L'elemento psicologico nel reato di stalking. Una nuova lettura da parte della Corte d'appello di Roma

Piera Gasparini
05 Aprile 2018

Può la sussistenza di un conflitto genitoriale in merito all'affidamento del figlio minore in fase di separazione, all'origine delle condotte persecutorie, escludere l'elemento psicologico del reato di stalking?
Massima

Non ricorre l'elemento soggettivo del dolo nel reato di stalking quando l'uomo perseguiti la ex compagna con l'obiettivo di poter tornare a vedere la figlia.

Il caso

Il giudice di primo grado del tribunale di Rieti, in data 25 giugno 2013, assolveva l'imputato dal delitto di stalking (art. 612-bis c.p.) per insussistenza del fatto ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., non ritenendo pienamente attendibili le dichiarazioni rese dalla persona offesa. La parte civile costituita proponeva appello richiamando la completezza e la congruità delle testimonianze acquisite, con particolare riferimento alla reiterazione delle condotte illecite descritte dalla P.O., puntualmente riscontrate dai tabulati telefonici e dal contenuto minaccioso e irriguardoso degli smsricevuti dalla donna, nonché dagli interventi dei CC. della stazione di Cottanello; tali condotte, non tenute in debito conto dal primo giudice, avevano determinato nella vittima un perdurante stato di timore per la propria incolumità, al punto che la stessa era stata costretta a cambiare alloggio trasferendosi presso la casa dei genitori.

La Corte territoriale, nel confermare la decisione del primo giudice, non solo ha ribadito la valutazione della non piena attendibilità della persona offesa ma ha altresì escluso la sussistenza dell'elemento psicologico del reato nelle condotte positivamente accertate.

Il comportamento dell'uomo, infatti, pur concretizzatosi in una serie di atti collegati tra loro, nasceva dalla sua volontà di esercitare, con modalità discutibili e talvolta esorbitanti, il diritto di visita della figlia minorenne, e non intendeva realizzare un reale intento persecutorio in danno della ex convivente. La Corte ha evidenziato il contesto logorato, conflittuale e litigioso determinatosi in seguito allo scioglimento della coppia, caratterizzato, in particolare, come già rilevato dal primo giudice, da comportamenti insistenti, molesti e minacciosi dell'uomo, quali la presenza costante nei pressi dell'abitazione della ex compagna, telefonate, messaggi frequenti e calci alla porta, con esclusione di alcune, significative condotte non compiutamente riscontrate (quale l'imbrattamento della porta con le feci).

Tali episodi, riferibili all'imputato devono, tuttavia, secondo la Corte territoriale, essere valutati come tentativi da parte dell'uomo di esercitare il diritto a frequentare e tenere con sé la propria figlia minore nei giorni stabiliti per gli incontri o in giorni diversi in caso di impossibile rispetto degli accordi, essendo emerso un diniego non sempre legittimo della ex compagna all'esercizio del diritto di visita da parte del padre.

Sottolinea, infine, la Corte l'insussistenza di alcun elemento di prova che induca a ritenere che la condotta dell'imputato fosse volutamente diretta a creare attorno alla ex convivente un clima di paura per la propria incolumità personale o a costringerla a mutare le proprie abitudini di vita, affermando che «episodi come il cambiamento di residenza da parte della donna in realtà nel contesto post-separazione può essere letto come un avvicinamento, anche per ragioni logistiche e di opportunità, alla casa dei propri genitori e non a sfuggire alle condotte persecutorie dell'ex convivente, il quale avrebbe potuto ripetere anche nel nuovo domicilio (facilmente individuabile) le proprie condotte intimidatrici con analoghe visite indesiderate o attraverso cellulare».

La questione

La questione affrontata nella specie dalla decisione in commento involge il tema della valutazione dell'elemento psicologico del delitto di atti persecutori disciplinato dall'art. 612-bis c.p.

Nella fattispecie esaminata la Corte d'appello di Roma, pur non negando nelle circostanze di fatto accertate dal primo giudice la presenza di episodi connessi fra loro dalle caratteristiche esorbitanti ed oggettivamente moleste, ha escluso nell'imputato la consapevolezza della idoneità di dette condotte alla produzione di uno degli eventi contemplati dalla norma incriminatrice.

Può dunque, sul piano sostanziale, affermarsi che il dolo nel reato di stalking debba necessariamente esprimere un elemento intenzionale che travalichi i singoli atti persecutori che compongono la condotta tipica?

In particolare, può la sussistenza di un conflitto genitoriale in merito all'affidamento del figlio minore in fase di separazione, all'origine delle condotte, escludere l'elemento psicologico del reato?

Le soluzioni giuridiche

Secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte il delitto di atti persecutori è reato abituale improprio, a reiterazione necessaria delle condotte (Cass. pen.,Sez. V, 11 luglio 2016, n. 41431; Cass. pen., Sez. V, 27 maggio 2016, n. 48268; Cass. pen.,Sez. V, 17 novembre 2015, n. 12509); l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, connotando gli atti di un'autonoma e unitaria offensività, poiché proprio dalla loro reiterazione deriva nella vittima «un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice» (Cass. pen.,Sez. V, 8 giugno 2016, n. 54920).

