Legge - 1/12/1970 - n. 898 art. 5
1. Il tribunale adito, in contraddittorio delle parti e con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, accertata la sussistenza di uno dei casi di cui all'art. 3, pronuncia con sentenza lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed ordina all'ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla annotazione della sentenza. 2. La donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio 1. 3. Il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela2. 4. La decisione di cui al comma precedente può essere modificata con successiva sentenza, per motivi di particolare gravità, su istanza di una delle parti3. [5. La sentenza è impugnabile da ciascuna delle parti. Il pubblico ministero può ai sensi dell'art. 72 del codice di procedura civile, proporre impugnazione limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci.]4 6. Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive 5. 7. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione 6. 8. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico7. [9. I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria]8. 10. L'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze. 11. Il coniuge, al quale non spetti l'assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell'ente mutualistico da cui sia assistito l'altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze 9. [1] Comma sostituito dall'articolo 9, comma 1, della Legge 6 marzo 1987, n. 74. [2] Comma inserito dall'articolo 9, comma 1, della Legge 6 marzo 1987, n. 74 [3] Comma inserito dall'articolo 9, comma 1, della Legge 6 marzo 1987, n. 74. [4] Comma abrogato dall'articolo 6, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, con applicazione ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. [5] Comma sostituito dall'articolo 10, comma 1, della Legge 6 marzo 1987, n. 74. [6] Comma inserito dall'articolo 10, comma 1, della Legge 6 marzo 1987, n. 74. [7] Comma inserito dall'articolo 10, comma 1, della Legge 6 marzo 1987, n. 74. [8] Comma inserito dall'articolo 10, comma 1, della Legge 6 marzo 1987, n. 74 e successivamente abrogato dall'articolo 27, comma 1, lettera c) del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 , con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197. [9] Comma aggiunto dall'articolo 1 della Legge 1° agosto 1978, n. 436. InquadramentoNorma fondamentale della disciplina del divorzio. Contiene tutta la disciplina sostanziale degli effetti della sentenza di divorzio tra i coniugi, sul piano personale e su quello patrimoniale, e detta in particolare le regole da seguire per l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno di divorzio. I presupposti dell'assegno di divorzio sono regolati in via autonoma rispetto ai criteri dell'assegno di mantenimento nella separazione; in parallelo con la separazione, peraltro, viene ribadito il principio di adeguamento automatico dell'assegno, e l'obbligo di documentazione dei redditi dei coniugi. Del tutto peculiare è la previsione della possibilità di un una tantum, cioè della corresponsione dell'assegno in unica soluzione. La disposizione è stata conservata dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile. E' stato abrogato unicamente il comma nono, riguardante la presentazione, nel corso dell'udienza di comparizione delle parti, della documentazione riguardate i redditi e il patrimonio personale e comune. Questa ostensione, per i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023, è attualmente prevista dall'art. 473-bis.21 c.p.c. come necessario allegato del ricorso introduttivo del giudizio e della comparsa di costituzione del convenuto. La comparizione delle parti è attualmente prevista davanti al collegio o al giudice relatore, essendo stata soppressa l'udienza presidenziale così come era disciplinata in precedenza. La decisioneLa decisione è emessa dal tribunale in composizione collegiale con sentenza, che è caratterizzata da una pronuncia principale, sullo scioglimento del vincolo matrimoniale, e da pronunce accessorie, che riguardano i rapporti dei coniugi fra loro e la regolamentazione dei rapporti con la eventuale prole. Il regolamento definitivo dei rapporti fra i coniugi e verso i figli stabilito con la sentenza assorbe e sostituisce quello adottato in via provvisoria dal presidente del tribunale o, se è stato nominato, dal giudice istruttore. Si veda, attualmente, l'art. 473.bis.28 c.p.c. Va peraltro osservato che l'efficacia della sentenza di divorzio è disciplinata in modo differenziato da quello che costituisce regola di applicazione generale nel giudizio ordinario di cognizione. L'art. 10 legge divorzio dispone che lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell'annotazione della sentenza, passata in giudicato, nei registri dello stato civile. La pronuncia di maggior rilievo della sentenza, dunque, assume efficacia non dal passaggio in giudicato e neppure dalla sua pubblicazione, in palese deroga al disposto dell'art. 282 c.p.c. La giurisprudenza ha spiegato che gli effetti della sentenza, per quanto riguarda il vincolo matrimoniale, si producono per i coniugi già con il passaggio in giudicato e che l'annotazione nei registri serve a fornire alla sentenza efficacia erga omnes: l'annotazione ha soltanto natura dichiarativa della pronuncia stessa, in considerazione dell'efficacia dichiarativa e non costitutiva dello stato delle persone fisiche che è propria dei registri dello stato civile (Cass. n. 9244/1992). L'art. 10 citato si applica anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, disciplinate dalla l. n. 76/2016 (art. 1, comma 25). Si producono ex nunc, dal passaggio in giudicato della pronuncia, gli effetti relativi all'obbligo di versare l'assegno di divorzio e il contributo per la prole, posto che la sentenza ha natura costitutiva. La giurisprudenza ha interpretato estensivamente la norma che consente al giudice di disporre, con la sentenza non definitiva, che il capo di pronuncia concernente l'obbligo della somministrazione dell'assegno divorzile produca effetto fin dal momento della domanda: e afferma che la regola è applicabile anche con la decisione definitiva. Una tale retroattività può essere disposta d'ufficio, in quanto da ritenere implicita nella domanda di parte di attribuzione dell'assegno (Cass. n.1613/2011; Cass. n. 24991/2010; Cass. n. 1331/1995; Cass. n. 8828/1994). La facoltà attribuita per tal modo al tribunale nel caso di pronuncia non definitiva è oggetto di critica ad opera della dottrina. Si osserva che tale facoltà è affidata alla mera valutazione discrezionale del giudice ed è incongrua in quanto impone un assegno di divorzio senza che vi sia un divorzio dichiarato con pronuncia passata in giudicato, e se ne sospetta apertamente l'illegittimità costituzionale (Cipriani). Ciononostante, la giurisprudenza ha individuato nella norma che consente l'esercizio della detta facoltà un correttivo da applicare quando la situazione lo richieda, senza che la previa pronuncia di una sentenza non definitiva ne costituisca una condizione e, quindi, anche indipendentemente da questa e anche quando con una stessa decisione si sia dichiarato sciolto il vincolo o cessati i suoi effetti e contestualmente si sia condannato l'un coniuge a corrispondere all'altro l'assegno di divorzio. Ciò non costituirebbe una deroga al principio secondo cui l'assegno di divorzio, trovando fondamento nel nuovo status delle parti, decorre dal passaggio in giudicato della sentenza ma ne rappresenta un opportuno temperamento (Cass. n. 717/2006; Cass. n.18321/2007; Cass. n. 14611/2007). Questo orientamento trova una giustificazione in dati desunti dal diritto positivo. L'art. 9 legge divorzio assegna al tribunale il potere discrezionale di far decorrere gli effetti della sentenza che, in sede di revisione, modifica l'importo dell'assegno di divorzio dalla domanda, anziché dalla decisione; l'art. 445 c.c. dichiara dovuti gli alimenti dal giorno della domanda giudiziale; e si invoca il principio generale per il quale la durata del processo non deve andare a danno dell'avente diritto (Cass. n. 19057/2006). In ogni caso, l'assegno di mantenimento che sia stato stabilito in regime di separazione dei coniugi è dovuto sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, la quale segna il venir meno del presupposto di detto mantenimento, cioè del vincolo matrimoniale (Cass. n. 813/2009, la quale ha affermato che la sentenza di divorzio non fa venir meno l'interesse al ricorso per cassazione di quella che, nella separazione, riconosce e quantifica l'assegno di mantenimento). Il fatto che la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha natura costitutiva, con produzione di effetti per le parti dal suo passaggio in giudicato, ha importanti riflessi pratici. Si veda, ad esempio, Cass. n. 19555/2013, per la quale la detta pronuncia non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale iniziato antecedentemente e ancora in corso, ove esista l'interesse di una delle parti all'operatività della pronuncia e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali, come nel caso in cui permanga quello alla definitiva regolamentazione dell'assegno di mantenimento fino alla cessazione del relativo obbligo (Cass. I, n. 5062/2017). È sempre retroattivo l'assegno per il mantenimento dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, poiché si tratta di un obbligo che discende dal fatto stesso della procreazione e non dipende dalla separazione o dal divorzio (Cass. n. 317/1998). In tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell'una o dell'altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l'oggetto della lite nel suo complesso (Cass. n. 1703/2013: nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, in un giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha individuato l'oggetto della lite nell'attribuzione di un assegno in favore di un coniuge, ed ha concluso che l'obbligato era il soccombente principale, in quanto gravato dell'assegno sia pure non con la modalità da lui considerata più svantaggiosa). I provvedimenti del giudice del divorzio relativi all'affidamento dei figli ed al contributo per il loro mantenimento, dovendo ispirarsi all'esclusivo interesse dei minori, non sono vincolati dalle richieste dei genitori, né dal loro accordo. Ne consegue che la sentenza di divorzio, che tale accordo recepisca, non può essere interpretata in base ai criteri stabiliti dall'art. 1362 c.c. – astenendosi, cioè, dall'esclusivo riferimento al senso letterale delle espressioni usate ed indagando, invece, la comune intenzione delle parti, anche alla luce del comportamento successivamente tenuto – non potendo essere attribuita natura negoziale alle condizioni in essa stabilite (Cass. n. 10174/2012). Secondo Cass. n.10978/2003, invece, il giudice di merito deve attenersi ai criteri dettati dagli artt. 1362 ss. c.c. Per la parte relativa ai provvedimenti economici la sentenza di primo grado era stata dichiarata provvisoriamente esecutiva dalla disposizione dettata dal comma 14 dell'art. 4 l. 898/1970 . La disposizione, in allora, aveva natura di eccezione rispetto al sistema del diritto processuale civile vigente; attualmente risulta conforme al principio generale dettato dall'art. 282 c.p.c. come riformato dalla l. n. 353/1990. La sentenza di scioglimento del matrimonio, una volta divenuta esecutiva, va annotata negli atti di nascita dei due ex coniugi (v. art. 10 l. 1° dicembre 1970, n. 898 e art. 49, lett. g, d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396). Connotato tipico della pronuncia sul divorzio, una volta intervenuto il giudicato, è l'impossibilità di far cessare gli effetti della statuizione con la riconciliazione, come previsto nell'art. 157 c.c. in tema di separazione. Per il ripristino dello status occorre un nuovo matrimonio. Effetti personaliLa sentenza di divorzio deve contenere l'ordine all'ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla annotazione della sentenza. Con il divorzio, infatti, si estingue il vincolo coniugale, e vengono meno tutti i doveri ad esso connessi. Gli ex coniugi riacquistano la libertà di stato e la facoltà di contrarre nuovo matrimonio civile. La moglie non può più usare il cognome del marito (secondo comma della norma in commento). Tuttavia il tribunale, con la sentenza di divorzio, può autorizzare espressamente la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio, ai sensi del terzo comma della norma in commento. La perdita del cognome è prevista come automatica conseguenza di legge del divorzio, e non occorre specifica pronuncia del tribunale, tranne che nel caso in cui la moglie voglia continuare ad usarlo (Trib. Padova, I, 12 dicembre 2006, n. 2770, Massimario della Giurisprudenza Civile Patavina 2009). La domanda di divorzio e quella di conservazione del cognome del marito sono due domande diverse ed autonome, in quanto fondate su diversi presupposti, essendo volte ad accertare, la prima, il venir meno della comunione materiale morale di vita tra i coniugi e, la seconda, la sussistenza del diverso interesse a conservare un tratto identificativo divenuto bene in sé ed esulante dalla sua corrispondenza allo "status", con conseguente scindibilità delle rispettive decisioni (Cass. I, ord. n.24111/2023). 