Codice Civile art. 252 - Affidamento del figlio nato fuori del matrimonio e suo inserimento nella famiglia del genitore (1) (2) (3).

Valeria Montaruli
Francesco Bartolini

Affidamento del figlio nato fuori del matrimonio e suo inserimento nella famiglia del genitore (1) (2) (3).

[I]. Qualora il figlio nato fuori del matrimonio (4) di uno dei coniugi sia riconosciuto durante il matrimonio il giudice, valutate le circostanze, decide in ordine all'affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento a tutela del suo interesse morale e materiale.

[II]. L'eventuale inserimento del figlio nato fuori del matrimonio nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice [38 att.] qualora ciò non sia contrario all'interesse del minore e sia accertato il consenso dell'altro coniuge convivente e degli altri figli che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi [30 3 Cost.], nonché dell'altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento [317-bis]. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni cui ciascun genitore deve attenersi (5).

[III]. Qualora il figlio (5) sia riconosciuto anteriormente al matrimonio, il suo inserimento nella famiglia (6) è subordinato al consenso dell'altro coniuge, a meno che il figlio fosse già convivente con il genitore all'atto del matrimonio o l'altro coniuge conoscesse l'esistenza del figlio (6).

[IV]. È altresì richiesto il consenso dell'altro genitore (7) che abbia effettuato il riconoscimento [317-bis 2].

[V]. In caso di disaccordo tra i genitori, ovvero di mancato consenso degli altri figli conviventi, la decisione è rimessa al giudice tenendo conto dell'interesse dei minori. Prima dell'adozione del provvedimento, il giudice dispone l'ascolto dei figli minori che abbiano compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capaci di discernimento (8).

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo le parole «Capo II. "Della filiazione naturale e della legittimazione"»; «Sezione I. "Della filiazione naturale» e la rubrica del paragrafo 1 «Del riconoscimento dei figli naturali» con le parole: «Capo IV. "Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio"».

(2) Articolo sostituito dall'art. 104 l. 19 maggio 1975, n. 151.

(3) Rubrica sostituita dall'art. 23, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo recitava: «Affidamento del figlio naturale e suo inserimento nella famiglia legittima». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(4) L'art. 23, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito la parola: «naturale» con le parole: «nato fuori del matrimonio». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. Precedentemente, l'art. 1, comma 11, l. 10 dicembre 2012, n. 219 aveva disposto che nel codice civile, le parole: “figli legittimi” e “figli naturali” sono sostituite dalla parola “figli”.

(5) L'art. 23, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito la parola: «naturale» con le parole: «nato fuori del matrimonio"; le parole: «e dei figli legittimi» con le parole: «convivente e degli altri figli» le parole: «genitore naturale» con la parola: «genitore»; e ha sostituito l'ultimo periodo che recitava: «In questo caso il giudice stabilisce le condizioni che il genitore cui il figlio è affidato deve osservare e quelle cui deve attenersi l'altro genitore». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. Precedentemente, l'art. 1, comma 11, l. 10 dicembre 2012, n. 219 aveva disposto che nel codice civile, le parole: “figli legittimi” e “figli naturali” sono sostituite dalla parola “figli”.

(6) L'art. 23, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso le parole «legittima» e «naturale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

(7) L'art. 23, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha soppresso la parola «naturale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. Precedentemente, l'art. 1, comma 11, l. 10 dicembre 2012, n. 219 aveva disposto che nel codice civile, le parole: “figli legittimi” e “figli naturali” sono sostituite dalla parola “figli”.

(8) Comma inserito dall'art. 23, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

Inquadramento

Il testo originario dell'articolo in esame, antecedente rispetto alla riforma del diritto di famiglia del 1975, disciplinava l'inserimento del cosiddetto «figlio adulterino» nella famiglia legittima. Con la riforma del 1975, la norma ha mantenuto dal punto di vista contenutistico l'originario assetto, prevedendo che in caso di riconoscimento del figlio durante il matrimonio, il giudice che decide sull'affidamento assume ogni provvedimento di tutela nell'interesse del figlio. Con l'avvento del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, si è verificato, sia nella rubrica che nel testo, un adeguamento terminologico del testo previgente al principio dell'unificazione dello stato di figlio. Si è, inoltre previsto che il coniuge, per poter utilmente esprimere l'eventuale assenso di cui al comma secondo della disposizione in esame, deve essere convivente con il genitore, mentre in precedenza il requisito della convivenza non era disciplinato. Inoltre, è stato aggiunto il comma quinto, con il quale è disciplinato il procedimento per la soluzione di controversie in caso di disaccordo tra i genitori o di mancato consenso degli altri figli conviventi all'inserimento nella famiglia matrimoniale. Si è osservato che, a seguito della riforma del 2012, si è attenuato il principio della compatibilità dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio con i diritti dei figli nati nella famiglia matrimoniale, pur se ancora tale interesse deve essere valutato dal giudice nel procedimento di cui al quinto comma (Cfr. Farolfi, 2015, 1023).

