Codice Civile art. 151 - Separazione giudiziale (1).Separazione giudiziale (1). [I]. La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole. [II]. Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze, e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione [548 2, 585 2], in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio [143 2, 147]. (1) Articolo così sostituito dall'art. 33 l. 19 maggio 1975, n. 151. InquadramentoCon la riforma del diritto di famiglia del 1975 la separazione dei coniugi è stata svincolata dal presupposto della colpa di uno di essi e consentita, invece, tutte le volte che «si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza» (art. 151 c.c. nel testo riformato). Da più parti, in Dottrina, si segnala la natura desueta dell'istituto dell'addebito che ben meriterebbe di essere espunto dall'Ordinamento posto che, in presenza di condotto lesive dei diritti del coniuge, è dato accesso alla tutela rimediale generale ex artt. 2043, 2059 c.c. L'addebito, peraltro, comporta un appesantimento del processo separativo con conseguenze ormai significativamente contenute: valga considerare che, ad esempio, l'addebito non esclude il diritto al contributo alimentare. Secondo la Suprema Corte, in particolare, nel giudizio di divorzio il riconoscimento dell'assegno non è precluso dall'addebito della separazione, che può incidere soltanto sulla misura dell'assegno, per effetto della valutazione demandata al giudice di merito in ordine alle cause del venir meno della comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi (Cass. n. 18539/2013). «Diritto» alla separazioneA partire dalla sentenza Cass. n. 3356/2007, la Suprema Corte ha ampliato l'originaria interpretazione, di stampo strettamente oggettivistico, dell'art. 151 c.c. — interpretazione secondo la quale il diritto alla separazione si fonda su fatti che nella coscienza sociale e nella comune percezione rendano intollerabile il proseguimento della vita coniugale — per dare della medesima norma una lettura aperta anche alla valorizzazione di «elementi di carattere soggettivo, costituendo la intollerabilità un fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno alla vita dei coniugi». Ribadita, quindi, l'originaria impostazione oggettivistica quanto al (solo) profilo del controllo giurisdizionale sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza nel senso che le situazioni di intollerabilità della convivenza devono essere oggettivamente apprezzabili e giudizialmente controllabili — e puntualizzato che la frattura può dipendere dalla condizione di disaffezione e di distacco spirituale anche di uno solo dei coniugi (Cass. n. 7148/1992), ha concluso che in una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale — ritenuto, nello stadio attuale della società, incoercibile e collegato al perdurante consenso di ciascun coniuge — (...) ciò significa che il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione ed a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità, l'esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di addebitabilità da parte dell'altro, la convivenza. Ove tale situazione d'intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto di chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda, costituendo esercizio di un suo diritto, non può costituire ragione di addebito (Cass. n. 2183/2013). AddebitoLa separazione è addebitabile al coniuge che, assumendo un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (art. 151 comma 2 c.c.) abbia causato la disgregazione del vincolo matrimoniale in modo esclusivo o in concorso con le condotte del consorte (cd. addebito reciproco). Le condotte contrarie ai doveri coniugali, dunque, devono avere svolto un'efficacia causale nel fallimento del matrimonio (Cass. n. 13021/1995). In adesione ai rilievi autorevolmente svolti in Dottrina, il superamento della separazione per colpa in favore della separazione per intollerabilità della convivenza induce ad assegnare carattere eccezionale alla dichiarazione di addebito, sì che può pronunziarsi soltanto di fronte a inadempimenti colposi dei doveri coniugali di particolare gravità e sempre che abbiano determinato la dissoluzione della comunità familiare (Perlingieri). Principale e più grave cause di addebito è la violazione dell'obbligo di fedeltà, nei termini in cui lo configura la giurisprudenza là dove afferma che la relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell'art. 151 c. c. quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell'ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all'onore dell'altro coniuge (Cass. n. 21657/2017). La violazione dell'obbligo di fedeltà è, quindi, più questione di dignità che di rapporto sessuale con terzi. Il coniuge che alleghi l'infedeltà altrui beneficia di una presunzione in merito all'efficacia causale di questa violazione con la crisi familiare, salvo prova contraria allegata dall'adultero. Nonostante l'opinione contraria di parte della Dottrina, la separazione può essere addebitata ad entrambi i coniugi quanto risulti che ciascuno di essi abbia posto in essere comportamenti costituenti violazione dei doveri che direttamente scaturiscono dal matrimonio e che sono individuabili, con stretto rapporto di causa / effetto, quali ragioni della crisi che ha travolto la coppia (Trib. Milano, 27 febbraio 2013). La possibile addebitabilità della separazione a entrambi i coniugi si ricava dall'art. 548 c.c. ultimo comma, che espressamente la menziona ed è comunque ammessa dalla giurisprudenza consolidata della Suprema Corte (Cass. n. 9074/2011). Vi possono essere contemporaneamente comportamenti di entrambi i