Codice Civile art. 374 - Autorizzazione del giudice tutelare 1 .Autorizzazione del giudice tutelare1. [I]. Il tutore non può senza l'autorizzazione del giudice tutelare: 1) acquistare beni, eccettuati i mobili necessari per l'uso del minore, per l'economia domestica e per l'amministrazione del patrimonio; 2) alienare beni, eccettuati i frutti e i mobili soggetti a facile deterioramento; 3) riscuotere capitali; 4) costituire pegni o ipoteche, ovvero consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni; 5) assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l'ordinaria amministrazione del suo patrimonio; 6) accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni, procedere a divisioni; 7) fare compromessi e transazioni o accettare concordati; 8) fare contratti di locazione di immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo il raggiungimento della maggiore età; 9) promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi. [1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 7, lett. a), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". Si riporta il testo anteriore alla suddetta modificazione: «Autorizzazione del giudice tutelare. Il tutore non può senza l'autorizzazione del giudice tutelare: 1) acquistare beni, eccettuati i mobili necessari per l'uso del minore, per l'economia domestica e per l'amministrazione del patrimonio; 2) riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l'ordinaria amministrazione del suo patrimonio; 3) accettare eredità o rinunciarvi , accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni; 4) fare contratti di locazione d'immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo il raggiungimento della maggiore età; 5) promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi». InquadramentoL'attività del tutore non è delegabile ed è sottoposta a penetranti controlli da parte del Giudice tutelare, sia con riferimento alle decisioni inerenti la cura del minore sia con riferimento alla gestione del suo patrimonio. In merito a quest'ultimo aspetto della sua attività, il tutore è tenuto a chiedere al Giudice tutelare l'autorizzazione per compiere gli atti indicati dall' art. 374 c.c. La caratteristica che contraddistingue tutti gli atti disciplinati dalla citata norma è che si tratta di atti non necessari ma opportuni per la conservazione del patrimonio e per le esigenze di cura del minore. Ciò è desumibile anche dal contenuto dell'art. 371 c.c. che si occupa di determinare l'ammontare, prevedibile, per la spesa che annualmente deve essere sostenuta nell'interesse del pupillo (nei limiti della quale il tutore può agire senza alcuna autorizzazione specifica del Giudice tutelare). La disposizione in commento, come quella successiva che disciplina gli atti di straordinaria amministrazione che necessitano dell'autorizzazione del Tribunale, non definisce tuttavia l'atto di straordinaria amministrazione ma si limita ad indicarne alcune specifiche fattispecie. Nel dettaglio, in dottrina varie sono state le teorie volte ad individuare un criterio unitario in forza del quale un atto potesse essere ritenuto di ordinaria o straordinaria amministrazione. La distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione è stata fondata ora sulla idoneità dell'atto ad incidere sull'integrità del patrimonio, ora sulla rischiosità dell'atto per il patrimonio (per la prima Finocchiaro-Finocchiaro, 2056; per la seconda Mirabelli, 367). Taluni hanno inoltre individuato nella distinzione tra atti che incidono sul reddito del minore ed atti che incidono sul patrimonio dello stesso, il criterio per stabilire se un atto sia o meno di straordinaria amministrazione. In particolare si è ritenuto, in forza della diversa incidenza sul patrimonio, di ordinaria amministrazione l'atto incidente sul reddito e di straordinaria amministrazione quello inerente il capitale (Natoli, 147). Tra le diverse tesi che sono state sostenute in dottrina appare meritevole di condivisione la teoria dell'interpretazione normativa. Essa, muovendo dal presupposto secondo cui è lo stesso legislatore a non porre una rigorosa distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, tanto dall'aver collocato un atto in una delle due categorie a seconda delle esigenze contingenti delle singole amministrazioni, esclude la possibilità di rinvenire un criterio unitario di distinzione. Muovendo