Codice Civile art. 7 - Tutela del diritto al nome.

Luca Stanziola
aggiornato da Annachiara Massafra

Tutela del diritto al nome.

[I]. La persona, alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni.

[II]. L'autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali [120 c.p.c.].

Inquadramento

Il nome è tutelato, sia sotto il profilo morale, che sotto il profilo strettamente patrimoniale, contro l'appropriazione indebita da parte di altri soggetti, non legittimati ad un tale «uso», o per meglio dire ad un tale «abuso» (De Cupis, 443, tutela che si traduce per i terzi in un obbligo di rispetto, nel senso che essi «devono astenersi dal contrastarlo negandolo od ostacolandone in fatto l'esercizio»; Nuzzo, 304).

L'art. 7 c.c. consente quindi al titolare leso dall'altrui comportamento di agire in via inibitoria, al fine di chiedere ed ottenere la definitiva cessazione dell'altrui condotta lesiva; peraltro, in virtù dell'art. 7, comma 2, c.c., è ammesso anche il risarcimento in forma specifica della pubblicazione della sentenza, volto appunto al risarcimento del pregiudizio morale ed economico subito dal titolare (art. 2059 c.c., ed art. 120 c.p.c.), anche ai fini pubblicistici, per riaffermare la verità del nome ingiustamente usurpato (per Dogliotti, 403, si tratta di norme che, «hanno altresì una funzione sanzionatoria e di scoraggiamento per l'autore della lesione, oltre che di prevenzione ed attenuazione delle conseguenze del fatto»). In aggiunta, il titolare leso può esperire ordinaria azione di risarcimento del danno, che nella maggior parte dei casi si atteggia a danno non patrimoniale.

Ovviamente, in ossequio all'autonomia della domanda inibitoria rispetto a quella risarcitoria, l'accoglimento della domanda di inibitoria del nome usurpato non implica l'accoglimento della collegata domanda di risarcimento del danno, in quanto, mentre la prima è legata alla mera eventualità del determinarsi di una situazione di pregiudizio, per la seconda, in conformità ai principi generali che regolano l'illecito civile, è necessaria l'allegazione e la dimostrazione, con onere a carico dell'attore, del pregiudizio effettivamente verificatosi nella sua sfera patrimoniale (Trib. Roma, 24 gennaio 1994)

Le azioni a tutela del nome

Sicché, avverso l'uso illegittimo che venga fatto del nome altrui, il Codice predispone una tutela, al tempo stesso, sia di condanna alla cessazione della condotta abusiva, per la quale è sufficiente la prova dell'illecito, che di tipo risarcitorio, per il quale sarà necessaria la prova del dolo o della colpa, oltre che del pregiudizio patito, in applicazione dei principi generali desumibili dagli artt. 2043 e 2059 c.c. (sempre Dogliotti, 404, secondo cui è pacifico oggi il risarcimento anche del danno non patrimoniale, poiché, a parte l'evoluzione giurisprudenziale in tema di atipicità dell'illecito extracontrattuale, si rientrerebbe in uno di quei casi tipicamente previsti dalla legge, ex art. 2059 c.c., in cui può essere riconosciuto un danno a carattere non esclusivamente patrimoniale).

A tal fine, viene riconosciuta al titolare un'azione di reclamo avverso l'altrui contestazione del nome, tendente alla condanna alla cessazione del fatto lesivo, in via inibitoria, oltre che al risarcimento del danno illegittimamente patito. Presupposto per agire in via di reclamo è l'altrui contestazione all'uso del nome da parte del legittimo titolare: ciò si verifica quando il diritto ad usare il proprio nome viene negato o, comunque, di fatto ostacolato da parte di terzi (per De Cupis, 530, il presupposto dell'azione di reclamo, cioè la contestazione del diritto all'uso del nome, va inteso in senso ampio, ricomprendente cioè tutti i casi in cui non è rispettato il potere d'uso del proprio nome, «tanto se si neghi tale potere, quanto se si impedisca in fatto il suo esercizio»).

