Codice Civile art. 384 - Rimozione e sospensione del tutore.

Annachiara Massafra

Rimozione e sospensione del tutore.

[I]. Il giudice tutelare può rimuovere dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza [382] o abbia abusato dei suoi poteri, o si sia dimostrato inetto nell'adempimento di essi, o sia divenuto immeritevole dell'ufficio per atti anche estranei alla tutela, ovvero sia divenuto insolvente [393].

[II]. Il giudice non può rimuovere il tutore se non dopo averlo sentito o citato; può tuttavia sospenderlo dall'esercizio della tutela nei casi che non ammettono dilazione [45 2 att.; 129 2 trans.].

Inquadramento

L'art. 384 c.c. disciplina una delle possibili cause che determinano la cessazione dell'ufficio del tutore: la rimozione.

Quest'ultima, a differenza dell'esonero disciplinato dalla disposizione precedente, opera in funzione della tutela dell'interesse del minore (Dell'Oro, 260).

Nel dettaglio, la fattispecie disciplinata dal legislatore attribuisce al Giudice tutelare il potere, discrezionale, di rimuovere il tutore dall'ufficio qualora nell'esercizio della tutela abbia dimostrato con la propria condotta di essere immeritevole dell'ufficio, inetto nell'adempimento dei doveri, abbia abusato dei predetti o non abbia usato la diligenza del buon padre di famiglia nell'assolvere ai propri compiti.

La rimozione costituisce secondo taluni una sanzione a carico del tutore (De Cupis, 508; Stella Richter-Sgroi, 541); secondo altra dottrina, invece, essa è un rimedio per tutelare il pupillo, scongiurando la reiterazione di condotte pregiudizievoli in suo danno (Dell'Oro, 260, Jannuzzi, 196, Santarcangelo, 525, il quale la definisce «un rimedio preventivo»).

Le fattispecie tipiche

Le condotte tipiche sono dunque cinque.

La prima si sostanzia nella violazione dei doveri di cui all'art. 382 c.c., e si concretizza in condotte in cui è ravvisabile la negligenza del tutore, come il porre in essere in ritardo o non porre in essere atti necessari per la tutela e la conservazione del patrimonio del minore (Dell'Oro, 260).

L'abuso dei poteri costituisce la seconda fattispecie tipizzata dal legislatore. Il tutore è tenuto ad esercitare i suoi poteri nel limite corrispondente all'interesse del minore, al di fuori del proprio personale interesse (così De Cupis, 507, in merito anche Dell'Oro, 260). L'abuso potrebbe realizzarsi peraltro attraverso condotte già stigmatizzate dal legislatore, come quelle di cui all'art. 378 c.c. In questo caso la condotta posta in essere dal tutore oltre a determinare l'invalidità dell'atto potrà essere oggetto di valutazione in forza della disposizione in commento.

Parimenti, condotte che siano dimostrative dell'inettitudinee della immeritevolezza del tutore possono determinarne la rimozione. Di possibile vario contenuto, tali condotte possono essere tenute sia nell'ambito che al di fuori dell'esercizio della tutela. Tuttavia deve trattasi di fattispecie tali da far ritenere che la scelta del tutore non sia ricaduta in realtà su persona idonea all'ufficio nonché di ineccepibile condotta tale da dare affidamento di essere in grado di supplire in modo idoneo alla responsabilità genitoriale esercitata dai genitori (De Cupis, 507; con riferimento alla immeritevolezza si ritiene che si concreti in condotte esterne alla tutela, Dell'Oro, 261). L'inettitudine potrà quindi essere ravvisata in condotte che dimostrino l'incapacità anche di saper educare e crescere il minore (sul punto Dell'Oro, 261, per il quale non è necessaria alcuna valutazione in tema di dolo o di colpa del tutore).

La quinta fattispecie prevista dalla disposizione in commento è costituita dai comportamenti in cui si concreta l'insolvenza del tutore.

Tra le condotte che possono rientrare nella disposizione in commento rientra il fallimento, tale circostanza è però già stata prevista dalla disposizione di cui all'art. 350 c.c. che inibisce, in questo caso, la nomina di tutore, e ove già avvenuta (si pensi al caso di una dichiarazione di fallimento successiva alla nomina) determina la cessazione dall'ufficio. L'insolvenza può quindi intendersi, in questa sede, in senso ampio e fare riferimento a condotte inerenti le modalità di gestione del denaro da parte del tutore che costituiscano espressione della inidoneità del predetto ad amministrare i beni del pupillo (si pensi a persona che non adempie alle proprie obbligazioni verso i terzi, o alla mancata prestazione della cauzione di cui all'art 381 c.c.).

Altre fattispecie sono poi previste nell'ambito della disciplina della tutela.