Un altrettanto consolidato orientamento interpretativo dei giudici di legittimità afferma che nel delitto di atti persecutori l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e che, avendo a oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Cass. pen., Sez. V, 19 febbraio 2014, n. 18999).

Non è cioè necessaria la “preordinazione” di tali condotte – elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa – potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (la decisione riprende sul punto Cass. pen., Sez. V, del 27 novembre 2012 n.20993).

Quanto all'evento, da realizzarsi e rappresentarsi alternativamente nella consapevolezza dell'autore delle condotte illecite vi è da un lato lo stato patologico indotto nella vittima e dall'altro il mutamento delle sue condizioni di vita.

Sul primo aspetto, Cass.pen., Sez. V, 10 gennaio 2011, n. 16864, ha stabilito che «ai fini della integrazione del reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) non si richiede l'accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori [e nella specie costituiti da minacce e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o via internet o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti] abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima».

Sotto altro profilo l'evento alternativo o concorrente (la modifica delle condizioni di vita della vittima) si sostanzia di circostanze concrete in rapporto di causalità con le condotte di molestia o minaccia, quali cambi di abitazione, di utenze telefoniche, di luoghi di lavoro o di percorsi per raggiungerli.

Premessa dunque la costante descrizione di siffatta struttura dell'elemento psicologico del reato in questione, con riferimento alla possibilità che il conflitto genitoriale, soprattutto in fase di separazione, possa escludere il dolo generico così inteso in relazione alla coscienza e volontà di realizzare condotte idonee a cagionare alternativamente gli eventi previsti, di diverso avviso rispetto alla soluzione adottata dalla decisione in commento è tendenzialmente la giurisprudenza di legittimità.

In termini, la recente pronuncia della Cassazione penale, Sez. V, 21 novembre 2017, n. 3270,si sofferma sulla necessità di non confondere il movente, o la "molla psicologica", che l'autore delle condotte attribuisce alle sue azioni (ossia l'intento di incrementare le possibilità di incontro con la figlia), con l'elemento psicologico del reato ex art. 612-bis c.p. come sopra definito, rimarcando la chiara e puntuale focalizzazione della divergenza tra i due concetti, «laddove è ben possibile invece tenere conto di tale (concorrente) movente per una mitigata graduazione del trattamento sanzionatorio».

Osservazioni

La decisione in commento ripropone la valutazione del rapporto fra le diverse categorie concettuali del movente che sorregge l'azione criminosa e dell'elemento psicologico del reato.

La Corte territoriale ha ribadito il principio secondo il quale il dolo nel reato di stalking è generico, unitario ma non programmatico, ben potendo realizzarsi in modo graduale, senza che sia necessario che l'autore persegua sin dall'inizio uno specifico programma criminoso rigorosamente finalizzato al risultato poi effettivamente raggiunto.

È di particolare rilevanza, tuttavia, nella decisione in commento, la considerazione sulla possibilità di escludere l'intento persecutorio ove la motivazione che sorregge i singoli comportamenti dell'ex convivente, padre di un minore, sia unicamente quella di mantenere il contatto con il figlio ostacolato dall'altro genitore, sì da rendere del tutto sfumata la funzione intimidatrice della condotta.

Tale conclusione impone però al giudice di merito, al fine di non confondere e sovrapporre le suddette categorie giuridiche, di valutare se detta motivazione sia idonea a spiegare in via esclusiva le attività moleste o se sia invece concorrente con la consapevolezza di arrecare un danno alla vittima.

Va osservato, infatti, che solo nel primo caso le condotte moleste possono ritenersi orientate all'esternazione, errata ma non illecita, della facoltà genitoriale, dovendosi avere rigoroso riguardo alla sussistenza di un'oggettiva e perdurante conflittualità tra la coppia e al contrasto interpersonale successivo alla separazione in merito all'affidamento dei figli.

La giurisprudenza di merito in questo senso appare più incline a dare rilievo scriminante alle modalità di estrinsecazione del diritto di visita del minore, sino ad escludere ogni profilo di illiceità delle condotte contestate, laddove invece nelle pronunce di legittimità è evidente come debba prevalere, nel rapporto tra la tutela delle persone offese ed il diritto-dovere del genitore di intrattenere adeguati rapporti con il figlio minore, la garanzia per le vittime di non essere più oggetto di vessazioni.

Osservazioni

BINDA, PISTORELLI, BRICCHETTI sub art. 612-bis in Padovani (a cura di), Codice Penale commentato, Tomo II, pagg. 3480-3496, Giuffrè, 2014;

MICOLI, Il fenomeno dello stalking. Aspetti giuridici e psicologici, Giuffrè, 2012;

MERLI, Differenze e linee di continuità tra il reato di stalking e quello di maltrattamenti in famiglia dopo la modifica del secondo comma dell'art. 612-bis c.p. ad opera della legge c.d. sul femminicidio, in Diritto Penale Contemporaneo n. 4/2016

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