Codice Civile art. 343 - Apertura della tutela.Apertura della tutela. [I]. Se entrambi i genitori sono morti o per altre cause [19, 32, 34 c.p.] non possono esercitare la responsabilità genitoriale (2), si apre la tutela presso il tribunale del circondario dove è la sede principale degli affari e interessi del minore [45 2; 129 trans.; 24 c.p.c.] (1). [II]. Se il tutore è domiciliato o trasferisce il domicilio in altro circondario, la tutela può essere ivi trasferita con decreto del tribunale (3). (1) Comma così modificato dapprima dall'art. 146 l. 24 novembre 1981, n. 689 e successivamente dall'art. 139 lett. a) d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51. (2) L'art. 56, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito alle parole «potestà dei genitori», le parole: «responsabilità genitoriale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. (3) Comma così modificato dall'art. 139lett. b) d.lg. n. 51, cit. InquadramentoLa responsabilità genitoriale deve essere esercitata nel superiore interesse del minore e per l'ipotesi in cui non vi siano genitori o gli stessi non possano esercitarla il legislatore ha previsto uno strumento giuridico perché ciò comunque avvenga: la tutela, istituto succedaneo alla responsabilità genitoriale. Essa assume carattere di munus publicum o di officium di diritto privato finalizzato ad attuare in via mediata l'interesse generale della collettività alla protezione degli incapaci (Savorani, 5). Sotto il profilo procedurale la formazione della tutela avviene in due fasi: l'apertura del procedimento, che si verifica ex lege al realizzarsi di una della cause previste dalla disposizione in commento, e la costituzione dell'ufficio, che si realizza in seguito alla nomina del tutore e del protutore da parte del Giudice tutelare. La circostanza dell'automatica apertura della tutela si desume da quanto previsto dal successivo art. 345 c.c. che, al terzo comma, associa l'apertura della tutela al fatto da cui deriva (così, Bucciante, 690). Sebbene non espressamente previsto nel codice, è prassi che la nomina del tutore sia preceduta dal decreto di apertura della tutela (circa la non necessità di alcun provvedimento del Giudice tutelare, Santarcangelo, 449). La separazione dei due momenti appare necessaria in quanto all'atto dell'apertura il Giudice tutelare potrebbe dover effettuare indagini utili per la scelta del tutore, sentire il minore che abbia compiuto dodici anni o, se capace di discernimento, anche di età inferiore e le altre persone indicate dall'art. 348 c.c., se opportuno (Pazè, 399; si veda altresì Bucciante, 698). Nella fase che precede l'apertura della tutela, inoltre, potrebbe verificarsi che, in seguito alla denuncia dell'evento che la determina, l'Autorità giudiziaria investita della denuncia rilevi la propria incompetenza territoriale, nel qual caso potrebbe quindi non doversi disporre l'apertura della tutela ma il suo trasferimento. Pur essendo articolata sugli stessi parametri logici sui quali si fonda la più ampia responsabilità genitoriale, la tutela presenta comunque alcune rilevanti deviazioni, giustificate dal vincolo meno intenso che lega il pupillo al tutore e al protutore, dalla minore fiducia che il legislatore ripone in questi ultimi rispetto ai genitori e dalla possibilità che manchi la coabitazione tra i due soggetti partecipi del rapporto (così, Bucciante, 674). Ciò si riflette sulla disciplina dell'istituto che prevede non solo la continua vigilanza da parte del giudice tutelare sulle attività svolte dal tutore ma anche che per le decisioni più rilevanti, come l'individuazione della residenza del minore, sia l'Autorità giudiziaria a deliberare, dopo aver sentito il tutore ed il pupillo, se di età non inferiore a dieci anni (in merito si veda sub art. 371 c.c. ed il relativo commento). L'ufficio del tutore è inoltre obbligatorio ma, a differenza della responsabilità genitoriale, operano diversi istituti che consentono di non assumere la funzione, quali: l'incapacità (art. 350 c.c.); la dispensa legale (art. 351 c.c.); la dispensa facoltativa (art. 352 c.c.) e l'esonero (art. 383 c.c.). Esso è inoltre un ufficio gratuito, salva la possibilità che venga riconosciuta un'equa indennità, ed impone al tutore di chiedere al Giudice tutelare