Assegno divorzile per garantire una esistenza libera e dignitosa

Gustavo Danise
19 Marzo 2018

La sentenza del Tribunale di Milano in commento si colloca nel nuovo orientamento giurisprudenziale che ha accolto e applicato in via immediata i principi della sentenza Grilli; infatti, il Collegio milanese si è attenuto alla duplice fase di giudizio; la prima e preliminare fase sull'an del diritto all'assegno divorzile; e solo all'esito positivo, la seconda fase, successiva e conseguenziale, sul quantum.
Massima

L'assegno divorzile spetta al coniuge che non ha mezzi propri, o è impossibilitato a procurarseli, adeguati ad un'esistenza libera e dignitosa, e non al mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Il caso

Tizio ricorre innanzi al Tribunale di Milano per conseguire la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con Caia, da cui è separato consensualmente. Nell'accordo di separazione si prevede l'obbligo a carico di Tizio di provvedere in forma diretta al mantenimento dei figli della coppia, maggiorenni ma non ancora autosufficienti, e di versare a Caia l'assegno di mantenimento di € 2.500,00. Nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, Tizio chiede la riduzione dell'assegno divorzile, mentre la resistente Caia ne chiede l'aumento fino ad € 5.000,00 oltre alla corresponsione del TFR. Il Tribunale di Milano ritiene sussistenti i presupposti per l'attribuzione dell'assegno divorzile alla resistente Caia, confermando la somma già prevista nell'accordo di separazione consensuale.

La questione

L'assegno divorzile in favore del coniuge che non possegga redditi propri e che non sia in grado di procurarseli deve essere adeguato a garantirne un'esistenza libera e dignitosa o a condurre lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, che può essere ben più elevato?

Le soluzioni giuridiche

L'art. 5, comma 4, l. n. 898/1970 prevedeva nella formulazione originaria: «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l'obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell'altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi». La Cassazione, con Cass. civ., S.U., 26 aprile 1974, n. 1194, aveva chiarito che l'assegno divorzile non avesse natura indennitaria od alimentare, ma composita, dovendo il Giudice tener conto di tre criteri, e cioè:

  1. delle condizioni economiche dei coniugi;
  2. della ragione della decisione che aveva portato allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio;
  3. del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi.

In relazione al primo di tali criteri l'assegno possiede carattere assistenziale in senso lato. Con riguardo al secondo criterio, circa le ragioni della decisione, l'assegno ha carattere risarcitorio, dovendo considerarsi sia la valutazione delle cause che hanno condotto allo scioglimento del matrimonio, sia l'interesse che ha il coniuge a tale scioglimento. Sotto il terzo profilo, l'assegno svolge una funzione compensativa, perché si dà rilevanza all'impegno personale ed agli apporti di carattere economico prestati in vista del benessere della famiglia. La disposizione fu oggetto di critiche poiché si fondava su enunciazioni puramente descrittive, che non consentivano di stabilire punti fermi nell'applicazione della norma, favorendo in tal modo l'emanazione di decisioni discrezionali difficilmente controllabili da parte dei Tribunali. Tali istanze furono recepite dal legislatore, che con la l. n. 74/1987 ha modificato l'art. 5, l.div., al fine di limitare la discrezionalità dei Tribunali nella determinazione dell'assegno divorzile, ha modificato il testo del comma 6 nel modo che segue: «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive». La formulazione è però infelice perché non chiarisce in cosa deve consistere l'adeguatezza dei mezzi quale presupposto per l'attribuzione dell'assegno divorzile, ossia se deve ancorarsi al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio oppure al mero sostentamento economico. Tale contrasto fu risolto dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione Cass. civ., S.U., n. 11490/1990 e Cass. civ., S.U., n. 11492/1990, ove, pur tenendo presente che la novella si era ispirata ad una concezione puramente assistenziale dell'assegno divorzile, si era affermato che il presupposto dell'assegno divorzile risiedesse nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio (interpretazione poi confermata ex multis nelle sentenze Cass. civ., 26 settembre 1997, n. 9455; Cass. civ., 8 febbraio 2000, n. 1379; Cass. civ., 4 febbraio 2011,n. 2747). L'ancoraggio dell'assegno divorzile al medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio è stato successivamente messo in discussione dalla Corte Costituzionale nella pronuncia Corte cost., 11 febbraio 2015, n. 11 ove si evidenzia che una simile interpretazione dell'art. 5 l. div. si porrebbe in contrasto «con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto l'assegno di divorzio, pur avendo una finalità meramente assistenziale, finirebbe con l'attribuire l'obbligo di garantire per tutta la vita un tenore di vita agiato in favore del coniuge ritenuto economicamente più debole; con l'art. 2 Cost., sotto il profilo del dovere di solidarietà, in quanto la tutela del coniuge debole non comporterebbe l'obbligo di consentire, ben oltre il contesto matrimoniale, il mantenimento delle medesime condizioni economiche godute durante lo stesso matrimonio; con l'art. 29 Cost., in quanto risulterebbe anacronistico ricondurre l'assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, senza considerare l'attuale portata del divorzio, della famiglia e del ruolo dei coniugi»; da tale premessa la Corte Costituzionale perviene alla conclusione che l'esistenza, presupposta dal Giudice rimettente, di un “diritto vivente” secondo cui l'assegno divorzile ex art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 «deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio» non trova, infatti, riscontro nella giurisprudenza del Giudice di legittimità (che costituisce il «principale formante» del diritto vivente stesso), secondo la quale il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l'unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull'assegno divorzile. I tempi per la rimeditazione di ratio e funzione dell'assegno divorzile e del concetto di “adeguatezza dei mezzi” che ne costituisce il presupposto erano oramai maturi; e difatti la Corte di Cassazione, con Cass. civ. n.11504/2017, nota come sentenza Grilli, tradendo il principio di diritto risalente alle sentenze delle S.U. del 1990, rinviene il presupposto per l'attribuzione del diritto all'assegno divorzile allo stato di bisogno di uno dei coniugi; quindi l'inadeguatezza di mezzi propri e l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive si rapportano al parametro dell'autosufficienza economica; alla capacità cioè di garantire al coniuge un'esistenza libera e dignitosa. La Cassazione rinviene nella lettera dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 un duplice fondamento costituzionale: nella prima parte relativa all'accertamento dell'an debeautur si ispira al principio della “responsabilità economica” che grava sull'ex coniuge in quanto persona in sé; nella seconda parte, relativa al quantum, si ispira al dovere inderogabile di «solidarietà economica» (art. 2, l. div., in relazione all'art. 23 Cost.), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali persone singole, a tutela della persona economicamente più debole (cosiddetta "solidarietà post-coniugale") e non già in ragione del rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, bensì in considerazione del fatto che esso ha rappresentato un periodo più o meno lungo della vita in comune; diversamente l'assegno si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della mera preesistenza di un rapporto matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata tendenzialmente sine die. L'interesse tutelato con l'attribuzione dell'assegno divorzile non consiste nel riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma nel garantire l'indipendenza economica ad un coniuge che non sia in possesso di redditi propri adeguati e sia nell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, come l'età avanzata, la salute precaria, la mancanza di titoli di studio, le contingenze negative nel mercato del lavoro, ecc.. Il giudizio in merito all'attribuzione dell'assegno divorzile deve pertanto, conclude la Cassazione, possedere struttura bifasica: la prima fase del giudizio, sull'an debautur in cui il Giudice deve valutare se il coniuge richiedente non possegga redditi adeguati a garantirne l'indipendenza economica; solo in caso di esito positivo il giudice può passare alla seconda fase del giudizio, sul quantum debeatur, ove deve far ricorso ai criteri indicati nella prima parte dell'art. 5, comma 6, l. div., ai fini della quantificazione di un assegno adeguato ad assicurarne un'esistenza libera e dignitosa. Il Tribunale di Milano ha applicato, nella sentenza in commento, il principio di diritto espresso nella sentenza Grilli confermando il diritto della resistente all'attribuzione in suo favore di un assegno divorzile nella misura già stabilita nell'accordo di separazione omologato, valorizzando la circostanza che la resistente fosse ultracinquantenne, da più di un ventennio inoccupata, avendo rinunciato ad un posto direttivo in un'azienda per dedicarsi alla cura dei figli in accordo con l'ex marito, e dovendo sostenere gli oneri del canone di locazione di un immobile ad uso abitativo.