L'art. 368 c.c. prevede infatti che ove il tutore ometta consapevolmente di dichiarare i debiti che egli abbia nei confronti del minore possa essere rimosso dalla tutela così come per l'ipotesi di mancato deposito dellinventario di cui all'art. 362 c.c.

La disciplina prevista per il tutore trova applicazione nei confronti del protutore, secondo taluni per ragioni di analogia (De Cupis, 508) mentre per altri in forza degli artt. 382 c.c., 355 c.c. e 44 disp. att. c.c. (Dell'Oro, 264).

Il procedimento

Laddove il tutore abbia posto in essere una delle condotte previste dalla disposizione in commento, nel silenzio della norma, deve ritenersi che chiunque possa segnalare tale circostanza al Giudice tutelare e che questi possa agire d'ufficio nell'ambito dei suoi poteri di vigilanza (in merito si vedano De Cupis, 508, Dell'Oro, 262).

L'aver posto in essere una delle condotte previste dall'art. 384 c.c. non determina l'automatica cessazione dall'incarico. Non solo la condotta deve essere valutata dal Giudice tutelare ma deve essere altresì garantita al tutore la possibilità di difendersi e di rappresentare le proprie ragioni. A tal fine egli deve essere sentito previamente dal Giudice tutelare. Qualora peraltro il tutore venga regolarmente convocato e consapevolmente non si presenti all'udienza fissata, deve ritenersi che il Giudice tutelare possa comunque pronunciare la rimozione essendo stato il tutore non solo messo a conoscenza delle contestazioni al suo operato ma anche, e soprattutto, posto nella condizione di giustificare le proprie condotte. Diversamente, il Giudice tutelare non è tenuto a sentire altri, salvo che non ritenga opportuno sentire il protutore e può acquisire informazioni ove ritenuto utile (Dell'Oro, 260).

Nel caso in cui sussista la necessità di provvedere con urgenza, il giudice tutelare ha il potere di sospendere il tutore dall'esercizio delle funzioni, in attesa dell'udienza fissata per sentirlo ed al fine di non pregiudicare il minore ed il suo patrimonio. La sospensione è totale cioè riguarda l'esercizio delle funzioni relative alla cura della persona ed all'amministrazione del patrimonio (Dell'Oro, De Cupis, 265, 432; sul punto altresì Santarcangelo, 527). Essa determina, peraltro, che sia il protutore, nelle more della definizione del procedimento, esercitando le sue funzioni vicarie, a porre in essere gli atti urgenti e conservativi nonché quelli necessari per la cura del minore (Bucciante, 728).

Il decreto con il quale il Giudice tutelare dispone la rimozione del tutore soggiace alle regole generali in tema di provvedimenti di volontaria giurisdizione; esso è dunque reclamabile dinanzi al Tribunale per i minorenni, ex art. 45 disp. att. c.c., ma non è ricorribile in sede di legittimità in quanto revocabile e modificabile in ogni tempo   (Cass. I, n. 617/1998).

La Corte di Cassazione ha specificato, al riguardo, che il decreto di rimozione, anche sotto l'aspetto sostanziale, costituisce un intervento di tipo ordinatorio ed amministrativo. In particolare è stato affermato che, pur coinvolgendo posizioni di diritto soggettivo, il decreto di rimozione non risolve conflitti con attitudine al giudicato ma realizza un atto di gestione di interesse altrui reso sulla base di un apprezzamento sempre revocabile e modificabile per la sopravvenienza di nuovi elementi di valutazione ovvero in base al riesame di quelli già considerati (in questo senso Cass. I, n. 2205/2003; Cass. VI, n. 10187/2011).

Tuttavia, autorevole dottrina, ha condivisibilmente osservato che sarebbe poco conforme alla dignità, al prestigio dell'ufficio tutelare ed all'esigenza di sicura protezione del minore la successiva reintegra di un tutore rimosso per comportamento incompatibile con la conservazione dell'ufficio (De Cupis, 509).

La disposizione in commento, infine, trova applicazione anche nei confronti del tutore, del protutore dell'interdetto, del curatore dell'emancipato (ex art. 424 c.c.) e dell'amministratore di sostegno in forza d quanto previsto dall'art. 411 c.c.

Bibliografia

Bisegna, Tutela e curatela, Nss. D.I., XIX, Torino, 1973; Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Rescigno (diretto da) Trattato di diritto privato, Torino, 1997; De Cupis, Della tutela dei minori, sub Artt. 343-389, in Cian-Oppo Trabucchi (diretto da), Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Dell'Oro, Tutela dei minori, in Comm. S.B., artt. 343-389, Bologna- Roma, 1979; Jannuzzi in Lorefice (a cura di), Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2000; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, Milano 2003; Stella Richter- Sgroi, Delle persone e della famiglia, in Commentario del codice civile, Torino, 1967.

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