l'autorizzazione per il compimento di diversi atti (di cui infra) ben più numerosi rispetto a quelli per i quali l'autorizzazione è prevista dall'art. 320 c.c. nell'esercizio della responsabilità genitoriale. Esercizio della responsabilità genitoriale e casi di impossibilitàLe fattispecie che determinano l'apertura della tutela sono indicate dalla norma in commento, ancorché non in modo tassativo. In particolare la tutela può essere originata dalla morte di entrambi i genitori, cui deve equipararsi l'assenza e la morte presunta (sul punto Pazè, 340), o dall'impossibilità da parte di entrambi di esercitare la responsabilità genitoriale come avviene per i casi, oltre che di genitori ignoti, di: sospensione o decadenza dalla detta responsabilità, ex artt. 330-333 c.c.; condanna all'ergastolo o comunque implicante la relativa pena accessoria e di interdizione giudiziale (Pazè, 340; Stella-Richter-Sgroi, 484; De Cupis, 334; Santarcangelo, 448). L'impossibilità dell'esercizio della responsabilità genitoriale può altresì avere anche carattere temporaneo così come non dipendere da un provvedimento dell'Autorità giudiziaria. Con riferimento alle situazioni di fatto che possono determinare l'apertura della tutela, autorevole dottrina ha quindi evidenziato che la lontananza, da sola, può non essere circostanza sufficiente. Un genitore può essere lontano per le più svariate ragioni, lavoro, latitanza (Dell'Oro, 8), ed in tali casi il potere di porre sotto tutela il minore ha carattere discrezionale e l'unico metro di giudizio è dato dal protrarsi della mancanza dei genitori per un tempo significativo (Pazè, 345). In questo senso è stato ritenuto che anche il solo stato di detenzione, di per sé, non sarebbe idoneo a determinare l'apertura di una tutela, nel caso in cui la condanna non preveda la pena accessoria della decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale. L'ordinamento penitenziario prevede infatti particolare cura alla conservazione ed al mantenimento delle relazioni tra detenuti e le loro famiglie (Pazè, 345; sul punto altresì Dell'Oro, 8). Parimenti, l'inabilitazione e la sottoposizione all'amministrazione di sostegno del genitore non determinano necessariamente l'apertura di una tutela, potendo l'inabilitato o il sottoposto alla citata misura di protezione prendersi cura della prole personalmente, nei limiti della sua capacità (con riferimento alla inabilitazione: Dell'Oro, 9; Santarcangelo, 448). In questa sede occorre però specificare che in merito all'ipotesi della sottoposizione all'amministrazione di sostegno, dovrà essere oggetto di attenta analisi il contenuto del decreto che dispone la misura di protezione da parte del Giudice tutelare, al fine di verificare se con esso siano stati conferiti poteri di rappresentanza all'amministratore di sostegno. Il conferimento di ampi poteri rappresentativi, in merito alla cura della persona ed alla gestione del patrimonio, costituisce difatti idonea prova della impossibilità del genitore di esercitare adeguatamente la responsabilità genitoriale. In questo caso, tuttavia, vengono in considerazione anche le disposizioni relative all'esercizio della responsabilità genitoriale. Ove infatti si accerti che il genitore non possa occuparsi adeguatamente di se stesso, se non rappresentato da un amministratore di sostegno, sarà necessario instaurare un procedimento ex art. 330 c.c. dinanzi al Tribunale per i minorenni, al fine di dichiarare decaduto il genitore dalla responsabilità, non avendo competenza in merito il Giudice tutelare. Competenza territorialeLa tutela si apre nel luogo dove il minore ha la sede principale dei suoi affari, secondo quanto prevede l' art. 343 c.c. La norma, tuttavia, deve essere coordinata con l'art. 45 c.c. che prevede, per quanto concerne il minore, che il suo domicilio coincida con il luogo ove è fissata la residenza della famiglia (Santarcangelo, 449; Pazè, 391). Sul punto è stato evidenziato che in talune circostanze il criterio della sede principale degli affari potrebbe confliggere con il diverso criterio degli interessi del minore. Il primo può portare ad individuare la competenza in capo al Giudice tutelare del luogo dove si trova il patrimonio del minore e l'altro, invece, in capo a quello del luogo dove si trova