La sorte delle opposizioni esecutive in caso di estinzione dell'esecuzione

05 Aprile 2018

Il presente lavoro esamina la questione relativa alle ripercussioni che l'estinzione dell'esecuzione produce sui giudizi oppositivi.
Premessa

Costituisce affermazione comune in dottrina ed in giurisprudenza che il processo esecutivo, a differenza del processo di cognizione, non si presenta come una sequenza continua di atti preordinati a un unico provvedimento finale, ma come una successione di subprocedimenti e cioè quale serie di atti ordinati e di distinti provvedimenti successivi (v., tra le molte, Cass. civ., 16 gennaio 2007, n. 837). In quest'ottica, il processo esecutivo deve poter procedere indisturbato verso il suo risultato finale; a tal fine, salvo alcune eccezioni introdotte dal legislatore nello scorso decennio allo scopo di accelerare la definizione di alcune questioni insorte nel corso dell'esecuzione (si pensi alle controversie distributive e al giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo debitor debitoris), viene tassativamente vietato al giudice dell'esecuzione di svolgere attività cognitive.

Per permettere ai soggetti che affermino di subire un'ingiusta o illegittima esecuzione di proporre le opportune contestazioni avverso l'attività esecutiva viene allora prevista la possibilità di instaurare appositi giudizi, cd. oppositivi, che danno luogo a parentesi cognitive autonome rispetto al processo di esecuzione e, al contempo, viene attribuito ai soggetti interessati il potere di chiedere ed ottenere la sospensione del processo esecutivo per tutto il tempo necessario alla risoluzione di siffatte controversie.

Dunque, sebbene siano strutturati come giudizi distinti ed autonomi, le opposizioni esecutive di cui agli artt. 615, 617 e 619 del codice di rito sono strettamente collegate al processo esecutivo, traendo la loro giustificazione proprio da contestazioni che hanno origine in quell'ambiente.

Svolta questa premessa, vi è da chiedersi che effetti produca sui giudizi oppositivi l'estinzione del processo esecutivo, per rinuncia agli atti ad opera del creditore (procedente o intervenuto) o per inattività delle parti ai sensi degli artt. 629 e ss. del codice di rito (sulla relativa disciplina si v. V. Colandrea, Estinzione dell'esecuzione, in www.ilProcessoCivile.it).

Il correlato problema dell'oggetto delle opposizioni esecutive

La risoluzione della questione oggetto del presente focus, invero, è strettamente dipendente dalla risoluzione della distinta questione attinente all'oggetto delle opposizioni esecutive.

A tal fine, occorre distinguere tra le opposizioni cd. di merito, quali quella all'esecuzione di cui all'art. 615 e di terzo all'esecuzione ai sensi dell'art. 619 e le opposizioni di forma, di cui all'art. 617 c.p.c..

Mentre non pare dubbio che queste ultime abbiano un oggetto solo processuale, costituito dalla richiesta di dichiarare la nullità formale degli atti esecutivi (o preesecutivi), in relazione alle prime, invece, si contendono in dottrina ed in giurisprudenza varie tesi.

Con precipuo riferimento all'opposizione all'esecuzione, si può schematicamente affermare che si contrappongono almeno tre diverse tesi.

a) Oggetto sostanziale e processuale

Secondo la dottrina maggioritaria, l'oggetto dell'opposizione è rappresentato, oltre che dall'inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, anche dall'accertamento negativo del credito per il quale si procede. Una tale conclusione si fonda in genere sulla natura di questione pregiudiziale di merito dell'accertamento del diritto sostanziale, ovvero sulla considerazione che anche nel nostro caso opera la correlazione tra competenza e thema decisum, nel senso che da ogni norma che assegna «una questione pregiudiziale alla cognizione del giudice per essa competente si ricava la volontà che il giudizio su di essa non sia semplice preparazione logica della decisione principale ma parte integrale di questa» (Oriani). Il riferimento alla competenza per materia lascia chiaramente intendere, quindi, che si vuole una pronuncia idonea anche al giudicato sostanziale.

b) Oggetto soltanto processuale

A giudizio di altra parte della dottrina (Vaccarella) e della giurisprudenza (Cass. civ., Sez. Un., 23 ottobre 2017, n. 24965), l'oggetto del giudizio è il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, quale situazione giuridica diversa dal diritto di obbligazione sottostante, come risulterebbe chiaro, a tacer d'altro, dal fatto che si abilita il creditore a proporre una domanda riconvenzionale nel corso del giudizio di opposizione all'esecuzione, eventualità che andrebbe considerata inutile ove si riconoscesse che il diritto di credito dell'opposto è già coinvolto nell'ambito oggettivo del giudicato sul giudizio di opposizione. Ne deriva che, rigettata l'opposizione, non si forma alcun accertamento idoneo al giudicato in ordine all'esistenza del diritto di credito, né possono impedirsi nuove opposizioni fondate su motivi diversi da quelli precedentemente dedotti.

c) Oggetto soltanto sostanziale

Secondo un'ulteriore tesi, l'opposizione all'esecuzione consiste in un'azione inibitoria a fronte dell'aggressione in atto, nella quale vale come petitum una richiesta di una sentenza che tenga luogo di una revoca della domanda esecutiva (Bove).

Una simile varietà è riscontrabile anche con riguardo all'opposizione di terzo all'esecuzione, osservandosi che poiché il giudizio di opposizione è volto unicamente alla declaratoria della non assoggettabilità dei beni pignorati all'azione esecutiva, il giudice procederà all'accertamento del diritto del terzo in via incidentale, essendo tale attività volta unicamente a impedire l'aggressione esecutiva sul bene, restando così impregiudicata la questione della sua titolarità, che potrà essere riproposta al di fuori del processo esecutivo (Trib. Potenza, 3 marzo 2017). Di conseguenza, si afferma che la decisione sulla sussistenza del diritto vantato dal terzo, diversamente dall'azione di rivendicazione, ha efficacia soltanto incidentale operante all'interno del processo esecutivo e non di cosa giudicata (Trib. Padova, 10 febbraio 2014).