La ratio della norma è dunque la tutela di un duplice interesse: da un lato l'interesse del figlio riconosciuto a non essere inserito in un contesto ostile, e dall'altro quello della famiglia fondata sul matrimonio a non essere turbata nel proprio equilibrio dall'imposizione della convivenza di un figlio nato fuori dal matrimonio (Bianca C.M., 2014, 378).

Si è osservato che la norma perpetua una disparità di trattamento tra il figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto successivamente e il figlio nato da un precedente matrimonio e convivente con il genitore che si è risposato, rispetto al quale non può essere rimesso in discussione quanto statuito nella sentenza di divorzio, sicché non può essere esperita la procedura di autorizzazione prevista nell'art. 252, comma quinto (Dogliotti, 2015, 241).

Inserimento del minore riconosciuto nella famiglia matrimoniale del genitore

 

L'inserimento del figlio nella famiglia matrimoniale può essere autorizzato dal giudice a condizione che esso non sia contrario all'interesse del minore, vi sia il consenso del coniuge convivente e l'assenso degli altri figli conviventi ultrasedicenni, nonché il consenso dell'altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento, quest'ultimo sindacabile dal giudice (Bianca C.M., 2014, 378).

Ai fini dell'inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia matrimoniale del genitore che lo ha riconosciuto, la decisione del giudice (oggi il tribunale per i minorenni, se l'autorizzazione è chiesta per un minorenne) è eventuale, in quanto il genitore potrebbe non chiedere l'inserimento del figlio nella propria famiglia, oppure perché potrebbe intervenire un accordo tra tutte le parti interessate (Dogliotti, 2015, 241). Anche in assenza del coniuge convivente, comunque permane la necessità di acquisire il consenso dei figli ultrasedicenni, sia che si tratti di figli nati nel matrimonio, che fuori da esso, ovvero adottivi, che comunque fanno parte della famiglia (Carraro, 1992, 118-121; Bianca C.M., 2005, 243). Ci si interroga, tuttavia, su cosa accada nel caso in cui si sia in presenza di figli di età inferiore ai sedici anni, in assenza dell'altro genitore, separato o divorziato. Sembra ragionevole ipotizzare la nomina di un curatore speciale (Dogliotti, 2015, 242).

Quanto alla problematica relativa alla sussistenza di un vizio del consenso o assenso, o di incapacità del soggetto che lo esprime, trova applicazione la disciplina dei vizi del consenso e dell'interdizione e inabilitazione. Comunque, anche in presenza di tutti i consensi, il giudice, a fronte di una domanda in tal senso del genitore che ha effettuato il riconoscimento, può non autorizzarlo, in considerazione dell'interesse del minore, tenuto anche conto della possibilità in concreto che il riconoscimento di un figlio in costanza di matrimonio potrebbe sottendere un'operazione illecita di aggiramento della legge sull'adozione da parte di coppie che non possono avere figli (Dogliotti, 2015, 243).

Nel caso in cui il figlio venga inserito nella famiglia con un accordo tra le parti e senza autorizzazione del giudice (inserimento in precario), dovendo comunque essere tutelato l'interesse del minore al mantenimento delle relazioni già costituite con l'ambiente scolastico, amicale e sociale, in caso di opposizione sopravvenuta da parte di uno o più soggetti legittimati, che debbano essere suffragate da precisa motivazione, il giudice opererà una valutazione in concreto se dette opposizioni siano tali da modificare la collocazione del minore. In caso di mutamento della situazione di fatto, il giudice, sulla base di specifiche giustificazioni, potrà procedere alla revoca dell'autorizzazione (Dogliotti, 2014, 492).