la famiglia nucleare. Muovendo da tale premessa è stato quindi evidenziato come nella prassi giudiziaria venga utilizzato il criterio sussidiario della dimora, determinato con riferimento alla sede della famiglia o della istituzione cui il minore è affidato o al domicilio di soccorso (Pazè, 391). Anche parte della dottrina ritiene che, ai fini dell'individuazione del Giudice competente, quando manchi ogni collegamento con i genitori, debba aversi riguardo al luogo di dimora (Bucciante, 628, Dell'Oro, 20, sul punto si veda anche Santarcangelo, 450). Se il minore è domiciliato all'estero, infine, la tutela si apre presso l'Ufficio consolare nella cui circoscrizione il minore ha il domicilio (artt. 33-35 d.lgs. n. 71/2011) ed è regolata dalle disposizioni di cui agli artt. dal 343 c.c. al 389 c.c. Fattispecie particolariUna volta verificatosi l'evento che legittima l'apertura della tutela diviene quindi necessario il provvedimento del Giudice tutelare il quale, dopo averla dichiarata aperta, nominerà tutore e protutore secondo le modalità previste dagli artt. 343 c.c. e ss. È stato posto in giurisprudenza il problema di stabilire se la Kafalah, istituto di affidamento familiare proprio di alcuni ordinamenti giuridici che si ispirano agli insegnamenti del Corano, possa essere riconosciuto in Italia ed in quali limiti. Ove la risposta fosse positiva non sarebbe difatti necessaria nei confronti del minore, in questo caso particolare, la nomina del tutore. Sul punto si è registrato l'intervento nomofilattico di Cass. S.U., n. 21108/2013 (sul punto, si vedano, anteriormente all'intervento delle Sezioni Unite: Cass. I, n. 21395/2005; Cass. I, n. 7472/2008, e Cass. I, n. 18174/2008; successivamente e con specifico riferimento al riconoscimento della Kafalah di origine negoziale, Cass. I, n. 1843/2015, , Cass. I, n. 28154/2017 e Cass. I, n. 25310/2020). La Suprema Corte ha ritenuto l'istituto di cui innanzi riconoscibile nel nostro ordinamento, al fine e nei limiti relativi alla disciplina del ricongiungimento familiare di cui all' art. 29 del d.lgs. n. 286/1998, previa ricostruzione della sua natura ed in considerazioni delle relative finalità. La kafalah, che si distingue in pubblicistica o convenzionale, è un istituto di diritto islamico che consente ad una coppia di coniugi o anche ad una persona singola di custodire ed assistere minori orfani o comunque abbandonati con l'impegno di mantenerli, istruirli ed educarli, come se fossero figli propri e fino alla maggiore età. In tal caso, stante il divieto coranico dell'adozione, l'affidato non entra a far parte della famiglia ed all'affidatario e non vengono conferiti poteri di rappresentanza, invece mantenuti dalle pubbliche Autorità competenti. La kafalah pubblicistica, in particolare, presuppone che l'Autorità giudiziaria accerti lo stato di abbandono del minore e l'idoneità dell'aspirante affidatario. Quella convenzionale, invece, si realizza mediante un accordo tra affidanti ed affidatari siglato davanti ad un giudice o ad un notaio e poi sottoposto alla omologazione di un'Autorità giurisdizionale. L'istituto in esame si atteggia quindi a misura di protezione dei minori orfani o abbandonati ed è, come tale, riconosciuto dagli strumenti internazionali. Il riferimento è, in particolare, alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (resa esecutiva per l'Italia con l. 27 maggio 1991, n. 176), il cui art. 20 espressamente lo inserisce tra le forme di protezione sostitutiva, oltre che all'art. 33 della Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione del minore (ratificata per l'Italia, con l. 18 giugno 2015, n. 101). Sicché, l'istituto in esame deve essere considerato ai fini del ricongiungimento familiare, in considerazione delle evidenziate finalità nonché del riconoscimento anche dagli strumenti internazionali sopra indicati ed in considerazione della necessità di tutelare il preminente interesse del minore. In particolare, la Suprema Corte ha statuito che «non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato dal Giudice straniero nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel Paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito». In questo contesto si colloca una recente decisione del giudice tutelare di Mantova