'autorizzazione alla donna di conservare il cognome del marito accanto al proprio costituisce una eventualità straordinaria, affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito, da compiersi secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale, che non possono coincidere con il solo desiderio di conservare, quale tratto identitario, il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa, non potendo neppure escludersi che il perdurante uso del cognome del marito possa costituire un pregiudizio per quest'ultimo, ove intenda ricreare, esercitando un diritto fondamentale, un nuovo nucleo familiare riconoscibile socialmente e giuridicamente come legame attuale (Cass. I, ord. n. 654/2022). L'autorizzazione alla conservazione del cognome costituisce un'ipotesi eccezionale, che non può prescindere dal riscontro, da parte del giudice, di un interesse meritevole di tutela sotteso alla richiesta (Cass. I, n. 21706/2015, Dir. e gius. 2015); interesse che può essere della donna o dei figli (3° comma della norma in commento). Per Cass. I, ord. n. 654/2022 l'autorizzazione alla donna a conservare il cognome del marito accanto al proprio costituisce una eventualità straordinaria, affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito, da compiersi secondo criteri di valutazione di una clausola generale che non possono coincidere con il solo desiderio di conservare, quale tratto identitario, il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa, non potendo neppure escludersi che il perdurante uso del cognome del marito possa costituire per lui un pregiudizio. L'interesse al mantenimento del cognome risulta meritevole di tutela qualora riguardi la sfera del lavoro professionale, commerciale o artistico della moglie, oppure, ancora, in considerazione di profili di identificazione sociale e di vita di relazione meritevoli di tutela oltre che di particolari profili morali o considerazioni riguardanti la prole, la cui identificazione con un cognome diverso possa essere causa di nocumento (Trib. Milano IX, 28 aprile 2009, n. 5644, Guida dir. 2009, 38, 41). Che si tratti di ipotesi eccezionale è confermato dal disposto del successivo quarto comma, che consente la successiva modifica della decisione sul cognome solo per motivi di particolare gravità. In proposito Cass. VI, ord. n. 654/2022 ha affermato che l'autorizzazione alla conservazione del cognome del marito accanto al proprio costituisce una eventualità straordinaria, affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito, da compiersi secondo criteri di valutazione generali, che non possono coincidere con il solo desiderio di conservare, quale tratto identitario, il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa, non potendo neppure escludersi che il perdurante uso del cognome del marito possa costituire un pregiudizio per quest'ultimo. Nel caso di coniugi di diversa nazionalità, se si tratta di matrimonio contratto all'estero tra una cittadina straniera e un italiano, sussiste il diritto della moglie di continuare a utilizzare il cognome del marito acquisito, con il consenso di quest'ultimo, al momento dell'assunzione del vincolo e sostituito a quello di nascita sulla base dei criteri di collegamento indicati dalla Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980, resa esecutiva in Italia con la l. n. 950 del 1984, per la quale i cognomi e i nomi di una persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui ha la cittadinanza (Cass. I, n. 23291/2015). La norma straniera, infatti, non contrasta con l'ordine pubblico. Impugnazioni: rinvioQuanto all'impugnazione della sentenza di divorzio, v. sub. art. 4. Effetti patrimonialiSul piano patrimoniale, si scioglie anche il fondo patrimoniale, se non vi sono figli minori; la comunione legale è sciolta fin dal momento in cui il presidente del tribunale ha autorizzato i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale omologata (art. 191 c.c.) Gli altri effetti patrimoniali concernono gli istituti che si fondano sulla c.d. solidarietà postconiugale, connessa al fatto che l'estinzione del vincolo coniugale non cancella il dato storico che i due divorziati siano stati marito e moglie per un periodo più o meno lungo, e a ciò si connettono varie conseguenze, solo in parte disciplinate nell'articolo in commento: il diritto all'assegno di divorzio, il diritto di abitazione nella casa familiare, il diritto a prestazioni previdenziali, il diritto all'assegno successorio. Sotto il profilo della produzione degli effetti, la Corte di cassazione ha stabilito un rilevante principio. Le statuizioni che regolano gli aspetti economico-patrimoniali tra coniugi incidono nell'area dei diritti a “disponibilità attenuata” e soggiacciono alle norme processuali ordinarie; con il corollario, tra l'altro, del limite invalicabile della domanda in quanto presuppongono l'iniziativa della parte interessata e l'indicazione, a pena di inammissibilità del petitum richiesto al giudice, potendo configurarsi come diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata da finalità assistenziale (Cass. I, ord. n. 11795/2021). Inoltre, poiché l'assegno di divorzio trae la sua fonte nel nuovo status delle parti, esso ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della pronuncia di divorzio; nel frattempo i provvedimenti emessi nel giudizio di separazione continuano a regolare i rapporti economici tra i coniugi fino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, salvo l'anticipo degli effetti ad opera del giudice, ai sensi dell'art. 4, comma 13, l. n. 898/1970 (Cass. I, ord. n. 3852/2021; Cass. I, ord. n. 19330/2020). Assegno di divorzioL'art. 5 L. n. 898/1970 attribuisce al tribunale che pronuncia la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio il potere di imporre, a domanda di parte, all'uno dei coniugi, ricorrendone i presupposti, l'obbligo di versare un assegno pecuniario all'altro coniuge quando questi non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La corresponsione ha cadenza periodica ma può essere sostituita con una dazione in unica soluzione, se ritenuta equa dal tribunale, e, in questo caso, essa preclude ogni successiva domanda di contenuto economico. La corresponsione periodica deve poter essere automaticamente adeguata al costo della vita, almeno con riferimento agli indici della svalutazione. Per consentire al collegio di decidere con aderenza alla realtà, il comma nono dell'art. 5 dispone (ancora per i procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023) che i coniugi presentino, sin dall'udienza di comparizione dinanzi al presidente del tribunale e, in mancanza, nel corso del giudizio, la dichiarazione personale dei redditi e ogni altra documentazione relativa ai loro patrimoni. La necessità di avere nel giudizio gli elementi necessari a conoscere la posizione economica dei coniugi è ribadita dagli artt.473-bis.12 e 473-bis.16 c.p.c., che impongono le produzioni, rispettivamente, con il ricorso introduttivo del processo e con la comparsa di costituzione e risposta. L'assegno in argomento è del tutto diverso da quello di mantenimento, che può essere disposto con la pronuncia di separazione dei coniugi. Mentre questo presuppone la persistenza del matrimonio, i cui obblighi di convivenza e fedeltà sono soltanto sospesi, l'assegno divorzile è riferito a un matrimonio sciolto o privo di effetti civili: e rappresenta pertanto la protrazione di un effetto economico del legame matrimoniale che, pur non esistendo più, trova una sua ragione nel solo fatto che un matrimonio era esistito ed erano esistiti rapporti giuridicamente rilevanti tra i coniugi. La separazione instaura un regime che tende a conservare nei limiti del possibile gli effetti del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza; e l'assegno di mantenimento tende ad assicurare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, dunque, anche il tipo di vita antecedentemente adottato da ciascuno dei coniugi, indipendentemente dalle capacità e risorse personali del beneficiario. Del matrimonio sciolto o non più efficace residua, invece, un legame prevalentemente assistenziale (Cass., S.U., n. 11490/1990), ancorato all'inadeguatezza dei mezzi del coniuge, a causa della obiettiva impossibilità di assicurarsi autonomamente un tenore di vita sufficiente. Tuttavia, pur riconoscendo che separazione e divorzio, e rispettivi assegni, sono autonomi e indipendenti, in giurisprudenza l'assetto economico stabilito in sede di separazione viene considerato suscettibile di rappresentare un indice di riferimento, nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione; così l'assegno di separazione è ritenuto idoneo a costituire elemento utile di valutazione anche per quello di divorzio (Cass. VI, n. 17412/2015; Cass. I, n. 11686/2013). Come elemento di giudizio, l'assegno di separazione può essere liberamente considerato ed apprezzato dal giudice del divorzio (Cass. VI, n. 2164/2015); l'indipendenza dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi, peraltro, consente di attribuire un assegno di divorzio anche se negli accordi di separazione era stato escluso l'assegno per il mantenimento della moglie, essendo comunque il giudice a dover procedere alla verifica del rapporto delle attuali condizioni economiche delle parti con il pregresso stile di vita coniugale e decidere poi sulla spettanza al momento del divorzio, di un contributo (Cass. I, n. 2948/2014). Tanto osservato, deve poi constatarsi che i criteri per determinare l'ammontare dell'uno e dell'altro assegno sono praticamente gli stessi e sostanzialmente identica è la loro finalità di assicurare al coniuge più debole un adeguato tenore di vita. La determinazione dell'assegno di divorzio è indipendente dalle statuizioni patrimoniali stabilite nella sede della separazione coniugale. Non costituisce circostanza ostativa al riconoscimento dell'assegno di divorzio la mancata richiesta precedente dell'assegno di mantenimento, asseritamente dimostrante l'attuale autosufficienza economica, poiché l'assegno divorzile va determinato sulla base di criteri da valutare autonomamente rispetto all'altro (Cass. n. 1203/2006). Il diniego dell'assegno divorzile non può essere fondato sul rilievo che con gli accordi di separazione i coniugi pattuirono che nessun assegno venisse versato all'un coniuge, in quanto il giudice deve comunque procedere alla verifica delle condizioni economiche attuali delle parti e raffrontarle al pregresso tenore di vita coniugale (Cass. n. 1758/2008). La Corte di cassazione ha avvertito che il giudice non può determinare l'assegno di divorzio allineandosi alle statuizioni economiche della sentenza di separazione ma deve dare rilevanza alle deduzioni delle parti e ai mutamenti del quadro economico dei coniugi rispetto all'epoca della pronuncia della separazione (Cass. 13058/2008). Per Cass. n. 23198/2013, Cass. n. 11686/2013, Cass. n. 25010/2007, Cass. n. 4764/2007e Cass. n. 22500/2006, l'assetto economico raggiunto con la separazione non spiega alcuna efficacia ai fini della determinazione dell'assegno di divorzio ma può rappresentare un valido indice di riferimento, nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione del tenore di vita. In particolare, il riconoscimento dell'assegno di divorzio non è precluso dall'addebito della separazione, che può incidere soltanto sulla misura dell'assegno, per effetto della valutazione demandata al giudice di merito in ordine alle cause del venir meno della comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi (Cass. n. 18539/2013). In ogni caso, si è avvertito che la determinazione dell'assegno divorzile in misura superiore a quella prevista in sede di separazione personale, in assenza di un mutamento nelle condizioni patrimoniali delle parti, non è conforme alla natura giuridica dell'obbligo, in quanto l'assegno di separazione presuppone la persistenza del vincolo coniugale e la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; mentre l'assegno divorzile ha natura assistenziale, compensativa e perequativa, essendo volto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge (Cass. I, n. 5605/2020). Per converso, può risultare nel giudizio di divorzio non dovuto l'assegno stabilito con il provvedimento provvisorio del presidente del tribunale o con il provvedimento di separazione. In questo caso, ove si accerti nel corso del giudizio - nella sentenza di primo o secondo grado - l'insussistenza "ab origine", in capo all'avente diritto, dei presupposti per il versamento del contributo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della "condictio indebiti" che può essere derogata, con conseguente applicazione del principio di irripetibilità, esclusivamente nelle seguenti due ipotesi: ove si escluda la debenza del contributo, in virtù di una diversa valutazione con effetto "ex tunc" delle sole condizioni economiche dell'obbligato già esistenti al tempo della pronuncia, ed ove si proceda soltanto ad una rimodulazione al ribasso, di una misura originaria idonea a soddisfare esclusivamente i bisogni essenziali del richiedente, sempre che la modifica avvenga nell'ambito di somme modeste, che si presume siano destinate ragionevolmente al consumo da un coniuge, od ex coniuge, in condizioni di debolezza economica (Cass. S.U. n. 32914/2022). Il sesto comma della norma in commento prevede che con la sentenza che pronuncia il divorzio è disposta la corresponsione di un assegno periodico per il coniuge che non ha mezzi adeguati o non può procurarseli. Occorre, tuttavia, una espressa domanda in tal senso da parte del coniuge avente diritto, il che, dunque, ne presuppone la tempestiva proposizione secondo le ordinarie norme processuali (Cass. VI, n. 8990/2016). La domanda non