Codice Penale art. 493 ter - 1 Indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti 2[I]. Chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, o comunque ogni altro strumento di pagamento diverso dai contanti3 è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 euro a 1.550 euro. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera gli strumenti o i documenti di cui al primo periodo4, ovvero possiede, cede o acquisisce tali strumenti 5o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi. [II]. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per il delitto di cui al primo comma è ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché del profitto o del prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca di beni, somme di denaro e altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto. [III]. Gli strumenti sequestrati ai fini della confisca di cui al secondo comma, nel corso delle operazioni di polizia giudiziaria, sono affidati dall'autorità giudiziaria agli organi di polizia che ne facciano richiesta. Competenza: Trib. monocratico Arresto: facoltativo Fermo: non consentito Custodia cautelare in carcere: consentita Altre misure cautelari personali: consentite Procedibilità: d'ufficio [1] Articolo inserito dall'art. 4, comma 1, lett. a) d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21. [2] Rubrica così sostituita dall'art. 2, comma 1, lett. a), n. 1, d.lgs. 8 novembre 2021, n. 184. Il testo della rubrica era il seguente: «Indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento». [3] Le parole «o comunque ogni altro strumento di pagamento diverso dai contanti» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. a), n. 2, d.lgs. 8 novembre 2021, n. 184. [4] Le parole «gli strumenti o i documenti di cui al primo periodo» sono state sostituite alle parole «carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi» dall'art. 2, comma 1, lett. a), n. 3, d.lgs. 8 novembre 2021, n. 184. [5] Le parole «tali strumenti» sono state sostituite alle parole «tali carte» dall'art. 2, comma 1, lett. a), n. 3, d.lgs. 8 novembre 2021, n. 184. InquadramentoIl delitti di cui all'art. 493-ter consistono: 1) nell'indebita utilizzazione, da parte di chi non ne è titolare, di carte di credito o pagamento o di qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di contante, all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, o comunque di ogni altro strumento di pagamento diverso dai contanti; 2) nella falsificazione o nell'alterazione dei medesimi documenti o strumenti; 3) nel possesso, nella cessione o nell'acquisizione degli strumenti e dei documenti descritti, ove di provenienza illecita, o di ordini di pagamento prodotti con essi La previsione di una tutela penale delle carte di credito o pagamento e dei documenti equiparati ha costituito una delle misure approntate per prevenire il riciclaggio, perché incentiva il ricorso a strumenti alternativi al contante che consentono anche l'identificazione dell'autore delle transazioni (Corte. cost. n. 302/2000). Da un lato, infatti, la notevole diffusione dei sistemi informatici e di intermediazione finanziaria e dall'altro l'esigenza di assicurare, erga omnes, la tutela della buona fede e la certezza dei rapporti economici con essi soddisfatti hanno indotto il legislatore a sanzionare fattispecie che non erano punite o non lo erano adeguatamente rispetto al disvalore del fatto. La norma incriminatrice originariamente è stata introdotta con l'art. 12 d.l. 3 maggio 1991, n. 143 conv. con modificazioni in l. 5 luglio 1991, n. 197 (“Provvedimenti urgenti per limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e per prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio") per integrare le disposizioni relative alla ricettazione, al falso e all'emissione di assegni senza autorizzazione del trattario e senza provvista. Successivamente è stata riprodotta dall'art. 55, comma 9 d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonchè della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione” (Cass. II, n. 11699/2012) e, a seguito del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90 è trasmigrata con immutata formulazione nel nuovo art. 55, comma 5, d.lgs. n. 231/2007. La giurisprudenza in diverse pronunce ha evidenziato la continuità normativa tra la fattispecie di cui all'art. 12 d.l. n. 143/1991 e quella di cui all'art. 55 d.lgs. n. 231/2007 (Cass. II, n. 24527/2009). In seguito il d.lgs. del 1 marzo 2018, n. 21 contenente le “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'art. 1, comma 85, lett. q), l. 23 giugno 2017, n. 103” ha sancito da un lato l'abrogazione del comma 5 del summenzionato art. 55, dall'altro, all'art. 4 l'introduzione dell'art. 493-ter all'interno del codice penale. Il legislatore delegato, infatti, ha ritenuta la norma eliminata del tutto estranea al testo normativo dedicato alla prevenzione del riciclaggio e, pertanto, da inserire nel codice penale (cfr. la Relazione governativa allo Schema di d.lgs. n. 21/2018). In merito la dottrina (Corradino, 2001) aveva già osservato che le disposizioni contenute nell'art. 12 d.l. n. 143/1991 presentavano una collocazione sistematica apparentemente impropria che ha generalmente condotto gli interpreti a ritenerle il frutto di una tecnica legislativa frettolosa e poco precisa e, così, a classificarla una c.d. norma "intrusa". I commi 2 e 3 dell'art. 493-ter riprendono