Codice Civile art. 126 - Separazione dei coniugi in pendenza del giudizio.

Giuseppe Buffone

Separazione dei coniugi in pendenza del giudizio.

[I]. Quando è proposta domanda di nullità del matrimonio, il tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio [232 2, 234]; può ordinarla anche d'ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti (1).

(1) V. art. 19 2 l. 27 maggio 1929, n. 847.

Inquadramento

L'art. 126 c.c. consente al giudice, allorché investito del processo di nullità del matrimonio, di ordinare la separazione dei coniugi in pendenza del giudizio. L'ordine può essere concesso sia su istanza di uno dei coniugi, che d'ufficio se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti.

La pendenza del giudizio di nullità del matrimonio è assunta dal legislatore come ragione sufficiente a giustificare la pronuncia di separazione temporanea dei coniugi, la quale riveste carattere cautelare ed efficacia interinale e condizionata, essendo destinata a rimanere assorbita dalla declaratoria di nullità del matrimonio, con la definitiva cessazione dell'obbligo di convivenza, ovvero ad essere caducata a causa del rigetto della domanda di nullità, con conseguente ripristino del vincolo in tutti i suoi aspetti, compreso l'obbligo della convivenza, salva la facoltà, in quest'ultima ipotesi, di promuovere l'azione ordinaria di separazione (Cass. n. 7594/2001).

Separazione

Il giudizio di nullità deve essere portato a termine snodandosi attraverso le fasi processuali tipiche che possono anche richiedere atti d'istruzione probatoria e, comunque, comportare tempi di definizione non particolarmente contenuti. Ciò nonostante, in pendenza del giudizio, ben potrebbe accadere che la convivenza tra i coniugi sia divenuta intollerabile: questo presupposto, siccome legittimante la interruzione della coabitazione ex art. 151 c.c., abilita il giudice del procedimento caducatorio ad autorizzare la separazione temporanea ai sensi dell'art. 126 c.c. La disciplina in rassegna è rimasta immutata dopo la riforma del diritto di famiglia e della sua sopravvivenza si è talora dubitato, a fronte del nuovo testo dell'art. 146 comma 2 c.c., che considera giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare la proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento del vincolo (v. in tal senso Cass. n. 5331/1977). Ad ogni modo, l'istituto costituisce una fattispecie particolare riconducibile, nonostante la peculiarità di alcuni profili, nell'ambito concettuale della separazione dei coniugi prevista dagli artt. 150 e ss. c.c., stante il fondamento comune alle due fattispecie costituito dalla impossibilità della prosecuzione della convivenza (v. sul punto Cass. n. 2265/1978). Ne risulta che la fattispecie prevista dall'art. 126 c.c. si caratterizza per gli effetti limitati e provvisori cui è preordinata e per essere il compito del giudice limitato all'accertamento della pendenza del giudizio di nullità del matrimonio (Cass. n. 7594/2001). Il provvedimento assunto dal giudice, presenta tutte le connotazioni tipiche caratterizzanti quello che sarebbe pronunciato dal giudice della separazione e, pertanto, può contenere le misure interlocutorie che regolamentano i rapporti personali e patrimoniali nonché, eventualmente, misure di protezione specifiche.

Si tratta di un provvedimento cedevole destinato a essere superato dalla pronuncia definitiva: se essa è di rigetto, l'ordinanza ex art. 126 c.c. perde effetto e non sopravvive al processo (Sesta, 425).

I provvedimenti assunti ex art. 126 c.c. hanno natura squisitamente cautelare (Cass. S.U., n. 10064/2013): in difetto di uno strumento impugnatorio, prima dell'entrata in vigore delle norme ex art. 473-bis c.p.c. e ss., si riteneva fosse dato ricorso al Tribunale in composizione collegiale in sede di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. Oggi lo strumento eventuale di contestazione va ricercato nell'ambito del rito unitario.. Ci si è chiesti se la pronuncia possa essere resa anche là dove i coniugi abbiano già cessato la coabitazione. Nel suo risalente indirizzo, la Suprema Corte ha offerto soluzione affermativa sostenendo che anche quando, in pendenza del giudizio di nullità del matrimonio, sia, di fatto, già cessata la coabitazione, sussista il diritto dei coniugi di ottenere la pronunzia della separazione temporanea di cui all'art 126 c.c., per attribuire carattere legale a tale stato di fatto e far provvedere al regolamento dei rapporti personali e patrimoniali dei coniugi fra di loro e rispetto alla prole (Cass. n. 3618/1974).

Unione civile

La normativa sull'unione civile, all'art. 1 comma 20, l. 20 maggio 2016, n. 76, prevede una clausola generale di estensione delle norme ordinamentali dedicate ai coniugi. Questa estensione però ha dei limiti. Infatti, in via generale, è previsto che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. In via di eccezione, tuttavia, è espressamente previsto che questa disposizione «non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge». Pertanto, si applicano alle unioni civili solo le disposizioni del c.c. richiamate in modo esplicito. La disposizione qui in commento è tra quelle espressamente richiamate e, quindi, applicabili. Occorrono, tuttavia, alcuni chiarimenti. Questa disposizione, infatti, abilita il giudice a ordinare la separazione temporanea degli uniti in pendenza del giudizio invalidatorio. Agli uniti civilmente, però, l'istituto della separazione non è applicabile. L'art. 1 comma 24 l. n. 76/2016, cd. Cirinnà prevede, infatti, lo «scioglimento» diretto dell'unione civile per effetto della domanda di scioglimento anticipata dalla dichiarazione di volontà resa tre mesi prima all'Ufficiale di Stato Civile. Il richiamo alle norme del titolo II, libro IV è fatto in quanto esse siano «compatibili»: non sono, dunque, richiamate, perché incompatibili, le disposizioni sulla separazione atteso che, nel caso di unione civile, è prevista la procedura di scioglimento diretto. Ciò risulta anche dalla relazione illustrativa all'originario DDL n. 2081 ove espressamente si precisa che «lo scioglimento dell'unione civile è regolata dalle stesse disposizioni vigenti in materia di scioglimento del matrimonio». Ma che senso allora l'applicabilità dell'art. 126? Si può ritenere che conservi rilevanza solo al fine di escludere l'applicabilità dell'art. 146 (richiamato anche per gli uniti).

Bibliografia

Benedetti, Il procedimento di formazione del matrimonio e le prove della celebrazione, in Tr. ZAT, I, Milano, 2011; Bianca, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014; Cian, Trabucchi - a cura di -, Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Ferrando, L'invalidità del matrimonio, in Tr. ZAT, I, Milano, 2002; Finocchiaro, Matrimonio in Comm. S. B., artt. 84 - 158, Bologna - Roma, 1993; Lipari, Del matrimonio celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile, in Comm. Dif., II, Padova, 1992; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta - a cura di -, Codice della famiglia, Milano, 2015; Spallarossa, Le condizioni per contrarre matrimonio, in Tr. ZAT, I, Milano, 2011.

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