da tale premessa, la teoria in argomento conseguentemente impone al tutore, oltre agli atti espressamente previsti dalle singole disposizioni del codice, di chiedere l'autorizzazione al Giudice tutelare per compiere atti che, per natura, siano tali da produrre effetti analoghi o simili a quelli disciplinati dal legislatore nelle disposizioni di cui agli artt. 374 c.c. e 375 c.c. (Dell'oro, 198, Bucciante, 562, Jannuzzi, 320, Santarcangelo, 620 e 182, anche per l'analitica ricostruzione delle diverse tesi esistenti). Al fine di stabilire se un atto sia o meno di straordinaria amministrazione può essere utile il ragionamento inverso e dunque può essere d'ausilio all'interprete individuare le caratteristiche tipiche di un atto di ordinaria amministrazione. Aiuta in questo senso una decisione della Corte di Cassazione per la quale, al di fuori delle fattispecie specificatamente individuate ed inquadrate dal legislatore nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione l'atto è tale ove: sia oggettivamente utile per la conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del suo patrimonio; sia di valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in relazione al valore totale del patrimonio del minore; comporti un margine di rischio modesto sempre in relazione al patrimonio del minore. Essendo necessaria la compresenza dei tre requisiti sopra indicati, in assenza anche di uno solo di essi l'atto dovrà essere considerato di straordinaria amministrazione, con quanto ne consegue in termini di obbligatorietà della previa autorizzazione del Giudice tutelare (Cass. III, n. 7546/2003, che ricostruisce peraltro il panorama dottrinale e giurisprudenziale relativo alla qualificazione dell'atto come di straordinaria amministrazione nello stesso senso da ultimo Cass. III, n. 8461/2019). La Suprema Corte, peraltro, relativamente al primo dei tre criteri indicati, ha chiarito che la conservazione del patrimonio, deve essere intesa in senso dinamico. Sicché, atti di per sé non aventi natura conservativa (e persino tipici atti di disposizione dei diritti del minore, come, esemplificativamente, quelli di compravendita), se compiuti a scopo conservativo e di valore non eccessivo rispetto a quello totale del patrimonio (di cui inoltre non alternano le caratteristiche essenziali), ben possono essere considerati di ordinaria amministrazione, sempre che non siano rischiosi ma anzi utili per la conservazione del detto valore totale. In merito all'elencazione contenuta nella disposizione in commento valgono le stesse osservazioni effettuate per quanto concerne l'art. 375 c.c. (al cui commento quindi si rinvia per ulteriori specificazioni). In particolare si ritiene che l'elencazione non abbia carattere tassativo, sebbene nell' art. 374 c.c. non vi sia una previsione analoga a quella di cui all'art. 320 c.c. che estenda la necessità di autorizzazione agli altri atti di straordinaria amministrazione (Bucciante, 722; nel senso della non tassatività De Cupis, 473). Tale conclusione è condivisibile tenuto conto che vi sono numerosi atti che hanno la medesima gravità di quelli ivi previsti e per i quali appare pertanto necessaria la preventiva autorizzazione del Tribunale, tanto più che, altrimenti, si porrebbe il minore sottoposto a responsabilità genitoriale in una posizione deteriore rispetto al minore in tutela. Una volta individuato il criterio alla luce del quale verificare se un atto sia, o meno, di straordinaria amministrazione appare necessario individuare i principi ai quali il giudice tutelare deve attenersi nel decidere in merito alla richiesta autorizzazione da parte del tutore. Il legislatore in merito nulla ha previsto, diversamente dalla disciplina di cui all'art. 320 c.c., pertanto si ritiene che essi debbano essere ricercati nelle disposizioni che regolano l'attività del tutore e, in particolare, nella disposizione contenuta nell'art. 382 c.c. Essa impone difatti al tutore di amministrare il patrimonio del minore con la diligenza media del buon padre di famiglia. Ne consegue che sia illegittima e inopportuna l'autorizzazione del Giudice tutelare che consenta al tutore di compiere un atto non corrispondente al precetto della diligenza media ex art. 382 c.c. (in merito Dell'Oro, 199). È altresì condivisibile la tesi in forza della quale, anche se non espressamente richiamato dalla disposizione in