Codice Civile art. 246 - Trasmissibilità dell'azione (1) (2).

Francesco Bartolini

Trasmissibilità dell'azione (1) (2).

[I]. Se il presunto padre o la madre titolari dell'azione di disconoscimento di paternità sono morti senza averla promossa, ma prima che sia decorso il termine previsto dall'articolo 244, sono ammessi ad esercitarla in loro vece i discendenti o gli ascendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del presunto padre o della madre, o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.

[II]. Se il figlio titolare dell'azione di disconoscimento di paternità è morto senza averla promossa sono ammessi ad esercitarla in sua vece il coniuge o i discendenti nel termine di un anno che decorre dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.

[III]. Si applicano il sesto comma dell'articolo 244 e l'articolo 245.

(1)L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la «Sezione III: " «Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo di legittimità» con: «Capo III. "Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio"»

(2) Articolo così sostituito dall'art. 19, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo recitava: «Se il titolare dell'azione di disconoscimento della paternità muore senza averla promossa, ma prima che ne sia decorso il termine, sono ammessi ad esercitarla in sua vece: 1) nel caso di morte del presunto padre o della madre, i discendenti e gli ascendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del presunto padre o della madre, o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo; 2) nel caso di morte del figlio, il coniuge o i discendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. L'articolo era già stato sostituito dall'art. 97 l. 19 maggio 1975, n. 151.

Inquadramento

Rispetto al dettato dell'art. 246 precedente alla riforma attuata con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, il testo vigente aggiunge soltanto l'indicazione per cui è attribuita rilevanza al raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti dell'originario legittimato all'azione.

Il presupposto di applicabilità della norma, comune alle varie fattispecie previste, è che il titolare dell'azione di disconoscimento sia morto, senza averla esercitata, prima che sia decorso il termine utile a promuoverla. Quest'ultima condizione, relativa al termine di decadenza, in realtà è attualmente riferibile alla sola azione esercitabile dal padre o dalla madre, posto che quella del figlio è divenuta imprescrittibile. La ragione delle disposizioni dettate dall'art. 246 va ravvisata nell'esigenza di stabilire se, e con quali requisiti, i discendenti e gli ascendenti di una persona possano esercitare azioni di stato che prima della morte sarebbero spettate soltanto a tale persona. Occorre, in proposito, por mente ad una rilevante differenza di situazioni.

L'art. 110 c.p.c. disciplina la successione degli aventi causa per morte nel corso del processo e, dunque, una successione in una controversia radicata e pendente. In questo caso, la successione riguarda la posizione di parte assunta nel giudizio; e la disposizione citata non crea anche una legittimazione autonoma, riferita ad una azione ancora da intraprendere. La legittimazione sostanziale all'azione è conseguenza di una successione di natura processuale, che trova il suo titolo nel subentro dell'avente causa nei rapporti che costituivano il patrimonio del de cuius. La situazione cui dà luogo l'art. 246 è diversa, posto che questa disposizione crea una legittimazione autonoma a favore dei soggetti che esso indica. Prima ancora che l'azione in giudizio venga promossa, la morte del titolare trasmette l'azione alle persone menzionate esplicitamente e tassativamente nella norma citata. Si tratta di una attribuzione ex lege che altrimenti, senza l'espressa disposizione, non si sarebbe verificata, in una materia caratterizzata dall'indisponibilità dei diritti. Proprio per questa peculiare caratteristica, l'attribuzione così specifica si reputa operante anche nel diverso caso della successione in pendenza di processo: la successione in corso di causa, si afferma, opera soltanto a favore di coloro ai quali la legge consente di intraprendere l'azione di disconoscimento per trasmissione dell'azione quando l'azione ad opera del titolare non è ancora esercitata (Cattaneo, 202). L'azione non potrebbe, pertanto, essere proseguita nel giudizio da soggetti diversi da costoro, anche se eredi.

La trasmissione dell'azione di disconoscimento segue regole del tutto particolari. Essa avviene senza che dalla normativa sia stabilito un ordine di precedenza o di preferenza tra gli aventi diritto. In difetto di qualunque indicazione limitatrice, l'esistenza di ascendenti non esclude la legittimazione all'azione dei discendenti, e viceversa; né l'esistenza del coniuge del figlio esclude il subingresso dei discendenti (Cattaneo, op. cit.,197). In pratica, ogni soggetto indicato nell'art. 246 ha una propria legittimazione e può esercitare l'azione autonomamente. Questa situazione ha posto la questione della natura giuridica della successione che consegue alla trasmissione dell'azione. In proposito le opinioni dottrinarie che sono state espresse sono divergenti, in quanto si confrontano le tesi di coloro che riconducono la trasmissione dell'azione ad una successione mortis causa e di coloro che vi ravvisano una successione anomala e sui generis. A favore di questa seconda proposizione si fa notare che il potere sostanziale di agire non deriva dall'originario titolare, premorto, ma direttamente dalla legge. Per altri studiosi la detta trasmissione dell'azione deve essere inquadrata in una nozione ampia di successione, da intendersi nel suo ampio significato di trasferimento di diritti da un soggetto ad un altro, sia pure in occasione della morte dell'uno di essi (Cattaneo, op. cit., 196). In proposito si osserva che la trasmissione avviene unicamente se l'azione non è stata ancora esercitata dal titolare; che il detto acquisto presuppone che l'azione spettante all'originario titolare sia ancora esercitabile al momento della morte; e che la disciplina dell'azione per i subentranti è identica a quella riguardante il titolare originario.

