Codice Civile art. 116 - Matrimonio dello straniero nello Stato.

Giuseppe Buffone

Matrimonio dello straniero nello Stato.

[I]. Lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello Stato deve presentare all'ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell'autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio [17 prel.], nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano (1).

[II]. Anche lo straniero è tuttavia soggetto alle disposizioni contenute negli articoli 85, 86, 87, numeri 1, 2 e 4, 88 e 89.

[III]. Lo straniero che ha domicilio o residenza nello Stato deve inoltre fare la pubblicazione secondo le disposizioni di questo codice [93 ss].

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 25 luglio 2011, n. 245, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma, limitatamente alle parole «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano», che erano state inserite nell'articolo dall''art. 1, comma 15, della l. 15 luglio 2009, n. 94.

Inquadramento

L'art. 115 c.c. offre base normativa al matrimonio celebrato all'estero ma da persona con cittadinanza italiana. Al contrario, l'art. 116 disciplina il matrimonio celebrato in Italia ma da persona con altra cittadinanza (straniero). La Legge 15 luglio 2009 n. 94 aveva modificato l'art. 116 c.c. introducendo un onere aggiuntivo in capo allo straniero per contrarre matrimonio: in particolare, l'obbligo di presentare «un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano». Come aveva chiarito il Ministero dell'Interno, con circolare del 7 agosto 2009 n. 19, per effetto della nuova disposizione, il matrimonio dello straniero (extracomunitario) era subordinato alla condizione che lo stesso fosse regolarmente soggiornante sul territorio nazionale.

La Corte Costituzionale, con sentenza 20 luglio 2011 n. 245, ha dichiarato l'incostituzionalità di questa aggiunta normativa ritenendo che la previsione di una generale preclusione alla celebrazione delle nozze, allorché uno dei nubendi risulti uno straniero non regolarmente presente nel territorio dello Stato, rappresenti uno strumento non idoneo ad assicurare un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diversi interessi coinvolti. Lo straniero che ha domicilio o residenza nella Repubblica deve far fare la pubblicazione secondo le disposizioni del codice civile.

Matrimonio dello straniero in Italia

Anche per il matrimonio dello straniero in Italia, la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio (art. 27 l. n. 218/ 1995). Per quanto riguarda la forma, esso è valido se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione ( lex loci ) o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento (art. 28 l. n. 218/ 1995).

Al fine di attestare le condizioni per contrarre matrimonio (poiché regolate dalla legge nazionale dello straniero) il nubendo deve presentare all'ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell'autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio: si evita, in questo modo, che l'ufficiale italiano debba avventurarsi in complicate ed ardue verifiche in ordine alla disciplina vigente in altri Paesi (Sesta, 373). Si tratta, in buona sostanza, di «un nullaosta» dell'Autorità competente che, in genere, è il Consolato dello Stato di cui lo sposto è cittadino. Nel caso in cui lo straniero sia apolide o rifugiato, può farsi riferimento alla legge dello Stato di domicilio o, in mancanza, alla legge dello Stato di residenza (art. 19 l. n. 218/ 1995). Anche lo straniero è comunque soggetto alle disposizioni contenute negli articoli 85 (interdizione), 86 (libertà di stato), 87, numeri 1, 2 e 4 (parentela, affinità), 88 (delitto) e 89 (divieto temporaneo di nuove nozze). L'art. 116 c.c. non richiama l'art. 84 c.c., in materia di età minima per celebrare l'unione: tuttavia, là dove il nubendo abbia meno di 16 anni, il divieto matrimoniale risponde a ragioni di ordine pubblico a protezione di interessi primari costituzionali (Finocchiaro, 108).

Il rifiuto dell'ufficiale

In mancanza del nullaosta dell'autorità consolare o comunque competente, l'ufficiale dello Stato Civile può rifiutare la celebrazione del matrimonio rilasciando un atto di rifiuto motivato (v. art. 112 c.c.). Contro il rifiuto è dato ricorso al Tribunale che procedere in Camera di Consiglio, sentito il Pubblico Ministero (v. artt. 112 c.c., 95 d.P.R. n. 396/2000). Sussiste la giurisdizione italiana ex art. 9 l. 218/1995.

