Codice Civile art. 129 - Diritti dei coniugi in buona fede 12.[I]. Quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non superiore a tre anni l'obbligo di corrispondere somme periodiche di denaro, in proporzione alle sue sostanze, a favore dell'altro, ove questi non abbia adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze. [II]. Per i provvedimenti che il giudice adotta riguardo ai figli, si applica l'articolo 155.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 20 l. 19 maggio 1975, n. 151. [2] V. l'art. 1, commi 5, 20, l. 20 maggio 2016 n. 76 (Regolamentazioni delle unini civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze). InquadramentoIl matrimonio contratto in buona fede da entrambi i coniugi, ignorandone l'invalidità (matrimonio putativo, v. art. 128 c.c.) non è travolto dalla declaratoria di nullità se non per l'avvenire, avendo la pronuncia efficacia ex tunc: per questi motivi, la Dottrina assimila questo istituto allo scioglimento del vincolo piuttosto che alla sua rimozione per vizio genetico. L'assonanza si rintraccia anche nell'art. 129 c.c.: l'art. 128 c.c. consente all'atto nullo di produrre effetti per il passato, come se il matrimonio fosse valido; l'art. 129 c.c. gli consente di farlo per il futuro, come se il matrimonio fosse stato valido. La trama di effetti pro futuro in rassegna riguarda sia i coniugi che i figli: quanto ai rapporti coniugali, il giudice può riconoscere al coniuge economicamente più debole un assegno (posto a carico del coniuge economicamente più forte) per la durata di tre anni; quanto ai figli, il giudice può regolare l'esercizio della responsabilità genitoriale in applicazione dell'art. 337-ter c.c. Il comma 2 dell'art. 129 c.c., riferendosi a tal fine all'art. 155 c.c., deve intendersi richiamante l'art. 337-bis c.c., formante legislativo dove è confluito l'abrogato art. 155 c.c. per effetto del d.lgs. 154/ 2013. L'art. 18 della legge n. 847/ 1929 per comune opinione estende oggi al matrimonio concordatario, dichiarato nullo in sede ecclesiastica, il regime delle conseguenze patrimoniali del matrimonio putativo, previsto dagli artt. 129 e 129-bis c.c.: questa interpretazione ortopedica ha ottenuto l'avallo della Corte costituzionale (sentenza n. 329/ 2001) che ha anche escluso l'illegittimità costituzionale delle norme cennate quali misure di tutela del coniuge debole travolto dalla nullità matrimoniale deteriori rispetto a quelle previste in caso di divorzio (la Corte delle Leggi ha escluso la violazione dell'art. 3 Cost.). Matrimonio putativo e rapporti patrimonialiGli effetti del matrimonio putativo sono regolati dagli artt. 128,129 e 129-bis c.c. L'art. 128 c.c. concerne i rapporti personali mentre l'art. 129 si occupa di quelli patrimoniali; l'art. 129-bis prende di mira i profili di responsabilità. Nella volta delle conseguenze patrimoniali del matrimonio putativo rispetto ai coniugi si inscrive l'ammissibilità di un assegno di mantenimento per il coniuge debole. Si tratta di un regime giuridico contraddistinto da una particolare «rigidità» e da «limiti angusti» (Corte cost. n.329/2000), tuttavia sorretti da discrezionalità legislativa da non potersi definire irragionevole (Corte cost. n. 329 cit.). In particolare, il fascio applicativo è individuato dalla stessa disposizione ove si precisa che l'art. 129 c.c. è invocabile «quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi». Gran parte della Dottrina ritiene che la norma debba essere interpretata in modo estensivo favorendo una sua applicazione anche per il caso in cui uno solo dei coniugi fosse in buona fede e per offrire protezione a questi (per gli Autori a favore di questa tesi, cfr. Cian, Trabucchi, 225). Si tratta, tuttavia, di una lettura non consentita dal chiaro enunciato letterale che si sposa in modo sintonico con il precedente art. 128 c.c. che enuclea, al contrario, le tante diverse ipotesi di matrimonio putativo, delle quali l'art. 129 c.c. prende in considerazione