Codice Civile art. 278 - Autorizzazione all'azione (1) (2).

Francesco Bartolini
Valeria Montaruli

Autorizzazione all'azione (1) (2).

[I]. Nei casi di figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, l'azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità non può essere promossa senza previa autorizzazione ai sensi dell'articolo 251.

(1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la rubrica del paragrafo 2 della sezione I del capo II del libro primo del codice civile «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale», con: «Capo V. "Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità"»

(2) L'art. 35, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito l'articolo. Il testo precedente recitava: «Indagini sulla paternità o maternità. [I]. Le indagini sulla paternità o sulla maternità non sono ammesse nei casi in cui, a norma dell'articolo 251, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato. Possono essere ammesse dal giudice quando vi è stato ratto o violenza carnale nel tempo che corrisponde a quello del concepimento». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. L'articolo era stato sostituito dall'art. 120 l. 19 maggio 1975, n. 151. La Corte cost., con sentenza 28 novembre 2002, n. 494 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma nella parte in cui escludeva «la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell'art. 251, primo comma, del codice civile, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato».

Inquadramento

Le modifiche apportate all'art. 278 dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, costituirono il necessario coordinamento con il testo dell'art. 251 c.c, come innovato dalla precedente  legge 10 dicembre 2012, n. 219. Questo provvedimento aveva eliminato il divieto, imposto dalla previgente formulazione dell'art. 251 c.c.,, di riconoscimento dei figli nati da persone legate da un vincolo di parentela, anche solo naturale, in linea retta all'infinito o in linea collaterale di secondo grado, ovvero un vincolo di affinità. Le uniche eccezioni a tale divieto erano costituite da: l'ipotesi in cui al tempo del concepimento i genitori avessero ignorato il vincolo esistente tra di loro ma, nel caso in cui un uno dei genitori fosse stato in buona fede, egli (solo) avrebbe potuto procedere al riconoscimento del figlio; l'avvenuta dichiarazione di nullità del matrimonio da cui derivava l'affinità. A questa seconda fattispecie era assim ilato il caso di chi avesse subito violenza sessuale.

Conseguentemente, nelle ipotesi in cui il riconoscimento dei figli nati da genitori tra loro parenti non era ammesso l'art. 278 c.c. non consentiva l'espletamento di indagini sulla paternità o sulla maternità,  Simmetricamente, il genitore non solo non poteva agire per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità ma neppure poteva riconoscere il figlio,  essendo vietato ogni accertamento nel merito. L'unica tutela riconosciuta per il figlio era quella prevista dall'art. 279 c.c., diretta ad ottenere i mezzi necessari per il mantenimento, l'istruzione all'educazione del figlio minore, ovvero, in caso di figlio maggiorenne in stato di bisogno, gli alimenti (Lena - Magli, 2015, 1085).

Il quadro normativo mutò radicalmente con l'intervento della sentenza Corte cost. n. 494/2002 , che dichiarò incostituzionale l'art. 278 primo comma c.c., nella parte in cui escludeva la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell'art. 251 primo comma c.c., era allora vietato il riconoscimento dei figli incestuosi. Mette conto di rilevare che la questione fu sollevata da Cass. I, n. 9724/2002, la quale opinava che la questione non fosse manifestamente infondata, in quanto l'art. 30 Cost. prevede che la legge assicuri «ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima» e detti «le norme e i limiti per la ricerca della paternità»; tuttavia, la tutela in questione non era accordata ai figli incestuosi, che non potevano ottenere la dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità. Dall'anzidetta disciplina derivava, in danno della prole nata da genitori legati dai rapporti familiari indicati dall'art. 251 c.c., una capitis deminutio perpetua e irrimediabile, come conseguenza oggettiva di comportamenti di terzi soggetti; una discriminazione compendiata, anche nel lessico del legislatore, nell'espressione «figli incestuosi». Ne conseguiva anche la violazione del diritto a uno status filiationis, riconducibile all'art. 2 Cost., e del principio costituzionale di uguaglianza, come pari dignità sociale di tutti i cittadini. Non potendo esercitare l'azione di dichiarazione giudiziale della  paternità o della maternità, il figlio incestuoso era costretto a esercitare direttamente l'azione ex art. 279 c.c., così proclamando la propria condizione di discriminato. La Corte Costituzionale rimuoveva, in quanto lesivo dei principi costituzionali e discriminatorio, il divieto per i figli cosiddetti incestuosi di esercitare l'azione giudiziale di dichiarazione della paternità. La Corte non mancava peraltro di osservare che, fermo restando che l'art. 269, primo comma, del codice civile, dovesse essere interpretato nel senso che la paternità e la maternità naturali possono essere dichiarate nelle ipotesi in cui il riconoscimento è ammesso, ma non nel senso reciproco: cioè anche che il riconoscimento fosse effettuabile in tutte le ipotesi in cui vi possa essere la dichiarazione giudiziale.