commento, debba applicarsi anche con riferimento agli atti indicati nell' art. 374 c.c., ai fini dell'accoglimento del ricorso, il criterio della necessità o della utilità evidente dell'atto, invece espressamente previsto per le autorizzazioni del minore soggetto a responsabilità genitoriale (Bucciante, 475). L'acquisto di beniGli atti d'acquisto a titolo oneroso di beni immobili e mobili, sono soggetti all'autorizzazione del Giudice tutelare. Tali atti, in particolare, producono l'ingresso di beni nel patrimonio del minore ma, al contempo, comportano l'uscita del corrispettivo necessario per il medesimo acquisto, così determinando l'impiego di capitali. Ciò comporta un evidente rischio economico per il patrimonio del minore, necessitando quindi di autorizzazione del Giudice tutelare (De Cupis, 469; sul punto si vedano anche: Jannuzzi, 402, e Dell'Oro, 200). Diversamente, come previsto dal numero 1 della disposizione in commento, non è necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare per l'acquisto di beni mobili che rivesta carattere di necessità per l'uso del minore, per l'economia domestica e per l'amministrazione del patrimonio (si pensi all'acquisto di uno strumento musicale funzionale alla realizzazione delle aspirazioni del minore). Pertanto, l'autorizzazione sarà necessaria laddove l'acquisto non rivesta la finalità e la natura indicata al citato n. 1. dell' art. 374 c.c., ovvero, per la sua entità, superi il limite di spesa annuale stabilito dal Giudice tutelare ex art. 371 c.c. (si vedano in merito: De Cupis, 469; Dell'Oro 200, il quale ritiene che, ove necessari, non sono soggetti ad autorizzazione gli acquisti di beni mobili registrati). Si ritiene, in quest'ottica, che debbano essere autorizzati gli acquisti di beni voluttuari, di uso eventuale o sussidiario (Dell'Oro, 200). Per converso, non è necessaria l'autorizzazione del Giudice tutelare per l'acquisto di beni mobili necessari per la prosecuzione dell'impresa agricola (App. Roma, 19 maggio 1959, in Temi rom., 1960, 509), trattandosi di beni funzionali alle esigenze primarie del minore. La riscossione di capitali, la cancellazione di ipoteche e lo svincolo di pegniIl tutore non può riscuotere i capitali senza l'autorizzazione del Giudice tutelare al pari dei genitori del minore, ex art. 320 c.c. Con riferimento ad entrambe le disposizioni la finalità di sottoporre la riscossione del capitale all'autorizzazione del Giudice tutelare è caratterizzata dalla necessità che sia il Giudice a stabilirne il reimpiego nel modo più confacente alle esigenze del minore (De Cupis, 470; Dell'Oro, 201). Ciò implica che la disposizione non possa trovare applicazione con riferimento a somme dovute al minore e funzionali, ex se, alle sue esigenze come i ratei pensionistici e gli arretrati degli stessi (Trib. Milano, decreto 31 ottobre 2013). Sono inoltre esclusi da tale disposizione la riscossione di interessi, canoni e pigioni, atteso che la riscossione, di cui all' art. 374 c.c. è quella relativa a ad una somma di denaro destinata a produrre interessi, distinta dai frutti civili e naturali derivanti dalla stessa (Dell'Oro, 201). Sono esclusi dalla disposizione i frutti naturali e civili spettanti al minore. Ciò lo si desume dal n. 5 dell' art. 374 c.c.., che consente al tutore di agire in giudizio per riscuotere i frutti, senza la preventiva autorizzazione del Giudice tutelare, e soprattutto dall'art. 371 c.c., che consente al tutore, sotto le direttive del Giudice tutelare, di stabilire le modalità attraverso le quali frutti, pigioni ed in genere tutte le entrate del minore vengano utilizzati per il soddisfacimento delle necessità del pupillo (Dell'Oro, 201; Bucciante, 658; Jannuzzi, 403). Sono oggetto di autorizzazione anche le cancellazioni di ipoteche e lo svincolo di pegni, atteso che con le prime si verifica l'ingresso di un capitale nel patrimonio del minore e con le seconde vi è la perdita di una garanzia (De Cupis, 470; Dell'Oro, 202, quest'ultimo specifica che trattasi di un'unica autorizzazione relativa al compimento di due distinti atti). Si evidenzia in dottrina che il Giudice può anche autorizzare la cancellazione di ipoteca o lo svincolo di un pegno relativi ad un credito estinto non in modo satisfattivo, senza dover a tal fine instaurare un giudizio in sede contenziosa, atteso che non parrebbe giusto costringere il debitore o