Osservazioni

Il principio di diritto enunciato nella sentenza Grilli, secondo cui l'assegno divorzile deve mirare ad assicurare al coniuge privo di mezzi adeguati un'esistenza libera e dignitosa, non è innovativo; la Cassazione lo aveva già enunciato nella sentenza Cass. civ., 2 marzo 1990, n. 1652 che si poneva in contrasto con altre pronunce che esprimevano l'orientamento diametralmente opposto; per questi motivi la questione fu posta al vaglio delle Sezioni Unite, che nella citata sentenza Cass. civ., S.U., n. 11490/1990, come visto, hanno sposato l'interpretazione classica e primigenia dell'art. 5, comma 6, l. div., in base alla quale l'assegno divorzile deve assicurare al coniuge beneficiario il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. La successiva giurisprudenza di legittimità e di merito si è adeguata all'orientamento delle S.U. per oltre un ventennio fino all'emanazione della citata Cass. civ., n. 11504/2017 che ha, come detto, rispolverato un'interpretazione già pronunciata negli anni novanta ma in un contesto sociale profondamente mutato. La sentenza Grilli ha aperto una breccia nella giurisprudenza di legittimità (in senso conforme si è espressa successivamente la Cassazione con Cass. civ., n. 11538/2017 e Cass. civ. n. 15481/2017) e di merito, ove i principi ermeneutici in essa affermati stanno trovando applicazione convinta e capillare, nonostante si sia in attesa di un pronunciamento delle S.U. sulla questione, già calendarizzato per il mese di aprile. La sentenza del Tribunale di Milano in commento si colloca proprio nel nuovo orientamento giurisprudenziale che ha accolto e applicato in via immediata i principi della sentenza Grilli; infatti, il Collegio milanese si è attenuto alla duplice fase di giudizio; la prima e preliminare fase sull'an del diritto all'assegno divorzile; e solo all'esito positivo, la seconda fase, successiva e conseguenziale, sul quantum. Nel caso di specie, dall'istruttoria è emerso che la resistente aveva lasciato l'occupazione lavorativa con la nascita della seconda figlia per dedicarsi completamente alla famiglia, in attuazione di un indirizzo concordato con il coniuge; che quindi non possedeva altro reddito se non l'assegno di mantenimento versatole dal marito; che non possedeva altresì immobili di proprietà, essendo la casa coniugale stata acquistata interamente dal marito previo versamento del prezzo relativo alla sua quota di comproprietà; che aveva impiegato il denaro ottenuto da tale alienazione per il proprio sostentamento; che era gravata da un canone mensile di € 1.200,00 per la locazione di un immobile ad uso abitativo. Per tali motivi, il Tribunale ha accertato che la resistente non fosse economicamente indipendente e le ha quindi attribuito il diritto all'assegno divorzile, confermando l'entità dell'assegno di mantenimento stabilito in separazione, aderendo al consolidato orientamento secondo cui l'assegno di mantenimento costituisce il “tetto massimo” rispetto l'assegno divorzile, in ragione della diversità finalità dei due istituti (principio evocato in Corte cost., 11 febbraio 2015, n. 11).

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