Codice Civile art. 279 - Responsabilità per il mantenimento e l'educazione (1) (2).

Valeria Montaruli
Francesco Bartolini

Responsabilità per il mantenimento e l'educazione (1) (2).

[I]. In ogni caso in cui non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità [251], il figlio nato fuori del matrimonio può agire per ottenere il mantenimento, l'istruzione e l'educazione [580, 594]. Il figlio nato fuori del matrimonio se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti [433; 282 c.p.c.] a condizione che il diritto al mantenimento di cui all'articolo 315-bis, sia venuto meno (3).

[II]. L'azione é ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi dell'articolo 251 (4).

[III]. L'azione può essere promossa nell'interesse del figlio minore da un curatore speciale [78 2 c.p.c.] nominato dal giudice su richiesta del pubblico ministero o del genitore che esercita la responsabilità genitoriale [34 att.] (5).

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la rubrica del paragrafo 2 della sezione I del capo II del libro primo del codice civile «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale», con: «Capo V. "Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità"»

(2) Articolo così sostituito dall'art. 121 l. 19 maggio 1975, n. 151.

(3) L'art. 36, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito la parola «naturale», ovunque presente, dalle parole: «nato fuori del matrimonio»; e dopo le parole: «per ottenere gli alimenti» ha inserito le parole: «a condizione che il diritto al mantenimento di cui all'articolo 315-bis, sia venuto meno». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(4) Comma sostituito dall'art. 36, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo precedente recitava: «L'azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi dell'articolo 274». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(5) L'art. 36, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito alla parola: «potestà» le parole: «responsabilità genitoriale».

Inquadramento

La disposizione in esame disciplina i diritti del figlio nato fuori dal matrimonio, qualora non sia possibile esperire l'azione per la dichiarazione giudiziale della paternità o maternità. In questo caso, il figlio, pur non potendo ottenere l'accertamento dello status filiationis, può comunque agire per ottenere il mantenimento, l'istruzione e l'educazione. In proposito è stato detto che la norma prevede una tutela residuale, che può essere azionata in tutti i casi in cui non si possa ottenere la dichiarazione di genitorialità (Balestra, 2014, 546). Peraltro, si osserva che questa disposizione, che ancora non parifica questo tipo di filiazione a quella riconosciuta, rappresenta comunque un avanzamento rispetto alla formulazione originaria del codice civile del 1942, che riconosceva ai figli non riconoscibili esclusivamente il mero diritto alimentare, e solo in presenza di determinati presupposti, ovvero quando la paternità o la maternità risultassero indirettamente da sentenza civile o penale, o in caso di matrimonio dichiarato nullo, ovvero sulla base di inequivoca dichiarazione scritta del genitore (Di Nardo, 2012, 589).

Quanto all'ambito di applicazione della disposizione in esame, a fronte di una interpretazione restrittiva per cui la tutela riconosciuta dalla medesima non potrebbe essere azionata qualora l'impossibilità di esperire l'azione ex 269 c.c. dipenda da un comportamento volontario dell'interessato (come l'inutile decorso dei termini per l'impugnazione), si sostiene che l'azione per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione di cui all'art. 279 c.c., può essere esperita anche dal figlio riconoscibile, ma non riconosciuto, qualunque fosse la causa del mancato riconoscimento, in quanto il diritto al mantenimento, all'educazione e all'istruzione di cui all'art. 279 c.c., spetta a qualunque figlio nei confronti dei genitori per il solo fatto della discendenza da chi lo ha generato (Finocchiaro, 1984, 1852). La questione rileva attualmente solo per coloro che erano definiti «figli incestuosi».

Le riforme della filiazione del 2012 e 2013, modificando l'art. 251 c.c., hanno ristretto il novero dei figli non riconoscibili, sicché la disposizione in esame trova applicazione in un ambito notevolmente circoscritto, ovvero alle ipotesi in cui il riconoscimento o l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità non vengono autorizzati, in quanto non conformi all'interesse del figlio (Bianca M., 2014, 396).

