Codice Civile art. 273 - Azione nell'interesse del minore o dell'interdetto (1) (2).Azione nell'interesse del minore o dell'interdetto (1) (2). [I]. L'azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità può essere promossa, nell'interesse del minore, dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale prevista dall'articolo 316 o dal tutore [357]. Il tutore però deve chiedere l'autorizzazione del giudice [38 2 att.], il quale può anche nominare un curatore speciale [78 2 c.p.c.] (3). [II]. Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l'azione se egli ha compiuto l'età di quattordici anni [250 2] (4). [III]. Per l'interdetto l'azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice. (1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la rubrica del paragrafo 2 della sezione I del capo II del libro primo del codice civile «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale», con: «Capo V. "Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità"» (2) Articolo così sostituito dall'art. 116 l. 19 maggio 1975, n. 151. (3) L'art. 32, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso la parola «naturale» e sostituito la parola «potestà» con le parole: «responsabilità genitoriale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. (4) L'art. 32, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito la parola «sedici» con la parola: «quattordici». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoLa legittimazione attiva ad esperire l'azione volta ad ottenere che sia dichiarata la paternità o la maternità spetta in primo luogo al figlio. La normativa suppone come dato ordinario che il figlio abbia capacità di agire processuale: ma disciplina anche i casi in cui il figlio è minorenne, dichiarato interdetto o incapace per abituale e grave infermità di mente . Nell'ipotesi in cui si tratti di figlio minore, l'azione può essere promossa nell'interesse dello stesso dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale ovvero, qualora si tratti di minore sottoposto a tutela, dal tutore, che deve tuttavia richiedere l'autorizzazione del giudice, il quale può anche nominare un curatore speciale (art. 273, primo comma, c.c.). Se il figlio ha compiuto l'età di quattordici anni, ai fini dell'esercizio ovvero della prosecuzione dell'azione, è necessario il suo consenso (art. 273, secondo comma, c.c., così come modificato dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154: la norma, nella sua precedente formulazione faceva riferimento all'età più elevata di sedici anni). Ove il figlio sia interdetto, l'azione può essere promossa dal tutore, sempre previa autorizzazione del tribunale (art. 273, terzo comma, c.c.). Con riguardo all'ipotesi in cui lo stato di interdizione o le condizioni di abituale grave infermità di mente riguardino il figlio, l'art. 245, secondo comma, c.c. prevede che l'azione possa essere promossa anche da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del pubblico ministero, del tutore, o dell'altro genitore: ponendo tale previsione in relazione con quella di cui all'art. 273, terzo comma, c.c., pare dunque che, ove il figlio sia interdetto, l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità possa essere esercitata dal tutore, previa autorizzazione del giudice, il quale, tuttavia, assunte sommarie informazioni, può anche nominare un curatore speciale, la nomina del quale può peraltro aver luogo anche su richiesta del pubblico ministero o dell'altro genitore. Secondo parte della dottrina l'autorizzazione è di competenza del tribunale ordinario (Majello, 1982, 204), mentre secondo altra dottrina essa spetta al tribunale per i minorenni nel caso in cui venga proposta nell'interesse del soggetto minore (Finocchiaro, 1984, 1808). Tuttavia, quest'ultima tesi deve ritenersi superata alla luce delle modifiche all'art 38 disp. att. c.c., apportate dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219, e dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che hanno attribuito al tribunale ordinario la competenza a conoscere dei provvedimenti non espressamente riservati al tribunale per i minorenni. Con riferimento alla