il terzo datore di ipoteca ad instaurare un processo e l'incapace a subirlo per accertare l'estinzione del credito quanto questa è pacifica. In tal caso verrebbe peraltro a mancare l'interesse ad agire (Jannuzzi, 443, che ricostruisce le tesi esistenti sul punto). È disciplinata dalla disposizione in commento anche l'assunzione di obbligazioni dal lato passivo, tra cui rientra il contratto dimutuo. In questo caso il minore deve assumere la veste di debitore in quanto si ritiene che ove egli conceda il mutuo non sia necessaria l'autorizzazione del Giudice tutelare (Dell'Oro, 203). Si discute in merito alla competenza per quanto concerne le obbligazioni cambiarie. Per parte di dottrina esse sono di competenza del Tribunale (De Cupis, 483) per altri invece del Giudice tutelare, atteso che trattasi di assunzione di un'obbligazione (Dell'Oro 204; Santarcangelo, 638, Jannuzzi, 419). In particolare i sostenitori della prima tesi ritengono che l'art. 10 del r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669, preveda che il tutore, non autorizzato all'esercizio del commercio per conto del minore, possa assumere obbligazioni cambiarie a seguito di apposita autorizzazione, quella stessa che era attribuita al consiglio di famiglia e doveva essere sottoposta ad omologazione del tribunale. Sicché, il rinvio operato dalla legge cambiaria al codice civile implicherebbe l'applicazione della corrispondente disciplina di cui all'art. 375 c.c. (De Cupis, 483). Successioni, donazioni, ed autorizzazione del Giudice tutelareL'accettazione e la rinuncia dell'eredità, delle donazioni e dei legati (se soggetti a pesi e condizioni) sono anch'esse sottoposte alla previa autorizzazione del Giudice tutelare. L'accettazione dell'eredità è atto di grande importanza e gravità, avendo ad oggetto un complesso di diritti ed anche di obblighi patrimoniali. Per tale ragione essa è sottoposta ad una duplice cautela, l'autorizzazione del Giudice tutelare ed il beneficio d'inventario (De Cupis, 470; sul punto Jannuzzi, 345; Santarcangelo 631, che individua la ratio della disposizione nella natura straordinaria del relativo atto di amministrazione). Con specifico riferimento all'accettazione di legati e donazioni deve evidenziarsi che analoga disposizione è contenuta nell'art. 320 c.c., tuttavia vi è una significativa differenza in quanto in quest'ultima ipotesi i genitori sono tenuti, in una situazione peggiorativa rispetto al tutore, a chiedere l'autorizzazione anche per accettare legati e donazioni liberi da pesi e condizioni (sul punto Bucciante, 657; Jannuzzi, 632). Per taluni tale diversità si pone in contrasto con il dettato Costituzionale ed in particolare, con gli artt. 3 e 30 Cost., mentre secondo altri (Dell'Oro, 207) tale diversità non avrebbe significativo rilievo in quanto il tutore sarebbe oggetto di maggiori, specifici e penetranti controlli da parte del Giudice tutelare. Per altri ancora la disciplina prevista per i minori sottoposti a responsabilità genitoriale dovrebbe applicarsi anche ai minori sottoposti a tutela, con la conseguenza che anche il tutore dovrebbe chiedere l'autorizzazione per accettare ogni tipo di donazione o legato (in merito Pelosi, 779; Santarcangelo, 633). Da ultimo è stata evidenzia l'improprietà dell'espressione utilizzata dal legislatore, «accettare legati», in quanto i beni entrano a far parte del patrimonio del legatario automaticamente. Si tratterebbe, pertanto, di una conferma dell'acquisto il cui effetto è quello di rendere irretrattabile quello già verificatosi, escludendo la facoltà di rinunzia che altrimenti sussisterebbe (Dell'Oro, 207; De Cupis, 470). Si condivide l'opinione di chi ritiene che debba essere autorizzata la rinuncia al legato, anche se non espressamente annoverata dall' art. 374 c.c., in quanto, comportando la perdita di un bene già acquisito, costituisce un atto di straordinaria amministrazione (Jannuzzi-, 352). Parimenti soggetta all'autorizzazione del Giudice tutelare è la rinuncia all'eredità, attesa la gravità inerente all'efficacia abdicativa della rinunzia al patrimonio ereditario (De Cupis, 470). Locazioni ultranovennali e casi particolariÈ soggetta all'autorizzazione del Giudice tutelare anche la locazione ultranovennale di beni immobili, sia nel caso di minore locatore che di minore conduttore, atteso che, in entrambi i casi, il vincolo temporale imposto può