Invero, la riforma non supera il principio secondo il quale la formazione di un titolo è sempre necessaria, affinché possa parlarsi di stato di filiazione (Cicu, 1969, 1). Conseguentemente, il vigente art. 279 c.c. non prevede il diritto del figlio non riconoscibile a vivere in famiglia, ai sensi dell'art. 315-bis c.c., e, sotto il profilo ereditario, viene mantenuta la speciale disciplina prevista dagli artt. 573 e 580 c.c. (Lena –Magli, 2015, 1089). Anche ai sensi della riforma del 2012 –2013, viene ritenuta giustificata la disciplina che riconosce diritti successori pieni ai soli figli per i quali sia intervenuto il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della paternità o maternità (Relazione conclusiva della Commissione Bianca, 177, in politichefamiglia.it).

In definitiva, pur nella raggiunta affermazione del principio dell'unicità dello stato di filiazione, permane il diverso regime relativo i figli che si trovano, rispetto ai genitori biologici, nella descritta situazione particolare, che possono invocare la sola più limitata tutela di cui agli artt. 279,580 e 584 c.c. (Lena - Magli, 2015, 1090).

Con sentenza Corte cost. n. 121/1974, è stata dichiarata dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 279 c.c. nella parte in cui, nei casi previsti dall'art. 278 c.c. e in ogni altro caso in cui non possa più proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, non riconosceva al figlio naturale, nelle ipotesi indicate nello stesso articolo Peraltro, con sentenza Corte cost. n. 118/1974, pur dichiarandosi non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 279 c.c. sollevata sulla base del ritenuto contrasto con l'art. 30, primo comma, Cost., si è ritenuto che il costituente avesse voluto attribuire il diritto al mantenimento, alla educazione e alla istruzione ai figli naturali che (non riconosciuti o non legittimati) possono, secondo la legislazione vigente, giudizialmente ed a tutti i consentiti fini, provare la paternità o la maternità, osservando che in tal modo si è innovato nei confronti del sistema, in quanto si è data la possibilità giuridica ai figli, nei casi e per le ipotesi di cui all'art. 279 c.c., di ottenere il mantenimento nei confronti dei genitori.

Con riferimento all'ambito di applicazione dell'art. 279 c.c., in giurisprudenza si è sostenuta la tesi restrittiva, per cui pur essendo lo stato di figlio legittimo di per sé non incompatibile con una indagine incidenter tantum, ai fini dell'esercizio dei diritti successori di cui agli art. 537,580 e 594 c.c., su una diversa procreazione naturale (salvo che non si profili l'incesto), ciò è consentito soltanto se si versi in una situazione di impossibilità assoluta, cioè originaria, e non relativa, in quanto sopravvenuta, di proporre l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità (Cass. I, n. 467/1986). Si esclude, pertanto, tale presupposto nel caso del figlio naturale che, divenuto maggiorenne, abbia omesso di esperire, nel termine di decadenza all'uopo fissato, l'azione di disconoscimento del padre legittimo, sempre che ciò configuri una volontaria scelta circa l'incontestabilità dello stato di figlio legittimo, compiuta nella consapevolezza della diversa filiazione naturale e nella ricorrenza delle condizioni previste per l'azione di disconoscimento del padre legittimo, nonché in assenza di cause di forza maggiore impeditive del tempestivo esercizio di detta azione (Cass. I, n. 9065/1999). Un'interpretazione in senso estensivo è stata invece accolta da Cass. I, n. 4044/1976, relativa a una domanda giudiziale per l'ottenimento degli alimenti ex art. 279 c.c. proposta − prima dell'entrata in vigore della l. 19 maggio 1975, n. 151 − da figli adulterini minori (per mezzo della madre) nei confronti del padre naturale, secondo la quale l'impossibilità di proporre l'azione di cui all'art. 279 c.c. resta integrata anche qualora si tratti di impossibilità sopravvenuta perché derivante dall'omesso esperimento, nel termine di decadenza all'uopo fissato, dell'azione di disconoscimento del padre legittimo.