previsione per il caso del figlio legalmente incapace, che l'azione può essere proposta nel suo interesse dal genitore esercente la responsabilità genitoriale, la giurisprudenza ritiene che la norma individui un'ipotesi di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c. In particolare, la Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 273 c.c. con riferimento agli artt. 2 e 24 Cost. nella parte in cui, in ipotesi di figlio minorenne, attribuisce al genitore la legittimazione ad agire per la dichiarazione giudiziale di maternità o paternità naturale, senza prevedere la necessità della nomina di un curatore speciale per il minore e, in caso di inattività del sostituto processuale, la sospensione dei termini fino al raggiungimento della maggiore età del sostituito (cfr. Cass. I, n. 10131/2005 e Cass. I, n. 10786/1999). La Corte costituzionale si è peraltro pronunciata dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale inerente all'art. 273, primo comma c.c. con riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui se si tratta di figlio minore, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potestà per ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, sia sottoposta alla preventiva autorizzazione giudiziale (Corte cost. n. 341/1990). La giurisprudenza ha affermato che l'art. 273 c.c., nel contemplare che l'azione per ottenere la declaratoria giudiziale di paternità o maternità naturale, può essere promossa, nell'interesse del figlio minore, dal genitore esercente la potestà, configura un'estensione - rispetto ad un diritto personale del figlio - del potere di rappresentanza «ex lege» spettante al genitore, e mira a tutelare esclusivamente detto minore, sulla base della presunzione di un suo interesse all'accertamento dello «status». Ad un tal riguardo, non occorre che il genitore esercente la potestà genitoriale sul figlio minore, dichiari espressamente di agire in nome e per conto del figlio o comunque nell'interesse dello stesso, ma si rende sufficiente che, dal contesto complessivo del ricorso, emerga che il ricorrente agisca nell'interesse del minore. Si ritiene sufficiente che la volontà di agire nell'interesse del figlio emerga dal contesto dell'atto, non essendo necessario che sia espressamente dichiarata (Cass. I, n. 12723/1992). Secondo una tesi minoritaria, invece, piuttosto che in virtù di sostituzione processuale, il genitore agisce nel processo quale rappresentante legale in nome e per conto del figlio minore (Cass. I, n. 2350/1999 e prima ancora Cass. I, n. 1580/1979). La Corte di c assazione aveva anche precisato che il genitore esercente la responsabilità genitoriale può rinunciare - esplicitamente ovvero lasciando che la causa sia cancellata o si estingua per inattività - al procedimento instaurato. Peraltro, vertendosi in tema di diritti indisponibili, in relazione ai quali non è ipotizzabile rinuncia o transazione, l'azione può essere successivamente riproposta dallo stesso genitore, o personalmente dal figlio, una volta raggiunta la maggiore età (Cass. I. n. 14879/2017). L'ascolto del minore di cui all'art. 336 -bis c.c. costituisce adempimento essenziale e la sua omissione è causa di nullità della sentenza rilevabile come motivo di impugnazione. Laddove il minore dovesse compiere l'età prevista dalla legge per essere ascoltato nel corso del giudizio di appello, il giudice del gravame è tenuto, «ex officio», a procedere alla sua audizione (Cass. I, n. 32309/2018). Il tutore dev'essere debitamente autorizzato dal giudice, che può nominare il curatore speciale, fermo restando che questa è una facoltà meramente discrezionale spettante al giudice medesimo, qualora ravvisi un conflitto di interessi tra tutore e il minore. Vi è giurisprudenza che attribuisce la competenza al giudice tutelare (Cass. I, n. 5141/2003). Si tratta di un atto che non incide sui diritti del minore, che non ha alcuna autonomia nell'ambito del procedimento (in quanto la rappresentanza del minore è in ogni caso affidata al genitore esercente la responsabilità genitoriale, ai sensi dell'art. 273 primo comma c.c.), e che è privo di efficacia decisoria, non