Quando il titolare dell'azione di disconoscimento viene a morte dopo aver esercitato l'azione, possono darsi le seguenti situazioni:

1) se è stata pronunciata una sentenza passata in giudicato, nessuna azione può più essere proposta;

2) se la morte è avvenuta in corso di causa, si applica l'art. 110 c.p.c. ma la prosecuzione del processo compete esclusivamente ai soggetti indicati nell'art. 246; come si è accennato, i diritti personalissimi non si trasmettono agli aventi causa e il detto art. 246 crea per costoro una legittimazione autonoma;

3) se il giudizio è dichiarato estinto, per rinuncia o per inerzia delle parti, non avviene la trasmissione dell'azione perché, al momento della morte, l'azione era già stata esercitata dal suo titolare Cattaneo, op. cit., 196).

Poiché l'art. 246 attribuisce legittimazione unicamente agli ascendenti e ai discendenti, non sono legittimati i collaterali del defunto, ancorché ne siano eredi (Cass., 9357/1992). La Corte di cassazione (sent. n. 2342/1975) aveva affermato che la normativa così risultante non si esponeva fondatamente a questioni di legittimità costituzionale. Con sentenza 1233/1977 la stessa Corte aveva affermato che il legislatore aveva stabilito una legittimazione plurima e aveva fatto riferimento generico agli ascendenti e ai discendenti, secondo il criterio della parentela di cui all'art. 74 c.c.. Questa circostanza precludeva all'interprete di porre qualsiasi limitazione con il richiamo ai gradi previsti dall'art. 76 c.c. oppure ad altre disposizioni concernenti la tutela di preminenti interessi patrimoniali, per dare al discendente prossimo la forza di escludere quello remoto. La pronuncia argomentava che, avendo la legge conferito agli ascendenti e ai discendenti del primo titolare il potere di promuovere l'azione anche quando il legittimario in via primaria non abbia ritenuto di agire, non può non riconoscersi ai detti componenti il nucleo familiare il più ristretto potere di proseguire l'azione iniziata dal primo titolare, che non abbia esaurito la potenzialità del suo completo svolgimento.

Le singole posizioni

Vige il principio per il quale ai congiunti legittimati all'azione di disconoscimento è assegnato un nuovo termine di decadenza di durata uguale a quello che competeva al titolare originario (Cattaneo, op. it., 199; Cass., 2342/1975). Perciò:

- il termine è di sei mesi per gli ascendenti e i discendenti della madre;

- il termine è di un anno per gli ascendenti e i discendenti del padre;

- l'azione è imprescrittibile per il figlio ma il termine è di un anno per il coniuge e i discendenti (la trasmissione dell'azione conferisce la titolarità di questa ma non attribuisce anche il diritto personalissimo, riconosciuto soltanto al figlio, di far valere la diversità del suo stato senza alcun limite di tempo).

Si ritiene generalmente che l'azione spetti anche al coniuge separato ma non anche a quello divorziato. L'adozione di soggetti minorenni crea attualmente un vincolo di vera e propria filiazione con l'adottante e la sua parentela: pertanto, gli adottanti devono essere considerati quali ascendenti dell'adottato e dei discendenti di lui; mentre l'adottato va considerato discendente anche degli ascendenti degli adottanti.

La decorrenza del termine è così stabilita:

- quando sono morti il presunto padre o la madre titolari dell'azione di disconoscimento della paternità, per i discendenti o gli ascendenti il termine decorre: dalla morte del presunto padre o della madre; o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo; o dal raggiungimento della maggiore età di ciascuno dei discendenti (applicazione, in questo caso, del principio generale per cui la decadenza non può formarsi a carico di chi non è in grado di attivarsi per impedire che essa si verifichi);

- quando è deceduto il figlio titolare dell'azione di disconoscimento di paternità, il termine per il coniuge e per i discendenti decorre dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età di ciascuno dei discendenti.

Il richiamo effettuato dall'ultimo comma dell'art. 246 al comma sesto dell'art. 244 comporta l'applicabilità delle regole che riguardano l'eventuale situazione di minore età anche ai soggetti legittimati per trasmissione dell'azione. Per effetto del richiamo, anche ai legittimati all'azione in forza dell'art. 246 può essere nominato un curatore speciale, su richiesta personale se hanno compiuto i quattordici anni altrimenti su istanza del pubblico ministero o dell'altro genitore, se si tratta di minore degli anni quattordici. Il richiamo all'art. 245, a sua volta, estende ai legittimati per trasmissione dell'azione la sospensione del termine per la proposizione dell'azione, se versano in stato di interdizione o di abituale grave infermità di mente, tale da renderli incapaci di provvedere ai loro interessi.

In caso di morte del titolare, l'azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dai suoi ascendenti o discendenti nel termine di decadenza previsto dall'art. 244 c.c., che decorre dalla data del decesso del dante causa se essi erano già a conoscenza della nascita o, in caso contrario, dalla data dell'effettiva conoscenza dell'evento in qualunque modo acquisita (Cass. I, n. 27903/2021).

Diritto intertemporale

L'art. 35 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, dispone che le  nuove norme si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023; le nuove norme sulle impugnazioni con appello si applicano ai gravami proposti successivamente alla stessa data. Ai procedimenti pendenti a tale data continuano ad applicarsi le norme  in quel momento vigenti.

Bibliografia

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