Quanto all'azione ex art. 580 c.c., con riferimento ai diritti successori dei figli non riconoscibili, la giurisprudenza di legittimità (Cass. I, n. 711/1992) ha previsto che essa è ammissibile per il figlio che non possa più agire per il disconoscimento della paternità legittima. Inoltre, secondo Cass. I, n. 6365/2004, tale azione può essere esercitata anche da colui che abbia lo stato di figlio legittimo altrui e sia impossibilitato ad esercitare l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità per aver omesso il tempestivo esperimento dell'azione di disconoscimento del padre legittimo.

Il novero dei figli non riconoscibili anche in ambito successorio

Sembrano ancora da ricomprendersi nella previsione dell'art. 279 c.c. (Bianca M., 2014,218):

1) i figli non riconoscibili nati da genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi al riconoscimento valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio (art. 259, quinto comma c.c.);

2) il figlio ultraquattordicenne non riconoscibile per mancanza del suo assenso (n. art. 250 secondo comma c.c.);

3) il figlio infraquattordicenne non riconoscibile per mancanza di consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva l'autorizzazione del Tribunale (art. 250-terzo e quarto comma c.c.);

4) il figlio privo di assistenza morale e materiale, per il quale siano intervenuti la dichiarazione di adottabilità e l'affidamento preadottivo (art. 11 ultimo comma l. 4 maggio 1983, n. 184);

5) il figlio matrimoniale e il figlio riconosciuto da altri, entrambi non riconoscibili dal padre biologico (art. 253 c.c.). Al riguardo giova evidenziare come l'art. 18 d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 abbia reso imprescrittibile l'azione di disconoscimento della paternità, escludendo la decadenza di cui all'art. 244, terzo comma, c.c., rendendo così possibile l'accertamento della paternità in ogni tempo. Conseguentemente, il figlio, che abbia uno stato non corrispondente alla procreazione biologica, potrà in ogni momento contestarlo e agire per quello che gli spetta, sicché non avrà necessità di avvalersi degli artt. 279,580 e 594 c.c. (Lena — Magli, 2015, 1091).

Attualmente dunque la categoria dei figli non riconoscibili coincide sostanzialmente con quella dei figli incestuosi nel cui interesse il giudice non ha autorizzato il riconoscimento ex novellato art. 251 c.c. Il vittorioso esperimento di tale azione non determina in capo al figlio l'acquisto di alcuno status, poiché il rapporto di filiazione è oggetto di un semplice accertamento di incidenter tantum, al solo scopo di riconoscere il figlio stesso il diritto di essere educato, mantenuto, istruito dal genitore (Majello, 1982,134). La negazione di tale incidenza sullo status comporta rilevanti implicazioni, in quanto l'inadempimento degli obblighi di cui all'art. 279 c.c. non varrà ai fini della costituzione di un rapporto di parentela (Sesta, 2014,18). In senso diverso, altra dottrina fa leva sulla lettera della rubrica di cui all'art. 580 c.c. (Della successione dei parenti), per sostenere che il figlio risulta comunque parente del genitore e potrebbe, in mancanza di altri successibili entro il sesto grado, prevalere sulla vocazione nei confronti dello Stato (Trimarchi, 1978, 2118).

L'azione ex art. 580 c.c. viene ritenuta sempre ammissibile per il figlio che non possa più agire per il disconoscimento della paternità legittima. Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. I, n. 6365/2004) l'azione ex art. 279 c.c. può essere esercitata anche dal figlio che abbia lo stato di figlio legittimo altrui e sia impossibilitato ad esercitare l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità per aver omesso il tempestivo esperimento dell'azione di disconoscimento del padre legittimo.