spiegando riflessi di sorta sul provvedimento che dichiara ammissibile o inammissibile l’azione (Cass. I, n. 9316/1997). Come si è accennato, l’art. 473-bis.8 demanda l’ascolto al curatore speciale. Le modalità sono le stesse dettate per l’adempimento da parte del giudice: si vedano gli artt. 152-quater e 152-quinquies disp. att. c.p.c. Per la giurisprudenza consolidata il consenso del figlio che abbia compiuto l’età di 14 anni, necessario per promuovere o proseguire validamente l’azione, è configurabile come un requisito del diritto di azione, che può sopravvenire in qualsiasi momento ed è necessario e sufficiente che sussista al momento della decisione (Cass. I, n. 14879/2017). Interesse del minore e nomina del curatore specialeIl giudice opera un controllo sulla convenienza per il minore dell'esercizio dell'azione di dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità da parte del tutore, attraverso l'autorizzazione, posto che il tutore, ove non legato da vincolo di parentela, potrebbe essere sensibile più alla convenienza patrimoniale che non alla tutela dell'interesse del minore (Majello, 1982, 203). Sempre al fine di tutelare pienamente l'interesse del minore, è attribuito al giudice il potere di nomina di un curatore speciale per l'esercizio dell'azione, proprio in considerazione del conflitto di interessi che potrebbe investire il tutore, poiché l'accoglimento della domanda darebbe al pupillo un genitore e potrebbe far cessare la tutela, o indurre la nomina di un nuovo tutore (Majello, 1982, 204; Finocchiaro, 1984, 1809). La nomina del curatore speciale può essere successiva al comportamento del tutore, negligente nell'instaurare il giudizio e seguirne il suo corso; ma può anche prescindere dal comportamento del tutore, nel caso in cui questi non intenda promuovere l'azione e non richieda la prescritta autorizzazione (De Cupis, 1992, 186). La nomina in pendenza di procedimento è effettuata dal giudice che procede. In pendenza di giudizio, la nomina del curatore speciale di cui all'art. 78 c.p.c. avviene incidentalmente, quale sub-procedimento all'interno del processo, con istanza da proporre al giudicante, il cui provvedimento, se si tratta del giudice delegato alla trattazione, è suscettibile di essere riconsiderato dal collegio del tribunale, in sede decisoria; nondimeno, è altresì ammissibile il reclamo immediato al collegio da parte degli interessati, quale specifico mezzo di impugnazione, al fine di instare per la revoca o modifica del decreto in questione (Cass. I, n. 38883/2021). Con sentenza Cass. I, n. 10786/1999, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 273 c.c. con riferimento agli artt. 2 e 24 Cost. nella parte in cui, in ipotesi di figlio minorenne, attribuisce al genitore la legittimazione ad agire per la dichiarazione giudiziale di maternità o di paternità naturale, senza prevedere la necessità della nomina di un curatore speciale per il minore e, in caso di inattività del sostituto processuale, la sospensione dei termini fino al raggiungimento della maggiore età del sostituito; ha argomentato che l'interesse del minore risulta adeguatamente protetto, nel caso di promovimento dell'azione da parte del genitore, attraverso la verifica della sua rispondenza a quell'interesse demandata (all'epoca) al tribunale per i minorenni (a seguito della citata sentenza della Corte cost. n. 341/1990, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 274, primo comma, c.c. nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potestà sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del figlio); nel caso contrario, con la possibilità per il figlio, una volta divenuto maggiorenne, di promuovere l'azione, per lui imprescrittibile ai sensi dell'art. 270 c.c.; nella prima ipotesi, inoltre, la scelta di non affiancare obbligatoriamente al rappresentante del minore un curatore speciale che ne controlli le iniziative processuali, è ragionevole e coerente con la qualità soggettiva del rappresentante e con la sua natura di sostituto processuale, mentre la previsione di una sospensione dei termini o di una rimessione in termini a favore del minore, divenuto