La stessa azione inibitoria, con connessa azione risarcitoria, è concessa avverso l'altrui usurpazione del nome, che consiste cioè nell'uso indebito e pregiudizievole che altri faccia del proprio nome:per «uso indebito», si intende l'utilizzo illegittimo del proprio nome; per «uso pregiudizievole», requisito meramente eventuale, si suole intendere il pregiudizio avvertito dal titolare del nome a causa dell'indebito uso che del nome stesso si è fatto (De Cupis, 532): in quest'ultimo caso, l'azione di usurpazione del nome, concessa a condizione che la condotta indebita di usurpazione sia tale da arrecare pregiudizio al titolare, «è posta a tutela del diritto della persona ad usare in via esclusiva il proprio nome» (così MazzoniPiccinni, 220 ss., che efficacemente a tal uopo distingue tra «usurpazione in senso stretto», così ampliando l'ambito applicativo dell'art. 7 c.c.). Si è quindi legittimati ad agire con l'azione di usurpazione sia avverso l'altrui assunzione illecita del nome di un soggetto (c.d. usurpazione in senso stretto), sia avverso ogni altra ipotesi di utilizzo del nome altrui, che sia illecita e pregiudizievole in quanto non autorizzata dal titolare (c.d. usurpazione in senso lato).

Vi è poi chi, in dottrina (Lenti, 136), riconosce, in aggiunta all'azione di reclamo e di usurpazione, una terza tipologia di azione: la c.d. azione a difesa della identità personale (in senso morale e sociale). Quest'ultima azione — che ben potrebbe essere fatta rientrare in una delle categorie precedentemente individuate, ed in particolare nell'azione di usurpazione in senso lato — si propone di tutelare il nome contro la falsa rappresentazione, compiuta da altri in modo diretto o indiretto, di aspetti morali o sociali importanti della propria personalità, sintetizzata nel nome stesso (sempre Lenti, 136, secondo cui, peraltro, «non è possibile distinguere con rigore tra gli impieghi della cosiddetta azione di usurpazione e quelli dell'azione per la tutela della cosiddetta identità personale»).

In sintesi, la dottrina (Alpa - Ansaldo, 424) distingue tra: (i) azione di accertamento, nel caso vi sia incertezza nell'identificazione di un soggetto, anche eventualmente imputabile a quest'ultimo; (ii) azione di rettifica, regolata dal d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, artt. 95 ss.; (iii) azione di reclamo, volta a proteggere l'uso del nome da parte del titolare avverso l'altrui contestazione; (iiii) azione di proibizione o di usurpazione, che presuppone l'uso indebito del nome altrui da parte di un soggetto in tal senso non legittimato.

La giurisprudenza, per parte sua, tenta di estendere la tutela del nome e dell'immagine dell'individuo proiettandola fuori dai limiti, particolarmente angusti, degli artt. 6, 7 e 9 c.c., trattandosi peraltro di disposizioni a carattere tassativo, facendo applicazione del generale principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.

A tal riguardo, per la Cass. I, n. 3769/1985, ciascun soggetto ha interesse, ritenuto generalmente meritevole di tutela giuridica, di essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identità, così come questa nella realtà sociale, generale o particolare, è conosciuta o poteva essere riconosciuta con l'esplicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede oggettiva; ha, cioè, interesse a non vedersi all'esterno alterato, travisato, offuscato, contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale, ecc. quale si era estrinsecato od appariva, in base a circostanze concrete ed univoche, destinato ad estrinsecarsi nell'ambiente sociale.

La tutela di questo fondamentale diritto dell'individuo all'identità personale non può trovare fondamento nelle forme degli artt. 7 e 10 c.c., trattandosi di disposizioni particolarmente anguste che non consentono una piena tutela dell'identità personale; pertanto deve riconoscersi che il diritto all'identità personale, mirando a garantire la fedele e completa rappresentazione della personalità individuale del soggetto nell'ambito della comunità, generale e particolare, in cui tale personalità individuale è venuta svolgendosi, estrinsecandosi e solidificandosi, trova il fondamento giuridico-positivo della sua tutela nell'art. 2 cost. clausola aperta e generale di tutela del libero ed integrale svolgimento della persona umana.

Secondo il Trib. Napoli, 28 ottobre 2004, la tutela apprestata dall'art. 7 c.c. alla persona il cui nome sia indebitamente usurpato da altri opera soltanto se da tale uso indebito discenda un pregiudizio economico o morale. Non è pertanto suscettibile di tutela l'interesse di un soggetto a vedersi dichiarato unico discendente diretto e capo di una determinata casata, trattandosi di qualifica che non attiene nè alla sua sfera morale nè al suo patrimonio d'immagine, dato esclusivamente dalla rappresentazione sociale della sua condotta e della sua personalità.