le disposizioni in materia di confisca di cui al previgente sesto comma, secondo periodo, dell'art. 55, d.lgs. n. 231/2007, anch'esso abrogato dall'art. 7, d.lgs. n. 21/2018. Infine, ai sensi dell'art. 8 d.lgs. n. 21/2018 ogni richiamo all'art. 55, comma 5 e 6 d.lgs. n. 231/2007, ovunque presente, deve intendersi riferito all'art. 493-ter . Da ultimo l’art. 2 del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 184 ha apportato delle modifiche alla fattispecie in attuazione della direttiva UE n. 2019/713 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti, che ha sostituito la decisione quadro n. 2001/413/GAI del Consiglio del 28 maggio 2001. L’intervento dell’Unione europea in materia è dovuto al carattere transfrontaliero di tali reati, conseguenza della loro modalità “digitale” di realizzazione. Le frodi e le falsificazioni dei mezzi di pagamento diversi dai contanti rappresentano una delle forme attraverso le quali la criminalità organizzata finanzia le proprie attività criminose nonché una seria limitazione allo sviluppo del mercato unico digitale e delle tecnologie di pagamento, in quanto ledono la fiducia dei consumatori nella sicurezza degli scambi economici, tra cui gli acquisiti effettuati on line. La ratio dell’intervento normativo si rintraccia nell’esigenza di potenziare il contrasto alle summenzionate frodi e falsificazioni, operato attraverso l’ampliamento dell’ambito di applicazione dei delitti di cui all'art. 493-ter a tutti gli strumenti di pagamento diversi dai contanti, compresi quelli immateriali, che rientrano nella definizione fornita dall’art. 1 del d.lgs. n. 184/2021. L’art. 3 del predetto d.lgs., poi, ha incluso i delitti di cui all’art. 493-ter nel catalogo dei reati dalla cui commissione può scaturire l’applicazione di sanzioni pecuniarie ed interdittive in capo agli enti in forza dell’art. 25-octies.1 commi 1 e 3 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (in particolare, l’art. 25-octies.1 comma 1 lett. a) prevede proprio per il delitto di cui all’art. 493-ter la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote). Poiché la formulazione della norma è rimasta sostanzialmente immutata nonostante i diversi interventi normativi è possibile far riferimento agli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali maturati nella vigenza dell'art. 12 d.l. n.143/1991 e dell'art. 55 d.lgs. n. 231/2007. La Cassazione ha precisato che l’abrogazione dell'art. 55, comma 9, d.lgs. n. 231/2007 e la contestuale introduzione dell'art. 493 ter integra un’ipotesi di continuità normativa che non comporta alcuna “abolitio criminis” (Cass. IV, n. 13492/2020). Bene giuridicoSecondo la dottrina i delitti di cui all'art. 493-ter si caratterizzano per la plurioffensività (Cass. V, n. 18680/2021) perché, analogamente ai reati di cui agli art. 648-bis e 648-ter c.p., ledono non solo il patrimonio individuale, ma anche interessi afferenti la categoria dell'ordine pubblico o economico e della fede pubblica. Conformemente la giurisprudenza ha individuato il bene giuridico tutelato nell'interesse pubblico a che il sistema elettronico di pagamento venga usato in maniera corretta a garanzia della fede pubblica e a prevenzione del riciclaggio (per la definizione di fede pubblica v. art. 453) (Cass. I, n. 11937/2006; Cass. VI, n. 29821/2012). Nello stesso senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale secondo la quale le fattispecie contemplate all'art. 493-ter proteggono la sicurezza e la speditezza del traffico giuridico e, di riflesso, la "fiducia" che in tali documenti ripone il sistema economico e finanziario (Corte cost. n. 302/2000). La ratio della norma s'individua, infatti, nell'esigenza di presidiare il regolare e sicuro svolgimento dell'attività finanziaria attraverso mezzi sostitutivi del contante, ormai largamente penetrati nel tessuto economico. Di conseguenza le condotte da essa represse assumano una dimensione lesiva che comunque trascende il mero patrimonio individuale, per estendersi, in modo più o meno diretto, a valori riconducibili agli ambiti categoriali dell'ordine pubblico o economico, e della fede pubblica. La plurioffensività dei reati de quo, inoltre, comporta l'inapplicabilità dell'esimente di cui all'art. 649 nell'ipotesi in cui la condotta delittuosa sia stata posta in essere da un familiare del titolare della carta o del documento: la previsione di cui all'art. 649, infatti, concerne esclusivamente i delitti contro il patrimonio ed ha una natura eccezionale che ne preclude l'applicazione in via analogica (Cass. II, n. 47135/2019). Soggetti
Soggetto attivo L’art. 493-ter contempla tre reati comuni: possono essere, infatti, commessi da “chiunque”, ad esclusione del titolare della carta, cioè del soggetto autorizzato al suo uso dall’emittente. Soggetto passivo Può considerato soggetto passivo anche il privato perchè la struttura del reato prevede accanto all'offesa al patrimonio individuale una concorrente aggressione ad interessi di natura pubblicistica, quali l'ordine pubblico o economico e la fede pubblica (Corte cost. n. 302/2000). Elemento oggettivo