coniugi valutabili come gravemente contrari ai doveri imposti dal matrimonio e che sono astrattamente idonei a produrre la rottura del rapporto coniugale. Ne consegue che è ammissibile e configurabile la pronuncia di addebito della separazione a entrambi i coniugi (Cass. n. 16142/2013). In tempi recenti, la Suprema Corte ha affermato che il mutamento di fede religiosa, e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 Cost., non può di per sé considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che l'adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti incompatibili con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore previsti dagli artt. 143 e 147 c.c., in tal modo determinando una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per l'interesse della prole (Cass. n. 14727/2016). La giurisprudenza, in tempi recenti, è tornata sul tema dei rapporti tra giudizio di separazione (e addebito) e giudizio di nullità del matrimonio, reso nelle more dal giudice ecclesiastico ricordando, secondo l'interpretazione tradizionale, che il passaggio in giudicato, in pendenza del giudizio di separazione personale, della sentenza che rende esecutiva nello Stato la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario contratto dalle parti, fa venire meno il vincolo coniugale e, quindi, fa cessare la materia del contendere in ordine alla domanda relativa alla separazione ed alle correlate statuizioni circa l'addebito e l'assegno di mantenimento richiesto in favore di uno dei coniugi (Cass. n. 30496/2017). È ormai acquisito, in tema di addebito della separazione per adulterio, che l'anteriorità della crisi della coppia rispetto all'infedeltà di uno dei due coniugi esclude il nesso causale tra quest'ultima condotta, violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio, e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza; sul punto, la giurisprudenza più recente reputa che tale elemento costituisca un'eccezione in senso lato e sia, dunque rilevabile d'ufficio, purché sia allegata dalla parte a ciò interessata e risulti dal materiale probatorio acquisito al processo (Cass. n. 20866/2021). L'addebuto può fondarsi su condotte penalmente rilevanti: in questo caso, il giudizio penale non è pregiudiziale rispetto a quello civile e, pertanto, non opera la sospensione del processo (Cass. n. 18725/2023).
Lesione di diritti fondamentaliAl fine dell'addebito, è vera l'affermazione per cui non è sufficiente il mero fatto oggetto della violazione dei doveri nascenti dal matrimonio ma il suo porsi in rapporto di determinazione causale con la sopravvenuta crisi della compagine familiare. Tale principi trovano, però, deroga — o se meglio si vuol dire prova in re ipsa — nelle ipotesi in cui l'addebito sia giustificato per la presenza di una condotta di uno dei partners di aggressione ingiustificata a beni fondamentali della persona (Cass. n. 8928/2012). Il costume pretorile di legittimità, in tale direzione, afferma che le gravi condotte lesive, traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner, sono insuscettibili di essere giustificate come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere (Cass. n. 7321/2005). Ciò vuol dire che ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili, essi sono idonei a giustificare l'addebito (Trib. Milano, 31 maggio 2013). In quest'orbita, gravissime sono da considerare le violenze fiscihe: esse costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole – quand'anche concretantisi in un unico episodio di percosse –, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale (Cass. n. 7388/2017). Sul futuro procedimento: v. nota sub art. 150. Rito UnitarioIl decreto legislativo n. 149 del 2022 (cd. Riforma Cartabia) ha modificato il codice di procedura civile prevedendo, in particolare, nuove disposizioni nel libro II, titolo VI-bis ove sono state introdotte: «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie», cd. pPMF). Quanto al campo di applicazione del nuovo rito unitario – che non è più un procedimento speciale – l'art. 473-bis c.p.c. prevede che le disposizioni contenute nel nuovo titolo IV-bis si applichino a tutti i procedimenti (di natura contenziosa) relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, di quello per i minorenni e del giudice tutelare, salvo che non sia diversamente stabilito e salve le esclusioni espressamente indicate dallo stesso articolo. Queste riguardano, in particolare, sia i procedimenti che in questa materia siano espressamente sottoposti dal legislatore ad altra disciplina processuale, sia i procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità, dei procedimenti di adozione dei minori, sia, infine, i procedimenti (di diversa natura e oggetto) attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea. La clausola generale di esclusione del rito unitario poggia le basi su due circostanze: 1) che il procedimento “non sia contenzioso”; 2) che sia “diversamente stabilito”.. In virtù della cd. Riforma Cartabia, il procedimento di separazione giudiziale è regolato dagli artt. 473-bis e ss c.p.c. BibliografiaBianca, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014; Cian, Trabucchi - a cura di -, Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Finocchiaro, Matrimonio in Comm. S. B., artt. 84 - 158, Bologna - Roma, 1993; Jemolo, in La famiglia e il diritto, in Ann. fac. giur. Univ. Catania, Napoli, 1949, 57; Lipari, Del matrimonio celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile in Comm. Dif., II, Padova, 1992; Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Napoli, 2005; Sesta - a cura di -, Codice della famiglia, Milano, 2015. |