che, dopo aver richiamato i sopraesposti principi, ha respinto l'istanza di nomina di un tutore in favore di un minore straniero affidato ad un kafil in forza di un “atto di affidamento” disposto dall'autorità giudiziaria algerina. Il Giudice tutelare di Mantova, nel dettaglio, ha ritenuto che debba riconoscersi piena e diretta efficacia nell'ordinamento, ex artt. 65 e 66 l. 31 maggio 1995, n. 218, ai provvedimenti di affidamento assunti dai Tribunali Algerini anche tenuto conto del fatto che l'art. 121 del Codice di Famiglia dell'Algeria prevede espressamente che l'affidamento legale attribuisce “al beneficiario la tutela legale e gli da diritto alle medesime prestazioni scolastiche e familiari di un bambino legittimo” (Trib. Mantova, 19 maggio 2018 ). Come sopra rilevato, le fattispecie che possono determinare l'apertura della tutela non sono state tipizzate dal legislatore, sicché si ritiene, in questa sede, di evidenziare alcune decisioni di merito che hanno ritenuto applicabile la disposizione in commento in talune fattispecie particolari. Trib. Modena, 28 maggio 2014 , ha dichiarato aperta la tutela nei confronti di tre minori la cui madre, con la quale avevano convissuto, era deceduta ed il cui padre se ne era disinteressato. Dal contenuto della motivazione emerge che la tutela sia stata aperta in assenza di una specifica pronuncia del Tribunale per i minorenni di decadenza o sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale. Nel caso di specie, in particolare, il padre del minore aveva acconsentito all'affidamento esclusivo dei minori alla madre, nonché anche al loro mutamento di cognome (in quello materno), ma non aveva contribuito sotto ogni profilo alla loro crescita. Il Giudice tutelare, pertanto, in applicazione dell' art. 343 c.c., ha ritenuto equiparabile la condotta di chi non è in grado di instaurare un rapporto significativo con i figli (nella specie, il detto padre) alle condotte già individuate dalla norma poc'anzi citata, con conseguente nomina di un tutore (nella specie, lo zio materno). Nello stesso senso ed in fattispecie analoga si è peraltro espresso in precedenza anche il Tribunale di Pistoia (Trib. Pistoia, 18 ottobre 2004, in Foro it., 2005, I, 27). Il Tribunale di Roma, nell'ambito di un procedimento di separazione, ha sospeso entrambi i genitori dall'esercizio della responsabilità genitoriale, in applicazione degli artt. 333 e 337-ter c.c., ed ha nominato il Sindaco pro tempore del Comune tutore del minore (Trib. Roma, 7 ottobre 2016). La nomina del tutore, in quest'ultima fattispecie, è stata quindi effettuata da parte del Tribunale ordinario in sede di separazione, e non dal Giudice tutelare secondo quanto previsto dall' art. 346 c.c. ( in merito Jannuzzi, 186). La competenza del Giudice tutelare con riferimento ai minori stranieri non accompagnatiIl minore straniero non accompagnato, ex art. 2 l. 7 aprile 2017, n. 47, è quello, non avente cittadinanza italiana o della UE, che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano. Al minore di cui innanzi deve essere nominato un tutore affinché lo rappresenti in tutti gli atti civili e gli consenta non solo di esprimere la propria volontà ma, soprattutto, di accedere a tutte le forme di tutela previste dall'ordinamento in suo favore. Fino a pochissimo tempo fa potevano trovare applicazione sia le disposizioni di cui all'art. 343 c.c. sia, in forza di quanto previsto dall'art. 42 l. 31 maggio 1995, n. 218, le disposizioni relative al procedimento di adozione, di cui alla l. 4 maggio 1984, n. 183. Il Tribunale per i minorenni, su richiesta del Pubblico ministero e proprio in forza delle citata l. 183/1984, può difatti disporre l'apertura di un procedimento di adottabilità e quindi nominare, in quella sede, un tutore provvisorio al minore straniero. In materia trova inoltre applicazione il d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, di attuazione delle Direttive 2013/33/UE e 2013/32/UE, relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ed al procedimento di riconoscimento e di revoca dello status di protezione internazionale. Rileva in particolare la disposizione contenuta nell'art. 19, comma, 5 (non modificata dalla successiva l. n. 47/2017) che, fino a poco tempo fa, imponeva all'Autorità di pubblica