In particolare, l'art. 279 c.c. (richiamato dagli artt. 580 e 594 c.c., rispettivamente per le successioni legittime e per quelle testamentarie) contiene due precetti. Il primo (concernente il mantenimento) riguarda il figlio naturale senza riferimenti all'età, sicché la norma contempla sia il minorenne sia il maggiorenne che non abbia ancora raggiunto una propria autonomia e indipendenza economica (costituendo ormai jus receptum il principio secondo cui il dovere del genitore di mantenere il figlio non cessa al compimento della maggiore età, ma può invece protrarsi, secondo le circostanze da apprezzare caso per caso, fino a quando egli non abbia raggiunto una propria indipendenza). Il secondo prevede l'ipotesi in cui il figlio, divenuto maggiorenne e per il quale più non si siano poste esigenze di mantenimento, istruzione, educazione, venga però poi a trovarsi in stato di bisogno; in tal caso la legge lo legittima a chiedere gli alimenti.

In entrambe le ipotesi la legittimazione ad agire è attribuita in ogni caso in cui non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità. Tale requisito è richiesto anche per il diritto all'assegno di cui agli artt. 580 e 594 c.c., stante il richiamo all' art. 279 contenuto nelle dette norme. Peraltro, pur in presenza di tale richiamo, le due azioni previste dall'art. 279, primo comma, c. c. restano distinte da quelle relative al diritto successorio (aventi ad oggetto un assegno vitalizio), derivanti per le eredità ab intestato dall'art. 580 c.c. e per quelle testamentarie dal successivo art. 594 (Cass. I, n. 467/1986).

È ormai principio assodato quello per cui l'obbligo dei genitori di mantenere i figli(artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché nell'ipotesi in cui, al momento della nascita, il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l'obbligo dell'altro per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass. I, n. 5652/2012).

Obbligo di mantenere, istruire ed educare e obbligo alimentare

Si discute, soprattutto in dottrina, circa il contenuto degli obblighi indicati nell'art. 279 c.c. Secondo una tesi, essi si limitano al solo profilo patrimoniale rappresentato dall'obbligo di mantenimento, ovvero di fornire al figlio, sia minorenne che maggiorenne ancora non autonomo, i mezzi necessari ai fini del soddisfacimento dei propri bisogni, e, quanto agli altri obblighi, della corresponsione dei mezzi necessari affinché sia impartita al medesimo l'educazione o istruzione (Dogliotti, 2015, 14). Secondo un altro orientamento invece, il genitore obbligato ex art. 279 c.c. è titolare di alcune posizioni che rientrano nella cosiddetta responsabilità genitoriale (Lisella, 1993, 375; Giorgianni, 1992, 302).

In tal senso, questi obblighi comprendono anche un profilo personale e, dunque, presuppongono un'ingerenza dell'obbligato nelle compito di cura della persona del figlio. In ogni caso, tali profili appaiono inscindibili e dunque la richiesta non può che essere unitaria (Dogliotti, 2015, 406). Il genitore, dunque, sarà tenuto al mantenimento, all'educazione all'istruzione del figlio e investito anche dei poteri di controllo sulla responsabilità genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 c.c.

È controverso se al genitore tenuto ex art. 279 c.c. a corrispondere quanto necessario per il suo mantenimento, l'istruzione ed educazione, spetti l'esercizio della responsabilità genitoriale.

Secondo la tesi negativa, la responsabilità genitoriale presuppone uno status di filiazione riconosciuta o dichiarata, mentre la sentenza ex art. 279 c.c., non è costitutiva di alcuno status (Finocchiaro, 1084, 1862). Secondo altro orientamento, prevale l'esigenza di non menomare gravemente le la posizione del figlio, negandogli quei diritti fondamentali che la Costituzione gli assicura (Trimarchi, 1978, 2122). Vi è poi l'ulteriore tesi che distingue tra aspetti interni ed esterni della responsabilità genitoriale, negando al genitore i soli poteri di rappresentanza e di amministrazione relativi ai rapporti patrimoniali, con applicazione delle sole disposizioni che disciplinano il controllo giudiziale (Giorgianni, 1992, 306).