Oggetto materiale Oggetto materiale deei reati di cui all'art. 493-ter sono le carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi od ordini di pagamento prodotti con documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati o comunque ogni altro strumento di pagamento diverso dai contanti. Sono carte di credito o di pagamento le tessere munite di una banda magnetica e/o di microcircuiti sui quali sono impressi i dati di identificazione del titolare, i limiti e le modalità di utilizzo, nonché gli estremi del rapporto con l'azienda o l'ente che ha rilasciato il documento abilitante alla fruizione dei servizi (bancomat, carte di credito, carte pregate). Nella definizione di carte di pagamento rientrano i borsellini elettronici, in cui le somme, versate all'intermediario finanziario emittente anche a mezzo dei "bancomat" e memorizzate nel chip della carta, possono essere trasferite dalla carta del consumatore a quella dell'esercente senza necessità di collegamento on-line con l'emittente (non fa rientrare tra le carte di pagamento le carte di credito telefoniche, le carte commerciali e la tessera «viacard» Corradino, 2001, in quanto tali documenti costituiscono solo il mezzo di attuazione di un rapporto contrattuale che non ha in alcun modo relazione con il sistema dei pagamenti). L'espressione “altri documenti con analoga funzione” è stata riportata per ricomprendere nella disposizione normativa ogni ulteriore supporto che presenta la medesima utilità economica. La giurisprudenza, pertanto, ha individuato i documenti analoghi negli strumenti di pagamento quali, ad es., la tessera a banda magnetica a scalare per il pagamento del pedaggio autostradale “viacard” (Cass. II, n. 36295/2005), la tessera carburanti (Cass. S.U., n. 22902/2001), la smart card per il noleggio di film in dvd, (Cass. II, n. 34528/2014), le tessere telefoniche prepagate, poichè abilitano il titolare-possessore all'accesso di servizi della rete telefonica (Cass. V, n. 41182/2001) e i vaglia postali veloci, in quanto sono caratterizzati dall'"imprimatur" di un codice alfanumerico che attribuisce solo a chi conosce la sequenza dei numeri la possibilità di prelevare il denaro, sia pure per il tramite dell'operatore allo sportello (Cass. sez. fer., n. 45946/2011). Ha escluso da tale categoria, in quanto non assimilabili agli strumenti di pagamento, ma ai titoli di credito, gli assegni bancari e circolari (di diverso avviso Cass. II, n. 26061/2010), gli eurocheques (Cass. II, n. 12750/2008; Cass. II, n. 8332/2009) e i traveller's cheques (Cass. I, n. 5279/1999). Poiché ai fini della configurabilità delle fattispecie di cui all'art. 493-ter la carta o il documento devono essere idonei ad assolvere alla funzione di strumento finanziario, i delitti non si realizzano, pertanto, quando viene utilizzata una carta di credito scaduta in quanto incapace di esplicare la funzione di credito, di pagamento o di prelievo contante (Cass. II, n. 37758/2005). Al fine di ampliare l’ambito di applicazione dei delitti di cui all'art. 493-ter, l’art. 2 del d.lgs. 184/2021 ha incluso tra gli oggetti materiali anche tutti gli strumenti di pagamento diversi dai contanti, individuati con la definizione fornita dall’art. 1, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 184/2021, ovvero ogni “dispositivo, oggetto o record protetto immateriale o materiale, o una loro combinazione, diverso dalla moneta a corso legale, che, da solo o unitamente a una procedura o a una serie di procedure, permette al titolare o all’utente di trasferire denaro o valore monetario, anche attraverso mezzi di scambio digitali”. Sempre l’art. 1 chiarisce alla lett. b) che per “dispositivo, oggetto o record protetto” s’intende un dispositivo, oggetto o record protetto contro le imitazioni o l’utilizzazione fraudolenta, per esempio mediante disegno, codice o firma e alla lett. c) che “mezzo di scambio digitale” è sia qualsiasi moneta elettronica così come definita all’art. 1, comma 2, lett. h-ter, del d.lgs. n. 385/1993, n. 385, sia la valuta virtuale (ovvero, ai sensi della lett. c) “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è legata necessariamente a una valuta legalmente istituita e non possiede lo status giuridico di valuta o denaro, ma è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio, e che può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”). Condotta L'art. 493 ter può essere qualificato una “disposizione a più norme” perché scandisce tre autonome incriminazioni di forme diverse di abuso di carte di pagamento (Corradino, 2001; Cass. II, n. 30/1998). Inoltre, il secondo periodo del comma 1 dell'art. 493-ter costituisce una norma a più fattispecie in quanto sono descritte più condotte tra loro alternative e non cumulative, collegate non da una congiunzione «e», ma da una disgiunzione «o» (falsificare o alterare da un lato e possedere, cedere e acquistare dall'altro). Di conseguenza è sufficiente che l'agente compia una sola delle diverse modalità della condotta descritta affinché si integrino gli estremi del reato. Se, invece, ne compie più di una realizza un solo reato, in virtù dell'assorbimento del disvalore complessivo del fatto nella realizzazione anche di una sola condotta (ad. es., se un soggetto contestualmente falsifica una carta di credito e la cede è punito per un solo reato e non risponde di reato continuato). Le condotte descritte nella norma sono le seguenti: a) utilizzare indebitamente, cioè senza esserne titolare, carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi o comunque ogni altro strumento di pagamento diverso dai contanti al fine di trarne profitto per sè o per altri : consiste nel disporre o nel servirsi delle predette carte o documenti o