sicurezza di dare immediata comunicazione non al Tribunale per i minorenni ma al Giudice tutelare per la nomina del tutore, ex art. 343 c.c., ed alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, per la ratifica delle misure di accoglienza adottate. La questione è stata successivamente posta al vaglio della Suprema Corte, in seguito a conflitto negativo di competenza, tra il Tribunale per i minorenni di Palermo ed il Giudice tutelare di Marsala, in merito alla nomina del tutore nei confronti di un minore straniero non accompagnato, collocato in una comunità sita nel comune di Marsala. Cass. VI-I, n. 1050/2017 ha in particolare escluso la competenza del Tribunale per i minorenni osservando che il procedimento di adottabilità nei confronti del minore straniero possa trovare applicazione, ma solo eventualmente, qualora, successivamente alla apertura della tutela ed alla nomina del tutore, sorga la necessità di verificare se il predetto sia o meno in stato di abbandono. È il d.lgs. n. 142 del 2015, di attuazione delle due citate direttive, a trovare applicazione immediata in quanto teso a garantire, in tempi brevi, misure immediate di protezione dei minori stranieri non accompagnati. Derivandone da ciò la competenza circa la nomina del tutore in capo al Giudice tutelare e non al Tribunale per i minorenni. L'orientamento sopra indicato è stato peraltro confermato da Cass. VI-I, n. 10212/2017 per la quale, ai sensi dell'art. 19, comma 5, del citato d.lgs. n. 142, appartiene al Giudice tutelare del luogo ove insiste la struttura di prima accoglienza la competenza per la nomina del tutore provvisorio di un minore straniero non accompagnato entrato illegalmente in Italia, cosicché quest'ultimo possa adeguatamente esercitare i propri diritti di richiedere la protezione internazionale e domandare il rilascio del permesso di soggiorno. Per converso, ha concluso la Suprema Corte, è invece competente alla nomina del tutore il Tribunale per i minorenni, qualora sia pendente un procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità. La Suprema Corte, come sopra evidenziato, si è pronunciata in tema di riparto di competenze tra Giudice tutelare e Tribunale per i minorenni, chiarendo, condivisibilmente, all'esito un percorso argomentativo logico ed ineccepibile, che la competenza in merito alla nomina del tutore e, quindi, a svolgere le attività consequenziali è del primo. Questo orientamento non ha avuto seguito in considerazione dei successivi interventi del legislatore in materia. Il 7 maggio 2017 è entrata in vigore la l. 7 aprile 2017, n. 47 , proprio recante le disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati. La disciplina relativa alla tutela dei minori, trova oggi invero ampia applicazione con riferimento ai minori stranieri non accompagnati, i quali giungono nel territorio italiano da soli e necessitano, nel più breve tempo possibile, dell'individuazione di un tutore che li possa rappresentare nel compimento di tutti gli atti civili e che possa contribuire, unitamente agli enti pubblici coinvolti, alla predisposizione ed attuazione di un progetto adeguato alle loro specifiche esigenze. La crescente necessità di fornire un'adeguata protezione, sotto ogni profilo, al minore particolarmente fragile e vulnerabile, quale è quello non accompagnato, ha così portato alla emanazione della legge da ultimo citata. Con essa sono stati riconosciuti i diritti fondamentali del minore straniero non accompagnato ed in particolare i diritti all'ascolto, alla tutela della salute, all'istruzione ed all'assistenza legale. Sono state inoltre introdotte alcune novità di rilievo, sempre a tutela dei minori stranieri non accompagnati, in tema di: divieto di respingimento; procedimento (e relative competenze); identificazione dei minori (art. 5 che introduce l' art. 19-bis nel d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142 ); indagini familiari e competenze in tema di richieste di permesso di soggiorno (art. 6 e art. 10). L'art. 13 della legge in argomento ha peraltro previsto che il minore straniero, qualora abbia intrapreso e non completato un percorso di inserimento sociale, possa essere affidato ai Servizi sociali, oltre il compimento del diciottesimo anno di età e fino al compimento del ventunesimo