può, quindi, essere proposta per la prima volta in appello. Tuttavia, la domanda di assegno che non è proposta nell'atto introduttivo del giudizio o nella comparsa di risposta non è preclusa nel caso in cui i presupposti del diritto all'assegno maturino nel corso del giudizio, anche in grado di appello, in quanto la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio postulano la possibilità di modularne la misura al sopravvenire di nuovi elementi di fatto (Cass. VI, ord. n. 29290/2021). Ciò non esclude che la domanda di assegno possa essere proposta in modo separato e autonomo successivamente all'introduzione del divorzio e che, in pendenza di tale giudizio, delle due cause possa essere disposta la riunione secondo le normali regole processuali. Il fatto che si tratti di domanda autonoma rispetto a quella di divorzio consente anche di avanzarla successivamente all'intervenuta pronuncia di scioglimento del vincolo coniugale e, in particolare, quando tale pronuncia sia intervenuta all'estero e in conformità ad un ordinamento che non ne consente la proposizione nel medesimo giudizio di modifica dello stato di coniugio (Cass. I, n. 1863/2016). La declaratoria di inammissibilità della domanda volta al riconoscimento dell'assegno di divorzio, proposta tardivamente nel giudizio relativo allo scioglimento del vincolo matrimoniale, non ne limita la proponibilità in separato giudizio, ai sensi dell'art. 9 della l. n. 898/1970, pur in mancanza di fatti sopravvenuti, trattandosi di pronuncia processuale inidonea alla produzione del giudicato perchè impeditiva dell'esame nel merito della domanda (Cass. I, n. 17102/2019). Può accadere che i coniugi, nel definire tra loro in sede di separazione i rapporti patrimoniali pendenti pattuiscano la corresponsione di un assegno da versarsi dall'uno in favore dell'altro “vita natural durante”. In tal caso il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'an del richiesto assegno, deve preliminarmente qualificare la natura dell'accordo per verificare se la rendita costituita in occasione della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti patrimoniali tra coniugi in materia familiare e se debba essere riconosciuto il diverso diritto all'assegno divorzile (Cass. I, ord. n. 11012/2021). FunzioneNatura e funzione dell'assegno di divorzio sono state controverse. In proposito se ne era affermata la caratteristica di costituire una parziale ultrattività del vincolo matrimoniale motivata da una finalità solidale. Si era concordato nell'attribuirle una funzione assistenziale. Si era, infatti, considerato che, se il coniuge non necessita di alcun sostegno economico, il diritto all'assegno non sorge (non potrebbe essere riconosciuto in forza di presupposti diversi, quali il fatto che fossero stati corrisposti durante il matrimonio contributi personali dall'un coniuge all'altro: Cass. n. 317/1998). All' opposto, se l'un coniuge non dispone di mezzi adeguati a conservargli le condizioni personali vissute prima del divorzio, l'assegno doveva ritenersi dovuto. La sua attribuzione era giustificata, sostanzialmente, dall'impossibilità, determinata da ragioni obiettive, del richiedente di procurarsi mezzi adeguati a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di mancata cessazione dell'unione coniugale. La natura assistenziale dell'assegno aveva fatto affermare autorevolmente che il credito a percepirlo è tutelato dallo stesso privilegio sui mobili che assiste il credito agli alimenti di cui all'art. 2751, n. 4, c.c. (Corte cost. 21 gennaio 2000, n. 17). La regola del mantenimento del tenore di vita doveva trovare, però, un temperamento nel dettato dell'art. 5 l. 898/1970: il quale indica una serie di criteri (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) che, nell'interpretazione della giurisprudenza, erano da ritenere fattori di moderazione e diminuzione della somma riconoscibile considerata in astratto, e potevano valere a ridurne l'entità arrivando anche ad azzerarla. L'orientamento seguito dal momento dell'entrata in vigore della legge 898/1970 trovò ufficiale indicazione nelle decisioni delle Sezioni Unite del 1990 (Cass. S.U., n. 11490/1990 e Cass. S.U., n. 11492/1990), per le quali l'inadeguatezza dei mezzi e l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive dovevano essere valutate in rapporto all'esigenza di assicurare al coniuge “debole” la persistenza di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. In questo senso la giurisprudenza si espresse negli anni successivi sino al mutamento di opinione avviato da una decisione della Prima sezione civile (Cass. I, n. 11504/2017). della norma concernente l'assegno divorzile, e la conseguente sua applicazione pratica, hanno subito nel tempo una sensibile evoluzione. Si affermò in tale occasione che il parametro dell'adeguatezza dei mezzi da fornire con l'assegno doveva essere individuato nella mera autosufficienza economica con conseguente esclusione, nella sussistenza di tale presupposto, del diritto all'assegno di divorzio. Il ripensamento così avvenuto ha condotto alla più meditata decisione delle Sezioni Unite del 2018 (Cass. S.U., n. 18287/2018) che ha dettato una regola del tutto nuova. Per l'attribuzione dell'assegno di divorzio deve applicarsi un criterio composito; ciò in quanto all'assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa. La pronuncia delle Sezioni unite ha precisato che la funzione equilibratrice delle condizioni economiche degli ex coniugi, assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale; e che, ai fini del riconoscimento dell'assegno, si deve adottare un criterio composito il quale, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età dell'avente diritto. L'assegno deve tendere a fornire un livello reddituale adeguato al contributo dato nella vita familiare in concreto, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate, in riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. I ,ord. n. 5603/2020); Cass. VI, n. 28104/2020). In tal senso la giurisprudenza successiva: Cass. I, n. 23083/2024; Cass. I, ord. n. 23997/2022; Cass. I, ord. ord. n. 4215/2021; Cass. I, ord. n.23318/2021, con nota di Ferrari, Assegno divorzile diminuito se la ex moglie sceglie il part-time, Altalex 12/9/2021; Cass. I, ord. n. 24250/2021; Cass. I, ord. n. 23997/2022. In questa complessiva valutazione può darsi prevalenza alla funzione assistenziale a condizione che il sopravvenuto e incolpevole peggioramento della situazione economica di uno degli ex coniugi non sia altrimenti suscettibile di compensazione per l'assenza di altri obbligati o di altre forme di sostegno pubblico e che l'ex coniuge con maggiori disponibilità economiche abbia in passato goduto di apporti significativi da parte di quello impoveritosi (Cass. I, n. 19036/2023, nota di Sartoris in Fam e dir., 2024, 6, 576; Cass. I, n. 5055/2021). In tema di determinazione dell'assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell'ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall'uno all'altro coniuge, "ex post" divenuto ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l'attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, che il richiedente l'assegno ha l'onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio (Cass. I, n. 23583/2022). I parametri, in posizione equiordinata, di cui alla prima parte dell'art. 5, l. n. 898/1970, costituiscono il criterio cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione e sia sulla quantificazione dell'assegno (an e quantum: Cass. I, n. 30602/2024). Il giudizio deve premettere la valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti ed avere ad oggetto, in particolare, il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto (Cass. I, n. 1882/2019). Qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due (Cass. I, n. 21926/2019). I criteri attributivi e determinativi dell'assegno divorzile non dipendono dal tenore di vita godibile durante il matrimonio ma devono tendere ad assicurare un livello reddituale adeguato al contributo fornito in ogni ambito di rilevanza, in ragione della finalità dell'assegno assistenziale, perequativa e compensativa (Cass. I,ord. n. 4215/2021); lo squilibrio economico e patrimoniale tra i coniugi opera unicamente come precondizione fattuale, necessaria per l'applicazione di quei criteri (Cass. I, n. 32398/2019). Il giudizio sull'adeguatezza dei redditi dei coniugi e sullo squilibrio determinato dallo scioglimento del vincolo deve essere improntato al criterio dell'effettività, con valutazione da svolgersi all'attualità e non in forza di un giudizio ipotetico (Cass. I, ord. n.35710/2021). In particolare, l'avvenuto riconoscimento del diritto all'assegno nella fase di separazione, impone al giudice del divorzio l'accertamento della situazione economica familiare al momento della cessazione della convivenza matrimoniale e la sua comparazione con quella del richiedente al momento della pronuncia, al fine di verificare se questa gli consenta di conservare il tenore di vita corrispondente a quello precedente (App. Roma, 6 agosto 2014, n. 5173, Guida dir. 2015, 7, 63). Dopo la pronuncia delle S.U. n.18287/2018 si è affermato che la determinazione dell'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge in misura superiore a quella prevista in sede di separazione personale, in assenza di un mutamento nelle condizioni patrimoniali delle parti, non è conforme alla natura giuridica dell'obbligo, presupponendo, l'assegno di separazione, la permanenza del vincolo coniugale e, conseguentemente, la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; al contrario, tale parametro non rileva in sede di fissazione dell'assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati nell'art. 5, comma 6, della l. n. 898/1970, essendo volto non alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. I, n. 23323/2024; Cass. ord. 17098/2019). La funzione dell'assegno di divorzio ne limita sia la pignorabilità, secondo la regola delle prestazioni alimentari (art. 545 c.p.c.), che la possibilità di porlo in compensazione con altre obbligazioni non alimentari (art. 447 c.c.). PresuppostiPresupposto, implicito quanto essenziale, per l'attribuzione dell'assegno divorzile è che tra i coniugi divorziandi esista uno squilibrio tra i mezzi economico patrimoniali a loro disposizione. Il requisito, che ordinariamente si dà per scontato, è stato evidenziato dalla giurisprudenza (Cass. I, n. 21111/2024, nota di Colombo in IUS famiglie 24 settembre 2024). Si è, ad esempio, affermato che ai fini dell'attribuzione dell'assegno divorzile secondo il parametro assistenziale e perequativo-compensativo, è indispensabile il previo accertamento di un significativo squilibrio delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, rilevando a tal fine anche la suddivisione del patrimonio operata dal marito durante il matrimonio e dopo la separazione, in favore della moglie (Cass. I, ord. n. 28936/2022). L'assegno di divorzio ha una funzione non solo assistenziale ma anche compensativa e perequativa finalizzata a colmare lo squilibrio economico tra gli ex coniugi dato da uno di essi alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio familiare dell'altro (Cass. I, n. 21797/2024). Ne segue che il diritto all'assegno divorzile non sussiste ove la posizione economico patrimoniale e reddituale dei due ex coniugi risulti sostanzialmente paritaria: Cass, I, n. 27536/2024, per il caso di risultato dello scioglimento della comunione legale). Ne consegue, che ove sia accertato che, a seguito di tali attribuzioni, la situazione patrimoniale degli ex coniugi sia sostanzialmente equivalente - ancorché costituita, per il marito, da reddito pensionistico e per la moglie da una rendita finanziaria - non sussistono i presupposti per l'attribuzione dell'assegno in favore della moglie. L'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 è generalmente considerato norma ambigua e inadeguata. Esso si limita a disporre che l'assegno di divorzio è dovuto quando il coniuge richiedente risulta non avere mezzi adeguati o non avere possibilità oggettiva di procurarseli: ma non indica quale debba essere il termine di raffronto per valutare la menzionata adeguatezza e neppure cosa debba intendersi per ragioni oggettive preclusive di siffatti mezzi adeguati. La genericità del diritto positivo è stata affrontata dalla giurisprudenza con prese di posizione che hanno subito una rilevante evoluzione nel tempo. Inizialmente, come si è ricordato nel paragrafo che precede, il criterio interpretativo per la nozione di adeguatezza è stato individuato nella nozione di fatto di ciò che occorre fornire al coniuge per consentirgli di conservare lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Recuperato, in questo modo (sulla falsariga di quello utilizzato per l'assegno di separazione), lo scopo della ricerca, l'accertamento del giudice veniva reso concretamente possibile attraverso una valutazione di confronto per differenza tra due situazioni. In proposito la Corte di cassazione aveva così descritto il compito del giudice, nel ricercare di volta in volta il presupposto fondativo del diritto a percepire l'assegno: “L'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articola in due fasi: nella prima il giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontate a un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente fondarsi su prospettive maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio; e quindi procedere a una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno; nella