Il Trib. Bologna, 9 settembre 2015, ha osservato che il diritto al nome è protetto (artt. 6 e 7 c.c.) sia come diritto all'uso del proprio nome — ossia come diritto di identificare se stessi con il proprio nome e di essere identificati dagli altri con il proprio nome — tramite la c.d. azione di reclamo, che come diritto all'uso esclusivo del proprio nome, tramite la c.d. azione di usurpazione. L'azione di usurpazione, in particolare, «spetta contro chi usi indebitamente il nome altrui a) per identificare sé, attribuendosi la rinomanza acquisita da altri, b) per indicare una cosa, ad esempio utilizzando il nome altrui come marchio o insegna, c) per fare comunque uso indebito del nome altrui, ad esempio usandolo come nome di un personaggio di fantasia, o apponendolo a un manifesto o documento politico, ecc».

Nella giurisprudenza di legittimità, Cass. I, n. 11129/2003, secondo cui gli artt. 6 e 7 c.c., riconoscono a ciascuna persona il «diritto» al nome che le è per legge attribuito e le accordano la possibilità di chiedere giudizialmente la «cessazione del fatto lesivo» tutte le volte che «possa» risentire pregiudizio dall'uso che altri «indebitamente» ne faccia, salvo il risarcimento dei danni, sicché in tema di tutela del diritto al nome, l'accoglimento della domanda di cessazione del fatto lesivo, contemplata dall'art. 7 c.c., è subordinata alla duplice condizione che l'utilizzazione del nome altrui sia indebita, e che da tale comportamento possa derivare un pregiudizio alla persona alla quale il nome è stato per legge attribuito. Sotto quest'ultimo profilo, quantunque a giustificare l'accoglimento della misura sia sufficiente la possibilità di un pregiudizio, non essendo necessario che esso si sia già verificato, tuttavia la ricorrenza di detta possibilità deve essere accertata in concreto.

Peraltro, secondo la Cass. I, n. 23401/2015, il diritto alla tutela del nome e dell'identità, non spetta solo alle persone fisiche o giuridiche, ma anche alle associazioni non riconosciute. Invero, le associazioni, ancorchè non riconosciute e sfornite di personalità giuridica, in quanto centri di imputazione di situazioni giuridiche e, quindi, soggetti di diritto distinti dagli associati, sono dotate di un proprio patrimonio costituito dal fondo comune, di una propria capacità sostanziale e processuale e di una propria organizzazione regolata dai patti dell'accordo associativo o, in difetto, ove non incompatibili, dalle norme che disciplinano le associazioni riconosciute e le società. Ne consegue che anch'esse sono legittimate ad agire a tutela del proprio nome e, più in generale, della propria identità personale, stante il fondamentale principio enucleato dall'art. 2 Cost. che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità: in definitiva, il diritto alla tutela del nome e dell'identità, non spetta solo alle persone fisiche o giuridiche, ma anche alle associazioni non riconosciute.

In precedenza, nello stesso senso si era pronunciata la Cass. I, n. 18218/2009, secondo cui anche nei confronti della persona giuridica ed in genere dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale, allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l'immagine della persona giuridica o dell'ente in sé considerata.

In quest'ottica si colloca altresì Cass. I, n. 11635/2020 la quale ha affermato che ogni partito politico beneficia, ai sensi dell'art. 7 c.c., della tutela della propria identità, la quale trae fondamento dagli artt. 2,21 e 49 Cost., riassumibile nella denominazione e nel segno distintivo, ed esprime l'esigenza di evitare nel dibattito pubblico il pericolo di confusione in ordine agli elementi che caratterizzano un partito come centro di espressione di idee e di azioni.

