Codice Civile art. 147 - Doveri verso i figli (1).Doveri verso i figli (1). [I]. Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'articolo 315-bis. (1) L'art. 3, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. ha sostituito l'articolo. Il testo recitava: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. L'articolo era già stato sostituito dall'art. 29 l. 19 maggio 1975, n. 151. InquadramentoIl dlgs. n. 154/2013 ha riscritto l'art. 147 c.c. introducendo l'espresso riferimento allo «statuto» dei diritti del figlio, contenuto oggi nell'art. 315-bis c.c. In virtù del combinato disposto delle due norme, il figlio ha diritto: di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni; di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti; di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il richiamo all'art. 315-bis c.c. è anche rinvio ai «doveri» del figlio il quale deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa. Giova darsi atto che, in tempi recenti, il Legislatore ha introdotto una rete di disposizioni ad hoc, in favore degli orfani per crimini domestici (l. 11 gennaio 2018, n. 4). Doveri verso i figliIl matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni: elemento preponderante, nella somministrazione dei diritti in questione è, allora, l'identità stessa dei figli nel modo in cui essa va a formarsi nel tempo e a esprimersi in ragione della crescita. Il primario diritto del figlio è, cioè, il rispetto della sua libertà di autodeterminazione. L'obbligo dei genitori è tanto più vincolato alla identità del figlio quanto questi sia prossimo alla maggiore età. La letteratura di settore esperta in materia, distingue i minori in cd. petits enfants e cd. grands enfants (con una terminologia adottata nel diritto francese): per i primi, prevale l'esigenza di protezione; per i secondi, l'esigenza di esercitare i diritti di libertà. Nella seconda categoria, certamente si annoverano i figli dal compimento del sedicesimo anno di età, i quali, infatti, ricevono già dalle norme vigenti un trattamento differenziato. L'obbligo di istruire i figli presidia uno dei diritti fondamentali della prole, quello di ricevere regolare istruzione: per tali motivi, il mancato rispetto di questo obbligo può condurre a responsabilità penale dei genitori. Al riguardo, la Suprema Corte (Cass. pen. n. 38985/2007), nel soffermarsi sulla fattispecie di inosservanza dell'obbligo di istruzione dei minori, ha individuato le possibili cause di esclusione della responsabilità dei genitori, con particolare riferimento alla elencazione di quei «giusti motivi» che rendono inattuabile l'adempimento dell'obbligo di istruzione (mancanza assoluta di scuole o di insegnanti; disagiata distanza tra scuola ed abitazione ove manchino mezzi di trasporto ovvero le condizioni economiche dell'obbligato non consentono l'utilizzo di mezzi privati; rifiuto volontario, categorico ed assoluto del minore, non superabile con l'intervento dei genitori e dei servizi sociali). L'obbligo di educazione è posto a garanzia di una crescita equilibrata e sana della prole la quale ha anche diritto a ricevere assistenza morale. Nella materia della “istruzione” rientrano anche le decisioni dirette ad autoresponsabilizzare il bambino. Ciò è qui rilevante poiché, in tempi recenti, con l'art. 19-bis del d.l. n. 148/2017, conv. in legge n. 172/2017, è stato previsto quanto segue: «i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori e i soggetti affidatari ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, dei minori di 14 anni, in considerazione dell'età di questi ultimi, del loro grado di autonomia e dello specifico contesto, nell'ambito di un processo volto alla loro autoresponsabilizzazione, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l'uscita autonoma dei minori di 14 anni dai locali scolastici al termine dell'orario delle lezioni. L'autorizzazione esonera il personale scolastico dalla responsabilità connessa all'adempimento dell'obbligo di vigilanza». Inoltre «l'autorizzazione ad usufruire in modo autonomo del servizio di trasporto scolastico, rilasciata dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, dai tutori e dai soggetti affidatari dei minori di 14 anni agli enti locali gestori del servizio, esonera dalla responsabilità connessa all'adempimento dell'obbligo di vigilanza nella salita e discesa dal mezzo e nel tempo di sosta alla fermata utilizzata, anche al ritorno dalle attività scolastiche». In caso di disaccordo tra i genitori, la controversia è quindi rimessa al Tribunale. Nella materia della salute rientra anche l'adempimento rispetto al piano vaccinale obblgatorio (v., da ultimo, d.l. 7 giugno 2017, n. 73, conv. con modif. in l. 31 luglio 2017 n. 119): anche sul punto, dunque, in caso di disaccordo tra i genitori, è dato ricorso al Tribunale. MantenimentoLa dottrina ha interpretato il dovere di mantenimento come espressione del più generale dovere di cura che tiene conto di tutte le esigenze, anche future, necessarie allo sviluppo psicologico e fisico della prole. Ne consegue che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall'art. 147 c.c., obbliga i coniugi a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione — fino a quando la loro età lo richieda — di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione (Cass. n. 17089/2013). Tale principio trova conferma nel nuovo testo dell'art. 337-ter c.c. il quale, nell'imporre a ciascuno dei coniugi l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti. Danno endofamiliareIl disinteresse mostrato da un genitore nei confronti dei figli integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione — oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento — un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell'illecito civile e legittima l'esercizio, ai sensi dell'art. 2059 c.c., di un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole (Cass. n. 3079/2015). Al riguardoCass. n. 11097/2020ha inoltre specificato che l'illecito endofamiliare commesso in violazione dei doveri genitoriali verso la prole può essere sia istantaneo, ove ricorra una singola condotta inadempiente dell'agente, che si esaurisce prima o nel momento stesso della produzione del danno , sia permanente, se detta condotta perdura oltre tale momento e continua a cagionare il danno per tutto il corso della sua reiterazione, poiché il genitore si estranea completamente per un periodo significativo dalla vita dei figli. L'art. 1, comma 24 della legge 26 novembre 2021, n. 206, ha introdotto, nell'ordinamento giuridico italiano, il «Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie» (TPMF) che comporta l'istituzionalizzazione di un unico Ufficio giudiziario che assorbe il tribunale ordinario e il tribunale per i minorenni. Al contempo, l'art. 1 comma 23, lett. a) della medesima normativa ha introdotto nuove disposizioni in un apposito titolo IV-bis del libro II del codice di procedura civile, rubricato «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie»; per i procedimenti civili elencati nel comma 23, lettera a), si applica il rito unificato in materia di persone, minorenni e famiglie previsto dal medesimo comma 23. Nel complesso, la nuova architettura riguarda “tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare”; restano esclusi solo i procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, i procedimenti di adozione di minori di età e i procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea. Spicca, nelle nuove competenze del TPMF, proprio quella in materia di “danno familiare” dove, invero, il Legislatore si colloca in una linea già tracciata dalla Suprema Corte che, ad esempio, ha ammesso la proponibilità dell'azione di risarcimento del danno endofamiliare nel giudizio ex art. 709-ter c.p.c.(Cass. n. 27147/2021; n.b. l'art. 709-ter c.p.c. è oggi trasfuso nelle norme del rito unitario ex artt. 473-bis e ss c.p.c.). BibliografiaV. sub art. 146 |