La Corte costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 252 c.c. nella parte in cui non consente al giudice di valutare nell'interesse del minore, i motivi del rifiuto di consenso opposto da un genitore all'inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima dell'altro genitore, valutando sempre possibile l'autorizzazione del giudice all'inserimento del medesimo, pur mancando il consenso dell'altro genitore (Corte cost. n. 229/1987). Ai sensi della novella del 2013, comunque, la valutazione del giudice non potrà mai superare il mancato consenso dell'altro coniuge del genitore. Il consenso va espresso anche dall'altro genitore che ha già effettuato riconoscimento (Cass. I, n. 4103/2002).

Quanto alla disciplina del provvedimento di autorizzazione emesso dal giudice, esso è pronunciato a seguito di procedimento assoggettato al rito camerale. In epoca antecedente alla riforma è stato affermato che i provvedimenti, anche allora di competenza del giudice minorile, in tema di autorizzazione all'inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori, secondo la previsione dell'art. 252 c.c., al pari di quelli contemplati dall'art. 317-bis c.c., con riguardo, in genere, all'esercizio della potestà, oggi responsabilità genitoriale, da parte del genitore naturale, sono modificabili e revocabili, non hanno attitudine a incidere in via definitiva sulle posizioni soggettive degli interessati e, pertanto, non sono impugnabili con ricorso per cassazione.

In tema di falsità del riconoscimento effettuato con doloso aggiramento della normativa sull'adozione, si è affermato che non può essere accolta la domanda diretta ad ottenere l'inserimento del minore riconosciuto come figlio naturale nella famiglia legittima dell'autore del riconoscimento, anche in presenza di tutti i consensi e gli assensi, qualora vi sia ragione di supporre fondatamente che il riconoscimento sia falso e sia stato effettuato con dolosa violazione della normativa sull'adozione speciale; in caso contrario, infatti, verrebbe gravemente leso l'interesse del minore, affidato ad una coppia che, per avere fatto ricorso alla frode ed all'illecito, ha rivelato la propria inidoneità ad adempiere in maniera soddisfacente le funzioni parentali (Trib. min. Potenza, 23 febbraio 1984; Trib. min. Catania, 21 settembre 1982).

Affidamento del minore riconosciuto durante il matrimonio

In epoca antecedente alla riforma della filiazione del 2012 e 2013, si è posto un problema di coordinamento dell'articolo in esame con l'art. 317-bis c.c., che attribuiva l'esercizio della potestà, in ipotesi di mancata convivenza tra genitori, a quello che per primo avesse riconosciuto il figlio: secondo una tesi, in caso in cui il genitore fosse coniugato, non vi era l'acquisto automatico della potestà, avendo egli l'onere di chiedere al giudice l'affidamento del figlio, sicché la disposizione in commento si applicava a tutti i figli naturali nati in costanza di matrimonio di uno due genitori (Carraro-Cecchini, 1992, 120). Altra dottrina riteneva invece che la disposizione in esame avesse carattere residuale rispetto al vecchio art. 317-bis c.c., nel senso che la decisione giudiziale in ordine all'affidamento in essa prevista sarebbe stata una conseguenza del provvedimento negativo circa l'inserimento del figlio  nella famiglia matrimoniale (Finocchiaro , 1984, 1677; Ferrando , 1987, 247). Una tesi intermedia riteneva che in ogni caso trovasse applicazione l'art 317- bis c.c., sicché solo in caso di conflitto tra i genitori si giustificherebbe l'intervento del giudice del primo comma, con conseguente provvedimento di affidamento del minore e assunzione dei provvedimenti a tutela del suo interesse materiale e morale ( Dogliotti-Figone-Mazza-Galanti , 2009, 126).

Peraltro, l'attuale disciplina della responsabilità genitoriale prevede che la titolarità dell'esercizio della stessa spetti ad entrambi i genitori che hanno riconosciuto il figlio. Poiché l'articolo in esame disciplina l'ipotesi dell'inserimento del figlio nella famiglia matrimoniale di uno dei genitori, esso non si sovrappone all'art. 316 c.c., che contiene la disciplina generale in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale. Naturalmente, nell'ambito del provvedimento di inserimento del figlio nella famiglia del genitore, verranno disciplinati i rapporti di visita e di frequentazione da parte dell'altro genitore, nonché gli aspetti concernenti al suo mantenimento (Cfr. Farolfi, 2015, 1024).