In ogni caso, il figlio in questa situazione non ha il diritto previsto dall'art. 315-bis c.c., di vivere in famiglia e di mantenere i rapporti con gli altri suoi componenti.

Ai sensi del quarto comma della disposizione in esame, il figlio, se è maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere la corresponsione degli alimenti. La disposizione troverà applicazione in favore del figlio che, divenuto maggiorenne e per il quale non vi siano più i presupposti per il riconoscimento del mantenimento, istruzione ed educazione, avendo già raggiunto una sua autonomia, venga a trovarsi, in un momento successivo, in stato di bisogno (Finocchiaro, 1984, 1861; Majello, 1982, 238).

Quanto alla nozione di stato di bisogno, essa è riconducibile all'art. 438 c.c., laddove testualmente precisa che le prestazioni non devono superare quanto necessario per la vita dell'alimentando, con una sostanziale differenza rispetto al mantenimento, che richiede non solo un vitto adeguato, ma anche un alloggio, spese mediche e, ove si tratti di un minorenne, pure la sua istruzione ed educazione (Dogliotti, 2015, 468). Ai fini della decorrenza del diritto agli alimenti, troverà applicazione l'art. 445 c.c., sicché essi saranno dovuti dal giorno della domanda giudiziale, o dal diverso giorno della costituzione in mora dell'obbligato, quando questa costituzione sia seguita entro sei mesi dalla domanda giudiziale.

con riferimento al diritto al mantenimento di cui alla disposizione in esame, la Cassazione ha ritenuto che esso riguarda il figlio naturale senza riferimenti all'età, sicché la norma, al primo comma, contempla sia il minorenne sia il maggiorenne che non abbia ancora raggiunto una propria autonomia e indipendenza economica. Il secondo comma prevede invece l'ipotesi in cui il figlio, divenuto maggiorenne e per il quale più non si siano poste esigenze di mantenimento, istruzione, educazione, venga però poi a trovarsi in stato di bisogno; in tal caso la legge lo legittima a chiedere gli alimenti (Cass. I, n. 6365/2004).

È stato altresì affermato che, nel quadro normativo delineato dall'art. 30 Cost., dall'art. 279 c.c. e dalle convenzioni internazionali ratificate e rese esecutive in Italia, l'obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio trova la sua fonte immediata nel fatto della procreazione, anche se accertato incidenter tantum, e non nello status formale di figlio naturale. Pertanto, non ha causa illecita per contrarietà a norme imperative o all'ordine pubblico, ma è pienamente valido, in quanto informato alla detta normativa, il contratto con il quale un genitore naturale, ammettendo che un soggetto è stato da lui procreato, si obblighi a mantenerlo, in una misura convenzionalmente determinata, indipendentemente dal suo riconoscimento formale (Cass. I, n. 5633/1990). La Corte argomenta che un principio di ordine pubblico preclude la configurabilità di un'obbligazione di mantenimento in favore di un figlio naturale non avente la corrispondente qualifica formale; e che, al contrario, deve ritenersi esistente il principio in base al quale il fatto materiale della procreazione, ove positivamente accertato anche in via incidentale, determina di per se solo, ed indipendentemente dal riconoscimento formale dello status di figlio naturale la responsabilità del genitore per il mantenimento del figlio.

La Cassazione, seppure nel diverso ambito dei rapporti tra coniugi, ha affermato che il diritto al mantenimento ha la sua fonte legale nel diritto all'assistenza materiale inerente al vincolo e non già nell'incapacità della persona che versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento come dispone l'art. 438 c.c. (Cass. I, n. 6519/1996).

È stato peraltro statuito, secondo un'affermazione controversa, che l'obbligo agli alimenti ex art. 279 c.c., grava sul genitore naturale in virtù di quella che è stata definita una speciale «responsabilità da procreazione», ai di lui eredi legittimi. Contrariamente a quanto disposto dalla normativa generale relativa al diritto agli alimenti, dunque, si verificherebbe un'ipotesi di trasferimento − a titolo impropriamente successorio, in contrasto con il carattere personale di tale diritto − dell'obbligo degli alimenti (Cass. I, n. 6365/2004).