anno, con decreto del Tribunale per i minorenni territorialmente competente. Questa stessa Autorità, peraltro, deve ritenersi essere competente a pronunciare il decreto, impugnabile dall'interessato, con il quale, in caso di incertezza e previe verifiche, viene attribuita l'età al minore non accompagnato. È poi sempre il Tribunale per i minorenni a detenere, ai sensi dell'art. 11, l'elenco dei tutori volontari, da istituirsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della medesima l. n. 47. Ad esso possono essere iscritti i privati cittadini, selezionati e formati da parte dei garanti regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano per l'infanzia e l'adolescenza, disponibili ad assumere la tutela di un minore accompagnato o di più minori quando la tutela riguardi fratelli o sorelle. La ratio legis sembrerebbe quindi sostanziarsi nella necessità di riconoscere al minore straniero non accompagnato una tutela «speciale immediata e specifica» dinanzi ad un Giudice specializzato. Ed è qui che si è posto il problema della competenza che ha portato all'emanazione del d.lgs. 22 dicembre 2017, n. 220 . La l. n. 47 del 2017 in diverse disposizioni sopra citate individua nel Tribunale per i minorenni il giudice naturale del minore straniero non accompagnato, laddove la tutela dei minori, di cui al titolo X del c.c., è di competenza funzionale del Giudice tutelare. Peraltro, anche nella legge da ultimo citata vi sono diverse disposizioni che si riferiscono alla tutela ed alla nomina del tutore, senza però attribuire alcuna competenza in merito al Tribunale per i minorenni. Del resto essa è intervenuta modificando anche diverse disposizioni del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, ma non l'art. 19 che esplicitamente attribuisce al Giudice tutelare il compito, già di sua spettanza ex art. 343 c.c., di nominare il tutore nei confronti del minore straniero non accompagnato. In buona sostanza, subito dopo l'emanazione della l. n. 47 del 2017 , non è apparsa attuata l'auspicata concentrazione delle tutele presso un'unica Autorità giudiziaria . Sicché, in Parlamento è stato esaminato l'atto n. 464, contenente lo «schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 , di attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nonché della direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale». All'esito è stato quindi pubblicato il d.lgs. 22 dicembre 2017, n. 220 . Esso, per quel qui rileva, modifica l' art. 19, comma 5, del d.lgs., 18 agosto 2015, n. 142 , con la esplicita previsione della competenza del Tribunale per i minorenni in tema di apertura della tutela e nomina del tutore, «ai sensi degli articoli 343 e seguenti del codice civile, in quanto compatibili e per la ratifica delle misure di accoglienza predisposte...», oltre che con riferimento al decreto di attribuzione dell'età. Il provvedimento di nomina del tutore e gli altri provvedimenti relativi alla tutela sono quindi adottati dal Presidente del Tribunale per i minorenni o da un Giudice da lui delegato ed il reclamo contro i decreti pronunciati dai predetti si propone al collegio, secondo quanto prevede l' art. 739 c.p.c. Parimenti, è stato modificato l' art. 26 del d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 e sono state sostituite, al primo ed al secondo periodo, le parole «giudice tutelare» con «Tribunale per i minorenni». Tale auspicata modifica, nelle stesse esplicitate intenzioni del legislatore delegato, è stata finalizzata ad eliminare «il doppio binario giurisdizionale» che costituisce «un'inutile e dannosa complicazione procedimentale in quanto comporta l'invio doppio di ogni comunicazione da parte delle forze di polizia e degli enti locali, nonché l'avvio di un doppio procedimento presso due distinti uffici giudiziari». È stata quindi creata in capo al Tribunale per i minorenni una nuova competenza, essendo divenuto il Giudice della tutela dei minori stranieri non accompagnati. Sul punto si è recentemente pronunciata Cass. VI, n. 9199/2019. L'ordinanza, in particolare, ha affermato che ai fini dell'applicazione degli istituti di tutela apprestati dall'ordinamento si qualifica come "minore straniero non accompagnato", ex art. 1 della l. n. 47/2017, colui che, non solo sia privo di assistenza