Quanto all'azione risarcitoria, per equivalente, è stato sostenuto da Cass. I, n. 2426/1991, che la tutela del diritto al nome, nel caso che altri contesti alla persona il diritto all'uso del proprio nome o ne faccia indebitamente uso con possibilità di arrecargli pregiudizio, ai sensi dell'art. 7 c.c., legittima il titolare — oltre a chiedere la cessazione del fatto lesivo — a chiedere ed ottenere il risarcimento del danno patito: ai fini della tutela risarcitoria — non sostituibile con rimedio della pubblicazione della sentenza, che attiene, invece, alla restitutio in integrum, sotto il profilo del completamento delle disposizioni concernenti la detta cessazione — non è, tuttavia, sufficiente l'illegittimità della condotta dell'agente, essendo necessario, perché sussista il danno risarcibile, che ricorra il fatto illecito, ai sensi dell'art. 2043 c. c., e quindi il dolo o la colpa dell'autore della violazione.

In particolare: l'azione inibitoria

Già si è detto circa l'azione di reclamo e l'azione di usurpazione. Giova, ora, soffermarsi sulla loro natura inibitoria.

Secondo l'opinione tradizionale, l'azione inibitoria, tipico strumento a tutela dei diritti della personalità, si traduce nell'ordine, imposto giudizialmente ad un soggetto, di astenersi a perseverare la propria condotta illecita, nel nostro caso in violazione del diritto al nome, allo pseudonimo, ed al divieto di abusare dell'immagine altrui (Nardo, 1371, secondo cui «la tutela inibitoria ... è una forma di tutela giurisdizionale rivolta verso il futuro, diretta cioè ad impedire il verificarsi o il ripetersi di comportamenti (generalmente) illeciti, cui si aggiungono le tradizionali tutele di tipo risarcitorio e restitutorio che operano solo in séguito alla violazione del diritto»).

La caratteristica propria dell'inibitoria, volta appunto a prevenire il danno, o comunque volta ad evitarne un aggravamento ulteriore, ne fa uno strumento indispensabile per tutti i diritti della personalità, a fronte dell'insufficienza del risarcimento del danno ad assicurare una compiuta reintegrazione dell'interesse leso, tanto da portare una parte della dottrina ad elevarla a rimedio prioritario, ancorché non tipicamente previsto dal legislatore (si pronuncia a favore dell'esistenza di un potere di inibizione dell'attività lesiva atipico, indipendentemente cioè da specifiche ed espresse previsioni normative, Messinetti, 355): si è quindi giunti a ritenere che, pur in assenza di una generale previsione normativa, l'inibitoria sarebbe un rimedio generale, applicabile anche in assenza di un'apposita previsione legislativa (Bianca, 788; a favore della tesi dell'atipicità dell'azione inibitoria, anche nel campo dei diritti di credito, Frenda, 721).

La ratio della tutela inibitoria è ben compendiata nella pronunzia della Cass. n. 11129/2003, secondo cui In tema di tutela del diritto al nome, l'accoglimento della domanda di cessazione del fatto lesivo, contemplata dall'art. 7 c.c., è subordinata alla duplice condizione che l'utilizzazione del nome altrui sia indebita e che da tale comportamento possa derivare un pregiudizio alla persona alla quale il nome è stato per legge attribuito.

Sotto quest'ultimo profilo, quantunque a giustificare l'accoglimento della misura sia sufficiente la possibilità di un pregiudizio, non essendo necessario che esso si sia già verificato, tuttavia la ricorrenza di detta possibilità deve essere accertata in concreto.

Bibliografia

Alpa - Ansaldo, Le persone fisiche, in Comm. S., Milano, 2013; Autorino Stanzione, Attribuzione e trasmissione del cognome. Profili comparatistici, in Comparazione e diritto civile, Annali 2010-2011, I, 251 ss.; Bianca, Diritto Civile, V, La Responsabilità, Milano, 2012; De Cupis, I diritti della personalità, vol. IV, in Tr. C.M., Milano, 1982; Dogliotti, Persone fisiche. Capacità, status, diritti, II, in Tratt. dir. civ. diretto da Bessone, Torino, 2014; Frenda, Appunti per una teoria dell'inibitoria come forma di tutela preventiva dell'inadempimento, in Eur. dir. priv. 2016, 3, 721; Lenti, voce Nome e Cognome, in Dig. disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 1995, 136 ss.; Mazzoni - Piccinni, La persona fisica, in Tr. I.Z., Milano, 2016; Messinetti, voce Personalità (diritti della), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 355; Nardo, Riflessioni sulla azione inibitoria, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2016, 4, 1371.

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