Nel merito, è bene osservare che l'atto certificativo previsto dall'art. 116 c.c. non ha valenza esclusiva: nei casi in cui la presentazione del nulla-osta sia resa impossibile o dalle circostanze di fatto esistenti nel proprio Paese oppure da una legislazione prevedente condizioni per il matrimonio contrarie all'ordine pubblico, lo straniero deve ritenersi ammesso provare con ogni mezzo la ricorrenza delle condizioni per contrarre matrimonio secondo le leggi del proprio Paese ad eccezione, eventualmente, di quelle che contrastino con l'ordine pubblico (così dovendosi interpretare l'art. 116 c.c. in senso conforme alla Costituzione, v. Corte cost., ordinanza 30 gennaio 2003 n. 14). Questa interpretazione si rende pure necessaria per armonizzare il diritto interno alla Carta Fondamentale dei Diritti (CEDU) avendo la Corte di Strasburgo affermato che il margine di apprezzamento riservato agli Stati in materia di capacità matrimoniale dello straniero non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale garantito dalla Convenzione (sentenza Corte EDU 14 dicembre 2010, O'Donoghue and Others v. The United Kingdom). In senso conforme si è orientata la Corte delle Leggi (Corte cost., n. 245/2011). L'indirizzo dei Tribunali, per dare corpo a questa giurisprudenza, è nel senso della ammissibilità di un atto notorio dello straniero con valore sostitutivo dell'atto certificativo ex art. 116 c.c. (Trib. Milano, 23 marzo 2015); peraltro, simile scelta era stata opzionata dal legislatore in casi simili. Ad es., il matrimonio concordatario, nel periodo bellico, poteva essere trascritto, in forza dell'art. 3 del r.d.l. 30 marzo 1944 n. 94 (legge abrogata dal d.l. n. 200/2008, conv. in l. n. 9/ 2009), sulla base di un atto notorio dal quale risultasse il decesso del precedente coniuge. L'orientamento sopra illustrato, è stato percorso dai giudici di merito, ad esempio nel caso di stranieri ammessi alla protezione internazionale, sulla scorta della situazione del Paese di provenienza, come risultante da fonti ufficiali come quella dell'UNHCR, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Trib. Milano 1 dicembre 2015); nel caso di certificati sottoposti alla condizione della conversione all'ISLAM del cittadino italiano (Trib. Venezia, 4 luglio 2002); nel caso di reiterate richieste del nubendo, dirette ad ottenere il nullaosta, mai evase (Trib. Treviso, 15 aprile 1997).

Matrimoni cd. di comodo

In virtù dell'art. 5 della l. n. 921/1992 (come modificato dalla l. n. 94/ 2009), il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all'estero, qualora non sia intervenuto, nelle more, lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi. I termini sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi. Il vincolo matrimoniale è, quindi, strumento per l'acquisto della cittadinanza italiana: da qui il fenomeno dei matrimonio cd. di comodo o convenienza, celebrati al solo fine di far conseguire ad uno dei nubendi lo status di cittadino italiano. Per arginare questo fenomeno, il Legislatore ha introdotto norme di contrasto. In particolare, l'art. 30, comma 1-bis, del citato d.lgs. n. 286/ 1998 prevede, con riguardo agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti, che il permesso di soggiorno «è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l'effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole»; con riguardo allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall'articolo 29, del medesimo d.lgs., ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore, che la richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno «è rigettata e il permesso di soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio o l'adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all'interessato di soggiornare nel territorio dello Stato». Il matrimonio cd. di comodo è suscettibile di impugnazione ai sensi dell'art. 123 comma 1 c.c.

Unione civile

La normativa sulle unioni civili (art. 1 comma 20, l. 20 maggio 2016, n. 76), prevede una clausola generale di estensione agli uniti civili delle norme ordinamentali dedicate ai coniugi: «al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso». Questa estensione però ha dei limiti. Infatti è espressamente previsto che essa «non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge». Pertanto, si applicano alle unioni civili solo le disposizioni del c.c. richiamate in modo esplicito. La disposizione qui in commento è tra quelle espressamente richiamate e, quindi, applicabili.

Bibliografia

Benedetti, Il procedimento di formazione del matrimonio e le prove della celebrazione, in Tr. ZAT, I, Milano, 2011; Bianca C. M., Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014; Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Ferrando, L'invalidità del matrimonio in Tr. ZAT, I, Milano, 2002; Finocchiaro F., Matrimonio in Comm. S. B., artt. 84 - 158, Bologna - Roma, 1993; Lipari, Del matrimonio celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile in Comm. Dif., II, Padova, 1992; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015; Spallarossa, Le condizioni per contrarre matrimonio, in Tr. ZAT, I, Milano, 2011.

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