Inserimento del minore riconosciuto prima del matrimonio

Se il figlio è stato riconosciuto anteriormente al matrimonio, il suo inserimento nella famiglia coniugale del genitore non è soggetto ad autorizzazione del giudice, ma è subordinato al consenso dell'altro coniuge e dell'altro genitore che abbia proceduto al riconoscimento. Il consenso dell'altro genitore non è tuttavia richiesto se il figlio, riconosciuto anteriormente al matrimonio, già convivesse con il genitore anteriormente ad esso, ovvero l'altro coniuge non ne conoscesse l'esistenza. Nel primo caso prevale infatti l'interesse del figlio alla continuazione della convivenza con il genitore, anche in ragione del turbamento che potrebbe derivare dall'interruzione della convivenza; nel secondo caso in ragione della tolleranza già manifestata dall'altro coniuge (Bianca C.M., 2014, 378).

Conflitto tra genitori e mancato assenso degli altri figli

L'ultimo comma della disposizione in esame rappresenta una novità, introdotta dall'art. 23 d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. La norma demanda al giudice l'autorizzazione circa l'inserimento del figlio non matrimoniale, nell'ipotesi in cui vi sia disaccordo tra i genitori del figlio o manchi il consenso degli altri figli conviventi.

Per quanto concerne il consenso dell'altro genitore, nella fattispecie prevista dal comma quarto della disposizione, ove questi non esprima il proprio consenso, il giudice può ugualmente disporre l'inserimento del figlio all'interno della famiglia coniugale, valutando se un provvedimento di questo tipo soddisfi l'interesse di tutti i minori coinvolti, compresi i minori conviventi, previa audizione degli stessi secondo i principi generali di cui agli artt. 315-bis e 336-bis c.c. Analoga decisione potrà ugualmente assumere il giudice, per superare il mancato consenso dei figli matrimoniali conviventi, nell'ipotesi in cui il riconoscimento del figlio sia avvenuto in costanza di matrimonio, ai sensi dell'art. 252, comma 2, c.c.

È invece sempre necessario l'assenso dell'altro coniuge convivente del genitore, salvo che nell'ipotesi in cui il figlio già fosse con lui convivente prima del matrimonio. In definitiva, il provvedimento del giudice potrà eventualmente superare soltanto il mancato consenso dell'altro genitore, ovvero il mancato assenso degli altri figli conviventi (Cfr. Farolfi, 2015, 1023).

Il procedimento si svolge davanti al tribunale ordinario, anche se riguarda minori (art. 38 disp. att. c.c.). Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, ha introdotto il rito unificato per le controversie in materia di stato delle persone, di famiglia e di minori, disciplinato dagli artt. 473-bis e seguenti c.p.c. Il procedimento si instaura con ricorso. La competenza appartiene al tribunale territorialmente individuato secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione (art. 473-bis.11). Se devono essere adottati provvedimenti riguardanti minori, è competente il tribunale del luogo di ultima residenza del minore; se vi è stato trasferimento non autorizzato, entro l'anno dal trasferimento la competenza spetta al tribunale dell'ultima residenza abituale del minore.  Ricevuto il ricorso, il presidente del tribunale nomina con decreto il giudice relatore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questi. Prima dell'udienza il convenuto deve costituirsi, a pena di decadenze da facoltà difensive. L'attore può controbattere con una memoria scritta alla comparsa del convenuto; il convenuto, a sua volta, può rispondere con memoria scritta che l'attore ha ancora facoltà di  contestare, prima dell'udienza. Quando la causa è matura per la decisione il giudice relatore (o istruttore se vi è stata assunzione di mezzi probatori) fissa l'udienza nella quale rimetterà le parti alla decisione del collegio e assegna ad esse tre termini successivi entro i quali esse devono: depositare le conclusioni; depositare la comparsa conclusionale; depositare le memorie di replica (art. 473-bis.28). All'udienza il giudice si riserva di riferire al collegio. La decisione è pronunciata con sentenza depositata entro 60 giorni dalla rimessione. La sentenza è impugnabile con appello.

Ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 149/2022, le sue disposizioni processuali si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023; ai procedimenti pendenti in tale momento continuano ad applicarsi le norme ante vigenti.

Bibliografia

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