A tale orientamento restrittivo, tuttavia, si contrappone chi ritiene che la sentenza resa sull'opposizione proposta dal terzo decida con efficacia di giudicato non solo la questione relativa alla legittimità dell'attività esecutiva condotta dal creditore sui beni pignorati, ma anche l'esistenza in capo all'opponente del diritto reale (o prevalente) sul bene pignorato, per cui fa stato non solo tra creditore e terzo, ma anche nei confronti del debitore, impedendo che si possa ridiscutere della questione circa l'appartenenza al bene in capo all'opponente al di fuori del processo esecutivo (Miccolis, Metafora).

Gli effetti dell'estinzione dell'esecuzione sui giudizi oppositivi

La risoluzione in un senso o nell'altro della questione relativa all'oggetto delle opposizioni all'esecuzione, come è intuibile, condiziona la risoluzione della questione concernente la sorte delle opposizioni esecutive in caso di estinzione del processo esecutivo.

Alcuni (Oriani, Miccolis), partendo dalla premessa che la sentenza che decide sulle opposizioni di merito sono idonee a fare stato in ordine all'esistenza del diritto sostanziale fatto valere in giudizio, affermano che l'estinzione del processo non impedisce la prosecuzione del giudizio, fatto salvo il caso in cui il terzo espressamente manifesti la sua volontà di non continuare il giudizio di opposizione.

Per altri (Punzi, Luiso), poiché l'accertamento del diritto sottostante alla domanda non è altro che uno strumento per giungere alla declaratoria dell'illegittimità dell'esecuzione, senza che si possa attribuire alcuna efficacia di giudicato in ordine all'accertamento del diritto sostanziale dedotto in giudizio, il venir meno del processo esecutivo elimina ogni interesse alla prosecuzione del giudizio di opposizione con conseguente dichiarazione di cessazione della materia del contendere. Ciò a meno di non ritenere che, a seguito dell'estinzione del processo esecutivo, l'opposizione di merito non venga necessariamente meno, ma si trasformi, a seguito dell'accordo delle parti (debitore e terzo) in un ordinario giudizio di cognizione.

La giurisprudenza, nelle rare occasioni in cui si è occupata del problema, ha operato un opportuno distinguo: mentre nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi, la caducazione dell'intero processo esecutivo (o anche del singolo atto oggetto di opposizione) determina la cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il giudizio, (Cass. civ., 30 maggio 2000, n. 7182, con nota di Scala, in Foro it., 2001, I, 955, con riguardo al caso di sopravvenuta revoca dell'atto opposto), nel caso della pendenza del giudizio di opposizione all'esecuzione, permane l'interesse alla decisione delle opposizioni all'esecuzione in ordine all'esistenza del titolo esecutivo o del credito (Cass. civ., 10 luglio 2014, n. 15761; Cass. civ., 31 gennaio 2012, n. 1353; Cass. civ., 16 novembre 2005, n. 23084).

Laddove però il processo esecutivo venga meno a seguito della sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, detto evento processuale, in quanto elidentel'interesse, giuridicamente rilevante, alla decisione sull'assoggettabilità ad espropriazione dei beni pignorati determina la cessazione della materia del contendere del giudizio di opposizione all'esecuzione, con la conseguenza che le spese devono essere liquidate in base al criterio della soccombenza virtuale (Cass. civ., 9 marzo 2017, n. 6016).

Con riguardo all'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., invece, la giurisprudenza afferma che in quanto giudizio volto all'accertamento della illegittimità dell'azione esecutiva sui beni pignorati, l'estinzione del processo esecutivo comporta la cessazione della materia del contendere del giudizio di opposizione; ciò non esclude che il terzo possa chiedere di proseguire il processo allo scopo di ottenere l'accertamento del proprio diritto sia pure nei soli rapporti tra esso terzo e il debitore esecutato (Cass. civ., 12 aprile 2011, n. 8426; Cass. civ., 7 aprile 2009, n. 8397).

La recente sentenza della Cassazione n. 20924 del 2017

Di recente, la questione di cui si sono tratteggiati i profili è tornata alla ribalta a seguito di una recente decisione della Suprema Corte (7 luglio 2017, n. 20924), la quale, chiamata a decidere sulla sorte del giudizio di opposizione a precetto instaurato dal soggetto passivo di una esecuzione diretta a seguito dello spontaneo rilascio del subconduttore che occupava l'immobile oggetto dell'azione esecutiva, ha affermato che la conclusione del procedimento di esecuzione in forma specifica mediante il rilascio dell'immobile, anche se avvenuto spontaneamente, ma non in base ad un accordo con il creditore procedente, non determina la cessazione della materia del contendere del giudizio di opposizione all'esecuzione nel frattempo proposta, il cui accoglimento, al contrario, comporta la caducazione degli atti esecutivi e il sorgere del diritto dell'esecutato a rientrare nella disponibilità del bene del quale sia stato illegittimamente spossessato.

Come è evidente, ancora una volta la Corte di legittimità fonda la sua decisione sulla sussistenza (o meno) del concreto interesse posto alla base dell'opposizione, così escludendo la cessazione della materia del contendere del giudizio di opposizione ogniqualvolta sia ravvisabile in capo all'opponente l'interesse ad ottenere una pronunzia che accerti la inesistenza del diritto del creditore ad agire in executivis e conseguentemente l'inefficacia degli atti esecutivi posti essere in base all'azione esecutiva poi dichiarata illegittima.

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