seconda fase, il giudice deve procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nell'art. 5 l. n. 898/1970 i quali criteri agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono, in ipotesi estreme, valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione” (Cass. n. 17301/2012; nello stesso senso, Cass. n. 11870/2015; Cass. n. 4021/2006; Cass. n. 4040/2003; Cass. n. 3101/2000). Con la sentenza della Cass. S.U. n. 18287/2018 la giurisprudenza ha innovato profondamente il proprio orientamento. Secondo l'impostazione introdotta dalla autorevole pronuncia delle Sezioni unite, ai fini dell'attribuzione dell'assegno si deve riconoscere a questa prestazione oltre alla già riconosciuta natura assistenziale anche, e in pari misura, natura compensativa e perequativa, in considerazione delle funzioni al cui perseguimento è rivolto e dell'articolazione degli elementi che concorrono a determinarne la doverosità e la determinazione. E, dunque, i presupposti per affermare l'esistenza del diritto all'assegno non possono che essere molteplici. Sotto il profilo dell'assistenza, l'assegno deve tenere conto dell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente o comunque della sua impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, circostanze da accertarsi facendo applicazione dei criteri di cui alla prima parte dell'art. 5, quali parametri legali di apprezzamento. Per quanto attiene allo scopo compensativo, deve effettuarsi una valutazione comparativa delle condizioni economico sociali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno, in relazione alla durata del matrimonio e dell'età dell'avente diritto. La natura perequativa dell'assegno discende dal principio costituzionale di solidarietà e impone il riconoscimento di un contributo volto a consentire al richiedente non il conseguimento dell'autonomia economica in base ad un parametro astratto bensì il raggiungimento di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto, in particolare, delle aspettative professionali sacrificate. Un assegno, in definitiva, non finalizzato alla ricostituzione del tenore di vita endofamiliare ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dal coniuge più debole alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale. Ne seguiva il definitivo abbandono del parametro di giudizio seguito per decenni, in forza del quale al coniuge più debole doveva comunque essere assicurata la medesima condizione economica e di trattamento della quale aveva goduto in costanza di matrimonio. Il testo normativo non preclude la formulazione di un giudizio di adeguatezza effettuato anche in relazione alle legittime aspettative reddituali, che sono connesse al contributo personale ed economico fornito da ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno ed a quello comune. In tale ottica l'adeguatezza dei mezzi non va posta solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte. Per quanto in particolare concerne la valutazione dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge che chiede l'assegno, o la sua impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, si deve tener conto, per Cass. I, n. 21234/2019, ai sensi dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, sia dell'impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte di quest'ultimo e sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo che dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale: senza che abbiano rilievo, da soli, lo squilibrio economico tra le parti e l'alto livello reddituale dell'ex coniuge, tenuto conto che la differenza reddituale è coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale ma è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell'assegno, e l'entità del reddito dell'altro non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze. L'inadeguatezza dei mezzi va considerata nella sua sussistenza oggettiva (Cass. I,ord. n. 37577/2022, che ha escluso la rilevanza della condotta di fatti di reato comportanti il licenziamento del richiedente l'assegno dal posto di lavoro). L'assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, al fine di contribuire ai bisogni della famiglia (Cass. I, ord. n. 24250/2021). Non è richiesto, però, che l'inadeguatezza dipenda da un vero e proprio accordo di rinuncia ad occasioni professionali da parte del richiedente, essendo sufficiente la prova che il suo contributo significativo ed univoco alla vita familiare ha consentito al coniuge di conseguire vantaggi economici o professionali (Cass. I, n. 23008/2024). Il giudice di merito, ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell'insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell'assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto dell'istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d'ufficio attraverso la polizia tributaria (Cass. VI, n. 8744/2019). Tenore di vitaLa giurisprudenza aveva enucleato regole interpretative che hanno dovuto essere confrontate con l'indirizzo interpretativo stabilito dalla ricordata pronuncia delle Sezioni unite del 2018 (si veda il paragrafo precedente). Divennero non più attuali i seguenti principi elaborati dalla giurisprudenza. Il tenore di vita dei coniugi, si affermava, non è solamente quello goduto nel corso della vita coniugale, ma anche quello che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di sua continuazione, ovvero che poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative esistenti nel corso del rapporto matrimoniale ( Cass. I, n. 20352/2008). Questo modo di apprezzare le regole codicistiche è stato profondamente mutato dall'evoluzione giurisprudenziale, cui ha dato inizio la più volte citata decisione delle Sezioni unite. Attualmente si afferma a chiare lettere che i criteri attributivi e determinativi dell'assegno divorzile non dipendono dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, e che lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi vale unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l'applicazione dei parametri di cui all'art. 5, comma 6, prima parte, della l. n. 898/1970 , in ragione della finalità composita (assistenziale, perequativa e compensativa) del detto assegno (Cass. I, n. 11796/2021; Cass. I, n. 32398/2019). Più che al pregresso tenore di vita l'assegno deve assicurare un livello reddituale adeguato al contributo fornito dall'ex coniuge in ogni ambito di rilevanza indicato dal menzionato art. 5, mediante una complessiva ponderazione dell'intera storia coniugale e della prognosi futura (Cass. I, ord. n.4215/2021); in modo da garantire l'indipendenza economica dell'ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata a un criterio di normalità (Cass. I, n. 24250/2021). Era, inoltre, affermazione consolidata in giurisprudenza che, se è vero che nella determinazione dell'assegno per il coniuge si deve fare riferimento al mantenimento del tenore di vita, da questo goduto, durante la convivenza matrimoniale, d'altro canto indice di tale tenore di vita poteva essere la disparità di posizioni economiche tra i coniugi ( Cass. VI, n. 9660/2014 ; Cass. VI, n. 9498/2014 ; Cass. VI, n. 9494/2014 ; Cass. VI, n. 26635/2014 ; Cass. VI, n. 14128/2014). Questo anche nel caso in cui venisse avanzata una domanda di assegno divorzile senza preventivamente indicare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ( Cass. I, n. 488/2014). In una ottica totalmente innovata così la Suprema Corte ha indicato il compito del giudice. Egli deve verificare: a) se tra gli ex coniugi, a seguito del divorzio, si sia determinato o aggravato uno squilibrio economico-patrimoniale prima inesistente (ovvero di minori proporzioni); b) se, in costanza di matrimonio, gli ex coniugi abbiano convenuto che uno di essi sacrificasse le proprie prospettive professionali per dedicarsi al soddisfacimento delle incombenze familiari; c) se, con onere probatorio a carico del richiedente, tali scelte abbiano inciso sulla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi determinando uno spostamento patrimoniale da riequilibrare; d) quale sia lo spostamento patrimoniale, e la conseguente esigenza di riequilibrio, causalmente rapportabile alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari (Cass. VI, ord. n. 22738/2021). Il giudice deve quantificare l'assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l'indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (Cass. I, n. 24250/2021). AutosufficienzaNel lungo percorso interpretativo che ha condotto all'orientamento giurisprudenziale attuale una sentenza di legittimità (Cass. I, n. 11504/2017), mutando un orientamento risalente (ascrivibile alle pronunce Cass. S.U. n. 11490/1990; Cass. S.U. n. 11492/1990), escluse il rilievo dei riferimenti — utilizzati in precedenza — al tenore di vita matrimoniale e alla disparità economica tra i coniugi e indicò come criterio normativo di riferimento per l'attribuzione o meno dell'assegno di divorzio quello dell'autosufficienza economica del coniuge dopo lo scioglimento del vincolo. La decisione si discostava consapevolmente dal parametro che sino a quel momento costituiva il riferimento nelle pronunce di merito, secondo il quale il riconoscimento stesso dell'assegno andava individuato nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l'assegno a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. E, dichiarato espressamente non più attuale l'orientamento precedente, individuava un nuovo criterio da utilizzare in via esclusiva: l'assegno post divorzio poteva essere riconosciuto solo se l'ex coniuge lo richiedeva dimostrando di non essere autosufficiente dal punto di vista economico. Tale innovativo orientamento fu ribadito da una pronuncia in tema di revisione delle condizioni di divorzio (art. 9 l. n. 898/1970) che fece proprio il criterio dell'autosufficienza (Cass. I, n. 15481/2017); poi con una pronuncia per la quale la domanda dell'ex coniuge doveva essere fondata sulla mancanza delle condizioni di indipendenza o autosufficienza economica (Cass. VI, n. 23602/2017); e fu ulteriormente ribadito da una decisione che espressamente dichiarò di voler dare continuità alla giurisprudenza avviata con la decisione del maggio 2017, in un caso in cui, pur in presenza di forte sproporzione delle situazioni reddituali e patrimoniali dei due coniugi, si dette rilievo alla solidità economica della donna, dotata di un posto di lavoro sicuro, di casa di proprietà e di una corposa disponibilità di denaro (Cass. I, n. 20525/2017). L'intervento delle Sezioni Unite con la ricordata decisione Cass. S.U., n. 18287/2018 (si veda il paragrafo 8) ha escluso la rilevanza decisiva della mera autosufficienza economica, stabilendo che il giudice, nel determinare l'assegno a favore del coniuge economicamente più debole, deve procedere a una valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali attuali dei coniugi, dando particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, dal momento che la condizione attuale di entrambi altro non è che il risultato di scelte comuni - non soltanto iniziali ma per tutta la vita matrimoniale - degli stessi coniugi, che continuano a produrre effetti - e quindi ad essere giuridicamente rilevanti - anche dopo la cessazione dell'unione; valutazione da operare in base a un criterio composito e in relazione a vari parametri, che si trovano nella norma medesima, e che sono in posizione pari-ordinata ai fini della rilevanza per il riconoscimento dell'assegno: la durata del matrimonio, le potenzialità reddituali future, l'età dell'avente diritto (si veda, ex multis, Cass. I, n.11798/2021). Come sopra ricordato, il parametro composito che ne risulta si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà, operanti anche dopo lo scioglimento del vincolo. Si afferma attualmente che il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l' impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l'assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali - che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo assistenziale (Cass. I, n. 31241/2024; Cass., I, n.21797/2024; Cass. I, ord. n. 9144/2023; Cass. I, ord. n. 38362/2021). Le citazioni giurisprudenziali in proposito possono essere molteplici e tutte concordanti. Si veda, ad esempio: “In tema di attribuzione dell'assegno divorzile e in considerazione della sua funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, il giudice del merito deve accertare l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte "manente matrimonio", idonee a condurre l'istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta richiedente (Cass. I, ord. n. 9144/2023, che ha ritenuto l'assunzione, in tutto o in parte, delle spese di ristrutturazione dell'immobile adibito a casa coniugale, di proprietà esclusiva dell'altro coniuge, non costituire ex se prova del suddetto contributo, rientrando piuttosto nell'ambito dei doveri primari di solidarietà e reciproca contribuzione ai bisogni della famiglia durante la comunione di vita coniugale). L'assegno di divorzio, avente funzione anche perequativa-compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, presente al momento del divorzio, sia l'effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, mentre, in assenza di prova di tale nesso causale, l'assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive (Cass. I, ord. n. 26520/2024). Alla inadeguatezza dei mezzi si attribuisce una rilevanza oggettiva. In tema di assegno divorzile, l'inadeguatezza dei mezzi e l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, sopravvenute alla sentenza di divorzio, giustificano il riconoscimento dell'assegno, anche se tale modifica della situazione di fatto sia da ricondurre al licenziamento disciplinare del richiedente a causa della commissione di fatti di reato dolosi: il diritto all'assegno, infatti, è legato ad una condizione di oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati e non può essere escluso sol perchè la situazione di difficoltà economica sia dipesa da una condotta volontaria del richiedente (Cass. I, ord. n. 37577/2022). E si è altresì affermato che non possono essere considerati quali fattori integrativi dell'autosufficienza economica dell'ex coniuge istante la pensione di invalidità e di accompagnamento percepite dalla madre convivente atteso che quanto integra il reddito di assistenza al genitore non può implementare il reddito dell'ex coniuge stante la diversa funzione assolta dagli istituti (Cass. I, ord. n. 35709/2021). L'inadeguatezza dei mezzi economici incontra un limite: per tutte Cass. I, n. 31564/2024 (nota di Gaudenzi in Dir. e giust. 