I profili processuali

La legittimazione attiva spetta al figlio, e, ai sensi del terzo comma della disposizione in esame, l'azione può essere promossa nell'interesse del figlio minore da un curatore speciale nominato dal giudice su richiesta del pubblico ministero o del genitore che esercita la responsabilità genitoriale. Secondo una tesi, il genitore esercente la responsabilità genitoriale e il pubblico ministero hanno solo il potere di richiedere al tribunale per i minorenni la nomina del curatore speciale, il quale ha il compito di promuovere l'azione ex art. 279 c.c. (Finocchiaro, 1984, 1866). A differenza dell'azione di dichiarazione giudiziale della paternità ex art. 273 c.c., che può essere esercitata nell'interesse del figlio minore direttamente dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale prevista dall'art. 316 c.c. o dal tutore, e in ordine alla quale è prevista solo come eventuale la nomina del curatore speciale, l'azione di cui all'art. 279 c.c. non può essere proposta direttamente dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o da colui che esercita poteri di rappresentanza del minore, ma richiede sempre la nomina di un curatore speciale, quasi a ipotizzare un conflitto interessi in re ipsa con il figlio (Di Nardo, 2012, 597). Altri ritengono invece che la nomina del curatore speciale sia prevista in termini di mera possibilità e non di necessità, sicché l'azione potrebbe essere esercitata anche del genitore esercente la responsabilità genitoriale. Secondo questa interpretazione, la nomina del curatore speciale sarebbe necessaria soltanto se mancasse il rappresentante legale del minore, ovvero se fosse integrato un conflitto di interessi con questo (Majello, 1982, 245). Diversamente da quanto accade con l'art. 273 c.c., nulla viene detto nel caso in cui l'azione debba essere esercitata nell'interesse dell'interdetto, sicché, dovendosi escludere che in quest'ipotesi tale tutela sia preclusa, dovrà ritenersi che un potere di impulso spetti al pubblico ministero (Di Nardo, 2012, 597).

Legittimato passivo è il genitore che non adempie spontaneamente il suo obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole da lui generata, ovvero che non adempie a detto obbligo in misura adeguata alle esigenze del figlio. Si esclude che essa possa esercitarsi in mancanza di un interesse nei confronti di un genitore che adempia spontaneamente ai propri obblighi, non configurandosi la stessa come azione di mero accertamento della qualità di figlio (Majello, 1982, 242).

Il secondo comma dell'art. 279 c.c. dispone che l'azione di mantenimento è ammessa previa autorizzazione del giudice, ai sensi dell'art. 251 c.c., che ha soppiantato il precedente art. 274 c.c.

Il secondo comma dell'art. 279 rinvia, per quanto concerne la preventiva autorizzazione a proporre l'azione rivolta ad ottenere i provvedimenti riguardanti il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio nato fuori del matrimonio , al precedente art. 251. La norma richiamata riferiva espressamente la competenza per materia al tribunale per i minorenni;  questa indicazione fu poi  eliminata dalla modifica apportata allo stesso art. 251 dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. Il decreto, tuttavia, contestualmente modificava l'art. 38 disp. att. c.c. e inseriva in esso la disposizione tolta dall'art. 251 che assegnava la competenza al tribunale per i minorenni. Pertanto, le modifiche non mutavano i criteri individuativi delle attribuzioni a provvedere in ordine alla domanda di autorizzazione. I successivi interventi di aggiornamento normativo hanno stabilito che le disposizioni citate si applicano ai procedimenti che risultino ancora pendenti alla data del 30 giugno 2023 e che per tale ragione devono proseguire nelle forme antevigenti. Per i procedimenti instaurati a decorrere da tale data entrano in vigore le disposizioni innovative di cui alla l. 26 novembre 2021, n. 206, Legge delega per la riforma del processo civile, e di cui al successivo d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, attuativo della riforma del processo civile. Questo provvedimento  ha apportato modifiche ai citati artt. 251 e 38 disp. att. ma non ha mutato la riserva della competenza al tribunale per i minorenni in precedenza disposta. Le vere e proprie innovazioni hanno riguardato la disciplina dei procedimenti in tema di stato delle persone, di minori e di famiglia già pertinenti al tribunale ordinario, al giudice tutelare ed anche, come nella specie, al tribunale per i minorenni. Esse riguardano i procedimenti instaurati a decorrere dal 28 febbraio 2023.