strumenti di pagamento alternativi ai contanti conformemente alla loro normale destinazione per ricavarne un vantaggio. Il loro materiale possesso non costituisce un presupposto necessario per l'integrazione del reato: è sufficiente, infatti, che l'agente, attraverso l'immissione dei dati ricognitivi e operativi di una valida carta di credito altrui di cui non ha la materiale disponibilità, effettui delle transazioni non autorizzate dal titolare (Cass. II, n. 47725/2014). L'utilizzo della carta è indebito quando manca il consenso del titolare o sono violate le prescrizioni e le modalità d'impiego stabilite dall'emittente o dall'ente erogatore. Il titolare, infatti, ha titolo valido per l'utilizzazione del documento solo se perdura il rapporto contrattuale che ha dato luogo alla concessione della carta e ne ha autorizzato l'uso. Secondo la dottrina l'avverbio indebitamente costituisce un elemento normativo del fatto (c.d. «illiceità speciale»). L'uso indebito non deve essere confuso con quello illegale e, quindi, contra legem: il primo, infatti, va ricondotto al concetto più ristretto di illecito civile per violazione delle regole convenzionali intervenute tra le parti, in quanto il significato etimologico e tecnico è quello di prestazione ingiusta e non dovuta. Uso indebito è, quindi, quello che, contra pactum atque condicionem, viola la disciplina convenzionale del rapporto tra ente di intermediazione finanziaria e utente (Cass. V, n. 1456/1997). Al fine di individuare la sfera applicativa della norma la Cassazione ha chiarito che la titolarità della carta deve essere sostanziale, legale e attuale e non formale, ovvero derivante dall'intestazione o dal mero possesso di essa. Di conseguenza il soggetto, apparente titolare della carta di credito, commette il delitto se utilizza una carta il cui contratto è estinto o è stato sospeso per qualsiasi causa. Non essendo, infatti, più titolare del rapporto contrattuale con l'emittente, non ha più il diritto a servirsene. In tale ipotesi è necessario, però, sotto il profilo soggettivo, che l'agente sia consapevole del recesso e, quindi, che vi sia stata la comunicazione all'utente della revoca dell'autorizzazione ad usare la carta di credito (Cass. V, n. 1456/1997). Tale impostazione ritiene l'utilizzo indebito della carta da parte del non titolare e l'utilizzazione del medesimo documento da parte dell'intestatario dopo l'estinzione del rapporto sottostante situazioni giuridiche equivalenti, distinguibili solo sotto il profilo temporale: nel primo caso il vizio di legittimazione è originario, mentre nel secondo è sopravvenuto e deriva dall'atto di risoluzione del rapporto contrattuale tra emittente e intestatario della carta, che ha "effetti ablativi" della legittimazione soggettiva. Un orientamento minoritario e risalente, invece, facendo leva sul riferimento testuale dell'art. 12 del d.l. n. 143/1991 alla mancanza di "titolarità" del rapporto, quale elemento costitutivo del reato, ha ritenuto non penalmente rilevanti le condotte di indebito utilizzo di una carta non più valida poste in essere dall'intestatario della medesima (Cass. V, 14 luglio 1994). Per perimetrare l'ambito di applicazione della norma la giurisprudenza ha distinto l'ipotesi in cui la carta di credito è nominativa da quella in cui è al portatore. Nel primo caso l'indebito utilizzo sussiste tutte le volte che la carta sia usata da chi non ne sia titolare (salvo il consenso dell'avente diritto); mentre, nel secondo (ad es. della carta ricaricabile Viacard) il reato si realizza quando il soggetto ha fatto uso della carta con la consapevolezza di non esserne titolare. La titolarità delle carte al portatore, infatti, si acquista con il possesso in buona fede, ai sensi dell'art. 1153 c.c. (Cass. II, n. 26613/2012). Pertanto il reato si realizza se si dimostra il possesso in mala fede dell'utilizzatore La Cassazione, inoltre, ha affrontato anche la tematica della configurabilità o meno del reato di utilizzo indebito di una carta di credito allorquando l'utilizzatore, pur non essendone titolare, si serva del documento su autorizzazione o, comunque, senza l'opposizione dell'avente diritto all'uso. Al riguardo ha precisato che il terzo commette il delitto de quo anche nell'ipotesi in cui utilizzi la carta o il documento analogo con la previa autorizzazione del titolare perchè la sua legittimazione all'impiego è contrattualmente conferita dall'istituto emittente al solo intestatario. Il consenso di quest'ultimo, infatti, all'eventuale utilizzazione da parte di un terzo è del tutto irrilevante, poichè all'atto dell'uso è necessario firmare una dichiarazione di riconoscimento del debito e, di conseguenza, sarebbe illecita un'autorizzazione a sottoscriverla con la falsa firma del titolare. L'unica ipotesi in cui non si ravvisa l'abusività nel caso di utilizzazione di carta di credito da parte del non titolare è quello di c.d. uso indiretto del documento da parte del soggetto legittimato, ovvero quando quest'ultimo si serve di un terzo come "longa manus" o mero strumento esecutivo di un'operazione non comportante la sottoscrizione di alcun atto (ad es. l'ipotesi di pagamento del pedaggio autostradale mediante carta di credito, per cui è sufficiente inserire il documento nell'apposito congegno automatico) o, in caso di necessità della sottoscrizione, vi provveda personalmente, con ciò restando identificato come unico ed effettivo