2024, 10/12/2024); Il raggiungimento di un'età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso, la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in difetto di ragioni individuali specifiche (di salute o dovute ad altre peculiari contingenze personali od oggettive quali le difficoltà di reperimento o di conservazione di un'occupazione) costituisce un indicatore forte d'inerzia colpevole. Ne consegue che gli ostacoli personali al raggiungimento dell'autosufficienza in una fase di vita da qualificarsi pienamente adulta sotto il profilo anagrafico, devono essere puntualmente allegati e provati, se collocati all'interno di un percorso di vita caratterizzato da mancanza d'iniziativa e d'impegno verso un obiettivo prescelto. Criterio compositoGiurisprudenza e dottrina hanno sempre mosso dall'assunto, non esplicitato, che il coniuge, al quale l'assegno viene richiesto, fosse nelle condizioni di corrisponderlo nella misura occorrente a conservare al partner le condizioni precedentemente godute. Soltanto in rare occasioni queste condizioni furono prese in autonomo esame nelle decisioni, sotto il profilo della loro idoneità a consentire il pagamento dell'assegno (Cass. n. 790/1996; Cass. n. 2872/1994). Il Tribunale di Bari aveva avvertito: “…appare indubitabile che il raddoppio dei costi, che la nuova situazione di dissociazione della famiglia comporta, impone un contenimento delle esigenze di tutti, a meno di non volere sensibilmente pregiudicare l'analogo e paritetico diritto del marito obbligato a conservare anche egli un tenore di vita simile (ma mai uguale) a quello condotto in precedenza. Infatti, considerando che con il divorzio il vincolo coniugale viene definitivamente meno, ciò determina a carico delle parti del rapporto l'esigenza di procurarsi l'autosufficienza economica necessaria a superare posizioni di rendita parassitaria non più consentite dopo la fase della separazione, nella quale l'esigenza di conservare al cosiddetto coniuge debole il precedente tenore di vita è più avvertita che nel divorzio, per la prossimità con la pregressa condizione di vita matrimoniale, dovendo così escludersi che possa essere riconosciuto un assegno divorzile di importo maggiore” (Trib. Bari 23 settembre 2008). Il principio enucleato al riguardo è chiaramente dalle seguenti massime: “Ai fini dell'attribuzione dell'assegno divorzile secondo il parametro assistenziale e perequativo-compensativo, è indispensabile il previo accertamento di un significativo squilibrio delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, rilevando a tal fine anche la suddivisione del patrimonio operata dal marito durante il matrimonio e dopo la separazione, in favore della moglie. Ne consegue, che ove sia accertato che, a seguito di tali attribuzioni, la situazione patrimoniale degli ex coniugi sia sostanzialmente equivalente - ancorché costituita, per il marito, da reddito pensionistico e per la moglie da una rendita finanziaria - non sussistono i presupposti per l'attribuzione dell'assegno in favore della moglie” (Cass. I, ord. n. 28936/2022). Cass. I, ord. n. 23997/2022: “Il riconoscimento dell'assegno divorzile richiede una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, che tenga conto del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto, condotto sulla scorta di un percorso motivazionale logico e specifico, che si fondi, anche nelle parti in cui è svolto attraverso un rinvio "per relationem" alla sentenza di primo grado, sui motivi di impugnazione proposti”. “ In materia di assegno divorzile, il giudizio sull'adeguatezza dei redditi degli ex coniugi - cui consegue nell'ipotesi di accertato squilibrio determinato dallo scioglimento del vincolo, l'operatività del meccanismo compensativo-retributivo per l'attribuzione e determinazione in concreto ? deve essere improntato al criterio dell'effettività, con valutazione da svolgersi all'attualità e non in forza di un giudizio ipotetico, le cui premesse, quanto alla loro verificabilità, restino incerte, o si fondino su un ragionamento ipotetico i cui esiti vengano ricalcati su pregressi contesti individuali ed economici, non più rispondenti a quello di riferimento” (Cass. I, ord. n. 35710/2021). Il criterio indicato dalla giurisprudenza riporta al centro dell'attenzione la funzione del giudizio di merito e in particolare dell'attività istruttoria da compiere in presenza di domanda di assegno. Ciò impone un esame attento da parte del giudice di merito, che si articola, secondo le indicazioni della corte di legittimità, in una serie di passaggi, nei quali occorre tenere conto di vari elementi, di fatto, normativi e costituzionali. Secondo l'impostazione voluta dal legislatore occorre accertare, preliminarmente, l'esistenza e l'entità dello squilibrio determinato dal divorzio mediante l'obbligo della produzione dei documenti fiscali dei redditi delle parti ed il potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice. All'esito di tale preliminare e doveroso accertamento può venire già in evidenza il profilo strettamente assistenziale dell'assegno, qualora una sola delle parti non sia titolare di redditi propri e sia priva di redditi da lavoro. Va utilizzato un criterio integrato, che deve essere calato nel contesto sociale del richiedente, un contesto risultante da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo familiare. Il concetto di fondo è che lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte comuni e delle modalità di realizzazione della vita familiare. Il superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell'assegno di divorzio non determina un incremento ingiustificato della discrezionalità del giudice di merito, essendo egli chiamato a compiere una valutazione integrata, fondata sulla comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali alla luce delle cause che hanno determinato la situazione attuale di disparità; e dovendo, altresì, procedere ad un accertamento probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori sopraindicati sulla sperequazione determinatasi; infine, la funzione equilibratrice dell'assegno non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale. Sviluppi naturali e prevedibiliGli sviluppi delle situazioni personali dei coniugi successivi al loro divorzio vengono in considerazione sotto un duplice profilo. L'uno riguarda la costituzione di nuovi rapporti di tipo familiare con terze persone, l'altro concerne le variazioni dei rispettivi ambiti patrimoniali. a) Convivenza di fatto successiva alla separazione e al divorzio. Le Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 32198/2021) hanno dettato una regola che sembra porre termine a questioni insorte a proposito del valore da assegnare alla stabile convivenza di fatto intrapresa successivamente al divorzio. Essa incide sul diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio o della sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in considerazione del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all'assegno, in relazione alla sua componente compensativa. La Corte ha affermato sul punto che qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell'attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge. L'assegno, su accordo delle parti, può anche essere temporaneo. (si vedano: Salanitro, La funzione compensativa dell'assegno di divorzio e la sopravvenienza di un nuovo rapporto: profili problematici dopo le Sezioni Unite, Nuova giur. comm., 2022, 1, 227; Roma, Assegno di divorzio e nuova convivenza tra inerzia legislativa, evoluzione interpretativa e mutamento sociale: a proposito di Cass. 32198/2021, Nuova giur. comm., 2022, 1, 217; Quadri, Assegno di divorzio e convivenza: le Sezioni Unite si impegnano nella ricerca di una soluzione coerente, Nuova giur. comm., 2021, 6, 1390; Danovi, Rimini, Al Mureden, Nuova convivenza, Fam. e dir. 2022, 2, 113). La questione della rilevanza da attribuire alla convivenza di fatto del coniuge debole riguarda più propriamente la sua valenza quale causa di revoca dell'assegno. Si veda in proposito il successivo paragrafo 18. b) Mutamenti economici o patrimoniali. Attualmente si tende a considerare elementi valutabili, quali condizioni economiche dei coniugi rilevanti, i miglioramenti conseguiti dopo la separazione se costituiscono un prevedibile sviluppo di situazioni e aspettative già presenti durante la convivenza matrimoniale, in quanto collegati alla sua attività lavorativa in atto e non aventi carattere di eccezionalità (Cass. n. 20204/2007; Cass. n. 19446/2005; così, in relazione agli sviluppi, a tempo, di carriera del marito, Cass. n.17128/2004; Cass. n. 1487/2004). PerCass. n. 3914/2012 i miglioramenti economici del coniuge obbligato possono essere presi in considerazione non per individuare il tenore di vita dei coniugi cui ragguagliare l'assegno ma per valutare se le condizioni patrimoniali dell'obbligato consentano di corrispondere l'assegno divorzile. Secondo Cass. n. 5132/2014, nella determinazione dell'assegno divorzile, occorre tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l'assegno, qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio, mentre non possono essere valutate le migliorie che scaturiscano da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del rapporto ed aventi carattere di eccezionalità, in quanto connessi a circostanze ed eventi del tutto occasionali ed imprevedibili, quali, ad esempio, le partecipazioni in società, costituite in costanza di matrimonio ma divenute attive dopo la cessazione della convivenza. G È consolidata in giurisprudenza l'affermazione che nella determinazione dell'assegno divorzile, occorre tenere conto solo di quegli incrementi delle condizioni patrimoniali dell'ex-coniuge che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative già presenti al momento del divorzio (Cass. I, n. 19529/2014). Ciò significa considerare gli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l'assegno, solo qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio, mentre non possono essere valutate le migliorie che scaturiscano da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del rapporto ed aventi carattere di eccezionalità, in quanto connessi a circostanze ed eventi del tutto occasionali ed imprevedibili (Cass. I, n. 5132/2014). In tal senso, i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione, ancorché non incidenti sulla valutazione del tenore di vita matrimoniale, perché intervenuta dopo la cessazione della convivenza, possono ugualmente essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge onerato (Cass. VI, n. 11797/2014). Irrilevanti, invece, sono le partecipazioni in società, costituite in costanza di matrimonio ma divenute attive dopo la cessazione della convivenza (Cass. I, n. 5132/2014). Patrimonio e redditiIl primo elemento ad essere oggetto di doverosa considerazione è la valutazione comparativa dei redditi dei coniugi, ma anche più in generale delle complessive capacità patrimoniali rispettive. In proposito occorre tener conto dell'intera consistenza patrimoniale di ciascuno dei coniugi e quindi di qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica, compreso l'uso di una casa di abitazione, da valutarsi in misura pari al risparmio di spesa che occorrerebbe sostenere per godere dell'immobile a titolo di locazione (Cass. I, ord. n. 15773/2020). Cass. I, ord. n. 11797/2021 ha ritenuto rilevante la titolarità della pensione sociale, quale fonte idonea a sopperire in qualche misura alle esigenze di vita di chi la percepisce. Il reddito del quale tener conto è quello al netto delle ritenute di legge, non anche di quelle volontarie, quali l'iscrizione al sindacato, la cessione del quinto dello stipendio, e simili ( Cass. n. 10380/2012, per la separazione coniugale). La considerazione del reddito netto trae ragione nel fatto per cui in costanza di matrimonio la famiglia fa affidamento sul reddito al netto e ad esso riferisce ogni possibilità di spesa (Cass.VI, n. 23482/2020). Il trattamento di fine rapporto è considerato disponibilità della quale tener conto se deriva dal lavoro che il coniuge svolgeva durante il matrimonio, posto che l'altro poteva vantare aspettative su di esso; e comunque se giunge a incrementare le risorse economiche. Non lo si considera, invece, se i redditi tra i coniugi sono più o meno paritetici e se, per chi lo percepisce, serve a recuperare, in parte, i redditi