limitare la disponibilità ed il godimento del bene per lungo tempo ovvero ridurre sensibilmente il patrimonio in forza del pagamento dei canoni oltre i nove anni (Dell'oro, 209; De Cupis, 471). L'autorizzazione è prevista, per le medesime ragioni, anche nel caso di locazioni infranovennali che si protraggano oltre l'anno rispetto al raggiungimento della maggiore età del pupillo. La disposizione, in particolare, nulla prevede nel caso di rinnovo di locazioni infranovennali ma la dottrina più autorevole ritiene che in questo caso l'atto debba essere autorizzato dal Giudice tutelare, potendosi altrimenti eludere la norma e la finalità ad essa sottesa (Dell'Oro, 209, Jannuzzi, 494). Anche l'anticipazione del corrispettivo delle locazioni per una durata superiore ad un anno costituisce atto eccedente l'ordinaria amministrazione, ne consegue che debba essere sottoposta all'autorizzazione del Giudice tutelare (De Cupis, 472, Dell'Oro, 202). La norma si riferisce esplicitamente alla locazione di beni immobili laddove la disposizione contenuta nell'art. 320 c.c., che contempla la medesima fattispecie con riferimento all'esercizio della responsabilità genitoriale, non aggiunge o specifica il requisito della natura immobiliare dei beni locati. Tale differenza è superabile considerando che anche le locazioni ultranovennali mobiliari, in base all' art. 1572, comma 1, c.c., rientrano tra gli atti di straordinaria amministrazione, intesi come atti di assunzione di un obbligazione, e sono quindi sottoposti all'autorizzazione del Giudice tutelare (De Cupis, 472). In dottrina si ritiene inoltre che debbano essere autorizzati i negozi ad esecuzione continuata o periodica che si protraggano oltre i nove anni ovvero durino oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età (sul punto Santarcangelo, 658; Bucciante, 659). L'autorizzazione a promuovere giudiziIl tutore rappresenta processualmente il minore in forza di quanto previsto dall'art. 357 c.c. La disposizione in commento, tuttavia, prevede che il tutore ove intenda promuovere un giudizio nell'interesse del minore debba essere autorizzato previamente dal Giudice tutelare. La necessità dell'autorizzazione è dovuta alla necessaria preventiva valutazione da parte del Giudice tutelare dell'utilità dell'atto oltre che della sua funzionalità alle esigenze del minore e l'eventuale temerarietà della lite che si intende intraprendere (con conseguenti possibili danni per il minore), con annessa possibilità di soccombenza in giudizio. Non è soggetta a tale autorizzazione, e, quindi, alla valutazione di cui innanzi, la costituzione del tutore come convenuto, in quanto, in questo caso, egli rappresenta il minore al fine di preservarne le ragioni in giudizio e di tutelarne il patrimonio. L'iniziativa del tutore, per le medesime ragioni, è «libera» per tutte le azioni dirette ad ottenere provvedimenti di natura conservativa, azioni ex art. 700 c.c., accertamenti negativi di pretese altrui (Dell'Oro, 213). È stato, in quest'ottica, affermato che il tutore non necessiti, in particolare, di alcuna autorizzazione per il compimento di atti aventi carattere conservativo tra i quali: sequestro; provvedimenti cautelari di cui all' art. 700 c.c.; rivendica, opposizione alla dichiarazione di adottabilità; azione di alimenti; azione di simulazione; richiesta di risarcimento danni; opposizione all'esecuzione e al fallimento ovvero per l'impugnazione in secondo grado della decisione (ex plurimis: Cass. II, n. 23647/2004; Cass. I, n. 1345/1998; Cass. III, n. 3977/1983; Cass. I, n. 1707/1981; Cass. II, n. 1546/1974, in Giust. civ. mass., 1974, 700). La mancata costituzione in giudizio da parte del tutore è suscettibile di responsabilità risarcitoria da parte sua verso quest'ultimo per gli eventuali conseguenti danni (De Cupis, 473). Di talché, ove l'attività del tutore non abbia meramente carattere difensivo ma si traduca anche nella proposizione di domande riconvenzionali, con riferimento a questo specifico aspetto deve ritenersi necessaria l'autorizzazione del Giudice tutelare, così come l'opposizione all'esecuzione, con la quale l'opponente in veste di attore instaura un nuovo processo (De Cupis, 473). In questo senso si è espressa anche la Suprema Corte, con decisione risalente ma sul punto non contraddetta (Cass. II, n. 1151/1953, in Foro.it., 1954, I, 45). Deve in questa sede altresì