materiale, ma anche di soggetti che ne abbiano la rappresentanza legale in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano, allo scopo di garantirne l'interesse superiore e di esercitare la capacità di agire per suo conto, se necessario. Sicché è competente il tribunale per i minorenni, e non il tribunale ordinario in funzione di giudice tutelare, a disporre l'apertura di una tutela per un minore straniero, privo di genitori sul territorio nazionale, ma da questi affidato, con atto notarile, alle cure ed alla rappresentanza legale del fratello, non potendosi ritenere tale forma di delega della responsabilità genitoriale valida nel nostro ordinamento. Rileva, infine, Cass. I, n. 9648/2022 che, in aderenza a Cass. I, n. 41930/2021, ha statuito che ai sensi dell'art. 2 della l. n. 47 del 2017 si qualifica come "minore straniero non accompagnato", ai fini dell'applicazione degli istituti di tutela apprestati dall'ordinamento, il minore che, in base ad un rapporto di affidamento intrafamiliare, goda in Italia di assistenza materiale ma sia, nello stesso tempo, privo di rappresentanza legale per l'impossibilità di riconoscere la validità in Italia di un atto di delega dell'affidamento del minore non riconosciuto nell'ordinamento di provenienza come attributivo della rappresentanza legale del minore. La condizione di minore straniero non accompagnato non può, quindi, ritenersi esclusa per il fatto che il minore si trovi in Italia per motivi familiari o di studio o formazione professionale, non potendo ritenere tale categoria ristretta ai minori che accedono al territorio dello Stato italiano allo scopo di presentare domanda di asilo. La predetta norma non trova applicazione applicazione nei confronti dei minori ucraini giunti in Italia a causa dell'emergenza bellica, per i quali è competente a nominare un tutore internazionale il Console generale per L'Ucraina in forza dell'art. 23 della Convenzione dell'Aja del 1996 e in conformità alle Convenzioni in materia consolare (Convenzione di Vienna del 19 ottobre 1996 e Convenzione consolare tra Italia e Ucraina del 26 dicembre 2016), con conseguente incompetenza in merito del Tribunale per i minorenni (Cass. I, n. 17603/2023). Competenza territoriale e tutela legaleLa disposizione in commento si applica altresì nei confronti dell'interdetto legale, in forza dell'espresso rinvio contenuto nell'art. 32 c.p. all'art. 343 c.c. Assume particolare importanza stabilire quale sia il Giudice territorialmente competente ad aprire la tutela nei confronti dell'interdetto legale, se dunque sia il Giudice del luogo ove egli è ristretto ovvero quello del luogo ove egli ha la propria residenza anagrafica. La corretta individuazione del concetto di sede principale degli affari e degli interessi consente di stabilire quale sia il giudice territorialmente competente nel caso che ci occupa. In diverse pronunce della Suprema Corte il centro di interessi dell'interdetto legale è stato individuato nel luogo di residenza anagrafica, nel luogo di dimora abituale, nel domicilio ed infine nello stesso luogo di detenzione. Tale individuazione è stata in particolare effettuata in forza di una valutazione in concreto della fattispecie di volta in volta al vaglio del Giudice di legittimità (al riguardo si vedano: Cass. VI-I, n. 8875/2011; Cass. I, n. 588/2008; Cass. VI, n. 10373/2013). La successiva Cass. VI-I, n. 1631/2016 ha ulteriormente specificato che il centro di interessi del condannato è un concetto concreto che si presume coincidere con la residenza anagrafica. Tale presunzione può però essere superata mediante attenta verifica di tutte le circostanze esistenti al momento dell'apertura della tutela. In particolare, ed in considerazione della specifica fattispecie, il Supremo consesso ha chiarito che il Giudice competente per l'apertura della tutela, di chi si trovi in stato di interdizione legale per essere stato definitivamente condannato alla pena dell'ergastolo, deve essere individuato in quello del luogo in cui, alla data dell'apertura (coincidente con l'informativa del passaggio in giudicato della sentenza di condanna al Giudice tutelare) l'interdetto abbia la sede principale dei suoi affari ed interessi. Tale luogo, da individuarsi in concreto, è, secondo l'id quod