fruitore del documento (Cass. I, n. 11023/2004). Recentemente la Cassazione ha precisato che l'utilizzo dello strumento di pagamento o di prelievo non è scriminato dal consenso dell'avente diritto anche nell'ipotesi in cui sia stato in qualche misura delegato dal titolare della carta. Ciò in quanto la scriminante di cui all'art. 50 richiede che il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice rientri nella categoria dei diritti disponibili, rispetto ai quali il titolare sia in grado di rinunziarvi, mentre quello garantito dall'art. 493 ter è ricompreso tra i beni di interesse collettivo ed è, pertanto, indisponibile (Cass. V, n. 18680/2021). Realizza, infine, la fattispecie l'uso di una carta smarrita, acquisita in violazione dell'art. 927 c.c., ai sensi del quale sussiste l'obbligo di restituzione al proprietario o di consegna al comune. Ai fini della consumazione del delitto occorre, inoltre, che l'agente usi la carta o il documento indebitamente «per trarne profitto per sé o per altri» e non è necessario che quest'ultimo si sia effettivamente concretizzato (Cass. II, n. 45901/2012). b) falsificare o alterare carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi o comunque ogni altro strumento di pagamento diverso dai contanti, al fine di trarne profitto per sè o per altri: la falsificazione consiste nella materiale creazione, da parte di un soggetto non legalmente autorizzato, di una nuova carta di credito “artefatta” (o di un documento o di uno strumento di pagamento alternativo ai contanti fasullo) solo apparentemente riconducibile all'istituto emittente, ma in realtà priva di qualsiasi collegamento negoziale con quest'ultimo e tale da far apparire al lettore magnetico che essa proviene dall'emittente ed è utilizzata dal soggetto legittimato. L'alterazione, invece, presuppone l'esistenza di una carta regolarmente creata dall'emittente e si concretizza nella sua manipolazione artificiosa attraverso la modificazione di alcuni dati rilevanti quali l'intestazione, la data di scadenza, il nome del titolare, la banda magnetica o dei dati in essa inseriti che permettono l'accesso ai servizi o, infine, dei codici per consentirne un uso diverso per qualità e quantità rispetto a quello previsto dall'ente emittente (limiti di spesa o di prelievo). Anche in questa ipotesi non occorre che il profitto si sia effettivamente concretizzato. c) possedere, cedere o acquistare tali strumenti di pagamento diverso dai contanti o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonchè ordini di pagamento prodotti con essi, al fine di trarne profitto per sè o per altri: tali condotte, pur essendo naturalisticamente contigui a fattispecie di carattere ricettatorio, sono state parificate dal legislatore, per esigenze di politica criminale, alla contraffazione e all'alterazione, perché determinano una simile situazione di pericolo per la fede pubblica tutelata. Per possesso si intende la concreta disponibilità, anche temporanea e a qualsiasi titolo, della carta o del documento analogo o dello strumento di pagamento diverso dai contanti costituisce il presupposto delle condotte di cessione e acquisizione. Il concetto di possesso deve essere inteso in senso penalistico, ovvero come autonoma disponibilità della res accompagnata dall'animus rem sibi habendi, cioè dall'animo di tenere la cosa presso di se. Il reato di possesso di strumento di pagamento diverso dai contanti di provenienza illecita ha natura permanente, con la conseguenza che lo stato di flagranza, ai sensi dell'art. 382, comma 2, c.p.p., perdura fintanto che non sia cessata la permanenza (Cass. II, n. 53676/2017; Cass. II n. 4463/2016). L'acquisizione si sostanzia nel conseguimento del possesso della carta o del documento o dello strumento di pagamento diverso dai contanti e indica il rendersi destinatario, come acquirente, del suo trasferimento (e fuori dall'ipotesi di mero rinvenimento casuale), mentre la cessione nella sua alienazione. Le condotte di cessione o acquisizione, pertanto, ricomprendono tutte le possibili modalità di trasferimento a terzi delle carte, dei documenti e degli strumenti di pagamento diversi dai contanti, ivi comprese quelle a titolo gratuito o a titolo oneroso, perché l'area di operatività della norma non è limitata a quelle in cui il trasferimento avvenga contro prezzo e si inquadri, pertanto, in un negozio, pur illecito, di compravendita (Corradino, 2001). La provenienza illecita, infine, postula che il possesso della carta di credito o del documento analogo o dello strumento di pagamento diverso dai contanti debba derivare da un illecito civile, amministrativo o anche penale, ma di natura contravvenzionale perché nell'ipotesi in cui sia ricollegabile ad un delitto si configura il reato di cui all'art. 648 c.p. (Cass. II, n. 7658/2015). Anche in riferimento a queste fattispecie ai fin della loro consumazione non è necessaria la realizzazione del profitto. Evento Tutti i delitti di cui all'art. 493-ter si caratterizzano per un evento giuridico di pericolo. Si tratta, infatti di reati pericolo presunto, per la cui integrazione è sufficiente il possesso dello strumento creditizio, già di per sè sufficiente a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, che è la facoltà del titolare della carta di poterne disporre in modo esclusivo (Cass. III, n. 46901/2012). Elemento psicologico