osservarsi che sebbene il tutore non debba essere autorizzato a costituirsi in veste di convenuto nel processo instaurato nei confronti del pupillo, laddove le azioni intentate dai terzi dipendano da condotte del tutore, è opportuno che egli comunichi al Giudice tutelare tali eventi, in quanto suscettibili di valutazione anche ai fini della sospensione o della rimozione dall'esercizio della funzione ex art. 384 c.c. (si pensi all'ipotesi in cui le azioni promosse nei confronti del pupillo per condotta negligente del tutore). Ove il tutore venisse autorizzato a promuovere un giudizio, l'autorizzazione potrebbe essere sia generica sia riferirsi a specifici gradi di esso. Non è invece necessaria, per espressa previsione legislativa, alcuna autorizzazione per le azioni di nuova opera e di danno temuto, le azioni possessorie o di sfratto, le azioni per riscuotere i frutti etc. Si ritiene infatti che l'urgenza ovvero la limitatezza del fine perseguito con tali azioni prevalgano sul rischio della soccombenza (De Cupis, 474). Con riferimento alla interdizione, nei cui confronti trovano applicazione le disposizioni relative alla tutela dei minore, è stato affermato inoltre che sia necessaria l'autorizzazione del Giudice tutelare per proseguire l'azione già intrapresa dall'interdetto, prima della sentenza di interdizione, in quanto in tale ipotesi la preventiva valutazione in ordine all'interesse e al rischio economico è già stata compiuta dall'interessato prima della perdita della capacità (Cass. II, n. 7068/2009; Cass. II. n. 23647/2004). Non è per converso necessaria, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, l'autorizzazione del Giudice tutelare per difendere gli interessi del minore dalle iniziative processuali altrui, compresa la facoltà di eventuali impugnazioni (Cass. II; n. 722/1989; Cass. n. 1707/1981, in Dir. fam., 1981, 720). Parimenti, il negozio di accertamento non richiede la preventiva autorizzazione del Giudice tutelare non avendo carattere dispositivo (Cass. II, n. 11748/2003). Per quanto concerne l'amministrazione di sostegno, la Corte di Cassazione ha chiarito come il beneficiario conservi, durante la vigenza della misura di protezione, la legittimazione ad impugnare i provvedimenti pronunciati dal giudice tutelare mentre sussiste la necessità dell'autorizzazione per l'instaurazione di giudizi in caso di terzi estranei alla procedura (Cass. I, n. 5380/2020). La Corte ha affermato quanto innanzi, alla luce del contenuto dell'art. 406 c.c., quale evidente deroga all'art. 75 c.p.c. ed evidenziando come, diversamente ragionando sussisterebbe una sorta di evidente conflitto di interessi in cui si troverebbe, diversamente, lo stesso giudice tutelare che sarebbe chiamato a valutare l'impugnabilità dei provvedimenti dallo stesso emessi. Un'isolata e risalente pronuncia di merito ha ritenuto non necessaria l'autorizzazione in caso di riassunzione di un giudizio già ritualmente instaurato (App. Napoli, 29 agosto 1950, in Dir. giur., 1951, 107). Diversamente, nei casi in cui il tutore si sia costituito in giudizio senza l'autorizzazione del Giudice tutelare (ove necessaria in forza di quanto previsto dalla disposizione in commento), si determina un vizio di legittimazione processuale che, non attenendo a materia disponibile, determina la nullità dell'intero giudizio e deve essere rilevato d'ufficio dal giudice (ex plurimis, per la giurisprudenza di legittimità, Cass. II, n. 11344/2003; Cass. II, n. 14869/2000, e, per quella di merito, Trib. Roma, 8 luglio 2011; Trib. Milano, 14 marzo 2002, in Giur. mil., 2002, 425). In merito alla possibilità di sanare il vizio di costituzione del tutore nel corso del giudizio, Cass. II, n. 3589/1993 ha affermato che la domanda di annullamento per incapacità naturale, ex art. 428 c.c., del contratto concluso dall'interdicendo, proposta dal tutore provvisorio in assenza dell'autorizzazione prescritta dall' art. 374 c.c., ha effetto interruttivo della prescrizione a norma dell' art. 2943 c.c. È stato in particolare evidenziato che la mancanza di autorizzazione integra la mera inefficacia della costituzione in giudizio, che può essere sanata ex tunc a norma dell'art. 182 c.p.c. e che, comunque, può essere fatta valere soltanto nell'interesse della parte tutelata e non a suo danno. L'anzidetto effetto interruttivo rimane fermo anche in caso di estinzione