presunzione di innocenza di valenza costituzionale, cardine dei moderni ordinamenti processuali, pretende che in mancanza di elementi sopravvenuti, l'eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello sia sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze od insufficienze della decisione assolutoria, che deve, quindi, rivelarsi a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, neppure nel senso di lasciare aperti residui ragionevoli dubbi sull'affermazione di colpevolezza.

Ciò significa che per riformare un'assoluzione non basta una diversa valutazione di pari plausibilità rispetto alla lettura del primo giudice, occorrendo, invece, “una forza persuasiva superiore”, capace, appunto, di far cadere ogni ragionevole dubbio, perché, mentre la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza, bensì la mera non certezza della colpevolezza.

L'assoluzione pronunciata dal giudice di primo grado travalica ogni pretesa di simmetria. Secondo la Suprema Corte, perché l'overturning si concretizzi davvero in una motivazione rafforzata, che raggiunga lo scopo del convincimento oltre ogni ragionevole dubbio, non si può fare a meno dell'oralità nella riassunzione delle prove rivelatesi decisive.

Invero, anche nell'ambito del giudizio abbreviato l'imperativo della motivazione rafforzata è destinato ad operare in tutta la sua ampiezza, attraverso l'effettuazione obbligatoria di una istruttoria e con l'assunzione per la prima volta in appello di una prova dichiarativa decisiva.

La costituzionalizzazione del giusto processo induce, inoltre, a configurare il giudizio di appello che abbia ribaltato una sentenza assolutoria, pur se a seguito del rito abbreviato, un “nuovo” giudizio, in cui il dubbio sull'innocenza dell'imputato può essere superato solo impiegando il metodo migliore per la formazione della prova. L'appello, in tal caso, si risolve, infatti, in un giudizio “asimmetrico” rispetto a quello di primo grado, nel quale è comunque necessaria un'integrazione probatoria, non più da considerare in termini di eccezionalità rispetto ad un primo grado di giudizio connotato dalla presunzione di regolare esaustività dell'accertamento (Cass. pen., Sez. un., 19 gennaio 2017, n. 18620).

Tuttavia, le stesse Sezioni unite si sforzano di precisare che quanto esposto vale solo nei casi in cui di differente valutazione del significato della prova dichiarativa si possa effettivamente parlare. Non, perciò, quando il documento che tale prova riporta risulti semplicemente travisato. In questo caso, difatti, non può sorgere alcuna esigenza di rivalutazione di tale contenuto attraverso una nuova audizione del dichiarante.

In conclusione

La Corte di appello di Palermo, dopo aver ripercorso la più recente interpretazione nomofilattica della Suprema Corte, in relazione alle norme relative alla rinnovazione dell'istruzione probatoria in appello, antecedente alla riforma del 2017, ma anticipatoria della stessa, infine, correttamente ha disposto la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, mediante l'esame dei testimoni ritenuti necessari, anche in presenza di un giudizio abbreviato. Ciò in quanto, alla luce di quanto esposto, l'interpretazione proposta dal P.G. di Palermo e dalla difesa dell'imputato, avrebbe finito per costituire una palese violazione di legge.

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