Codice Civile art. 265 - Impugnazione per violenza (1).Impugnazione per violenza (1). [I]. Il riconoscimento può essere impugnato per violenza [1434] dall'autore del riconoscimento entro un anno dal giorno in cui la violenza è cessata. [II]. Se l'autore del riconoscimento è minore, l'azione può essere promossa entro un anno dal conseguimento dell'età maggiore [267, 2964]. (1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo le parole «Capo II. "Della filiazione naturale e della legittimazione"»; «Sezione I. "Della filiazione naturale» e la rubrica del paragrafo 1 «Del riconoscimento dei figli naturali» con le parole: «Capo IV. "Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio"». InquadramentoLa previsione di un'impugnativa del riconoscimento per violenza, secondo parte della dottrina, è posta a tutela della discrezionalità dell'atto, intesa come volontarietà dello stesso (Majello, 1982, 157). Questo tipo d'impugnazione non ha, dunque, lo scopo di accertare la veridicità del riconoscimento, bensì la coercizione della volontà del suo autore, il quale ha riconosciuto un figlio proprio, non spontaneamente, ma in quanto coartato da una grave minaccia (Farolfi, 2015, 1052). Altra parte della dottrina riconduce più propriamente l'impugnazione per violenza, come quella per interdizione giudiziale, al carattere della negozialità del riconoscimento, che deve scaturire da una manifestazione di volontà libera e consapevole (Dogliotti, 2015, 367). Si argomenta che, accogliendo la tesi della negozialità dell'atto, i genitori «dispongono» dello stato dei figli, e tuttavia pur sempre nell'interesse del figlio minore. Il riconoscimento deve essere libero, sicché la violenza è l'unico vizio rilevante ai fini dell'impugnazione. Sulla irrilevanza degli altri vizi della volontà, cfr. subart. 263 c.c. Per i profili regolati da tale disposizione, si ritiene che possano trovare applicazione, in via analogica, le norme dettate per la violenza come vizio della volontà nel contratto (artt. 1434 — 1438 c.c.) (Majello, 1982, 158). Ne discende che la violenza è causa di impugnazione del riconoscimento anche se proviene da un terzo (Cicu, 2015, 197). L'impugnazione è possibile solo se la violenza ha i caratteri dell'art. 1435 c.c. Si discute sulla possibilità di considerare causa di impugnazione anche la violenza consistita nella minaccia di far valere un diritto, al fine di ottenere vantaggi ingiusti (Majello, 1982, 159). Legittimato attivo è l'autore del riconoscimento, che deve proporre l'azione entro un anno dal momento in cui la violenza è cessata o dal compimento della maggiore età, mentre legittimato passivo è il figlio. Nel caso di morte dell'autore del riconoscimento prima della scadenza del termine per l'impugnazione, l'azione può essere promossa dai discendenti, dagli ascendenti o dagli eredi, ai sensi dell'art. 267 c.c. La pronuncia di invalidità del riconoscimento per violenza, non impedisce all'autore dello stesso di promuovere un nuovo riconoscimento (Majello, 1982, 161), né preclude a chi ha riconosciuto di agire per l'accertamento dell'invalidità del riconoscimento stesso. In applicazione della disciplina dell'annullamento del contratto, si è affermato che il riconoscimento impugnabile per vizi soggettivi (dunque non solo per violenza) può essere convalidato dal suo autore, a condizione però che si tratti di convalida espressa, sostanzialmente coincidente con una rinnovazione del riconoscimento. Si reputa invece inammissibile una convalida tacita, salvo che nel caso in cui il genitore contragga valido matrimonio con l'altro genitore che abbia a sua volta riconosciuto il figlio, oppure in cui l'autore del riconoscimento, cessata la causa dell'impugnabilità, dia esecuzione ad atti e comportamenti rientranti nel contenuto della responsabilità genitoriale (Majello, 1982, 170). La giurisprudenza di merito ritiene applicabile in via analogica, quanto alla trasmissibilità dell'azione ex art. 263 c.c. dal lato passivo, l'art. 267 c.c. che richiama espressamente soltanto le fattispecie regolate dagli artt. 264 c.c., relativo all'impugnazione del riconoscimento da parte del riconosciuto, e 265 c.c., concernente l'impugnazione del riconoscimento per violenza (Trib. Napoli III, 21 dicembre 2005). Più in generale, si è affermato che nell'azione di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale il rapporto intercorre esclusivamente tra il genitore impugnante ed il figlio, di talché deve essere esclusa la legittimazione passiva dell'altro genitore il quale, essendo comunque portatore di un interesse alla decisione, può intervenire volontariamente in quel giudizio (cfr. Trib. Napoli 28 aprile 2000; Trib. Parma 5 maggio 1987). Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, ha introdotto il rito unificato per le controversie in materia di stato delle persone, di famiglia e di minori, disciplinato dagli artt. 473-bis e seguenti c.p.c. Il procedimento si instaura con ricorso. La competenza appartiene al tribunale territorialmente individuato secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione (art. 473-bis.11). Se devono essere adottati provvedimenti riguardanti minori, è competente il tribunale del luogo di ultima residenza del minore; se vi è stato trasferimento non autorizzato, entro l'anno dal trasferimento la competenza spetta al tribunale dell'ultima residenza abituale del minore. Ricevuto il ricorso, il presidente del tribunale nomina con decreto il giudice relatore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questi. Prima dell'udienza il convenuto deve costituirsi, a pena di decadenze da facoltà difensive. L'attore può controbattere con una memoria scritta alla comparsa del convenuto; il convenuto, a sua volta, può rispondere con memoria scritta che l'attore ha ancora facoltà di contestare, prima dell'udienza. Quando la causa è matura per la decisione il giudice relatore (o istruttore se vi è stata assunzione di mezzi probatori) fissa l'udienza nella quale rimetterà le parti alla decisione del collegio e assegna ad esse tre termini successivi entro i quali esse devono: depositare le conclusioni; depositare la comparsa conclusionale; depositare le memorie di replica (art. 473-bis.28). All'udienza il giudice si riserva di riferire al collegio. La decisione è pronunciata con sentenza depositata entro 60 giorni dalla rimessione. La sentenza è impugnabile con appello. Ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 149/2022, di riforma del processo civile, le sue disposizioni processuali si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023; ai procedimenti pendenti in tale momento continuano ad applicarsi le norme ante vigenti. BibliografiaBianca M., L'uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l.n. 219 del 2012, in Giust. civ. 2013,; Cicu, La filiazione, in Tr. Vas., Torino, 1969; Dogliotti, La filiazione fuori dal matrimonio, in Comm. c.c. , Milano, 2015; Farolfi, Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015; Majello, Della filiazione e della legittimazione, in Comm. S.B., artt. 250 - 290, Bologna, 1982. |