del processo ai sensi dell' art. 2945, comma 3, c.c. In tema di interdizione, infine, il tutore, in assenza di specifica previsione normativa non può proporre autonomamente domanda di divorzio ma, in applicazione analogica delle norme in tema di divorzio (art. 4, comma 5, della l. 1 dicembre 1970, n. 898), può proporla per lui un curatore speciale nominato ai sensi dell'art. 78 e s.s. c.c. su ricorso dello stesso tutore (Cass. I, n. 9582/2000). Il procedimento: profili caratterizzantiL'autorizzazione deve essere chiesta dal tutore salva l'ipotesi di opposizione di interessi di cui all'art 360 c.c., nel qual caso la domanda deve essere presentata dal protutore, con ricorso al Giudice tutelare del luogo ove il minore ha il suo domicilio ex art. 45 c.c.. L'autorizzazione può essere sia modificata che revocata, in tal caso, tuttavia, restano salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. L'autorizzazione è difatti presupposto di validità dell'atto che incide sulla legittimazione a compierlo, integrandolo (Jannuzzi, 268), avente la funzione di rimuovere un ostacolo posto dall'ordinamento all'esercizio del potere di amministrazione di cui sia già titolare il soggetto (Dell'Oro, 233, Jannuzzi, 269). Essa deve quindi necessariamente precedere l'atto ed il suo difetto non può essere supplito da una autorizzazione successiva alla stipulazione del contratto (Bucciante, 574). In questo senso si è espressa anche la Suprema Corte, con decisione risalente ma non contraddetta, la quale ha in particolare chiarito che l'autorizzazione non è diretta a conferire efficacia ad un negozio giuridico già formato ma è elemento costitutivo della stessa, dovendo pertanto sussistere al momento della sua realizzazione (Cass. I, n. 3088/1979). Si ritiene che il Giudice tutelare possa con il provvedimento di autorizzazione modificare o sopprimere clausole ovvero aggiungerne di nuove (Dell'Oro, 209). La decisione del giudice tutelare ha la forma del decreto ed è immediatamente efficace. Il decreto del Giudice tutelare, infine, una volta pronunciato è quindi reclamabile nel termine di dieci giorni, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento, dinanzi al Tribunale, ex art. 45 disp. att. c.c. il quale decide, ex art. 739 c.p.c., in composizione monocratica, ove il decreto riguardi questioni patrimoniali e gestorie, mentre per tutti gli altri provvedimenti in composizione collegiale. Il provvedimento pronunciato da quest'ultimo non è però impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione, ex art. 111 Cost., poiché privo del carattere di decisorietà e definitività, essendo modificabile e revocabile in ogni tempo per motivi originari e sopravvenuti, e non essendo diretto alla risoluzione di una controversia concernente diritti soggettivi o status. In tal senso ha statuito Cass. I, n. 1611/2009, in fattispecie inerente ricorso avverso provvedimento di accoglimento di reclamo contro il decreto del Giudice tutelare che aveva autorizzato il genitore, esercente la «potestà» sul figlio minore, ad accettare l'eredità di un parente ed a promuovere giudizio di riduzione delle disposizioni testamentarie non essendo deputato a risolvere controversie su diritti soggettivi (in questo senso da ultimo Cass. I, n. 3493/2018, in tema di autorizzazione alla riscossione di capitali nell'ambito dell'amministrazione di sostegno). L'autorizzazione ad alienare i beni e gli ulteriori atti di straordinaria amministrazione originariamente previsti dall'art. 375 c.c.A seguito dell'abrogazione dell'art. 375 c.c. ad opera dell' art. 1, comma 7, lett. b, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, il Giudice tutelare è divenuto competente per tutte le autorizzazioni che in precedenza la citata norma attribuiva al Tribunale così' uniformandosi e snellendosi il procedimento autorizzativo. Si rinvia per l'analisi delle singole fattispecie al commento dell'art. 375 c.c. ed in particolare ai paragrafi dal 3 al 5. BibliografiaBisegna, Tutela e curatela, in Nss. D.I., XIX, Torino, 1973; Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Rescigno (diretto da) Trattato di diritto privato, Torino, 1997; De Cupis, Della tutela dei minori, sub artt. 343-389, in Cian-Oppo Trabucchi (diretto da) Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Dell'Oro, Tutela dei minori, in Comm. 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