persi a seguito del pensionamento (Cass. n. 16800/2009). Non occorre che i redditi dei coniugi siano accertati nel loro esatto ammontare ma è sufficiente una attendibile ricostruzione delle rispettive posizioni patrimoniali (Cass. n. 8057/1996) e della situazione complessiva di entrambi (Cass. n. 10720/2013). Si è affermato che nella determinazione dell'assegno di mantenimento (anche in sede di sua eventuale revisione), il giudice può prescindere dalla dichiarazione dei redditi del soggetto obbligato, ove appaia “ictu oculi” poco verosimile che l'effettiva situazione patrimoniale dello stesso sia in realtà quella formalmente rappresentata al Fisco, senza necessità di disporre particolari indagini tributarie. (Trib. Modena 20 gennaio 2012: nella specie, il genitore obbligato al mantenimento ne chiedeva la riduzione adducendo un proprio stato di indigenza sulla base della dichiarazione dei redditi. Accertato, però, che da diversi anni amministrava due società commerciali e che sosteneva esborsi superiori al triplo del guadagno dichiarato, il tribunale ha rigettato la domanda). Un orientamento giurisprudenziale nettamente maggioritario si esprime nel senso che devesi tener conto delle situazioni dei coniugi nel momento in cui si deve pronunciare il divorzio. Questa posizione è stata criticata dalla dottrina, la quale ne ha indicato l'inaccettabile conseguenza. Se non si possono operare distinzioni, si osserva, entrano nella valutazione del giudice anche i miglioramenti ottenuti dal coniuge, cui è richiesto l'assegno, allorchè questi si è creato una nuova famiglia e ha finalmente realizzato le sue aspirazioni, magari proprio perché è venuto meno l'ostacolo rappresentato dal coniuge, contrario alle sue iniziative. In ogni caso, la situazione reddituale al momento della cessazione della convivenza può essere considerata quale elemento induttivo dal quale ricavare, in via presuntiva, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e avendo quindi riguardo, quale parametro di valutazione del pregresso tenore di vita, alla documentazione attestante i redditi dell'onerato (Cass. n. 5178/2012). Nel valutare la spettanza dell'assegno divorzile si deve tenere conto della funzione non solo assistenziale ma anche perequativa e compensativa di tale contributo, sicché, ove il coniuge richiedente, dopo essersi dedicato nei primi anni del matrimonio esclusivamente alla famiglia, abbia intrapreso un'attività lavorativa a tempo parziale, occorre accertare il momento in cui è maturata tale decisione e le ragioni della stessa, nonché verificare se essa sia stata effettuata in autonomia o concordata con l'altro coniuge e se l'attività sia stata fin dall'origine a tempo parziale, considerando infine se, anche in relazione all'età del richiedente, detta scelta debba considerarsi ormai irreversibile, oppure se quest'ultimo possa ancora incrementare il proprio reddito, optando per la prestazione di lavoro a tempo pieno (Cass. I, ord. n. 23318/2021, nota di Ferrari, Assegno divorzile diminuito se la ex moglie sceglie il part-time, Altalex 12/9/2021). La disponibilità di beni immobili costituisce indubbio oggetto di valutazione. In proposito Cass. n. 8051/2011 aveva affermato che, nel caso in cui il patrimonio immobiliare del coniuge che chiede l'attribuzione dell'assegno e gli eventuali suoi altri redditi non siano in grado di assicurargli il mantenimento del pregresso tenore di vita senza dover ricorrere alla, sia pure parziale, alienazione di detto patrimonio, prima di potergli negare il diritto all'assegno il giudice deve esaminare quale sia la posizione economica complessiva del coniuge nei cui confronti l'assegno sia richiesto, per verificare se sia tale da consentire, nel bilanciamento dei rispettivi interessi, attraverso la corresponsione di un assegno divorzile, di conservare ad entrambi i coniugi il pregresso tenore di vita senza intaccare il patrimonio di nessuno di loro. Sono stati ritenuti non influenti gli immobili che non danno reddito (Cass. n. 17128/2004 in un caso di nuda proprietà; Cass. n. 23776/2011). Si deve, in ogni caso, tener conto del loro utilizzo diretto e delle spese necessariamente correlate alla loro proprietà (Cass. n. 8051/2011). In relazione ai beni acquisiti per successione ereditaria la giurisprudenza si è espressa con pronunce contrastanti. Cass. n. 20408/2011 e Cass. n. 398/2010 li hanno ritenuti irrilevanti ai fini della valutazione delle condizioni economiche dei coniugi, in quanto non rappresentavano uno sviluppo naturale delle attività svolte durante la convivenza. In altri casi si è pronunciato diversamente, in considerazione dell'incremento che ne era seguito nella situazione personale patrimoniale del coniuge tenuto all'assegno: in tema di assegno di divorzio, il tenore di vita cui deve tendere l'assegno divorzile, non è solo quello in atto ma pure quello potenziale (Cass. n. 15748/2013: fattispecie in cui il marito aveva ereditato un notevole patrimonio che poteva essere messo a frutto ovvero parzialmente alienato per far fronte ai bisogni famigliari, sicché ben si poteva parlare di condizione agiata della famiglia).Cass. n. 28892/2011 ha negato la valutabilità in relazione a immobili ereditari risultati essere privi di concreto valore per le loro pessime condizioni. Occorre attualmente tener conto dell'orientamento per il quale la ricchezza, o la sopraggiunta maggior ricchezza, dell'un coniuge non costituisce, di per sé, elemento determinante per la quantificazione dell'assegno. G In tema di determinazione dell'assegno divorzile, occorre considerare non soltanto gli introiti collegati allo svolgimento di attività lavorativa o imprenditoriale o quelli derivanti dal godimento di trattamenti pensionistici o assistenziali, ma anche l'eventuale titolarità di beni patrimoniali ed attività finanziarie, le quali, acquisite in corso di convivenza o frutto di miglioramenti successivi della situazione economica dell'obbligato, purché costituenti sviluppo naturale e prevedibile dell'attività svolta all'epoca, rilevano sia sotto il profilo statico, per l'immobilizzazione di capitali che tali forme d'investimento comportano, sia sotto il profilo dinamico, per le potenzialità economiche di cui costituiscono indice l'acquisto e la vendita, trattandosi di risorse economiche che esprimono la "ricchezza" complessivamente considerata di ciascuno dei coniugi ai fini dell'accertamento del significativo squilibrio delle condizioni economico-patrimoniali delle parti (Cass. I, ord. n. 9619/2023). Dovendosi tenere conto dell'intera consistenza patrimoniale di ciascuno dei coniugi e, conseguentemente, di qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica (Cass. I, n. 5174/2012), assume rilievo anche l'uso di una casa di abitazione, determinante un risparmio di spesa (Cass. I, n. 15773/2020 ) , salvo che l'immobile sia occupato in via di mero fatto, trattandosi di una situazione precaria (Cass. VI, n. 223/2016); l'utilità che ne deriva è valutabile in misura pari al risparmio della spesa che occorrerebbe sostenere per godere dell'immobile a titolo di locazione (Cass. I, n. 15773/2020; Cass. I, n. 5174/2012). La Corte di cassazione ha escluso la rilevanza dell'entità dei patrimoni delle famiglie di appartenenza ovvero del loro apporto economico ai coniugi, in quanto trattasi di un criterio non previsto dall'art. 5, l. n. 898/1970 (Cass. I, n. 15774/2020). Particolare rilievo assume una evidente sproporzione dei redditi delle parti (Cass. VI, n. 15222/2014; Cass. VI, n. 23088/2014; Cass. VI, n. 17412/2015): in presenza di un sensibile divario economico tra i due ex coniugi, quello in posizione di forza è obbligato a corrispondere un assegno a favore dell'altro (Cass. VI, n. 19382/2014). Si è anche affermato che il principio per cui ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento è derogato oltre che nell'ipotesi di non autosufficienza di uno di essi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall'uno all'altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato (Cass. I, n. 23583/2022). In osservanza del parametro assistenziale e perequativo compensativo, è indispensabile il previo accertamento di un significativo squilibrio delle condizioni economiche patrimoniali delle parti e in proposito rileva a tal fine anche la suddivisione del patrimonio operata dal marito durante il matrimonio e dopo la separazione, in favore della moglie; ove la situazione sia sostanzialmente equivalente non sussistono i presupposti per l'attribuzione dell'assegno in favore della moglie (Cass. I, ord. n. 28936/2022). Il riconoscimento dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull'esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi - che costituisce solo una precondizione fattuale per l'applicazione dei parametri di cui all'art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970 - essendo invece necessaria un'indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l'assegno, di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente (Cass. I, ord. n. 29920/2022: nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, in presenza di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, aveva attribuito l'assegno divorzile in ragione dell'attività domestica svolta dalla ex moglie, a prescindere dall'allegazione e dalla prova della perdita di concrete prospettive professionali e di potenzialità reddituali conseguenti alla scelta di dedicarsi alle cure della famiglia ed omettendo, altresì, di considerare che il patrimonio della richiedente era formato in misura prevalente da attribuzioni compiute da parte dell'ex coniuge). Si tratta di un giudizio relativo, rapportato storicamente alle condizioni delle parti: in tale ottica, il riconoscimento dell'assegno non è precluso né dall'autosufficienza economica del richiedente, né dall'addebito della separazione (Cass. I, n. 18539/2013). Al riguardo, con specifico riferimento al criterio delle ragioni della decisione, vengono in considerazione le circostanze che hanno influito sulla rottura del rapporto coniugale, ritenendosi che la già avvenuta valutazione del comportamento del coniuge ai fini dell'addebitabilità della separazione non ne esclude la rilevanza ai fini dell'autonoma valutazione che si effettua nel diverso giudizio di divorzio. Il mero divario economico, infatti, può restare privo di rilievo ai fini della quantificazione, quando anche durante la separazione, l'ex moglie aveva mantenuto un tenore di vita dignitoso (Cass. VI, n. 30257/17). Può essere irrilevante anche il fatto che l'ex coniuge abbia rifiutato alcune offerte di lavoro; resta decisivo, invece, il confronto tra i patrimoni e le potenzialità di guadagno dei due coniugi (Cass., VI, n. 12878/2017). Possono, invece, assumere rilievo le condizioni di salute estreme: anche in assenza di evidente sproporzione dei redditi delle parti, si deve riconoscere la corresponsione dell'assegno divorzile all'ex coniuge che si trovi in uno stato di salute tale da compromettere una qualsiasi attività lavorativa (Cass. VI, n. 3365/2014) Va comunque tenuto presente che il giudizio comparativo dei redditi dei coniugi non richiede un riscontro rigoroso del loro esatto ammontare, essendo sufficiente una attendibile valutazione comparativa della situazione complessiva di entrambi (Cass. I, n. 10720/2013). Quanto alla determinazione concreta del reddito, si fa ricorso anche a criteri presuntivi, fondati ragionevolmente sulle qualità personali delle parti e sul comportamento pregresso: si è ritenuta sussistente la esistenza di un reddito superiore rispetto a quello dichiarato a fini fiscali dall'imprenditore, in ragione del tenore di vita tenuto dallo stesso e della decisiva circostanza che l'uomo aveva continuato a corrispondere lo stesso contributo complessivo mensile alla moglie e alle figlie nonostante la nascita di una nuova figlia da altra relazione (Cass. VI, n. 17738/2015). Un ulteriore elemento oggetto di considerazione è costituito dai riferimenti in fatto riguardanti l'età e le condizioni di lavoro degli ex coniugi. In proposito, l'accertamento della capacità lavorativa del coniuge richiedente, pur attualmente privo di redditi, va condotto non ipoteticamente ed in astratto, ma in termini effettivi e concreti (Cass. I, n. 6562/2014): l'ipotetica ed astratta possibilità lavorativa o di impiego, da parte del coniuge beneficiario, non incide sulla determinazione dell'assegno di divorzio, salvo che il coniuge onerato fornisca la prova che il beneficiario abbia l'effettiva e concreta possibilità di esercitare un'attività lavorativa confacente alle proprie attitudini (Cass. VI, n. 21670/2015). La mera attitudine al lavoro del coniuge che richiede l'assegno non è sufficiente, se valutata in modo ipotetico ed astratto, a dimostrare il possesso di un'effettiva capacità reddituale, dovendosi tener conto delle concrete prospettive occupazionali connesse ai fattori di carattere individuale ed alla situazione ambientale, nonché delle reali opportunità offerte dalla congiuntura economico sociale in atto (Cass. VI, n. 6433/2016). Altri elementi di valutazione sono l'età e la distanza del luogo di lavoro dalla abitazione (Cass. VI, n. 2236/2014; Cass. I, n. 6562/2014). In applicazione di queste regole è stata dichiarata corretta la decisione dei giudici del merito nella quantificazione dell'assegno divorzile da corrispondere alla ex moglie in considerazione che l'età della donna, la mancanza di una qualche formazione professionale e le particolari condizioni del mercato del lavoro del Mezzogiorno