Può essere estesa al convivente more uxorio la causa di non punibilità ex art. 649 c.p.?

Redazione Scientifica
05 Aprile 2018

La Consulta è stata investita della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p., così come modificato dal d.lgs. n. 6/2017, nella parte in cui esclude dall'applicazione del regime delle cause di non punibilità ivi previste il convivente more uxorio.

Il Tribunale di Matera ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 649, comma 1, c.p., nella parte in cui non estende la causa di non punibilità ivi prevista anche al convivente more uxorio. In particolare, il Giudice a quo ritiene che con l. n. 76/2016 il legislatore abbia inteso «irrazionalmente e/o comunque riduttivamente» regolamentare solo le unioni civili tra persone dello stesso sesso coordinandone la disciplina tramite le modifiche e integrazioni introdotte con il d.lgs. n. 6/2017 che ha aggiunto al comma 1 dell'art. 649 c.p. il riferimento alla parte dell'unione civile ma non al convivente more uxorio.

A contrario, l'Avvocatura generale dello Stato sostiene l'inammissibilità della questione, posto che la disciplina delle cause di non punibilità è riservata alla discrezionalità del legislatore che ha espresso una «precisa scelta di politica criminale» volta a favorire la riconciliazione piuttosto che la punizione per i soggetti legati da vincoli familiari caratterizzati da una convivenza duratura e fondata sulla reciproca assistenza. L'intervento di cui al d.lgs. n. 6/2017 realizzerebbe, quindi, una scelta legislativa frutto di valutazioni non censurabili, manifestando la volontà di estendere l'ambito di applicazione dell'art. 649 c.p. alla sola parte dell'unione civile e non anche al convivente more uxorio.

Nel caso di specie, la Corte costituzionale rileva che il soggetto imputato nel processo a quo è definito, nella stessa ordinanza di rimessione, «ex convivente»: da tale circostanza, conclude la Corte, «consegue inequivocabilmente l'inapplicabilità della disposizione censurata e, perciò, la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate» per difetto di rilevanza.

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