solo la prima (quella della buona fede di tutti e due i nubendi). Una interpretazione che estende la portata della norma a casi diversi si risolverebbe in una operazione contrastante con il carattere eccezionale della previsione (Finocchiaro F., 202). Il coniuge in buona fede, vittima di quello in mala fede, è vero che non potrà ricorrere alle misure ex art. 129 c.c. ma ben potrà ottenere tutela ai sensi dell'art. 129-bis c.c., norma che costituisce un completamento logico del regime. Infatti: nel caso di buona fede per entrambi i coniugi, è possibile ottenere un assegno fino a tre anni (art. 129 c.c.); nel caso di buona fede di uno solo, è possibile una indennitàuna tantum pari al mantenimento per tre anni (art. 129-bis c.c.). Assegno per il coniuge deboleIl coniuge in buona fede ha diritto ad ottenere un assegno dall'altro (pure in buona fede) purché non abbia adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze. L'assegno che spetta è comunque a termine: in tempi recenti, la giurisprudenza ha infine ammesso la validità di questo istituto (mantenimento a termine) anche nel regime della separazione (v. Cass. n. 12781/2014) così essendo venuto meno uno dei tipici tratti distintivi evidenziati in Dottrina (la temporaneità). Proprio per gli elementi costitutivi che contraddistinguono l'assegno ex art. 129 c.c., è possibile accostare questo emolumento al mantenimento ex art. 156 c.c. previsto in caso di separazione anche se la finalità dell'erogazione è solidaristica con carattere assistenziale. Non è animato da natura alimentare poiché non è necessario che il coniuge debole versi in stato di bisogno. Ne consegue che per la determinazione dell'assegno occorrerà far riferimento al pregresso tenore di vita (Ferrando, 714). controverso in Dottrina se la domanda di assegno possa essere promossa a prescindere dal passaggio in giudicato della sentenza di nullità. In realtà, la struttura della norme rende evidente che, intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, l'ex coniuge debole matura un diritto pieno a richiedere per sé l'importo ex art. 129 c.c.; importo, però, che se riconosciuto non può comunque durare più di tre anni. Non è dunque possibile ritenere che il passaggio in giudicato costituisca una sorta di dies a quo implicito poiché così di introdurrebbe per via interpretativa una condizione dell'azione in modo del tutto opinabile. La «distanza» della domanda rispetto al giudicato (comunque nel rispetto del termine di prescrizione ordinaria) può essere valutata ai fini del merito della richiesta: lo stato di debolezza si presume man mano insussistente maggiore è il lasso di tempo che passa poiché l'avente diritto dimostra di riuscire a sostenersi in modo adeguato senza nulla chiedere ad altri FigliPer i figli, i provvedimenti economici operano prescindendo dalla buona fede dei genitori: la competenza è del tribunale ordinario e non del tribunale per i minorenni (v. artt. 337-bis c.c., 38 disp. att. c.c., come novellati dalla l. 219 del 2012 e dal d.lgs. 154 del 2013) e si applica il rito camerale in virtù del comma 2 del citato art. 38 disp. att. c.c.; prima delle riforme citate (del 2012 e del 2013) si riteneva, invece, che fosse applicabile il rito ordinario (Dogliotti, Gli effetti del matrimonio invalido. Il matrimonio putativo in Tr. ZAT, I, Milano 2002, 711). Unione civileLa normativa sull'unione civile (art. 1 comma 20, l. 20 maggio 2016, n. 76), prevede una clausola generale di estensione agli uniti civili delle norme ordinamentali dedicate ai coniugi: «al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso». Questa estensione però ha dei limiti. Infatti è espressamente previsto che essa «non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge». Pertanto, si applicano alle unioni civili solo le disposizioni del c.c. richiamate in modo esplicito. La disposizione qui in commento è tra quelle espressamente richiamate e, quindi, applicabili. BibliografiaV. sub art. 126 c.c. |