  La dottrina non mancò di rilevare che la Corte costituzionale interveniva soltanto a metà, in quanto non incideva sull'art. 251 c.c., sicché non coinvolgeva in parallelo il divieto di riconoscimento nelle medesime ipotesi, pur se l'ordinanza di rimessione dubitava anche della illegittimità di tale disposizione (Dogliotti, 2015, 453; Bianca C.M., 2002, 4069). Si argomentava che, pur se l'art. 30 Cost. pone un limite alla tutela giuridico-sociale dei figli nati fuori dal matrimonio, secondo un principio di compatibilità con i diritti dei membri della famiglia legittima, ciò non avrebbe potuto condurre a violazioni dei diritti fondamentali e a palesi discriminazioni, posto anche che l'anzidetta norma costituzionale distingue esclusivamente tra due categorie di figli, nati nel matrimonio o fuori dal medesimo, mentre non trova alcun fondamento costituzionale la categoria dei figli incestuosi (Carbone, 2002, 478). La questione risulta ormai chiusa dalla riforma del diritto di famiglia che ha soppresso ogni diversità di status tra i figli, fatta eccezione per la distinzione tra chi è negato nel matrimonio e chi è nato fuori dal matrimonio.  

Nell'ambito del diritto internazionale privato, la Cassazione ebbe ad affermare che, allorché la dichiarazione giudiziale di paternità debba essere accertata sulla base dei requisiti posti dalla legge straniera (nella specie, brasiliana) e questa preveda, in alternativa al ratto seguito da rapporto sessuale o alla confessione del presunto padre, la prova del «concubinato» con la madre nel periodo del concepimento, il termine concubinato non può essere inteso nel senso di postulare una relazione di convivenza palese tra l'uomo e la donna, essendo siffatta interpretazione in contrasto con il principio di ordine pubblico, nascente dagli art. 269 ss. c.c., che riconosce il diritto all'acquisizione dello status di figlio naturale a chiunque sia stato concepito, indipendentemente dalla natura (palese o meno) della relazione tra i genitori (Cass. I, n. 2907/2002 ).

Le modifiche introdotte dalla riforma del 2012/2013

Le incongruenze solo parzialmente rilevate dalla Corte costituzionale, sono state superate dalla riforma della filiazione del 2012 –2013, che ha previsto espressamente che il figlio nato da persone legate da vincoli di parentela in linea retta o in linea collaterale di secondo grado ovvero di affinità linea retta, possa essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all'interesse del minore e alla necessità di evitare al medesimo qualsiasi pregiudizio. La dottrina ha rilevato come la nuova formulazione dell'art. 251 c.c., colloca il cosiddetto figlio incestuoso nel novero dei parenti, che tuttavia provengono da un unico stipite, così consentendo plurimi rapporti di parentela –potendo la stessa persona essere genitore e fratello del generato –così conducendo a una sorta di corto circuito nelle relazioni familiari (Sesta, 2014, 35). Il legislatore è dovuto altresì intervenire sull'art. 278 c.c., parallelamente alla modifica dell'art. 251 c.c., estendendo l'autorizzazione prevista dall'anzidetta norma per il riconoscimento del figlio nato da rapporti di parentela o di affinità in linea retta, anche all'ipotesi in cui venga proposta l'azione per ottenere l'accertamento della genitorialità del figlio nato da persone legate da stretti vincoli di parentela o di affinità. Parte della dottrina sostiene che l'autorizzazione rappresenti un presupposto necessario solo per il figlio minorenne (Lisella, 2014, 846).

Altra parte della dottrina ritiene che il legislatore non abbia distinto tra la posizione del figlio maggiorenne e quella del figlio minorenne, e dunque deve ritenersi che in ogni caso sia necessario ottenere preventivamente l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, anche qualora ad agire sia un maggiorenne, altrimenti si sarebbe creata un'ingiustificata disparità di trattamento tra riconoscimento del figlio e accertamento della genitorialità relativa al medesimo, se si fosse ritenuta la necessità dell'autorizzazione soltanto per l'azione proposta nei confronti del figlio minorenne (Velletti, 2014, 79).

Per quanto concerne la competenza, la dottrina ha osservato come, sul piano processuale, l'art. 251 c.c., nel caso di minori di età, attribuisce la competenza, ai fini del rilascio dell'autorizzazione al riconoscimento, al tribunale per i minorenni, secondo il novellato art. 38 disp. att. c.c., come modificato dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219; mentre invece, in caso di dichiarazione giudiziale della genitorialità, non espressamente contemplato nell'art. 38 disp. att. c.c., anche se si tratti di un soggetto minorenne, la competenza spetta comunque al tribunale ordinario. Tuttavia, dalle predette disposizioni si evince come, poiché l'art. 278 c.c. richiede l'anzidetta autorizzazione per la sua proposizione, essa dovrà in tal caso essere rilasciata preventivamente dal tribunale per i minorenni, e solo rispetto ai soggetti maggiorenni provvederà il tribunale ordinario (Velletti, 2014, 80).

In tema di riconoscimento del figlio incestuoso, si è pronunciata la giurisprudenza di merito, nel senso di ritenere ammissibile il riconoscimento del figlio nato da relazione incestuosa quando ciò risponda all'interesse dello stesso e affermando che il riconoscimento di figlio incestuoso effettuato senza la necessaria autorizzazione è radicalmente viziato (Trib. min. Caltanissetta, 20 dicembre 2013: il decreto del tribunale dei minorenni di Caltanissetta è stata una delle prime applicazioni della nuova legge).

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