Il dolo I delitti previsti dall'art. 493-ter sono puniti a titolo di dolo specifico, consistente nella coscienza e volontà di utilizzare la carta di pagamento o il documento o lo strumento di pagamento diverso dai contanti (nel primo reato) e di falsificare o alterare (nel secondo) o possedere, cedere o acquistare tali strumenti di pagamento o documenti (nel terzo) al fine di trarne profitto per se o per altri. La Cassazione ha chiarito che poiché la fattispecie di uso indebito punisce solamente le condotte di colui che non ha il diritto di servirsi della carta di credito o del documento o dello strumento di pagamento diverso dai contanti, essa sotto il profilo dell'elemento soggettivo richiede, in capo all'agente, la consapevolezza della mancanza del diritto. Di conseguenza, è possibile riconoscere la sussistenza della relativa esimente putativa nell'ipotesi in cui ricorre, quanto meno sotto il profilo del ragionevole dubbio, l'evenienza che l'agente versi nella legittima convinzione della legittimità dell'utilizzo (per effetto del consenso espresso da chi pacificamente disponeva della tessera bancomat e dei relativi codici) (Cass. II, n. 20678/2017). Nel caso del soggetto apparente titolare della carta di credito, perché il contratto che prevede l'utilizzo della carta si è estinto o è stato sospeso per qualsiasi causa, e, pertanto, non ha più il diritto a servirsene la giurisprudenza ha evidenziato che, sotto il profilo soggettivo, il reato postula la consapevolezza del recesso. Di conseguenza la revoca dell'autorizzazione ad usare la carta di credito deve essere stata comunicata all'utente. Tale conoscenza, peraltro, può essere desunta nel processo sia da eventuali formali comunicazioni sia da altro elemento utile e sintomatico (Cass. V, n. 1456/1997). Consumazione e tentativo
Consumazione L'indebita utilizzazione di una carta di credito o di un documento analogo o di uno strumento di pagamento diverso dai contanti si consuma al momento della realizzazione della condotta di uso e nel luogo in cui esso è avvenuto e, in caso di uso plurimo, nel luogo in cui la carta è stata usata per la prima volta, in applicazione della disposizione di cui all'art. 16 comma 1 c.p.p. (Cass. I, n. 46070/2004). La fattispecie, inoltre, si realizza indipendentemente dal conseguimento di un profitto per il soggetto agente o dal verificarsi di un danno per il legittimo titolare dello strumento di pagamento, perché la norma non richiede che la transazione giunga a buon fine (Cass. III, n. 7019/2014). Pertanto il reato si configura nell'ipotesi in cui gli acquisti non sono portati a compimento, perché la carta è stata bloccata preventivamente o perché il suo utilizzo si conclude con la dicitura "carta non abilitata". La falsificazione e l'alterazione si consumano nel momento e nel luogo in cui è prodotta in via definitiva la manomissione dello strumento di pagamento del documento. Il possesso di carte di credito o di pagamento falsificate o alterate, invece, si consuma con il semplice possesso della carta, a prescindere dalla sua utilizzazione. Proprio tale considerazione ha indotto la giurisprudenza a precisare che nel caso in cui il titolare blocchi la carta di credito clonata disattivandola non può configurarsi l'istituto del reato impossibile. La Cassazione al riguardo ha, inoltre, evidenziato che l'inidoneità dell'azione essere valutata in relazione alla condotta originaria dell'agente, la quale, per inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato e indipendentemente da cause estranee ed estrinseche, deve essere priva in modo assoluto di determinazione causale nella produzione dell'evento (Cass. II, n. 37016/2011). L'acquisto e la cessazione si consumano nel momento del conseguimento del possesso dello strumento di pagamento o della sua alienazione. Tentativo Nel caso di uso indebito la giurisprudenza ha ritenuto sussistente il tentativo quando il soggetto introduce una carta "bancomat" di provenienza illecita in uno sportello automatico e, non disponendo del numero di codice di accesso, esegue una serie di combinazioni numeriche allo scopo di conseguire il prelievo di denaro, senza riuscirvi (Cass. V, n. 4295/1996). In tale ipotesi, infatti, il bene tutelato dalla norma viene in concreto esposto a pericolo perché il mezzo usato e le condizioni in cui l'azione si svolge sono suscettivi di poter raggiungere il risultato prefisso dall’agente. La disposizione, infatti, è diretta a garantire che l'utilizzazione della carta di pagamento avvenga, direttamente o indirettamente, solo da parte del suo titolare. Si ritiene, altresì, ammissibile il tentativo quando il soggetto attivo non riesce ad introdursi nelle procedure di pagamento perché il lettore elettronico abbia rifiutato la transazione riconoscendo l'illegittimità del documento ovvero l'esercente non abbia accettato di effettuare l'operazione (Corradino, 2001). Falsificazione e contraffazione: il tentativo si configura quando non sono portate a conclusione ovvero quando lo strumento di pagamento è in corso di creazione ed è ancora privo di quegli elementi formali e sostanziali che lo rendono spendibile. In merito la giurisprudenza ha precisato che il delitto di detenzione abusiva di carte altrui o di carte contraffatte non si configura in presenza di supporti “vergini”, sui quali non siano state impresse le credenziali necessarie per l’uso a fini di pagamento o di prelievo ma la detenzione di tali supporti, in presenza di elementi attestanti la concreta disponibilità dei dati necessari a rendere le carte idonee a tale utilizzo, può integrare, in forma tentata, il diverso reato di falsificazione dei mezzi elettronici di pagamento o prelievo (Cass. V, n. 15665/2019). Possesso: in generale il tentativo non è configurabile in quanto la detenzione in sé non è frazionabile. Anche una disponibilità per breve tempo consente l'instaurazione del rapporto con le res ed integra la condotta di detenzione consumata. Acquisto: si realizza il tentativo quando il negozio costitutivo non si perfeziona. Cessione: si ha tentativo quando l'accipiens non riesce ad entrare in possesso della carta o del documento analogo o dello strumento di pagamento diverso dai contanti. Forme di manifestazione