maggiorenne, per esercitare le attività (in particolare le impugnazioni) da cui il genitore è decaduto, contrasterebbe con le esigenze di certezza del diritto e costituirebbe violazione del diritto di difesa della controparte, soggetta ad unilaterale possibilità di riesame di una sentenza passata in giudicato. La Cassazione ha affermato che nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità naturale, la nomina del curatore speciale è eventuale e frutto di una scelta discrezionale del giudice, che non determina una legittimazione concorrente con quella del genitore, né, tantomeno, la esclude, ai fini della rappresentanza in giudizio (Cass. I, n. 23170/2007; Cass. I, n. 9316/1996 e Cass. I, n. 2576/1993). Non integra alcuna violazione di legge la mancata nomina di un curatore speciale, prevista solo quando l'azione sia esercitata dal tutore, ma non prevista, neppure come facoltativa, quando l'azione sia esercitata dal genitore, configurandosi in tal caso un'estensione, rispetto ad un diritto strettamente personale del figlio, del potere di rappresentanza ex lege spettante al genitore esercente la responsabilità genitoriale (Cass. I, n. 5141/1992 e Cass. I, 3416/1992). La materia concernente la nomina del curatore speciale è stata rivista dall'ultima, in ordine di tempo, riforma del diritto processuale civile che ha rafforzato i poteri del giudice. Dapprima la legge delega per la riforma del processo civile, 26 novembre 20021, n. 206, ha modificato gli artt. 78 e 80 c.p.c. nel senso di una aumento dei poteri attribuiti al giudice di provvedere d'ufficio a nominare un curatore speciale al minorenne; in seguito il decreto di attuazione della delega, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ha raccolto il contenuto di tali disposizioni nell'art. 473-bis.8 c.p.c. Ad esse ha aggiunto le disposizioni che prevedono l'attribuzione al curatore speciale del compito dell'ascolto del minore nonché il potere del giudice di conferirgli specifici poteri di rappresentanza sostanziale. ll consenso del figlio ultraquattordicenneLa paternità o maternità del figlio nato fuori dal matrimonio non può essere dichiarata dal giudice se il minore che ha già compiuto i quattordici anni non ha prestata il consenso. In tale ipotesi viene meno l'esigenza di valutare l'interesse umano e affettivo del minore alla suddetta dichiarazione giudiziale, essendo la valutazione di detto interesse rimessa allo stesso minore, ritenuto sufficientemente maturo, che può esprimere il suo consenso per promuovere o per proseguire l'azione (Lena - Magli, 2015, 1076). Quanto alla natura del consenso, si sostiene che esso costituisca un presupposto processuale e debba sussistere al momento della costituzione del rapporto processuale (De Cupis, 1992, 176). Il consenso del minore ultraquattordicenne viene tuttavia dai più ritenuto un requisito del diritto di azione, sicché esso va a integrare la legittimazione del genitore e la sua mancanza deve essere rilevata anche d'ufficio dal giudice, in quanto comporta l'improseguibilità del giudizio e della pronuncia di merito, pur se il figlio potrà promuovere analoga azione in altra sede (Finocchiaro, 1984, 1811). Secondo alcuni autori, il dissenso può essere fatto valere esclusivamente dal minore, non potendo essere eccepito dalla controparte che il consenso è stato reso da minore che non ha compiuto i quattordici anni, essendo esso richiesto nel suo interesse, sicché il suo difetto può essere fatto valere soltanto dall'interessato (Majello, 1982, 205). La giurisprudenza ha precisato che il detto consenso è configurabile come un requisito del diritto di azione, integrativo della legittimazione del genitore, quale sostituto processuale del minorenne, la cui mancanza determina una situazione di improponibilità o di improseguibilità dell'azione (Cass. I, n. 472/2023; Cass. I, n. 10131/2005; Cass. I, n. 5291/2000; Cass. I, n. 3721/1998), rilevabili anche d'ufficio, a seconda che l'età di 14 anni sia stata raggiunta prima della notificazione della citazione introduttiva ovvero in corso di causa; il consenso che sopraggiunga al momento della decisione non può ritenersi validamente