consentivano di ritenere inesistente una concreta possibilità di reperire un'occupazione lavorativa (Cass. VI, n. 20937/2016). Cass. n. 3914/2012 aveva dichiarato rilevante ai fini della valutazione delle condizioni dei coniugi una vincita al gioco (lecito) e aveva argomentato che, sebbene fosse condivisibile l'assunto per cui non devono essere considerati gli arricchimenti dovuti a eventi eccezionali, non legati all'attività svolta durante il matrimonio, nel caso concreto doveva attribuirsi rilevanza alla vincita per valutare se le condizioni patrimoniali dell'obbligato consentivano di corrispondere l'assegno divorzile, determinato pur sempre in relazione al tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio. Deve dubitarsi della coerenza di questa presa di posizione con l'orientamento interpretativo attuale, per il quale l'arricchimento non costituisce, di per sé solo, un elemento decisivo per la determinazione dell'ammontare dell'assegno. Del fallimento del coniuge onerato dall'assegno non si tiene conto se di esso questi non ha risentito (Cass. n. 5495/2012, in un caso in cui il fallito manteneva una compagna, due figli e aveva comperato per lei un immobile di ingente valore). Istruttoria patrimonialeAll'accertamento in concreto dei redditi e del patrimonio delle parti è dedicato il nono comma dell'art. 5 l. n. 898/1970, che ribadisce per il procedimento di divorzio, così come per la separazione (art. 706, comma 3, c.p.c.), l'obbligo per entrambi i coniugi di presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione dei redditi e ogni altra documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. L'obbligo di esibizione non è limitato, quindi, alle sole dichiarazioni fiscali, nelle quali determinati cespiti non compaiono, ma è esteso a tutta la documentazione che risulti eventualmente necessaria, nel caso specifico, per una compiuta ricostruzione patrimoniale, sia con riguardo al patrimonio comune dei coniugi che ai singoli patrimoni personali. Più preciso è il dettato dell'art. 473-bis.12 c.p.c. subentrato dopo l'abrogazione della disposizione di cui sopra da valere per i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023, data di efficacia del d.lgs. n. 149/2022 di riforma del processo civile. La nuova norma retrodata la produzione documentale al momento di deposito del ricorso introduttivo del giudizio di divorzio ed a quello di deposito della comparsa di costituzione del convenuto. E comprende: le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili, beni mobili registrati e quote sociali; gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni. Queste produzioni sono dovute quando sono proposte domande di contributo economico o in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti; ma l'art. 473-bis.48 c.p.c. le prevede come obbligatorie nel caso di giudizi in materia di divorzio. L'art. 5 l. n. 898/1970 (nei limiti della sua vigenza, circoscritta ai procedimenti pendenti al 28 febbraio 2023) disciplina i poteri istruttori del giudice al riguardo, prevedendo che in caso di contestazioni siano disposte indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, con utilizzo diretto della polizia tributaria. In giurisprudenza si è escluso che questo potere officioso del giudice del divorzio potesse essere esercitato in presenza di qualunque contestazione, anche generica, della controparte; il giudice ha, anzitutto, il dovere di valutare la documentazione fiscale acquisita, che può essere sufficiente ai fini della decisione; inoltre, la contestazione della parte che richiede di procedere ad indagini tributarie deve essere specifica, cioè in sostanza motivata su precise indicazioni di inattendibilità delle dichiarazioni fiscali depositate dal coniuge relativamente al quale sono richiesti approfondimenti. Il giudice ha pur sempre la possibilità di disporre una consulenza tecnica d'ufficio per la determinazione dei patrimoni e delle capacità reddituali dei coniugi, eventualmente affiancando al consulente la polizia tributaria per acquisizione degli elementi utili, specie mediante la consultazione delle banche dati informatiche. Per i procedimenti da instaurare nelle forme del rito unificato in materia di stato delle persone, di minori e di famiglia, l'art. 473-bis.2 c.p.c. assegna al giudice, con riferimento alle domande di contenuto economico, il potere di ordinare d'ufficio l'integrazione della documentazione depositata dalle parti e di disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, anche nei confronti dei terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria. G L'esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali è meramente discrezionale e il giudice può decidere di non avvalersi della polizia tributaria, qualora ritenga che il quadro probatorio già acquisito sia sufficiente e completo e non necessiti di informazioni integrative (Cass. VI, n. 8744/2019; Cass. VI, n. 22568/2013; Cass. I, n. 2098/2011). In quanto derogatorio delle regole generali sul riparto dell'onere della prova, il potere discrezionale del giudice di disporre indagini di polizia tributaria incontra un limite in presenza di fatti precisi e circostanziati in ordine all'incompletezza o all'inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo: in questi casi, il giudice ha il dovere di disporre le indagini, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell'assegno senza disporre accertamenti (Cass. I, ord. n. 22616/2022). Il provvedimento con il quale il giudice del merito accoglie o rigetta l'istanza di una delle parti perché siano disposte indagini di polizia tributaria, ove congruamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. I, n. 21173/2011). Durata del matrimonioUn rilevante elemento oggetto di considerazione è costituito dalla durata del matrimonio. La durata del matrimonio è considerata dalla legge sul divorzio come elemento di valutazione cui il giudice deve fare riferimento nel pronunciarsi sull'assegno divorzile. Dal dettato normativo si desume che questo parametro è indicato come elemento riassuntivo e di completamento di tutti gli altri criteri menzionati nell'art. 5 l. n. 898/1970. Si afferma, comunque, che anche il criterio valutativo fondato sulla durata del matrimonio incide sull'apprezzamento da effettuarsi dal giudice per la determinazione dell'ammontare dell'assegno, dopo che è stata accertata la sussistenza del diritto a percepirlo, e non a quest'ultimo scopo (Cass. n. 7295/2013; Cass. n. 4736/2003). Al principio per cui la durata del matrimonio non incide sul riconoscimento del diritto all'assegno, ma solo sulla determinazione del suo ammontare, si fa eccezione quando non è stata realizzata alcuna comunione morale e materiale tra i coniugi (Cass. n. 6164/2015, nel caso di matrimonio con dieci giorni di convivenza e meno di cento giorni tra il matrimonio e il deposito del ricorso per separazione). La giurisprudenza meno recente aveva ritenuto si dovesse avere riguardo a tutti i fatti verificatisi per tutta la durata del vincolo matrimoniale e non nel solo periodo in cui i coniugi avevano avuto convivenza tra loro; e dunque ai comportamenti tenuti nel periodo della convivenza coniugale e a quelli osservati nel regime di separazione, sino allo scioglimento del matrimonio, specie per quanto concerneva il mantenimento, l'educazione e l'istruzione dei figli. La dottrina si era espressa criticamente, sull'assunto di esperienza che vedeva giungere al divorzio dopo separazioni (in allora: n.d.r.) prolungate e che non lasciavano spazio alla prosecuzione di rapporti tra i coniugi: e suggeriva si dovesse tener conto del momento finale della cessazione della convivenza. Si è poi osservato che i due periodi temporali non possono non essere intesi diversamente. PerCass. n. 1616/1995 il parametro della durata del matrimonio comporta una diversa rilevanza da attribuire al periodo che decorre dalla stipulazione del matrimonio alla separazione e a quello successivo alla separazione. Infatti, secondo detta pronuncia, solo il periodo che termina con la separazione corrisponde alla effettiva comunione spirituale e materiale tra i coniugi e può pertanto fungere da parametro presuntivo di valutazione insieme alle altre condizioni; laddove il periodo successivo alla separazione, essendo venuta meno la detta comunione, assurge a parametro utilizzabile solo ove si dimostri la sua effettiva rilevanza rispetto alle altre condizioni concorrenti indicate dall'art. 5 l.n. 898/1970. L'assegno è stato negato nel caso di rapporto matrimoniale istituito solo formalmente per volontà e colpa dello stesso coniuge richiedente, e che, non avendo dato corpo alla formazione di alcuna comunione coniugale, era sfociato in breve tempo in una domanda di divorzio (Cass. n. 8233/2000, matrimonio non consumato; con affermazione, però, secondo cui l'assegno di divorzio ha la finalità di tutelare il coniuge economicamente più debole, ancorchè il matrimonio abbia avuto breve durata e la comunione spirituale e materiale non siasi potuta costituire, senza sua colpa). Si nega, in genere, importanza decisiva alla brevità della durata del matrimonio. Ma, come accennato, le si attribuisce importanza ai fini della stessa esclusione del diritto all'assegno se l'esiguità temporale ha impedito il formarsi della comunione spirituale e materiale tra i coniugi per un fatto imputabile allo stesso richiedente. In particolare,Cass. n. 12841/2006 ha confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto l'assegno al coniuge, privo di redditi propri, nonostante la breve durata del rapporto matrimoniale, sul rilievo che questo era venuto meno senza colpa del coniuge richiedente l'assegno. GLa durata del rapporto coniugale rileva solo ai fini della quantificazione, cioè della determinazione della misura dell'assegno, ma non influisce sul riconoscimento dello stesso (Cass. VI, n. 2343/2016). L'elemento temporale può tuttavia incidere sul riconoscimento stesso dell'assegno in casi eccezionali, nei quali non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi (Cass. I, n. 7295/2013; Cass. I, n. 2546/2014; Cass. VI, n. 6164/2015). Adeguamento automaticoIl settimo comma della norma in commento prevede che la sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Peraltro il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione. disposizione è prevista, in linea generale per la prole, dall'art. 337-bis, comma 5, c.c. La funzione dell'adeguamento periodico è quella di preservare il beneficiario dal progressivo deterioramento del valore del contributo che riceve. La natura dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi, in conseguenza del divorzio e della separazione, postulano la possibilità di adeguare l'ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali e anche di modularne la misura secondo decorrenze diverse (Cass. I, n. 9533/2019). L'avverbio «almeno» indica che l'utilizzo degli indici Istat non è esclusivo: il giudice può anche scegliere, in relazione alla peculiarità della fattispecie, altri criteri di adeguamento per rapportare l'interesse del beneficiario ad una totale conservazione del potere di acquisto dell'assegno al grado di elasticità dei redditi del soggetto obbligato; al tempo stesso indica che sono possibili solo ritocchi in aumento, escludendo l'adozione di criteri che possano determinare adeguamenti automatici annuali di minore portata di quanto risultante dall'utilizzo degli indici Istat. In mancanza di diverso parametro scelto dalle parti o stabilito dal giudice, la rivalutazione deve effettuarsi in ragione degli indici ufficiali elaborati dall'Istat, di aumento del costo medio della vita; il tenore lessicale della norma conferma l'obbligatorietà dell'adeguamento, definito come automatico in quanto necessariamente disposto dal giudice e, addirittura, operante anche in assenza di espressa disposizione da parte dell'autorità giudiziaria. DecorrenzaG Secondo interpretazione consolidata in giurisprudenza, la regola avente applicazione generale è che l'assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo status delle parti, decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale (Cass. I, ord. n. 3852/2021Cass. I, n. 19330/2020; Cass. VI, n. 2326/2016; Cass. VI, n. 6164/2015; Cass. I, n. 2546/2014). La ragione di questa regola, diversa da quella ordinaria che valorizza la retroattività della domanda, risiede nella efficacia costitutiva della pronuncia del giudice sullo status personale (Cass. I, n. 7295/2013). Tuttavia, a tale principio ha introdotto un temperamento l'art. 4, 13° comma, l. 1° dicembre 1970, n. 898, conferendo al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanze del caso concreto, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda di divorzio (Cass. I, n. 7295/2013). Tale norma non introduce una regola di carattere generale, ma si limita a conferire al giudice un potere discrezionale, che rappresenta una deroga al principio secondo cui l'assegno divorzile decorre dal passaggio in giudicato della pronuncia di risoluzione del vincolo coniugale (Cass. I, n. 1613/2011; Cass. VI, n. 1264/2015). Proprio in ragione di questa natura derogatoria, il giudice, ove si avvalga del detto potere, è tenuto a motivare adeguatamente la propria decisione (Cass. VI, n. 212/2016; Cass. I, n. 20024/2014; Cass. I, n. 1613/2011). Il menzionato potere è interamente affidato alla discrezione del giudice e può essere esercitato anche in mancanza di un'apposita richiesta di parte (Cass. I, n. 7295/2013; Cass. I, n. 1613/2011). In proposito va ricordato