Circostanze comuni La Cassazione ha chiarito che la circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 4 c.p. è inapplicabile alle fattispecie contemplate dall'art. 493-ter perché non rientrano tra i delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio e perché quest’ultime tutelano, oltre che la fede pubblica, l’interesse pubblico fondamentale a che il sistema elettronico di pagamento sia sempre utilizzato in modo corretto. Di conseguenza l’evento dannoso o pericoloso non può essere considerato di ridotto grado di offensività e disvalore sociale (Cass. II, n. 34466/2019). Unità o pluralità di reatiL'art. 493-ter disciplina ipotesi fra loro diverse e del tutto eterogenee sotto l'aspetto fenomenico, in quanto la prima consiste nell'indebita utilizzazione da parte del non titolare di carte di credito o di pagamento o altro documento analogo o dello strumento di pagamento diverso dai contanti, indipendentemente dalla circostanza che detti documenti siano di provenienza illecita, mentre la seconda si concreta nella falsificazione o nella alterazione oppure nel possesso, nella cessione o nell'acquisizione di tali documenti o strumenti di pagamento di provenienza illecita, cioè in un'azione che sotto il profilo logico e temporale è distinta dalla prima perché la precede e ne costituisce il presupposto fattuale. Di conseguenza nelle ipotesi di possesso e successiva utilizzazione di carte di credito di provenienza illecita si ha concorso di reati e non concorso apparente di norme incriminatici (Cass. S.U., n. 22902/2001; Cass. II, n. 41696/2011; Cass. III, n. 7019/2014). Rapporti con altri reati
Sostituzione di persona
Cfr. sub art. 494. Truffa Le sezioni unite hanno escluso il concorso di reati tra il delitto di truffa e quello di indebito utilizzo di carte di credito da parte del non titolare. Secondo la Cassazione, infatti, non si è in presenza di due fatti completamente distinti dalla materialità della condotta, dal momento che l'adozione di artifici o raggiri è uno dei possibili modi in cui si manifesta l'indebito utilizzo di una carta di credito (Cass. II, n. 48044/2015). Inoltre la tutela del patrimonio individuale, che costituisce l'obiettività giuridica della truffa, non è estranea alla "ratio" incriminatrice dell'art. 493-ter. Ne consegue che si tratta di un'ipotesi di concorso apparente di norme: tra di esse, infatti, sussiste un rapporto di genere a specie ai sensi dell'art. 15, per cui la condotta di "indebito utilizzo" ex art. 493-ter può essere considerata speciale rispetto a quella prevista dall'art. 640 c.p., e, dunque, unicamente applicabile al fatto concreto. La Corte, dunque, ha affermato il reato di truffa resta assorbito per il principio di specialità per specificazione e ha precisato che l'eventuale conseguimento, da parte dell'agente, dell'ingiusto profitto con correlativo danno del soggetto passivo rileva, comunque, sotto il profilo della dosimetria della pena (Cass. S.U., n. 22902/2001). Successivamente è nuovamente intervenuta sulla questione e ha chiarito che non si ha assorbimento ogni qualvolta la condotta incriminata non si esaurisca nel mero utilizzo delle carte di credito o di analoghi strumenti di prelievo o pagamento, ma sia connotata da un "quid pluris" concretantesi in artifici e raggiri, quali, ad es. la rimagnetizzazione illecita di una tessera “Viacard” prima dell'uso (Cass. II, n. 33526/2017;Cass. I, n. 26300/2004) o nel carpire ed utilizzare, invito domino, il codice alfanumerico della carta di credito (Cass. II, n. 45946/2011). Si ha, infatti, concorso di reati se la succitata indebita utilizzazione è stata successivamente seguita in altra e distinta frazione temporale da condotte autonome tese a percepire il profitto illecito del primo reato (ex art. 493-ter) poiché, attraverso gli ulteriori artifici e raggiri, si realizza un profitto ingiusto con corrispondente danno altrui (Cass. II, n. 33535/2023). La giurisprudenza ha rilevato che il reato di falsificazione o alterazione concorre il delitto di truffa, posto che non ogni artificio o raggiro comporta un'attività di manomissione della carta di credito (Cass. II, n. 11699/2012). Frode informatica Vedi sub art. 640 ter. Concorso di reati
Furto Nell'ipotesi di indebito utilizzo della carta bancomat, il delitto di furto del predetto documento concorre con quello ex art. 493-ter, in quanto si tratta di condotte eterogenee sotto l'aspetto fenomenico. La seconda, infatti, si verifica quando la prima è ormai esaurita. Inoltre l'impossessamento illegittimo non costituisce un presupposto necessario ed indefettibile dell'uso indebito (Cass. II, n. 18269/2013 ; Cass. V, n. 17923/2018).