prestato fuori dal processo o desunto da fatti o comportamenti estranei ad esso quali, ad esempio, dal mero fatto di portare il cognome del presunto padre naturale. Alla necessaria prestazione del consenso non osta la circostanza che il figlio abbia raggiunto, nel corso del processo, la maggiore età, sempre che detto compimento non abbia prodotto l'interruzione del processo ai sensi dell'art. 300 c.p.c., rendendo così necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell' ex minorenne ( Cass. I, n. 10131/2005 ; Cass. I, n. 5291/2000 e Cass. I n. 3721/1998 ). Pertanto, il raggiungimento della maggiore età da parte del minore con il cui consenso, ex art. 273 c.c., il rappresentante di lui abbia promosso l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità, non esclude la capacità a stare in giudizio della genitrice ove tale evento, potenzialmente ma non automaticamente interruttivo, non sia stato dichiarato dal difensore della parte costituita. Con la conseguenza, che, in difetto di tale dichiarazione, il contraddittorio resta validamente instaurato nei confronti della parte originaria, anche agli effetti del successivo giudizio di appello ( Cass. I, n. 4358/1992 ). Parimenti, qualora nel corso del giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale promosso dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o dal tutore nell'interesse del minore, quest'ultimo raggiunga il sedicesimo (quattordicesimo) anno di età, il giudice del merito deve dichiarare, anche d'ufficio, l'improseguibilità del giudizio, ove il minore non presti il suo consenso ai sensi dell'art. 273, secondo comma, c.c. Detto consenso può validamente essere prestato nel corso del giudizio, anche dopo che ne sia stato eccepito il difetto, integrando esso un requisito del diritto di azione, attinente alla legittimazione, del quale il giudice deve verificare la sussistenza in concreto al momento della decisione ( Cass. I, n. 9277/1994 ). Pertanto, la rinunzia all'azione da parte del genitore che l'abbia proposta, necessita anch'essa del consenso del minore che abbia compiuto i sedici (quattordici) anni, essendo un atto abdicativo della pretesa fatta valere, idoneo a determinare una decisione di merito dichiarativa della cessazione della materia del contendere ( Cass. I, n. 2970/1993 ). Il raggiungimento della maggiore età da parte del minore con il cui consenso, ex art. 273 c.c., il rappresentante di lui abbia promosso l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità, non esclude la capacità a stare in giudizio della genitrice ove tale evento, potenzialmente ma non automaticamente interruttivo, non sia stato dichiarato dal difensore della parte costituita. Con la conseguenza, che, in difetto di tale dichiarazione, il contraddittorio resta validamente instaurato nei confronti della parte originaria, anche agli effetti del successivo giudizio di appello (Cass. I, n. 4358/1992). La Cassazione aveva a suo tempo affermato che l'interesse umano e affettivo del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità non va più valutato dal tribunale qualora il minore abbia raggiunto i sedici anni (oggi quattordici anni), essendo in tale caso la valutazione di detto interesse rimessa allo stesso minore, attraverso la diretta manifestazione di consenso all'azione. A maggior ragione, nel caso in cui l'interessato abbia raggiunto la maggior età nel corso del giudizio e intervenga personalmente nel processo, deve ritenersi superata la necessità del consenso (Cass. I, n. 6217/1994. In senso sostanzialmente conforme cfr. Cass. I, n. 5291/2000). L'esigenza del consenso di detto minore, ove compia i sedici anni e, in difetto, l'improseguibilità dell'azione medesima (art. 273 secondo comma c.c.), devono essere escluse se tale evento sopravvenga nel corso del giudizio di cassazione, poiché questo, caratterizzato dall'impulso d'ufficio, resta insensibile alle vicende inerenti alla capacità processuale della parte (Cass. n. 9829/1990). BibliografiaAmadio, Macario, Diritto di famiglia, 2016; Amore, nota a Cass, 26097/2013 in Cass. Pen., 2014, 6, 2134; G.E. 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