che la domanda di assegno può essere anche oggetto di giudizio autonomo e separato da quello di divorzio; in tal caso, gli effetti della sentenza decorrono dalla data della domanda del giudizio autonomo introdotto per l'assegno, secondo le regole processuali ordinarie. CessazioneLa cessazione del diritto a percepire l'assegno di divorzio viene naturalmente a verificarsi nel caso di morte del beneficiario. Tuttavia le Sezioni Unite della Corte di cassazione (sent. n. 20495/2022) hanno affermato che la morte dell'ex coniuge ricorrente nel corso del procedimento per la revisione dell'assegno divorzile non comporta la dichiarazione di improseguibilità del giudizio perché gli eredi subentrano nella posizione del coniuge richiedente la revisione al fine dell'accertamento della non debenza dell'assegno a decorrere dalla domanda sino al decesso nonché nell'azione di ripetizione dell'indebito per la restituzione delle somme non dovute (Conforme Cass. n. 17041/2007). Prima di questo evento, la cessazione del diritto all'assegno di divorzio può avvenire su base negoziale, per effetto della volontà delle parti, dato che esso ha ad oggetto diritti patrimoniali disponibili (Trib. Modena, II, 5 gennaio 2017, n. 85, Giurisprudenza locale — Modena 2017). L'assegno è, infatti, suscettibile di rinuncia, successivamente al suo riconoscimento, così come è suscettibile di rinuncia la relativa domanda nel corso della causa di divorzio. Il diritto all'assegno si estingue, inoltre, quando viene meno il presupposto sostanziale dell'inadeguatezza del reddito del beneficiario, se quest'ultimo consegue una condizione economica che gli consente un tenore di vita corrispondente a quello matrimoniale o, quantomeno, l'autosufficienza. Si veda anche in tema di revisione dell'assegno di divorzio (v. sub art. 9 l. n. 898/1970). In proposito la Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato: “In tema di assegno di mantenimento separativo e divorzile, ove si accerti nel corso del giudizio - nella sentenza di primo o secondo grado - l'insussistenza "ab origine", in capo all'avente diritto, dei presupposti per il versamento del contributo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della "condictio indebiti" che può essere derogata, con conseguente applicazione del principio di irripetibilità, esclusivamente nelle seguenti due ipotesi: ove si escluda la debenza del contributo, in virtù di una diversa valutazione con effetto "ex tunc" delle sole condizioni economiche dell'obbligato già esistenti al tempo della pronuncia, ed ove si proceda soltanto ad una rimodulazione al ribasso, di una misura originaria idonea a soddisfare esclusivamente i bisogni essenziali del richiedente, sempre che la modifica avvenga nell'ambito di somme modeste, che si presume siano destinate ragionevolmente al consumo da un coniuge, od ex coniuge, in condizioni di debolezza economica” (sent. n. 32914/2022). Il decimo comma della norma in commento prevede una speciale fattispecie estintiva legale, che si verifica quando il coniuge, al quale l'assegno deve essere corrisposto, passa a nuove nozze. Questa previsione è una conferma della peculiare natura dell'assegno, che trova fondamento nella c.d. solidarietà postmatrimoniale. L'estinzione a seguito di nuove nozze si produce automaticamente al verificarsi del presupposto, e il provvedimento del giudice ha soltanto carattere di accertamento. Sulla base della considerazione che l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, un orientamento formatosi in giurisprudenza estende l'operatività della norma alla famiglia di fatto (Cass. VI, n. 25528/2016; Cass. VI, n. 19345/2016; Cass. VI, n. 2466/2016; Cass. VI, n. 17856/2015; Cass. I, n. 6855/2015; contra: Cass. I, n. 17195/2011). Tuttavia, a differenza delle nuove nozze, la convivenza more uxorio del coniuge destinatario dell'assegno resta una situazione meno stabile e definitiva e, pertanto, le si riconosce rilievo soltanto ove dotata di connotati che la rendano del tutto assimilabile alla costituzione di un nuovo rapporto matrimoniale, in mancanza dei quali la si considera irrilevante, ovvero idonea, se mai, a produrre solo una sospensione dell'assegno divorzile (Cass. VI, n. 4539/2014), tenuto anche conto del fatto che il diritto alla costituzione di una famiglia è un diritto fondamentale della persona, anche nel contesto costituzionale e sovranazionale (Cass. I, n. 6289/2014; Cass. VI, n. 14175 /2016.). Il principio di applicazione attuale è così enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione: “Qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell'attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge” (sent. n. 32198/2021). La magistratura ordinaria segue l'insegnamento della Corte suprema: “In tema di assegno divorzile, l'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza "more uxorio" fa venir meno il diritto all'assegno, salvo che per la sua componente compensativa, la cui sussistenza deve, tuttavia, essere specificamente dedotta dalla parte che faccia valere il proprio diritto all'assegno” (Cass. I, ord. n. 14256/2022). Il tema trattato ha collegamenti con quello della revisione dell'assegno di divorzio (v. sub art. 9 l. 1 dicembre 1970, n. 898). Questione diversa concerne la revoca dell'assegno per effetto della instaurazione di una convivenza di fatto dopo che ne è stata affermata la debenza. Al riguardo si è affermato, in giurisprudenza, che ove sia richiesta la revoca dell'assegno in favore dell'ex coniuge a causa dell'instaurazione da parte di quest'ultimo di una convivenza "more uxorio", il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell'eventuale coabitazione con l'altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l'insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. I, ord. n. 14151/2022). Ai fini della revoca dell'assegno divorzile, la convivenza "more uxorio" instaurata dall'ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche, gravando l'onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all'assegno (Cass. I, ord. n. 3645/2023). Una tantumIl comma 8 della norma in commento prevede espressamente l'ipotesi della corresponsione dell'assegno in unica soluzione, c.d. una tantum. In questo modo gli ex coniugi liquidano l'intero ammontare dell'assegno determinandolo in una somma capitale, corrisposta anticipatamente per intero, invece che con prestazioni periodiche. I presupposti sono, da un lato, l'accordo delle parti e, dall'altro, la valutazione di equità da parte del giudice. L'accordo delle parti non deve necessariamente essere espresso in un ricorso congiunto ai sensi dell'art. 4, u.c., l. n. 898/1970, potendo essere raggiunto nel corso di un giudizio di divorzio contenzioso. Nella prassi, in assenza di espliciti dati normativi contrari, si ammette anche un accordo parziale, che prevede, oltre alla corresponsione di una somma in unica soluzione, anche la misura residua dell'assegno periodico, indicizzato. La verifica giudiziale non è prevista in termini di stretta adeguatezza contabile, in quanto la nozione di equa valutazione consente un certo margine di elasticità, connessa anche alle condizioni patrimoniali complessive di entrambe le parti. Non è necessaria, pertanto, la rispondenza a specifiche tabelle di capitalizzazione. La valutazione del giudice deve essere rivolta a verificare che l'accordo non costituisca una pattuizione preventiva al divorzio e che lo condizioni, posto che in tal caso esso sarebbe colpito dalla nullità radicale che inficia ogni sistemazione dei rapporti personali indisponibili antecedente al concreto sorgere dei diritti e doveri reciproci. Inoltre, la valutazione del giudice deve riguardare l'equità sostanziale della corresponsione, nella sua entità economica. L'apprezzamento deve tener conto di quello che avrebbe potuto essere l'assegno periodico, secondo tutti i criteri di quantificazione indicati dal citato art. 5, con riferimento alle condizioni economiche in cui versano le parti, i mezzi dei quali può venire a disporre il coniuge avente diritto dopo il divorzio e l'apporto che egli aveva dato alla costruzione dell'economia familiare e al patrimonio comune raggiunto. Il giudizio di equità riguarda anche il procedimento divorzile su domanda congiunta (Corte app. Bari 19 ottobre 1999). La giurisprudenza ha ammesso che il contenuto dell'accordo possa essere precostituito alla richiesta di divorzio, a condizione che esso sia proposto all'attenzione e all'approvazione del giudice.Cass. n. 15064/2003, ad esempio, ha ritenuto consentito alle parti di dichiarare, in sede di divorzio, che, in virtù di una pregressa operazione (trasferimento di un immobile), l'assegno di divorzio era già stato corrisposto una tantum e di chiedere al giudice di stabilire conformemente in ordine all'assegno divorzile. In casi come questo, sussistendone l'espressa richiesta, il giudice può darne atto e recepire l'intesa nella sua pronuncia; senza una siffatta richiesta il giudice non ha poteri d'ufficio e resta privo di effetti il fatto che i coniugi regolino i loro rapporti senza poi chiedere alcun riconoscimento di debenza o di soddisfacimento dell'assegno. Un accordo tra i coniugi non escluderebbe che successivi mutamenti nella situazione di uno dei coniugi sopraggiungano a giustificare la richiesta di corresponsione dell'assegno a carico dell'altro o una sua modificazione (Cass. n. 15044/2003, per un caso di richiesta di modifica delle condizioni stabilite con la sentenza di divorzio). Rientra nella nozione di assegno in un'unica soluzione, di cui all'art. 5, comma 8, l. n. 898/70, ogni corresponsione di somme o di altre utilità nascenti da una unica fonte negoziale, la cui funzione sia quella di sistemare definitivamente i rapporti economici tra i coniugi divorziati, al di là del nomen iuris che le parti hanno inteso ad esso dare nelle loro pattuizioni; tali somme, pertanto, non sono assoggettabili alla regolamentazione prevista per l'assegno periodico di divorzio di cui all'art. 5 della legge citata (Cass. n. 3635 /2012). La corresponsione in unica soluzione produce un effetto preclusivo di ogni altra prestazione economica in favore del coniuge beneficiario . Essa interrompe definitivamente ogni rapporto economico tra gli ex coniugi, tra essi compreso l'obbligo degli alimenti. La corresponsione in unica soluzione dell'assegno divorzile esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto di natura patrimoniale e non, nei confronti dell'altro coniuge, attesa la cessazione, per effetto del divorzio, di qualsiasi rapporto tra gli ex coniugi, con la conseguenza che nessuna ulteriore prestazione può essere legittimamente invocata dal coniuge assegnatario, in base al disposto dell'art. 5, comma 8, della l. n. 898/1970, neanche per la sopravvenienza di quei giustificati motivi cui l'art. 9 della stessa legge subordina l'ammissibilità dell'istanza di revisione dell'assegno corrisposto periodicamente (cosìCass. n. 126/2001) né per il peggioramento delle condizioni economiche dell'assegnatario (così Cass. n. 3635/2012). L'indennità una tantum preclude il diritto a una quota della pensione di reversibilità (Cass. n. 3635/2012; Cass. n. 10458/2002). Diverso è il discosto per quanto concerne l'assegno disposto, con il divorzio, a favore della prole minorenne. Questa, per la giurisprudenza, è portatrice di un diritto proprio e autonomo, che non può essere negato per il solo fatto che alla madre sia stata versata una somma una tantum. In proposito la Corte di cassazione ha affermato: “La corresponsione dell'assegno divorzile che avvenga, su accordo delle parti, in un'unica soluzione ed anche in previsione delle esigenze di mantenimento di un minore, non pregiudica la possibilità di richiedere, ex art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, la modifica delle condizioni economiche del divorzio qualora esse, per fatti intervenuti successivamente alla relativa sentenza, si rivelino inidonee a soddisfare le esigenze predette, avendo il minore un interesse, distinto e preminente rispetto a quello dei genitori, a vedersi assicurato sino al raggiungimento dell'indipendenza economica un contributo al mantenimento idoneo al soddisfacimento delle proprie esigenze di vita” (Cass. n. 13424/2014). Un'altra importante ragione di deroga alla definitività dei rapporti economici tra i coniugi riguarda la comunione de residuo. L'azione di accertamento proposta dall'ex coniuge non rientra nella preclusione di cui all'art. 5, comma 8, l. divorzio, trattandosi di pretesa fondata su presupposti e finalità del tutto diversi, posto che la detta comunione si costituisce solo su taluni beni dei coniugi e soltanto se ancora esistenti al momento del suo scioglimento (Cass. I, ord. n. 4492/2021). Il diritto alla percezione in unica soluzione si prescrive nel termine decennale ordinario, a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. La principale caratteristica della corresponsione dell'assegno divorzile in unica soluzione su accordo tra le parti è che il pagamento della somma estingue definitivamente il diritto all'assegno. La norma prevede quindi un'eccezione al principio generale di modificabilità delle condizioni di divorzio (Trib. Modena II, 5 gennaio 2017, n. 85, Giurisprudenza locale — Modena 2017). L'ex coniuge perde anche il diritto di accedere alla pensione di reversibilità, prevista dall'art. 9, comma 2, l. 1 dicembre 1970, n. 898 (Cass. lav., n. 9054/2016; Cass. lav., n. 3635/2012; ; Cass. S.U. n. 22434/2018).
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