Ricettazione Il delitto di possesso, cessione, o acquisizione di carte di credito o di pagamento o di documento analogo non si pone in termini di concorso apparente di norme con quello di ricettazione. Da un lato, infatti, manca il requisito dell'entità del fatto, che costituisce il presupposto per l'applicabilità della ricettazione. Dall'altro, l'art. 493-ter criminalizza condotte - quali il possesso e la ricezione di carte di credito e similari contraffatte o alterate - che non possono rientrare nella fattispecie di cui all'art. 648 c.p. Quest'ultima, infatti, sanziona la condotta del soggetto che riceve, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo provenienti da delitto, mentre il reato previsto nella seconda parte del primo comma dell'art. 493-ter punisce, con formula generica, la ricezione dei predetti documenti "di provenienza illecita" ovvero le condotte acquisitive degli stessi, nell'ipotesi in cui la loro provenienza non sia ricollegabile a un delitto, bensì a un illecito civile, amministrativo o anche penale, ma di natura contravvenzionale. Tra i due reati, pertanto, si configura un concorso materiale (Cass. S.U., n. 22902/2001; Cass. II, n. 2465/2010; Cass. II, n. 53676/2017). Riciclaggio Nel caso di riciclaggio di carte di credito provenienti da delitto, perché rubate o donate, l'indebita utilizzazione delle stesse non costituisce reato presupposto del riciclaggio, ma delitto strumentale alla sua commissione (Cass. II, n. 23800/2021; Cass. II, n. 18965/2016). La condotta del soggetto che utilizzi indebitamente carte di credito previamente ricevute e provenienti da delitto, perché rubate o clonate, realizza sia il reato di cui all'art. 493-ter prima parte sia quello di riciclaggio. Quest'ultimo, infatti, si configura con la realizzazione della sostituzione dei beni di provenienza illecita (le carte di credito) con denaro simulatamente proveniente da operazioni commerciali fittizie (Cass. II, n. 47147/2013). ConfiscaIl secondo ed il terzo comma dell'art. 493-ter riprendono con formulazione immutata le disposizioni in materia di confisca di cui al previgente sesto comma, secondo periodo, dell'art. 55, d.lgs. n. 231/2007, abrogato dall'art. 7, d.lgs. n. 21/2018 e settimo comma. Si tratta di un'ipotesi speciale di confisca obbligatoria che si applica in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del c.p.p. per il delitti in esame e ha ad oggetto le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato nonché il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, per le quali l'art. 240 c.p. stabilisce — tranne che per le cose costituenti il prezzo del reato — la facoltatività della misura ablatoria. Inoltre è prevista la confisca c.d. per equivalente dei beni, delle somme di denaro e di altre utilità nella disponibilità del reo per un valore corrispondente al profitto o al prodotto del reato quando non è possibile eseguire quella delle cose che ne dovrebbero essere oggetto in quanto legate al reato. CasisticaLa giurisprudenza ha stabilito che integrano gli estremi delle fattispecie di cui all'art. 493-ter: a) l'effettuazione di transazioni non autorizzate dal titolare realizzata immettendo dei dati ricognitivi e operativi di una valida carta di credito altrui, poiché non rileva che il documento non è nel materiale possesso dell'agente (Cass. III, n. 47725/2014); b) l'utilizzo di una tessera Viacard facente parte di uno stock di carte prepagate di cui era stato denunziato il furto qualora sia dimostrato il possesso in mala fede dell'utilizzatore. L'accertamento dell'eventuale buona fede dell'utilizzatore, infatti, assume valore determinante per integrare l'elemento oggettivo, ovvero l'uso da parte di non titolare, e soggettivo del reato, ovvero la volontà di utilizzare la carta con la consapevolezza di non esserne titolare (Cass. II, n. 26613/2012); c) l'ipotesi in cui gli acquisti non sono stati portati a compimento, in quanto l'utilizzo della carta di credito per i relativi pagamenti si è concluso con la dicitura "carta non abilitata" (Cass. III, n. 7019/2014); d) l'uso di una tessera bancomat, rubata poco prima, per effettuare degli acquisti in un negozio, che, poi, non sono stati portati a termine, perchè la carta è risultata già bloccata (Cass. III, n. 45901/2012); e) l'introduzione di una carta "bancomat", di provenienza illecita, in uno sportello automatico, allo scopo di prelevare denaro contante altrui, non andata a buon fine a causa dell'intervento della polizia giudiziaria (Cass. V, n. 23429/2001);f) l'utilizzazione di una carta "bancomat", di provenienza furtiva, da parte di chi non sia in possesso del codice PIN, realizzata mediante la digitazione casuale di sequenze numeriche presso uno sportello di prelievo automatico di denaro (Cass. V, n. 17923/2018 ). Non configura le fattispecie di cui all'art. 493-ter: a) il possesso di una carta di credito denunciata come smarrita se al momento dell'accertamento della detenzione la stessa risulti scaduta e non sia stato accertato il possesso della medesima prima della data di scadenza della validità. Ciò in quanto poiché la predetta carta è priva totalmente delle sue originarie caratteristiche di strumento finanziario, non può più assolvere alcuna funzione di "credito" ovvero di "prelievo di contante" nel circuito elettronico o commerciale, nè è idonea ad alcun uso per la sua palese irricevibilità ed inefficacia (Cass. II, n. 37758/2005); b) l'uso da parte di un dipendente di una carta di credito aziendale per effettuare per spese personali, diverse da quelle consentitegli. Sussiste, infatti, in capo all'agente la titolarità della stessa poiché era nel possesso della stessa e del relativo PIN, e ne poteva disporre senza alcuna ingerenza da parte dell'intestatario, a prescindere dal dato formale che la tessera fosse intestata ad una società. In tale ipotesi è ravvisabile il reato di appropriazione indebita, aggravato ai sensi dell'art. 61, n. 11, c.p. (Cass. II, n. 7910/2017). Profili processualiGli istituti Si tratta di un reato procedibile d’ufficio e di competenza del tribunale in composizione monocratica. In riferimento al delitto de quo: a) non è consentito il fermo; b) è consentito l’arresto in flagranza; c) sono consentite l’applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. BibliografiaCorradino, La tutela penale del sistema dei pagamenti nell’abuso di carta di credito, in Banca, borsa, tit. cred. 2001, 2, 121; Luini, Il reato di indebito utilizzo di «carte di credito», in Riv. pen. 1991, 599; Nuzzo, Alcune riflessioni sul reato di indebito utilizzo delle carte di credito, in Cass. pen. 1999, 3, 995. |