plerumque accidit, quello della sua residenza anagrafica, salva la prova contraria ed in particolare della circostanza che, per effetto della eventuale detenzione (nella specie, cautelare), nel luogo in cui risiedeva (anagraficamente o effettivamente) prima dell'arresto, l'interdetto non abbia più i propri rapporti o interessi principali, e che, dunque, il centro degli stessi si sia spostato nel luogo di detenzione. In senso conforme si è espressa, ancor più di recente, Cass. VI-I, n. 12453/2017 per la quale la competenza del giudice tutelare nei confronti del condannato in stato d'interdizione legale – da individuare al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e destinato a non subire mutamenti in coincidenza di trasferimenti restrittivi del reo ex art. 5 c.p.c. – si determina sulla base dell'ultima residenza anagrafica anteriore all'instaurazione dello stato detentivo. Salvo però che risulti provato, in contrario rispetto alla presunzione di coincidenza con detta residenza, un diverso domicilio, quale centro di affari ed interessi, non identificabile però in sé nel luogo, non prescelto dal detenuto, in cui è stata eseguita la pena detentiva. Trasferimento di tutelaL'art. 343 c.c. prevede infine che la tutela possa essere trasferita nei casi in cui il tutore abbia il domicilio in un circondario diverso da quello del minore o cambi domicilio ovvero si trasferisca in altro circondario. L'espressione «possa essere trasferita» implica che non sia un trasferimento obbligatorio ma basato su ragioni di opportunità; ad esempio se il tutelato ed il tutore si trasferiscono al di fuori del circondario di competenza del Giudice tutelare è opportuno che venga ivi trasferito il procedimento anche per il principio di prossimità territoriale (in merito, Dell'Oro, 23). Se ciò venisse disposto, il trasferimento del domicilio del minore non comporterebbe necessariamente il trasferimento della residenza o della dimora effettiva, che invece potrebbero rimanere invariate (Pazè, 400). Legittimati a chiedere il trasferimento sono il tutore e, secondo la condivisibile prospettazione di alcuni autori, e lo stesso Giudice tutelare che sovraintende alla tutela (Pazè, 323). La dottrina maggioritaria ritiene che non possano autonomamente presentare la domanda il minore, il protutore, i parenti o il pubblico ministero in assenza di un interesse attuale e diretto ad agire (Dell'Oro, 24; Savorani, 13). Il trasferimento della tutela deve essere effettuato dal Tribunale in composizione Collegiale, secondo quanto prevede l'art. 343 c.c. Deve tuttavia segnalarsi che una isolata pronuncia di merito ha ritenuto che il decreto di trasferimento debba essere disposto dal Giudice tutelare, inteso come Tribunale in composizione monocratica, e non dal Tribunale in composizione collegiale (Trib. Novara, 17 ottobre 2003,Foro.it, 2004, I, 2278). Deve infine specificarsi che le disposizioni in tema di trasferimento della tutela, di cui all'art. 343, comma 2, c.c., non trovano applicazione nei confronti dell'emancipato e dell'inabilitato, sia in quanto non espressamente richiamate dagli art. 393 c.c. e 424 c.c. sia in ragione della differenza esistente tra l'interdetto, l'inabilitato e l'emancipato. Solo l'interdetto è difatti privo di capacità di agire e, per tale ragione, il legislatore indica nel domicilio del tutore il luogo volto a radicare la competenza del Giudice tutelare (Cass. I, n. 20164/2004). BibliografiaBisegna, Tutela e curatela, in Nss D.I., XIX, Torino, 1973; Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, Torino, 1997; De Cupis, Della tutela dei minori, in Cian-Oppo Trabucchi (diretto da), Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Dell'Oro, Tutela dei minori, in Comm. S.B., Bologna-Roma, 1979; Finocchiaro-Finocchiaro, Il diritto di famiglia, Milano, 1984; Jannuzzi, in Lorefice (a cura di), Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2000; Pazè, La tutela e la curatela dei minori, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2012; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, Milano, 2003; Savorani, sub art. 343 c.c., in Gabrielli (diretto da), Commentario del codice civile, Torino, 2010; Stella Richter-Sgroi, Delle persone e della famiglia, Commentario del codice civile, Torino, 1967. |