 

I nuovi procedimenti nelle dette materie dello stato delle persone, dei minori e della famiglia seguono le forme di cui agli artt. 473-bis e seguenti c.p.c. che hanno introdotto un rito unificato da svolgersi dinanzi al tribunale ordinario, in composizione collegiale, nell'attesa della costituzione del tribunale per la famiglia. La competenza per territorio è attribuita al tribunale del luogo di residenza abituale del minore nei casi in cui devono essere assunti provvedimenti riguardanti un minore. Negli altri casi si applicano le norme ordinarie determinative della competenza disposte dal codice di procedura civile.

Circa gli effetti della sentenza di accoglimento, la dottrina appare divisa tra una tesi che ritiene che il provvedimento, in forza dell'art. 30 Cost., produca effetto ex tunc, facendo dunque sorgere il diritto al mantenimento al favore del figlio sin dal momento della nascita (Majello, 1982, 243), mentre secondo altra tesi, avendo la sentenza natura costitutiva, produce effetti ex nunc, con la conseguenza che il diritto del figlio sorgerà soltanto a partire dal momento della domanda giudiziale (Finocchiaro, 1984, 1860).

L'applicazione alla fattispecie in esame dell'art. 251 c.c., piuttosto che dell'art. 274 c.c., scaturisce dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di quest'ultimo, operata dalla sentenza Corte cost. n. 50/2006, così travolgendo il precedente giudizio di ammissibilità dell'azione di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità. Si è ritenuto che l'evoluzione della disciplina procedimentale del giudizio di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale ha, infatti, totalmente vanificato la funzione in vista della quale esso era stato originariamente previsto dal legislatore e il giudice è abilitato dalla norma attualmente in vigore a dare alla sua cognizione l'estensione ritenuta più opportuna e pertanto tale da spaziare, alla luce della giurisprudenza di legittimità, dalla ammissione di accertamenti tecnici idonei a definire il giudizio di merito, senza che ciò incida sulla necessità della sua successiva proposizione, fino alla sufficienza delle sole affermazioni della parte ricorrente.

Quanto alla legittimazione attiva a promuovere l'anzidetta azione, va menzionato il decreto Trib. min. Catania, 15 marzo 1990, ai sensi del quale legittimati a proporre l'azione di cui all'art. 580 c.c. sono il figlio naturale, il curatore speciale ed il genitore esercente la potestà (oggi responsabilità genitoriale) e non anche il sedicente padre naturale.

Con riferimento all'ipotesi di proposizione dell'azione nei confronti di un soggetto minorenne, secondo Trib. min. L'Aquila 9 febbraio 1999, la legittimazione attiva ad esperire il rimedio di cui all'art. 279 c.c. spetta unicamente al figlio incestuoso non riconoscibile, perché generato in mala fede. In ogni caso, l'azione ex art. 279 c.c., se promossa nell'interesse di un minore, va proposta da un curatore speciale nominato dal giudice su richiesta del p.m. o del genitore che sul minore esercita la potestà. È stata ritenuta pertanto, inammissibile l'azione proposta dalla madre di un minore, in nome e per conto di questi, avente lo status di figlio legittimato, per susseguente matrimonio, del coniuge della ricorrente, essendo quest'ultima priva di legittimazione attiva.

Bibliografia

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